PICCOLI, Flaminio
PICCOLI, Flaminio. – Nacque il 28 dicembre del 1915 a Kirchbichl, un paesino del Tirolo austriaco dove la famiglia era stata trasferita in seguito all’evacuazione di Borgo Valsugana (Trento), zona di guerra. Figlio di Bennone Piccoli, archivista nell’amministrazione austriaca, e Teresa Rigo, Flaminio era l’ultimo di quattro fratelli (Ada, Nilo, Adone).
Nel dopoguerra Piccoli compì gli studi medi e di ragioneria a Trento; nel 1938 si laureò in lingue straniere all’Università Ca’ Foscari di Venezia discutendo una tesi sulla poetica di Baudelaire. In questi anni decisivi per la propria formazione frequentò la Juventus, un’associazione di studenti medi di ispirazione cattolica e la AUCT (Associazione degli Universitari Cattolici Trentini).
Nella Juventus e nell’AUCT crebbero i giovani della futura classe dirigente democratico-cristiana del Trentino e in quel contesto le figure del delegato arcivescovile don Oreste Rauzi e dell’assistente don Vittorio Pisoni furono un punto di riferimento fondamentale.
Nel 1940, in seguito all’entrata in guerra dell’Italia, Piccoli si trovò dapprima, con il grado di capitano degli alpini, sul fronte francese, poi in Albania nel corso del 1940-41, in Montenegro nel 1941-42 (dove si guadagnerà una medaglia d’argento al valor civile nel tentativo di salvare due uomini del suo battaglione che si erano gettati in un torrente per trovare sollievo dal caldo soffocante), nel 1942-43 nella zona d’occupazione in Francia, dopo l’8 settembre 1943 prigioniero e poi fuggiasco da un treno, che doveva portarlo in un campo di concentramento.
Tornato attraverso mille peripezie a Trento, passata, dopo l’armistizio, sotto la giurisdizione del Terzo Reich, si mantenne prevalentemente nascosto per evitare problemi con le nuove forze di occupazione. Braccato dal CST (Corpo di Sicurezza Trentino, formato da trentini ‘collaboratori’ del Reich), Piccoli fuggì nel marzo 1944 a Milano rifugiandosi da amici; a settembre tornò ancora a Trento dove riuscì infine a lavorare nell’ufficio razionamento, senza essere denunciato all’ufficio militare italo-tedesco.
Nel dopoguerra intervenne la prima svolta importante nella biografia politica di Flaminio Piccoli: fu infatti presente all’assemblea costituente della Democrazia cristiana trentina, tenutasi il 7 maggio 1945 nella soffitta di un oratorio cittadino. In quella occasione venne scelto dal partito come proprio rappresentante nel comitato direzionale di Liberazione nazionale, organo di stampa espressione dei partiti aderenti al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) locale. La collaborazione fra i vari partiti all’interno del CLN e la coabitazione in Liberazione nazionale si rivelarono presto assai faticose e questo portò la DC trentina a dotarsi già nell’agosto del 1945 di un proprio organo di stampa. Flaminio Piccoli venne scelto come direttore de Il Popolo trentino, giornale ribattezzato L’Adige nel 1951: dalle pagine del giornale Piccoli guidò le battaglie del partito nei primi anni del dopoguerra, distinguendosi in particolare nella polemica ideologica con il PCI e nella caldissima campagna elettorale per le elezioni politiche dell’aprile del 1948.
Nel frattempo, il 3 settembre del 1945, Piccoli era convolato a nozze con Maria Cescatti, nata a Trento l’8 febbraio 1920, di professione maestra. Dal loro matrimonio nacquero tre figli.
Nel 1952 l’arcivescovo di Trento Carlo de Ferrari affidò a Piccoli la presidenza della Giunta diocesana dell’Azione cattolica, affiancandogli come assistente monsignor Alfonso Cesconi. Nel 1954 Piccoli e Cesconi criticarono con un documento scritto alcune decisioni prese a livello nazionale dal presidente generale Luigi Gedda: nel testo, approvato dal vescovo, si segnalavano lo sconcerto e il disorientamento di tanti iscritti di fronte all’esclusivismo di Gedda e allo sconfinamento della sua azione in campi che non gli erano propri. In particolare Piccoli e Cesconi accusarono apertamente Gedda di voler influenzare le sfere responsabili della vita politica (i dirigenti della DC) e di volerle spingere a un’alleanza con i partiti monarchici e del MSI. La risposta di Gedda non si fece attendere e poco dopo il S. Uffizio comunicò al vescovo di Trento di ritenere opportuno un avvicendamento del duo Piccoli-Cesconi. Piccoli venne convocato a Roma dove ebbe un incontro con Gedda e successivamente con Alcide De Gasperi, che sarebbe morto poche settimane più tardi. Dopo una lunga trattativa fra le gerarchie di Trento e di Roma Piccoli e monsignor Cesconi vennero reintegrati ai loro posti nella primavera dell’anno successivo.
