SERVI, Flaminio
SERVI, Flaminio. – Nacque a Pitigliano (Grosseto) il 24 dicembre 1841, sesto figlio di Samuele e di Fiore Castelnuovo.
La madre, insegnante nella scuola elementare, era nipote del rabbino Emanuele Castelnuovo. Il padre, pur non avendo concluso un regolare percorso di studio, svolgeva mansioni di ministro di culto.
Studiò a Padova e Firenze con i rabbini Angelo Paggi e Marco Sabbadini, con i quali, nel 1864 a Pitigliano, conseguì il primo titolo di studio, quello che nella carriera rabbinica va sotto il nome di chaver. Al primo dei suoi maestri avrebbe dedicato una monografia (Angelo Paggi e le sue opere: ricordi biografici, Corfù 1870). Ottenne tre anni più tardi il grado superiore di chakham dal rabbino Mosè Sorani. Dopo essere stato rabbino dal 1864 al 1867 a Monticelli d’Ongina (Piacenza) si spostò in Piemonte: prima a Mondovì (1867-72) poi a Casale Monferrato (1872-1904), dove si stabilì definitivamente facendone la sua città adottiva.
Non occupò mai, probabilmente per scelta, la cattedra di una grande comunità, né insegnò in uno dei maggiori istituti di studi superiori ebraici, che durante la sua vita erano attivi a Padova, Firenze e nella non lontana Vercelli e dove non avrebbe avuto difficoltà a ricoprire posizioni prestigiose, né cercò un incarico universitario per l’insegnamento delle lingue semitiche, come fecero altri giovani brillanti della sua generazione. Fu e volle sempre essere un rabbino ‘di provincia’. Comprese quanto la composita pluralità della periferia rappresentasse un elemento di vitalità pur nel periodo del suo tramonto. Nel secondo Ottocento infatti l’inurbamento fu vistoso: la crescita demografica delle maggiori comunità del Settentrione segnò l’inizio della fine per le realtà più piccole, che nella prima metà dell’Ottocento avevano avuto un ruolo rilevante. Servi riteneva che questo patrimonio andasse salvaguardato e valorizzato.
Il suo itinerario dalla Toscana al Piemonte coincise con la conclusione del processo di riunificazione nazionale e fu dunque per Servi un percorso di identificazione con l’idea di Risorgimento. Spettava agli ebrei del Piemonte il dovere di condividere i valori dello Stato italiano, legando la tradizione alla modernità. La collocazione geografica che si scelse, una piccola ma antica comunità del Monferrato, al confine fra Piemonte e Lombardo-Veneto, gli consentì di svolgere un percorso di studio intenso, ma solitario. L’idea che l’ebraismo avesse bisogno di un suo risorgimento spirituale lo accompagnò per tutta la vita, ma la strada che intraprese fu percorsa senza un dialogo con quella che andava affermandosi come la classe dirigente dell’ebraismo: in un certo senso la sua fu la voce di chi cercava di uscire da schemi consolidati senza trovare interlocutori.
La novità che Servi colse nell’Italia liberale fu quella della carta stampata. Il suo nome è legato alla nascita del giornalismo ebraico moderno. Fu anche un promettente studioso, più divulgatore che storico. I suoi lavori, dedicati alla vicenda secolare della sua comunità natale (Dell’istruzione e del culto nella università israelitica di Pitigliano, Firenze 1863), si svolsero nel solco del positivismo ed ebbero come ascendente la storiografia ebraica da poco affermatasi in Germania.
Intuì, si potrebbe dire da autodidatta, il ruolo che l’informazione poteva avere per la crescita della vita ebraica. Dopo aver pubblicato la sua ultima monografia (Gli israeliti d’Europa nella civiltà: memorie storiche, biografiche e statistiche dal 1789 al 1870, Torino 1871) abbandonò lo studio del passato, per calarsi nel presente e dedicarsi a un’intensa attività di polemista. La genesi di questa ‘scoperta’ è da attribuirsi più alle circostanze della vita, che a un confronto con le esperienze giornalistiche di altri Paesi. Nel 1874, alla morte di Giuseppe Levi, subentrò nella direzione del periodico L’Educatore israelita, fondato a Vercelli dallo stesso Levi e da Esdra Pontremoli. Ne modificò il titolo, accentuandone l’intonazione risorgimentale-nazionalistica: Il Vessillo israelitico e ne spostò la redazione nella vicina Casale Monferrato.
