PALEOLOGO, Flaminio
PALEOLOGO, Flaminio. – Nacque a Casale Monferrato nel 1518, figlio naturale di Giovanni Giorgio, ultimo marchese di Monferrato, e di una donna «di bassa condizione» (Davari, 1891, p. 69).
Quando Flaminio nacque, Giovanni Giorgio, già avviato alla carriera ecclesiastica, aveva la carica di coadiutore della cattedra vescovile di Casale. La lasciò nel 1524 per meglio assistere nel governo del marchesato la cognata Anna d’Alençon, vedova di Guglielmo IX e dal 1518 reggente per conto del figlio Bonifacio IV, nonché per addestrare quest’ultimo alle sue future responsabilità. Morto Bonifacio nel 1530, Giovanni Giorgio gli succedette sul trono. Per obbedire a Carlo V, che dal 1530 era arbitro della politica italiana, accettò di sposare Giulia d’Aragona, primogenita di Federico III, ultimo re di Napoli. Il matrimonio fu celebrato per procura a Ferrara il 29 marzo 1533, ma di lì a poco, il 30 aprile, Giovanni Giorgio morì. A governare il Monferrato, che era feudo imperiale, Carlo V inviò propri commissari, finché del feudo, con una sentenza arbitrale del 3 novembre 1536, fu investita Margherita Paleologo, sorella di Bonifacio IV e seconda moglie di Federico Gonzaga, a cui l’8 aprile 1530 l’Asburgo aveva concesso il titolo di duca di Mantova. Già nel novembre 1532 Federico aveva ottenuto dall’imperatore la promessa di riconoscere l’investitura del Monferrato a Margherita Paleologo in caso di morte di Giovanni Giorgio senza discendenza legittima.
Le decisioni di Carlo V e la strategia politica gonzaghesca si tradussero nella mancata legittimazione di Flaminio. Appena Giovanni Giorgio era divenuto marchese, i nobili casalesi, con l’appoggio del marchese Giovanni Ludovico di Saluzzo e del duca Carlo II di Savoia, che a loro volta rivendicavano il feudo monferrino, avevano caldeggiato il suo matrimonio con l’amante e a tale scopo si erano spinti a far uccidere il marito della donna. Nell’ottobre 1530 Giovanni Giorgio inviò un’ambasceria a Carlo V, per chiedere la legittimazione del figlio dodicenne, ma Federico Gonzaga, sostenuto da Anna d’Alençon, riuscì a trovare un nuovo consorte alla madre di Flaminio, a condurre gli sposi a Mantova sotto stretta sorveglianza e a sventare nuovi tentativi compiuti dai suoi avversari a favore del giovane illegittimo nel 1533. Quello stesso anno Paleologo fu coinvolto in uno dei primi tumulti casalesi contro i commissari imperiali e Anna d’Alençon.
Cancellato dalla memoria dinastica, Flaminio non fu lasciato privo di beni dal padre, che sul letto di morte gli concesse l’investitura dei feudi di San Giorgio in Monferrato e di Caluso. Il favore dei Gonzaga gli permise di conservarli: prima Federico Gonzaga e poi la duchessa vedova reggente Margherita Paleologo, insieme col figlio minorenne Francesco Gonzaga, gli rinnovarono le investiture, rispettivamente il 13 maggio 1539 e il 10 settembre 1546.
Il 16 giugno 1556, un anno dopo che Casale era stata presa dalle truppe francesi, Paleologo vendette Caluso a Charles Cossé de Brissac, generale del re di Francia Enrico II. Combatté poi per Filippo II, partecipando alla riconquista del Monferrato. Nel 1559, dopo la pace di Cateau-Cambrésis e la riconsegna del Monferrato ai Gonzaga, fu nominato governatore di Casale. Per compensarlo dei suoi meriti militari, il re di Spagna gli concesse il cavalierato di San Giacomo di Compostella, con una pensione annua di 500 scudi. Prima e dopo il 1559, Paleologo ricoprì inoltre per i Gonzaga l’incarico di capitano generale della caccia in Monferrato. Il duca Guglielmo, succeduto al fratello Francesco, lo nominò suo consigliere e gli rinnovò l’investitura del feudo di San Giorgio il 17 maggio 1561 e l’11 aprile 1567.