Nel 1957 il XIV Congresso provinciale della DC trentina lo elesse nuovo segretario: il vescovo Carlo de Ferrari, attestata l’incompatibilità delle cariche, comunicò ai quadri dell’Azione cattolica trentina la necessità di rinunciare a un presidente «che tanta stima ed affetto aveva raccolto attorno a sé» (Archivio diocesano tridentino, Fondo Azione cattolica, b. 53, fasc. 460, Documentazione relativa ai rapporti con il comitato provinciale della DC e con alcuni esponenti del partito).
L’elezione alla carica di segretario provinciale del partito costituì per Piccoli il preludio al grande salto sulla ribalta della politica nazionale: nei panni del segretario di partito e forte della recente esperienza nell’Azione cattolica che gli aveva guadagnato la stima del vescovo e simpatie diffuse, guidò le varie espressioni del collateralismo cattolico nelle elezioni politiche del 1958 dove egli stesso era candidato nelle liste per la Camera dei deputati: riportò un notevole successo personale e risultò primo degli eletti con oltre 27.000 preferenze. Le elezioni del 1958 segnarono l’inizio della sua lunghissima esperienza parlamentare (1958-94).
Nel marzo del 1959 Piccoli si avvicinò alla corrente dei ‘dorotei’, un gruppo di parlamentari democristiani che si era autoconvocato nel convento di S. Dorotea a Roma e si era opposto alla strategia di Amintore Fanfani, in quel momento presidente del Consiglio e insieme segretario del partito; l’azione politica di Fanfani fu considerata dai dorotei troppo frenetica nell’apertura a sinistra verso il partito socialista ed eccessivamente personalistica.
Il VII Congresso nazionale della DC, tenutosi a Firenze alla fine di ottobre del 1959, decretò il battesimo del fuoco del «deputato di Trento», così come si definì lo stesso Piccoli nel suo duro intervento contro Fanfani, accusato di aver diviso il partito con le sue «tumultuose azioni» e di aver creato un’atmosfera da Assemblea costituente. Negli anni successivi Piccoli e i suoi amici ricordarono spesso il Congresso di Firenze come la prima tappa di un cammino che portò il politico trentino a scalare le posizioni più alte all’interno del partito.
Dopo la seconda elezione a deputato nelle elezioni politiche del 1963 Piccoli assunse i primi incarichi ufficiali nella Democrazia cristiana: prima gli venne conferito l’incarico di responsabile della stampa e propaganda; nel settembre del 1964, con Aldo Moro presidente del Consiglio e Mariano Rumor, leader doroteo, segretario della DC, venne eletto vicesegretario nazionale, carica mantenuta fino alla fine del 1968. Per tutti gli anni Sessanta Piccoli presenziò a decine di convegni, meeting e feste nazionali della Democrazia cristiana: temi costanti della sua propaganda furono quelli dell’unità e della cultura in un partito peraltro sempre più attraversato dal frazionismo delle correnti e dall’affiorare dei primi scandali.
Dal 1961 al 1964 fece parte della Commissione dei 19, costituita dal governo italiano per dare una risposta al problema dell’Alto Adige: il documento con cui la Commissione chiuse i suoi lavori nell’aprile del 1964 fu la base di partenza del successivo ‘pacchetto’ di riforme al primo Statuto di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e il varo del secondo Statuto di autonomia del 1972, con competenze molto più larghe alle province di Trento e Bolzano.
Nel gennaio del 1969 Piccoli venne eletto per la prima volta segretario nazionale del partito dopo una votazione rocambolesca in Consiglio nazionale, non priva di risvolti piuttosto amari per il leader trentino. Infatti, per la prima volta nella storia della Democrazia cristiana, il segretario venne designato dai voti di una maggioranza solo relativa, essendo state le schede bianche superiori, per numero, ai suffragi confluiti sulla sua candidatura; la prima segreteria Piccoli quindi durò lo spazio di pochi mesi, quel che bastò per traghettare il partito all’XI Congresso nazionale di fine giugno e all’elezione, dopo l’estate, di Arnaldo Forlani come nuovo segretario.
