DAL BORGO, Flaminio
Nacque a Pisa il 5 ott. 1705 (1706 secondo il computo dell'indizione pisana) da Giovanni Saladino e da Camilla Marracci.
La sua era un'antica famiglia: se le fonti encomiastiche settecentesche parlano addirittura di una nobiltà risalente al IX secolo, con maggiore sicurezza le provanze di nobiltà che il D. dovette esibire per accedere all'Ordine di S. Stefano, in cui giovanissimo (3 ott. 1722) vestì l'abito di cavaliere, testimoniano la presenza della famiglia in Pisa almeno dalla prima metà del Trecento e attestano come non solo i Dal Borgo, ma anche i Marracci, i Dal Torto, i Tronci, per vari gradi tra loro imparentati, avessero goduto o godessero "dei primi ordini e dignità solite a darsi a' più nobili di Pisa, cioè il priorato o anzianato". Discendente di cavalieri di S. Stefano (Giovanni Saladino fu cavaliere e detentore di commenda di padronato nell'Ordine dal 1689, il padre di lui, Flaminio, dal 1671), nel "processo di nobiltà" il D. dimostrò di possedere tutte le doti richieste. Come testimoniarono i cavalieri pisani Lorenzo Zucchetti e Ludovico Poschi, egli era di "qualità morali corrispondenti a' suoi nobili natali... di bella presenza, sano di corpo e atto al mestiere dell'armi" e fornito di un patrimonio "tale da permettergli una vita conforme al grado". E risulta in effetti che i Dal Borgo avevano possedimenti, oltre che in Pisa (la casa patrizia sorgeva nel quartiere di Chinzica, in prossimità della chiesa di S. Martino), a Nord della città, nel circondario di Pugnano, dove era la villa di famiglia, e a Nordest, verso Pistoia.
Il D. intraprese gli studi giuridici presso lo Studio pisano, allievo di quel Giuseppe Averani cui si deve il rinnovamento settecentesco della scuola di diritto dell'Ateneo. Il 26 ott. 1726 si laureò, insieme con il fratello minore Pio, in utroque iure; dal padre venne quindi mandato con il fratello a Roma, per impratichirsi in diritto in quella Curia. Nel 1731 tornò a Pisa, ed ottenne un incarico di lettore straordinario di diritto civile nello Studio. Nel 1733 sposò la giovanissima Anna Maria Nervi, che morirà nel 1747, a soli trent'anni, pochi giorni dopo aver dato alla luce l'ultimogenita Maria Anna Francesca e "per. causa di detto parto". Il D. non contrarrà più matrimonio e non si occuperà, da quel momento, che dell'educazione dei numerosi figli e degli studi (neppure l'attività politica lo attirò, dopo la breve parentesi del priorato nel 1738). D'altronde la vita ritirata e severa del D. aveva anche altre cause. Fin dal primo stabilirsi nel granducato del presidio militare spagnolo (in conformità con quanto stabilito dal trattato di Londra del 1718 che affidava a don Carlo di Borbone, dopo la morte dell'ultimo Medici, Giangastone, le redini dello Stato) il D., al pari di molti sudditi granducali, pisani e fiorentini, non aveva nascosto le proprie simpatie per i "nuovi padroni". José Carrillo de Albornoz conte di Monternar, capitano generale delle truppe spagnole, nel 1736 lo aveva nominato auditore militare dell'esercito di Spagna, e solo la situazione familiare - a quanto afferma Baccio Dal Borgo, uno dei suoi biografi e suo discendente - "fecegli abbandonare gli onori e la fortuna di seguire le armate spagnuole... allora che dalla Toscana ceduta al duca., di Lorena passarono nel regno di Napoli" (in De Tipaldo, I, p. 116). Il vigile governo della Reggenza - che, dopo aver emanato un primo bando dell dicembre del 1737, nel luglio 1742 i rinnovava le pene contro quanti si fossero posti al servizio di potenze estere - non vide di buon occhio le propensioni filospagnole del Dal Borgo. Sottoposto a stretta vigilanza, venne infine (11 sett. 1742) ritenuto colpevole di aver parlato "con troppa libertà" e "arditamente, secondo la propria inclinazione a potenze straniere