TORRIGIANI, Flaminio Domenico Antonio
– Nacque il 19 giugno 1729 da Lazzaro Antonio e da Angela Franceschini a Corniglio, nell’Appennino parmense, secondo di tre figli, tra il maggiore Giovanni Battista, poi arciprete del medesimo paese, e il minore Pietro Antonio.
Dopo aver compiuto gli studi presso il collegio dei nobili di Parma, retto dai gesuiti, Torrigiani seguì le orme del padre, che era chirurgo, studiando presso la facoltà medica dell’Università di Parma. A ventun anni, nel 1750, difese alcune tesi di fisica e già dall’anno seguente esordì nell’insegnamento di medicina pratica, a titolo volontario e gratuito (cfr. Memoria anonima di ricorso per mancati riconoscimenti economici, in Archivio di Stato di Parma, Carte Du Tillot, b. 90). Nel 1755 Torrigiani si recò a Firenze per approfondire la sua formazione alla scuola del celebre chirurgo Angelo Nannoni, frequentando anche lezioni degli atenei di Bologna e di Pisa. In quegli anni la chirurgia a Parma era scarsamente praticata e costituiva una conoscenza medica preziosa per una piccola capitale nella quale «era allora in così basso stato caduta, che per le occorrenze gravi della città si era costretti di far venire dall’estero i chirurgi operatori» (Freschi, 1845, p. 957). Alcuni biografi (Janelli, 1877, p. 452; Rizzi, 1953, p. 53) affermano che Torrigiani avrebbe studiato anche a Berlino e Parigi, probabilmente sulla scorta di una successiva testimonianza del pronipote Pietro (Pezzana, 1833, p. 334). Rientrato a Parma, fu lettore di anatomia presso il locale ateneo a partire dal 1757.
L’incarico, oltre all’impegno di svolgere le lezioni presso il teatro anatomico, comportava l’incombenza di esercitare la professione medica, compresa la pratica delle fasciature, oltre, ovviamente, alle operazioni chirurgiche, per l’abilità nello svolgimento delle quali Torrigiani era particolarmente stimato a Parma, dove «mirabilmente eseguiva le più ardue operazioni, e con tale destrezza ed umanità da menomare d’assai il dolore del paziente; e, se non sempre ebbero prospero fine, ciò non avvenne per minore sapienza di lui» (Pezzana, 1835, p. 575). Proprio la grande abilità pratica di Torrigiani contribuì a renderlo celebre a Parma, unitamente alla riconosciuta disponibilità e attenzione verso i pazienti, compresi i più indigenti che affollavano la sua anticamera.
Ammesso nel Collegio dei medici nel 1759, Torrigiani fu chirurgo di corte e professore di geometria e anatomia della Reale Accademia delle belle arti di Parma, istituzione della quale fu nominato consigliere con diritto di voto. Quando nel 1768 il teatino Paolo Maria Paciaudi, bibliotecario e antiquario ducale, promosse un complessivo riordino degli studi nei ducati di Parma e Piacenza, su mandato del ministro Guillaume Du Tillot, Torrigiani si vide assegnata la cattedra di medicina teorica, subentrandogli alla cattedra di anatomia e a capo della scuola anatomica il lombardo Michele Girardi, già docente della medesima disciplina presso l’Ateneo di Padova. Nel 1771, i due docenti pubblicarono congiuntamente, su commissione della corte, il volume di veterinaria Segni dai quali si potrà facilmente conoscere la malattia che serpeggia nelle bestie bovine (Parma 1771).
