SCALA, Flaminio
(detto Flavio e Claudione). – Nacque il 27 settembre 1552 da padre di origini romane.
Le prime notizie sulla sua attività teatrale risalgono al biennio 1597-98 quando, in età matura, gestì per conto delle compagnie dei Desiosi e degli Uniti i rapporti con le autorità di Genova per la concessione dei permessi di rappresentazioni. Con la mansione scenica di Innamorato e il nome d’arte di Flavio tra il 1600 e il 1601 figurò nella troupe degli Accesi attiva dapprima a Lione e poi a Parigi in occasione delle feste per il matrimonio di Maria de’ Medici ed Enrico IV: erano con lui Tristano Martinelli (Arlecchino), Pier Maria Cecchini (Frittellino), Marc’Antonio Romagnesi (Pantalone), Silvio Fiorillo (Capitan Matamoros) e Diana Ponti (Lavinia). Durante il soggiorno lionese fece il suo esordio editoriale pubblicando dietro lo schermo dell’anonimato Il Postumio (Lione, per Jacques Roussin, 1601), una commedia dedicata al finanziere piemontese Sebastiano Zametti.
Fatto ritorno in Italia, recitò alla corte di Mantova e probabilmente a Firenze dove nel gennaio 1610 comparve tra i testimoni di un atto di morte vergato dal notaio fiorentino Jacopo Cicognini nei camerini del teatro della Dogana. In quello stesso anno fu bandito dai teatri del ducato di Modena su espressa richiesta del cardinale legato di Romagna Bonifacio Caetani.
Nel 1611, sotto la protezione di Vincenzo I Gonzaga, vide la luce Il teatro delle favole rappresentative, prima e unica raccolta di scenari edita da un comico dell’Arte la cui premessa portava la firma di Francesco Andreini (Capitan Spavento da Vall’Inferna).
Conducendo il lettore dentro l’officina creativa dei comici italiani i cinquanta scenari, suddivisi in altrettante giornate in riferimento alla tradizione novellistica, offrivano in lettura fabulae ricche di informazioni circa le azioni, i lazzi, gli effetti scenotecnici, le «robbe» di scena. Momento più alto di un’operazione ideologica improntata alla ricerca dei valori specifici della commedia all’improvviso, la pubblicazione del Teatro delle favole rappresentative – opera destinata da Scala a una doppia fruizione, dotta e tecnico-pratica – stabilì l’inizio di una nuova tradizione drammaturgica d’attore, autonoma da quella letteraria, e, «tracciando la linea di demarcazione fra due culture, quella del teatro da leggere e quella del teatro da recitare, assegnava alla seconda il compito di trasmettere il sapere degli attori come valore autonomo» (Ferrone, 2014, p. 97). Completata da una dedicatoria al conte Ferdinando Riario, da una nota dell’autore, da nove sonetti di vari personaggi, la raccolta gettava inoltre le basi per la costruzione del mito dell’Improvvisa e delle grandi compagnie: come in un immaginario all stars show riuniva infatti sulla carta i migliori interpreti delle prime due generazioni dell’Arte, da Francesco e Isabella Andreini a Giovanni Pellesini (Pedrolino) fino all’Arlecchino Martinelli, di cui gli scenari, suddivisi tra commedie – ben quaranta –, favole pastorali, opere regie e tragedie, attestavano l’ampiezza del repertorio e alludevano ai pezzi di bravura.
L’esperienza e la fama di attore sopra le parti valsero a Scala nel 1614 la nomina di capocomico dei Confidenti, formazione che dall’anno precedente era attiva sotto la protezione di don Giovanni de’ Medici. Per l’alta considerazione e l’affetto goduti presso il mecenate – che ne apprezzava il cauto temperamento, la curiosità intellettuale, la buona dose di ironia e la padronanza della scrittura – Scala fu incaricato anche di risolvere questioni extra teatrali: nel 1615 si adoperò per trovare una residenza veneziana per il principe e la sua amante Livia Vernazza; al diretto servizio della Vernazza fu poi richiamato, tra il 1617 e il 1618, durante i periodi in cui il Medici si distinse sul campo come generale delle armi venete in Friuli nella guerra contro gli arciducali.
In questi anni l’attore risultava inoltre titolare, nel quartiere veneziano di Rialto, di una ben avviata bottega di profumi la cui gestione durante le tournées era affidata alle cure di giovani garzoni. Proprio la sicurezza di una attività parallela consentì a Scala di godere di un certa autonomia nelle scelte inerenti alla professione attorica.