con ammirazione, e dispiacere delle persone savie e ben intenzionate", e condannato ad essere rinchiuso nel carcere di Volterra. Fu una pena dolorosissima: perduto l'incarico universitario, lontano dalla famiglia, gravato dalle spese e provato nel fisico (l'aria salmastra di Volterra non gli giovava: in carcere contrasse lo scorbuto, si ammalò di reumatismi, e peggiorò l'affezione renale che già lo affliggeva), il D. invio ripetute suppliche al sovrano perché, gli venissero concessi il perdono, la libertà e la restituzione della carica, assicurando di non aver altro desiderio "che di servire il suo real sovrano". L'interessamento dell'arcivescovo di Pisa, monsignor Guidi, permise che le suppliche giungessero a buon fine: il 17 apr. 1743, facendo seguito alla, proposta ufficiale di scarcerazione avanzata il 5 febbraio dal Consiglio di reggenza, fu consentito al D. di ritornare a Pisa, con l'intimazione di "tenere a freno la lingua"; non gli venne restituito tuttavia l'ufficio di docente (solo nel 1758 ebbe nuovamente l'incarico di lettore straordinario di ius civile, e nel '59 quello definitivo di ordinario). Dopo questa avventura, il D. non conobbe altro interesse, che gli studi. Studi lunghi e pazienti, sostenuti da un culto devoto per il documento, ricercato e accettato come fatto indiscusso, e parola definitiva nell'indagine storica. Il documento è la verità, può, "censurare errori, supplire difetti, dichiarare equivoci, avvalorare prove", e vale per il D. il principio di ispirazione muratoriana secondo il quale è compito dello studioso "illuminare e trarre dall'errore la sedotta credulità degli stolti" (Dissertazioni sopra l'istoria pisana, p. 132).
A mostrare una fiducia assoluta nelle "infallibili" carte egli iniziò assai presto. Dal 1733 data la, sua corrispondenza, con Aulo Cecina, avvocato volterrano diligente studioso di leggi e diplomi, che gli inviava copia manoscritta di una sua Epitome sui documenti contenuti, nell'Archivio comunale di Volterra... Interessato a quelle ricerche, convinto della loro validità e utilità, il D. incoraggiò ili Cecina a continuare, collaborò con lui, e con lui pubblicò infine, corredandole di ampie e circostanziate note, le Notizie istoriche della città di Volterra (Pisa 1758).
Nella prefazione chiariva quale fosse il suo ruolo nell'opera, e quali i caratteri che informavano il suo metodo: analisi diretta delle fonti ("io non son solito di far cammino al lume di altri"); raffronto con testi "confacenti all'occorrenza del discorso"; indicazione precisa dell'ubicazione dei vari documenti, per consentire agli studiosi una agevole consultazione; sunto degli atti più significativi, quando "ritenuto opportuno e rimarchevole per l'istoria" (pp. XVI-XVII). L'accoglienza dei mondo culturale toscano fu buona, e attenta proprio alla direzione di ricerca che premeva al D.: il Giornale de' letterati di Pisa augurava successo a uno studio fondato "sulla fede degli indubitabili documenti" (VIII, I, p. 245); le Novelle letterarie di Firenze, in due articoli apparsi sui numeri 28e 29del 1759, ne davano ampia relazione, sottolineando i pregi di una ricerca sulle fonti.
I lunghi anni di studio e preparazione del lavoro, la conoscenza sempre più approfondita della storia e della società volterrane valsero al D. oltre al riconoscimento degli studiosi, prima l'ascrizione alla nobiltà di Volterra (editto del 12 ott. 1747) e poi l'accesso alla Società Colombaria con il nome accademico di "l'Affidato" (14 maggio 1759).
Nel 1761 venne stampato in Pisa il primo tomo, parte I, delle Dissertazionisopra l'istoria pisana, dedicato all'"Augustissimo Cesare Francesco imperatore dei Romani e granduca di Toscana" (la seconda parte uscirà nel 1768 con un'entusiastica dedica a Pietro Leopoldo "principe filosofo").