Da un punto di vista accademico, la personalità di Torrigiani lo portava a privilegiare la pratica medica alla ricerca teorica, mentre la sua formazione culturale eclettica ed erudita lo spingeva a occuparsi anche di geometria, fisica, botanica, poesia e teatro. «Rimaneva in fondo allo sforzo di ricerca la mentalità umanistica letteraria che si rifletteva nel latino elegante ed attraente della sua esposizione didattica», ha scritto di lui Giuseppe Berti (1960, p. 122), aggiungendo che «Flaminio Torrigiani era il maestro che aveva avuta l’intuizione dello sviluppo scientifico del suo tempo, anche se la penetrazione non era profonda» (p. 124). La posizione di Torrigiani nell’ambiente accademico parmense del tempo si caratterizza per il distacco tanto dalle tradizionali teorie umorali quanto dalle più recenti correnti di pensiero: considerato «l’incredulo della Teoria medica» (Pezzana, 1833, p. 334), Torrigiani «non fu mai seguace di alcuna teoria, o sistema speciale di medicina; ché non credeva in alcuno, né antico, né moderno, per cui, notano i suoi biografi, era per miscredente da tutti salutato» (Freschi, 1845, pp. 957 s.). In realtà, Torrigiani era titolare della cattedra di medicina teorica, e queste annotazioni sembrano denotare ulteriormente la sua predilezione per gli aspetti empirici della professione, in linea con la sua originaria specializzazione in campo chirurgico e anatomico, che ne fece uno dei pionieri nel campo della genesi della flogosi. A questo argomento sarebbe stato dedicato un inedito Trattato della flogosi che a detta di Angelo Pezzana (1833, p. 335) costituiva, insieme ai testi delle lezioni, la produzione scientifica di Torrigiani. Il medico e docente parmense aspirava alla costituzione di una teoria sperimentale ragionata, influenzata da «riflessi platonici leibniziani circa l’ottimismo dell’ordine naturale» (Berti, 1960, p. 124), in linea con un profilo scientifico estremamente libero e con un carattere indipendente, che lo portavano a interpretare il proprio ruolo coerentemente al progressivo sviluppo della coscienza civile del Settecento italiano.
Morì a Parma il 6 novembre 1792, all’età di 63 anni, mentre stava esercitando la professione medica, nonostante gli evidenti sintomi di un progressivo deterioramento della sua salute.
Le circostanze della morte colpirono i contemporanei, rafforzando la sua fama di uomo che «primeggiò in sua patria non tanto per lo squisito suo ingegno, e per la facondia del dire, e la copia delle sue dottrine, quanto anche, e forse più, per le eccellenti qualità del cuore, che ebbe sempre aperto alla carità, sempre rivolto al pubblico bene, e al decoro della sua patria» (Freschi, 1845, p. 958). Fu sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare in Parma, non più esistente, dove il fratello Pietro Antonio pose un’epigrafe commemorativa, dettata dall’erudito sacerdote don Andrea Mazza, ora collocata nella chiesa parrocchiale di Ozzano Taro. Suoi allievi celebri nell’ambiente medico parmense furono Giovanni Rasori e Jacopo Tommasini, che gli succedette nel 1792 sulla cattedra di medicina teorica.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Carte Du Tillot, b. 90, Memoria anonima di ricorso per mancati riconoscimenti economici.
M. Girardi - L. Molossi, Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, Parma 1832-1834, p. 111; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VII, Parma 1833, pp. 331-335; Id., T. F., in Dizionario classico di medicina, chirurgia e igiene. Prima traduzione italiana con moltissime giunte, a cura di M.G. Levi, XXIV, Venezia 1835; F. Freschi, Storia della medicina in continuazione a quella di Curzio Sprengel, VII, Milano 1845, parte II; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 451 s.; F. Rizzi, I Professori dell’Università di Parma, Parma 1953, p. 53; G. Berti, L’insegnamento universitario parmense nel periodo franco-borbonico e l’illuminismo scientifico-politico dei Ducati, in Archivio storico per le province parmensi, CXIX (1960), pp. 109-150; E. Dall’Olio, Corniglio e la sua valle, Parma 1960, pp. 107 s.; G. Berti, Atteggiamenti del pensiero nei Ducati di Parma e Piacenza, II, Padova 1962, p. 489; M.O. Banzola, L’Ospedale Vecchio di Parma, Parma 1980, p. 169.