Dal 1970 al 1972 Piccoli affrontò la prima e unica esperienza ministeriale della sua lunghissima carriera politica guidando il dicastero delle Partecipazioni statali, esperienza passata attraverso i tre brevi governi Rumor, Colombo e Andreotti.
Il ministero delle Partecipazioni statali, causa la sua commistione di pubblico e privato, fu spesso investito dal fuoco delle critiche e delle polemiche e per questo motivo Piccoli ritenne opportuno dare alle stampe un libro in cui spiegò gli orientamenti e le strategie del dicastero che stava guidando (Le partecipazioni statali: una formula per lo sviluppo, Milano 1970).
Esaurita non senza soddisfazione l’esperienza governativa, rientrò nei ranghi del partito e, dopo le elezioni anticipate del 1972, fino al 1978 ricoprì la carica di capogruppo dei deputati DC alla Camera, posizione che gli diede ampia possibilità di manovra nei fragili equilibri del partito e dello stesso governo. Piccoli fu costantemente presente in tutti i passaggi politici degli anni Settanta: da sottolineare, in seguito alla moltiplicazione dei casi di malaffare e corruzione politica, il suo progetto di legge che diede vita nel 1974 alla legge sul finanziamento pubblico dei partiti e la ferma opposizione alla cosiddetta strategia dell’attenzione verso il PCI portata avanti da Aldo Moro.
Il rapporto tra Piccoli e Moro fu certamente segnato da sospetti e incomprensioni reciproche, ma in un appunto privato di poco precedente al drammatico sequestro dello statista pugliese Piccoli non esitò a definirlo, con una punta di ammirazione e di riconoscenza, «il più sagace, il più abile di tutti».
Nei 55 giorni del sequestro Moro Piccoli fu uno dei cinque uomini della ‘delegazione’, una struttura ristretta del partito che sostituì la direzione nell’eccezionalità di quella fase politica: in quel ruolo Piccoli fu un deciso sostenitore della linea della fermezza nei confronti dei rapitori di Aldo Moro anche se non mancò, in privato, di incontrare uomini del Vaticano aperti, forse, a una possibile via della trattativa. Gli interessantissimi diari di Mario Pedini, politico democristiano e all’epoca ministro della Pubblica Istruzione nel quarto governo Andreotti, informano di almeno un paio di incontri fra Piccoli e monsignor Giovanni Battista Re, costui molto impegnato nelle drammatiche settimane del sequestro Moro.
All’indomani del tragico ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani sembrò, per un momento, che Piccoli potesse andare a sostituire Francesco Cossiga, dimissionario ministro degli Interni: Piccoli invece rimase ancora una volta dentro il partito e nell’estate del 1978 venne eletto presidente del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, a coprire il posto lasciato vacante proprio da Aldo Moro. Nella fase del ‘dopo Moro’ Piccoli rimase in una posizione di aperta collaborazione con la linea del segretario Zaccagnini e della ‘sinistra’ DC, ma allo stesso tempo fu risoluto nel negare un’evoluzione della solidarietà nazionale che portasse al governo il Partito comunista. A più riprese confermò la validità del disegno ‘moroteo’, ma al contempo spiegò che Moro aveva sostenuto l’esigenza di un accordo limitato nel programma e nel tempo, tra forze politiche, anche profondamente diverse, per fronteggiare l’emergenza economica e dell’ordine pubblico.
Nel XIV Congresso nazionale della DC (Roma, 15-20 febbraio 1980) fu scelto come il leader di quattro liste che si presentarono con un documento comune, il cosiddetto preambolo, ove si chiudeva a una qualsiasi trattativa di compromesso storico con il PCI e a una sua partecipazione diretta nel governo. La ‘maggioranza del preambolo’ vinse il Congresso e Piccoli venne eletto per la seconda volta segretario nazionale.
I due anni della seconda segreteria Piccoli si rivelarono di difficilissima gestione a causa degli scandali e delle emergenze di varia natura che colpirono sia il Paese sia il maggior partito di governo. Solo per citare i casi più eclatanti, Piccoli dovette affrontare le emergenze della strage terroristica di Bologna e del terremoto dell’Irpinia (1980), sostenere e perdere la durissima battaglia del referendum sulla legge sull’aborto (maggio 1981), far fronte all’esplosione dello scandalo della P2 che per la prima volta nella storia della Repubblica portò a un nuovo governo guidato da un politico non democristiano (Giovanni Spadolini). Negli ultimi mesi del suo mandato tentò un deciso rinnovamento del partito rivolgendosi a tutte le componenti del collateralismo cattolico e convocando nel novembre del 1981 un’affollata Assise degli esterni, intellettuali ed esponenti della società civile non iscritti alla DC.