Nelle Dissertazioni (che non a caso riprendevano la forma espositiva muratoriana) il D. dava testimonianza di tutto il suo orgoglio di cittadino pisano, scegliendo la vicenda di Ugolino della Gherardesca al fine di dimostrare come l'interpretazione che Dante aveva dato dell'avvenimento fosse calunniosa per i Pisani, soprattutto perché il "compassionevol racconto di quel poeta" non era stato "preso qual era, per una sorta di romanzo... [anzi] molti e molti storici e scrittori, o per malignità, o perché privi di buon criterio..., lo seguitarono, e riferirono ne' loro libri, come punto di verissima storia" (p. XIX). I commentatori, in seguito, rilevarono la scarsa obiettività storica a cui - contro gli stessi principi teorici che dovevano governare il suo lavoro - lo zelo patriottico aveva indotto il D. (così il Pignotti, nella Storia della Toscana; così E. Valtancoli Montazio, il qualei nella sua edizione degli Annali pisani di Paolo Tronci, riportava al riguardo le osservazioni del Sismondi, basate su diverse fonti storiche e cronachistiche, e il giudizio di quello sulla posizione del D., ritenuta "parziale e appassionata").
Una passione municipalistica che doveva portare il D. a conseguenze di maggior peso nella successiva Raccolta di scelti diplomi pisani (Pisa 1765) pubblicata a corredo documentario delle Dissertazioni. Alterazioni e interpolazioni delle fanti - soprattutto nelle parti che contengono liste di nomi, al fine di dimostrare l'antichità delle più illustri famiglie pisane - in alcuni casi di particolare gravità (così in un elenco del 13 febbr. 1188, più noto come elenco dei "mille pisani" che siglarono la pace con Genova, di dubbia autenticità) limitano i meriti di un lavoro di ricerca e ricostruzione cronologica che rimane unico per la storia del Comune di Pisa.
Nobilitare la città premeva in ogni caso assai più al D., e il rigore del modello di storiografia muratoriana cui egli si rifaceva "come più ordinato e istruttivo" venne spesso lasciato da parte per prediligere piuttosto le "congetture" e le "argomentazioni" con cui "supplire ai passi manchevoli". Così ancora nella Dissertazione epistolare sull'origine dell'Università di Pisa (Pisa 1765) il D. anticipa di quasi tre secoli l'istituzione dello Studio rispetto alla datazione tradizionalmente accettata (e sostenuta ai suoi tempi ad esempio dal Fabbrucci) che identificava, prima del riconoscimento formale da parte di papa Clemente VI nel 1343, in un atto del Comune del 1338 il più antico documento ufficiale relativo all'università pisana. Se poi non sono possibili verifiche puntuali, poco male: meglio, per il D., "lasciare per immemorabile l'antichità, così tanto più nobile e maestosa resterà quella, quanto più incerto ed oscuro n'apparirà l'incominciamento". Ristabilire verità ma quelle verità in primo luogo che potevano suonare elogio di Pisa, fu obiettivo anche della seconda opera "a quattro mani", dopo le Memorie su Volterra, la Dissertazione sopra l'istoria dei Codici pisani delle Pandette di Giustiniano imperatore, uscita in Lucca nel 1764 a nome dell'abate Borgo Dal Borgo suo figlio, ma frutto piuttosto dei lavoro del D., che rivide, corresse e ampliò, aggiungendovi una Storia della caduta di Pisa, le osservazioni del figlio, a cui egli stesso aveva fornito l'argomento e il materiale di lavoro (Introduzione, p. XV). L'opera mirava a ristabilire i "diritti di Pisa" sui "venerandi" codici giustinianei a torto detti delle "Pandette fiorentine, solo perché in Firenze risiedono, senza neppur far menzione, che quelle una volta furon di Pisa" (p. XIV).