Come capocomico guidò ripetutamente i Confidenti in fortunate tournées negli Stati centrali e padani della Penisola. Sotto i dettami del principe fiorentino e la supervisione del maggiordomo mediceo Cosimo Baroncelli il suo capocomicato fu sperimentale e si distinse nettamente dai modelli allora dominanti per l’uso di nuovi, moderni e razionali criteri di gestione. Coadiuvato da ‘luogotenenti’ esperti come Nicolò Barbieri (Beltrame), Domenico Bruni (Fulvio), Marc’Antonio Romagnesi (Pantalone), Scala favorì l’introduzione all’interno della compagnia di un nuovo sistema di lavoro che mirò a ridimensionare l’abitudine alla gestione familiare e i personalismi dei singoli componenti. Il capocomico ebbe infatti un ruolo di primo piano sia nella limitazione dei poteri dei coniugi Austoni, sia nella gestione delle accese rivalità femminili che si crearono tra Salomè Austoni (Valeria), Marina Dorotea Antonazzoni (Lavinia) e Maria Malloni (Celia). Le linee capocomicali, vòlte ad assicurare il primato del collettivo e uno stile di vita irreprensibile degli scritturati, garantirono una stabilità della compagnia per quasi dieci anni, caso raro per le formazioni professionistiche dell'epoca. In quel lasso di tempo l’abilità diplomatica di Scala nel curare i rapporti con la nobiltà e con le cancellerie fece della troupe una ineccepibile cassa di risonanza dell’immagine pubblica di don Giovanni.
Come attore Scala recitò per i Confidenti in maniera intermittente, specializzandosi nella parte di «Claudione»: un oste e pasticciere con accento francese di cui si può trovare una traccia drammaturgica nelle Due comedie in comedia (1623) di Giovan Battista Andreini.
Durante la permanenza nei Confidenti proseguì anche l’attività editoriale. Nel 1617 collaborò alla pubblicazione dei Fragmenti di alcune scritture di Isabella Andreini raccolti dall’amico Francesco Andreini. Nel 1618 stampò la commedia Il finto marito ispirata allo scenario Il marito del Teatro delle favole rappresentative e dedicata al cardinale Carlo de’ Medici, con speranza di ottenere una sistemazione alla corte medicea come soggettista.
I due prologhi in forma di dialogo tra un «Comico» e un «Forestiero» rinviavano al progressivo emanciparsi dell’editoria degli attori dai modelli letterari e alla funzione etica degli spettacoli dell’Arte. Nella figura di Scaramuccia la commedia celebrava metaforicamente la vena inventiva che aveva contraddistinto Scala nel corso della sua lunga attività: come tessitore di favole ma anche come capocomico in grado di concertare la messinscena domando le forze centrifughe costituite dagli attori e dalle loro parti.
Negli anni successivi Scala seguì regolarmente i Confidenti tra Venezia, Padova, Mantova, Milano e Bologna, annotando ora la fatica ora il fascino del «moto perpetuo» (sua l’espressione usata in tre lettere, per cui cfr. Comici dell’Arte, 1993, I, pp. 518-520) che caratterizzava la vita dei comici. Tra la fine del 1618 e la primavera 1620 l’attore fu direttamente coinvolto nell’intrigo teatrale che vide don Giovanni de’ Medici e il duca Ferdinando Gonzaga contendersi il patronato di una compagnia richiesta a Parigi da re Luigi XIII. Per quanto la sua speranza fosse quella di guidare i Confidenti in terra di Francia, Scala non restò indifferente alle proposte che gli giunsero dalla corte mantovana dimostrandosi disponibile a trasferirsi in ‘prestito’ insieme con alcuni tra i migliori elementi dei Confidenti (tra cui lo Zanni Francesco Gabrielli, alias Scapino) nelle fila della compagnia gonzaghesca. Le ambizioni del capocomico furono però avversate da don Giovanni che, persa la contesa con il duca, preferì negare i suoi artisti alla spedizione transalpina.
La morte del principe mediceo il 19 luglio 1621 pose fine ai Confidenti e alla fortuna teatrale di Scala che, nel 1624, fu chiamato a svolgere la professione di profumiere a Mantova sotto la protezione dall’autorità ducale. L’entusiasmo per l’invito a corte fu presto smorzato dalle difficoltà incontrate nel trasferimento del negozio e della residenza, evidente segno di un progressivo declino della sua reputazione pubblica.