Sotto la sua guida, il periodico acquistò autorevolezza e allargò il raggio delle collaborazioni; in breve tempo divenne il maggiore organo di stampa dell’ebraismo italiano, una fonte ancora oggi indispensabile per chiunque voglia studiare l’integrazione degli ebrei nella società.
Sul Vessillo Servi pubblicò centinaia di articoli: recensioni, necrologi, interventi polemici, discorsi veri e propri saggi che documentano la varietà dei suoi interessi filosofici, letterari, esegetici. Chiamò a collaborare intellettuali ebrei lontani o in procinto di allontanarsi dall’ebraismo, accettò voci dissonanti, s’interessò e avviò un dialogo con il mondo della scienza e della medicina, fra laici e osservanti, su temi delicati come l’endogamia, la questione delle conversioni, il divorzio, la cremazione, la condizione giuridica dell’ebraismo. Fu suo merito precipuo il dare voce alle realtà minori: attraverso le annate del suo Vessillo è possibile dare forma a una variopinta microstoria regionale, specchio di quell’ebraismo ‘di confine’, che privo del suo contributo sarebbe oggi dimenticata. Senza quelle noterelle sparse, disseminate in postille non firmate, senza la fittissima rete di corrispondenti fidati che seppe scegliersi poco conosceremmo della vita comunitaria del suo tempo. La nostra percezione di quel «piccolo mondo antico» sarebbe oggi priva di colore, relegata alle sole fonti notarili.
Al sorgere del sionismo, alla fine dell’Ottocento la sua posizione fu di netta opposizione: continuò a rivendicare il principio di libertà e di fedeltà alla Nazione. Fece del suo giornale il luogo dove risuonò più ferma la critica al movimento di risorgimento nazionale ebraico, una difesa strenua dell’identità italiana. Di qui il dialogo serrato con i primi fautori del sionismo che indicarono in lui un avversario, un simbolo di ciò che si voleva superare. Divenne così il modello negativo, il paladino dell’assimilazione e della perdita dei valori antichi, criticato in vita e anche dopo la morte, spesso da parte di chi si era formato all’interno dello stesso suo mondo di provincia (Segre, 1979, pp. 99 s.).
A costruire questa immagine negativa della sua personalità contribuì non soltanto la polemica che lo divise dai sionisti, ma anche la lezione della storia: la tragedia del 1938-45 avrebbe messo a nudo il fallimento delle speranze nate durante la società liberale e fatto di lui una figura superata dai tempi, lasciando in secondo piano la sua funzione di giornalista. A penalizzarlo fu infine l’accusa di essere stato un divulgatore tanto prolifico quanto superficiale. Il numero elevato di testi didascalici che compose per l’educazione dei giovani, a uso delle scuole, ma anche manuali di educazione domestica (Versi per l’infanzia e l’adolescenza ad uso delle famiglie e delle scuole israelitiche d’Italia, Casale 1889; Catechismo israelitico e versi per l’infanzia e l’adolescenza ad uso delle prime classi elementari, Casale 1891; La donna israelita, I-III, Casale 1897) furono liquidati come la prova della sua sottomissione ai modelli della cultura dominante.
Nell’ultimo periodo della sua vita si dedicò a studi letterari, in particolar modo lavorò a una monografia sul poeta della Commedia (Dante e gli ebrei: uno studio, Casale Monferrato 1893). Morì a Casale Monferrato il 23 gennaio 1904.
Sposato con Elisa Osimo, originaria di Monticelli d’Ongina, ebbe sei figli, di cui due morti in tenera età.
Fonti e Bibl.: A. Segre, Memorie di vita ebraica: Casale Monferrato, Roma, Gerusalemme, 1918-1960, Roma 1979; G. Luzzatto Voghera, Il prezzo dell’eguaglianza. Il dibattito sull’emancipazione degli ebrei in Italia (1781-1848), Milano 1998; C. Ferrara degli Uberti, Fare gli ebrei italiani: autorappresentazioni di una minoranza (1861-1918), Bologna 2011; L. Viterbo, Le comunità ebraiche di Siena e Pitigliano nel censimento del 1841 ed il loro rapporto con quella fiorentina, Livorno 2012.