Nello stesso 1764 il D. aveva ricevuto dall'Ordine di S. Stefano - all'interno del quale era membro del Consiglio dei dodici, dignità a cui si aggiunse, proprio in quell'anno, la nomina a gran tesoriere - l'incarico di stendere l'Orazione funebre (Pisa 1765) per la morte di Francesco I d'Asburgo Lorena, "gran, maestro dell'Ordine", il che fece con toni di encomio solenne, ma talora con accenni di sincero affetto, soprattutto nel ricordo dell'imperatore verso la "sua Pisa". Intanto, "novello Muratori" come ebbe a definirlo uno dei suoi biografi, il Grassini, il D. continuava le sue pazienti ricerche a conipletamento delle Dissertazioni sopra l'istoria pisana. Il progetto originario prevedeva quattro tomi, comprensivi di un volume di Annali pisani, accompagnato da adeguato corredo di documenti. "Se vivrò sano - scriveva a Giuseppe Pelli - seguiterò le dissertazioni trattanti di diversi punti della storia pisana": non ebbe questa sorte. La seconda parte del primo tomo dell'opera venne pubblicata a sette anni dalla prima (ciò può dare una misura di che cosa significasse comunque per il D. la ricerca delle fonti, lunga e faticosa), pochi mesi dopo la morte, avvenuta a Pisa il 16 marzo 1768.
Gli elogi, anche in seguito, ricordarono in lui non un "sommo giureconsulto" ma lo "storico paziente e diligentissimo". Fu sepolto nella chiesa di S. Antonio dei servi di Maria in Pisa dove, in vita, aveva fatto erigere la propria tomba accanto a quella della moglie. Tra quanti scrissero di lui, Baccio Dal Borgo lo dichiara autore di esegesi latine di testi giuridici, che avrebbe lasciato manoscritte (e di cui non si ha traccia); altri (Melzi) gliattribuiscono anche la stesura di una Dissertazione del dominio antico pisano sulla Corsica (1760), da ascrivere piuttosto a Bernardo Tanucci.
Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Dal Borgo, non riordinato, non risulta agibile agli studiosi. Pisa, Archivio della Primaziale, Libro dei battesimi, vol. B, f. 148 v., n. 104 (atto di battesimo del D.); vol. C, f. 456, n. 513 (atto di battesimo della moglie del D.); vol. G, f. 485. n. 1065 (battesimo di Maria Anna Francesca Dal Borgo); Pisa, chiesa di S. Martino, Registro dei morti (alle date 3 ag. 1747, morte di A. M. Nervi, e 16 marzo 1768, morte del D.); Archivio di Stato di Pisa, Ordine di S. Stefano, Provanze di nobiltà dei cavalieri di Santo Stefano, filza 87 (1722). I, n. 9; filza 66 (1698), IV, n. 27 (Saladino Dal Borgo); filza 98, Registro di apprensioni d'abito; Ibid., Università, 2, D, II, 7, Registri dei dottorati; Università, 2, A, III, I, ff. 27-44, Relazione dello stato presente dell'Università di Pisa composta nel maggio 1738; Università, I, F. 333; Università, 2, C, I, 2 e C, I, 3, Ruoli dell'Università di Pisa (anni 1731-42 e 1751-68); Ibid., Comune, D, XX, 637 (8). n. 12, cart. 99, Ringraziamento di Flaminio Dal Borgo dell'accoglienza da lui data nell'ottobre 1740al principe Federico Cristiano elettore di Sassonia; Pisa, Archivio arcivescovile, Registri dei dottorati, vol. 42, dal 1723 al 1733, n. 205; Pisa, Biblioteca di S. Caterina, ms. 161: Sepoltuario Luchetti, I, 1760-1775 (alla data del 16 marzo 1768); Pisa, Bibl. univers.; Autografi Rosselmini-Gualaddi, Misc. 77511: lettera del D. al figlio Gio. Saladino, da Pisa, 15dic. 1760; Archivio di Stato di Firenze Reggenza, filza 45, n. 13; filza 46, nn. 5, 6; filza 101, Provvedimenti della Reggenza contro F. D.; Ibid., Fondo Pelli. fascio VI, 1761, n. 1088: lettera del D. a G. Pelli, da Pisa, 16 sett. 1761; Firenze, Biblioteca Marucelliana, Lettere al can. Bandini. B II 27 XIII 25 bis: lettera del D. a Cosimo Mari, da Pisa, 6 sett. 1757.