Nel XV Congresso nazionale della DC (Roma, 2-5 maggio 1982) Piccoli dichiarò conclusa la sua esperienza di segretario e sostenne la candidatura di Ciriaco De Mita, che gli successe nella carica. All’indomani del Congresso il Consiglio nazionale dell’11 maggio propose a Piccoli di riassumere il ruolo di presidente dell’Assemblea, carica mantenuta fino al 1986.
Dopo la fine della seconda segreteria Piccoli rimase quindi ai vertici del partito, ponendosi ancora come una fra le voci più ascoltate e autorevoli della DC, ma già con un ruolo diverso: una sorta di garante del partito, più distante dalle correnti e dalle battaglie che ne stabilivano la direzione politica.
Dal 1986 al 1989 Piccoli fu presidente dell’Unione mondiale dei democratici cristiani, presiedendo in questo ruolo conferenze ‘ideologiche’ in varie parti del mondo e per tutta la X legislatura (1987-1992) fu presidente della Commissione esteri della Camera.
La campagna elettorale per le elezioni politiche del 1992, già segnata dalle prime inchieste di Tangentopoli, si svolse in un clima decisamente ostile nei confronti dei tradizionali partiti politici. Piccoli, per la prima volta dal 1958, venne clamorosamente escluso dalle candidature della Democrazia cristiana trentina, impegnata in una faticosa azione di rinnovamento e di restyling. Con una decisione altrettanto clamorosa e che fece allora molto rumore, egli accettò l’offerta dell’amico e discepolo Antonio Gava di candidarsi e nel collegio senatoriale di Castellamare di Stabia, un collegio considerato sicuro, ma anche ad alta concentrazione mafiosa.
L’undicesima legislatura terminò anticipatamente nel 1994 in seguito al ciclone di Tangentopoli: nel gennaio del 1994 si concluse definitivamente l’esperienza della DC e negli ultimi due mesi di legislatura Piccoli confluì nel gruppo senatoriale del neonato Partito popolare italiano.
Nelle elezioni del 1994 decise di non ricandidarsi e nel 1995 costituì l’Associazione dei democratici cristiani: gli ultimi anni della sua vita furono dedicati allo sforzo di rifondare il suo vecchio e amatissimo partito.
Morì a Roma l’11 aprile 2000.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo, fondi: Flaminio Piccoli, Democrazia Cristiana (1943-1993), Gruppo DC-PPI alla Camera dei Deputati (1943-1993), Unione Cattolica Stampa Italiana (Ucsi) (1959-1999) (in particolare gli anni riguardanti la presidenza di Piccoli, 1968-93), Giulio Andreotti; Trento, Archivio diocesano tridentino, Democrazia Cristiana trentina, Azione Cattolica; Vicenza, Fondazione Mariano Rumor, carte Mariano Rumor; Rovereto, Archivio della Biblioteca comunale, fondo Remo Albertini (soprattutto per lo studio della Democrazia cristiana trentina negli anni 1945-58 e per innumerevoli riferimenti alle posizioni di Piccoli in questo periodo).
Per una bibliografia essenziale di vedano G. Andreatta, DC. ’60, storia delle idee prevalenti nella Democrazia Cristiana trentina nel periodo 1945-1957, Trento 1963, passim; M. Goio, F. P., un uomo e una scelta, Milano 1972; G. Faustini, F. P., Un primo bilancio, in Archivio Trentino, s. 6, I (2000); M. Pedini, Tra cultura e azione politica, quattro anni a Palazzo Chigi, (1975-1979), I-II, Roma 2002 (pp. 570 ss. per gli incontri Piccoli-Re durante il sequestro Moro, inoltre numerosi riferimenti a Piccoli sparsi in entrambi i volumi); F. Bojardi, F. P. La strategia del coraggio. Profilo e antologia, Soveria Mannelli 2004; G. Grigolli, F. P. La passione della politica, Rovereto 2004; A. Giovagnoli, Il caso Moro. Una tragedia repubblicana, Bologna 2009 (sulla vicenda Moro); L. Targher, Gli esordi di un politico nazionale, 1945-1958: materiali per una biografia politica, Trento 2011; A. Fanfani, Diari, I-IV, 2011-2012, passim; P. Piccoli - A. Vadagnini, La Democrazia cristiana in Trentino (1954-1994): un partito di popolo, di governo e di potere, Trento 2014.