Protagonista sulle scene, testimone, teorico e ideologo della prima fase dell’Arte, Scala morì a Mantova, nella contrada dell’Aquila, il 9 dicembre 1624. Rimasto celibe per tutta la vita, non ebbe figli cui tramandare i suoi beni.
Opere. Il teatro delle favole rappresentative overo La ricreatione comica, boscareccia e tragica, divisa in cinquanta giornate; composte da F. S. detto Flavio comico del serenissimo signor duca di Mantova (I-II, Venezia 1611), è ora consultabile nell’ed. moderna a cura di F. Marotti (I-II, Milano 1976). Per Il finto marito, commedia di F. S. (Venezia 1618) si veda l’ed. critica in Commedie dei comici dell'Arte, a cura di L. Falavolti, Torino 1982, pp. 223-365. I due Prologhi sono pubblicati in Teatro delle favole rappresentative (Milano 1976, cit., I, pp. CIX-CXVIII) e anche in F. Marotti - G. Romei, La commedia dell'Arte e la società barocca. La professione del teatro, Roma 1991, rispett,. pp. 58-62 e 552-554.
Fonti e Bibl.: Il testamento di S. è conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, Notarile testamenti, Becian Fabrizio, b. 56, n. 236. Il suo carteggio è pubblicato in Comici dell’Arte. Corrispondenze, a cura di C. Burattelli - D. Landolfi - A. Zinanni, ed. diretta da S. Ferrone, Firenze 1993, I, pp. 451-587 (ma v. anche: II, pp. 89-121). Altre sei lettere indirizzate da S. al conte Ridolfo Campeggi sono state edite da G. Fulco, Marino, 'Flavio' e il Parnaso barocco nella corrispondenza del Rugginoso, in Id., La «meravigliosa» passione. Studi sul barocco tra letteratura e arte, Roma 2001, pp. 186-191. Tra le risorse disponibili in rete si segnalano le schede analitiche dei documenti archivistici inerenti all’attività di S., consultabili nel database Herla (http://www.capitalespettacolo.it).
Per quanto riguarda gli studi critici sull’attore e sulla sua opera, un prezioso strumento di consultazione è F. Marotti, Introduzione a F. Scala, Il teatro delle favole rappresentative, cit., I, pp. XIII-LXIII: XIII-XXXII, in cui l’autore fornisce una completa e ragionata rassegna bibliografica degli studi fino al 1976. Tra questi: A.L. Stiefel, Bemerkungen zu den Dramatisierungen der Romeo-und-Julia, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, CXXVII (1911), 3-4, pp. 392-399; K.M. Lea, Italian popular comedy: a study in the Commedia dell’Arte (1560-1620)…, Oxford 1934, I, pp. 292-302; I. Sanesi, Ancora di F. S. e dei Gelosi, in Riv. italiana del dramma, II (1938), 6, pp. 380-382; C. Jannaco, Stesura e tendenze letterarie della commedia improvvisa in due prologhi di F. S., in Studi Secenteschi, I (1960), pp. 87-152; R. Tessari, La Commedia dell’Arte nel Seicento. «Industria» e «arte giocosa» della civiltà barocca, Firenze 1969, pp. 69-78. Per le indagini successive, si vedano almeno: F. Marotti, La figura di F. S., in Alle origini del teatro moderno. La commedia dell’Arte, a cura di L. Mariti, Roma 1980, pp. 21-43; R. Tessari, Commedia dell’Arte. La Maschera e l’Ombra, Milano 1981, pp. 50-54; F. Taviani - M. Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVII e XVIII sec., Firenze 1982 (4ª ed., ibid. 2007), pp. 325-330; S. Ferrone, La compagnia dei comici «Confidenti» al servizio di don Giovanni dei Medici (1613-1621), in Quaderni di Teatro, VII (1984), 26, pp. 135-156; Commedie dell’Arte, a cura di S. Ferrone, Milano 1985-86, I, pp. 22-27, 30-32; A. Scalabrini, Parigi 1610, testis ad perpetuam memoriam, in Medioevo e Rinascimento, n.s., III (1992), pp. 151-155; S. Ferrone, Attori mercanti corsari. La Commedia dell’Arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino 1993 (2ª ed., ibid. 2011), pp. 124-199; D. Landolfi, La dignità e la consapevolezza del mestiere di comico, in Comici dell'Arte. Corrispondenze, cit., I, pp. 439-444; S. Ferrone, La Commedia dell’Arte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII sec.), Torino 2014, pp. 96 s., 316 s.; E. Tamburini, Culture ermetiche e commedia dell’arte. Tra Giulio Camillo e F. S., Ariccia 2016, pp. 205-212.