S. M. Fabbrucci. Dissert. hist.-critica qua certius, auam antea, Pisanae univers. initium constituitur, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXI, Venezia 1740, pp. 3-28; Giornale de' letterati (Pisa), VII (1757), 1, pp. 242-46; Novelle letter. (di Firenze) XIX (1758). coll. 323 ss.; XX (1759). coll. 437 ss.. 456-62, 518-22; XXVII (1766), coll. 817-20; XXIX (1768), col. 269; [F B. De Felice], Excerptum totius Italicae nec non Helveticae literaturae pro anno 1659, IV, Berna [1759], p. 234; ... pro anno 1760, II, ibid. [1760], pp. 273-77; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'It., II, 3, Brescia 1762, pp. 1758 s.; A. Fabroni, Hist. Academiae Pisanae, I, Pisis 1791, pp. 14, 31; Mem. ist. dei più ill. uomini pisani, IV, Pisa 1792, p. 14; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, I, Firenze 1805, pp. 152 ss.; L. Pignotti, Storia della Toscana sino al Principato, III, 6, Pisa 1813, pp. 255-263; S. de Sismondi, Histoire des républiques italiennes du Moyen Age, IV, Paris 1818, pp. 40-43; E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri. I. Venezia 1824. pp. 115 ss.; Almanacco biogr. per gli eruditi toscani, I, Samminiato 1834, p. 165; Biografie di pisani illustri delineate da F. Grassini pisano. Pisa 1838, ad vocem; Annali pisani di P. Tronci dalla sua origine fino al 1840 compilati da E. Valtancoli Montazio, I, Lucca 1842. pp. 539 ss.; Sigismondo da Venezia. Biografia univ. sacra e profana, Venezia 1842, p. 561 (anno 1750); F. Inghirami, Storia della Toscana, XII, Fiesole 1843, p. 309; G. Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonime, I, Milano 1848, p. 318; Sommario stor. delle famiglie celebri toscane compilato dal conte F. Galvani e riveduto in parte dal cav. L. Passerini, I, Firenze 1865, ad vocem; E. Micheli, Storia dell'università di Pisa dal MDCCXXXVII al MDCCCLIX, in Annali delle Università toscane, XIV (1879), I. pp. 7, 36 s.; R. Roncioni, Delle famiglie pisane, supplite ed annotate da F. Bonaini, in Arch. stor. ital., VI, 2, Suppl. 2, (1848-49) p. 892; Breve cronol. dell'antichissimo cognome Borgo e dei Borzo estratta da classici autori da F. Antonio Del Borgo da Conegliano, Venezia s. d., pp. 37 s.; F. Buonamici, Della scuola pisana del diritto romano o Dei più chiari professori di diritto romano nell'università di Pisa dalla sua origine al 1870, in Annali delle Università toscane, XIV (1874), p. 27; L. Zdekauer, Sull'origine del manoscritto pisano delle Pandette e la sua fortuna nel Medioevo, Siena 1890, passim; Id., Nota sulle due sottoscrizioni del manoscritto pisano delle Pandette giustinianee, Roma 1891, passim; C. Fedeli, Idomenicani nell'università di Pisa, in Memorie domenicane, XXXIX (1922), pp. 1-30; M. Battistini, Nel Maschio di Volterra, Pescia 1926, pp. 140 ss.; U. Dorini, La Società Colombaria. Cronistoria dal 1735al 1935, Firenze 1936, ad Indicem; L. Pescetti, Volterra nell'opera di due eruditi settecenteschi (L. A. Cecina e F. D.), in Rassegna volterrana, XVII (1946), pp. 3-24 (le lettere dei D. al Cecina del fondo Bastogi della Biblioteca Labronica di Livorno, di cui a p. 9 nota 1, sono attualmente perdute); E. Cristiani, Osservazioni alla "Raccolta di scelti diplomi pisani" di F. D., in Bollettino stor. pisano, XX-XXI (1951-52), pp. 72-83; N. Carranza, L'Università di Pisa e la formazione del ceto dirigente toscano, ibid., XXVIII-XXIX (1959-60), pp. 469-537; G. Guarnieri, Icavalieri di S. Stefano, Pisa 1960, ad Indicem; N. Carranza, Monsignor G. Cerati provveditore dell'università di Pisa nel Settecento delle riforme, Pisa 1974, ad Indicem.