È evidente la volontà dei Gonzaga di conservarsi la fedeltà di Flaminio, tanto più che per governare il Monferrato essi utilizzavano di norma officiali mantovani. Il favore gonzaghesco non era in contrasto né con l’appartenenza di Paleologo alla dinastia marchionale decaduta, vista la sua posizione assai defilata all’interno della stessa, né con la sua integrazione nella nobiltà casalese, in cui all’epoca rientravano sia patrizi sia nobili di ascendenza feudale. Infatti, nonostante Carlo V avesse nel 1532 dichiarato esclusa Casale dall’investitura del marchesato, il processo avviato dai duchi di Mantova per ridurre l’autonomia della città si bloccò con la morte di Federico Gonzaga (1540), con la lontananza della vedova di lui, impegnata come reggente a Mantova, e col pieno coinvolgimento del Monferrato nella guerra fra Spagna e Francia per l’egemonia sull’Italia. La stessa d’Alençon, rimasta reggente del Monferrato in attesa che il nipote Francesco Gonzaga raggiungesse la maggiore età, conservò al consiglio municipale il suo ruolo politico, così come fecero i governatori straordinari inviati da Mantova dopo il 1559. Nel quadriennio francese (1555-59) Casale fu equiparata a Torino, divenuta a sua volta per Enrico II un avamposto in Italia e vide rimessi in vigore anche sul suo territorio molti dei privilegi fiscali e giudiziari cancellati da Federico Gonzaga o caduti in disuso. La scarsa presenza dei ministri del re, che il 1° ottobre 1556 aveva elargito la conferma di tutti gli antichi privilegi, permise di fatto alla città di governarsi in proprio. Dopo Cateau-Cambrésis la municipalità casalese accolse quindi assai male il ritorno della dinastia mantovana. Morta Anna d’Alençon (1562), il duca Guglielmo cominciò a limitare il potere giurisdizionale del consiglio cittadino, il quale si rivolse per sostegno politico a Emanuele Filiberto di Savoia, cui Filippo II aveva restituito lo Stato, all’imperatore Ferdinando I, al suo successore Massimiliano II e ai loro giudici. Fu Gonzaga ad avere la meglio: il 1° ottobre 1569 Casale gli cedette la sua giurisdizione.
All’integrazione di Paleologo nella nobiltà casalese (fu membro del consiglio municipale nel 1561 e nel 1567) si deve la sua partecipazione alla congiura di Oliviero Capello contro il duca Guglielmo, scoperta il 3 ottobre 1567. Al complotto, finalizzato a liberare la città dal dominio gonzaghesco, parteciparono diversi membri delle famiglie casalesi più in vista. Paleologo fu accusato di aver preso parte alla tentata uccisione del duca e di aver fatto da tramite fra i casalesi, Emanuele Filiberto di Savoia e Ferdinando Álvarez di Toledo duca d’Alba, tramite il diplomatico spagnolo Francisco de Ibarra. Ammise sotto tortura di esser stato a conoscenza del progettato assassinio e di aver contattato Alba, dapprima affinché convincesse Gonzaga a togliere il costoso presidio armato sulla città, poi affinché persuadesse il suo re ad appoggiare Casale di fronte ai giudici imperiali, in cambio della dedizione della città alla Spagna in caso di vittoria. Il 27 luglio 1568 il senatore milanese Bartolomeo Volta, incaricato da Gonzaga del processo di tutti i congiurati, lo condannò alla pena capitale e alla confisca di tutti i beni, dopo che il vescovo di Casale Ambrogio Aldegatti, fedele a Gonzaga, lo aveva degradato dall’ordine di San Giacomo.
Contesto generale della vicenda fu il conflitto per il Monferrato fra i duchi di Mantova e di Savoia, dovuto alla posizione chiave della zona, incuneata nel Ducato sabaudo e possibile via di accesso al Milanese per la Francia. Le modalità di svolgimento della causa e la condanna di Paleologo furono occasione di forti tensioni fra Guglielmo Gonzaga, il governatore di Milano Gabriel de la Cueva duca d’Albuquerque e Filippo II, gran maestro dell’Ordine di cui il condannato era membro: il re di Spagna, a dispetto di un apposito breve pontificio (13 febbraio 1568) che aveva autorizzato Gonzaga a procedere, chiese infatti a più riprese la consegna di Paleologo e dell’incartamento processuale, per rivedere il giudizio. Dal canto suo, adirato contro un parente e un vassallo da lui beneficiato e convinto del coinvolgimento della Spagna oltre che del Savoia nella congiura e nella ribellione di Casale, il duca di Mantova rifiutò di obbedire e si trincerò dietro l’autorità pontificia. Nel maggio 1570 fece anzi trasferire Paleologo dal castello di Casale alla rocca di Goito vicino a Mantova, per impedirne la fuga.
Paleologo morì in carcere il 24 maggio 1571, ufficialmente di apoplessia, più probabilmente di veleno.
La moglie di Paleologo, Lucina di Sigismondo Fanzino della Torre, era di origine mantovana. Dei sette figli (Teodoro, Ferdinando, Giovanni, Margherita, Laura, Isabella ed Eleonora) anche il primogenito, Teodoro, fu coinvolto nella congiura; bandito, riuscì a fuggire a Madrid, da dove nel 1572 chiese la restituzione dei beni confiscati e la cassazione del bando. Graziato da Gonzaga nel 1573 anche grazie ai buoni uffici del governatore di Milano, fece ritorno in patria, morendo nel 1577. Al secondogenito Ferdinando fu consegnato quanto era rimasto del patrimonio confiscato.
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