VACCA, Flaminio
– Nacque a Roma intorno al 1538, figlio di Gabriele, un calzolaio (Bertolotti, 1884, p. 106), mentre della madre non è ancora nota l’identità.
Si è ampiamente speculato sulle radici geografiche del cognome: per Leopoldo Cicognara (1825, V, p. 338 e nota 1) la famiglia del maestro era oriunda dell’area lombarda, mentre Carlo Pietrangeli (1978), in anni assai più recenti, ha avanzato un possibile legame con quei Vacca originari della penisola iberica che erano giunti a Roma al tempo di papa Alessandro VI.
Flaminio fu uno dei maggiori scultori del secondo Cinquecento romano, ma occorre oltretutto ricordarlo per essere stato un prolifico restauratore e un insigne esperto di marmi antichi. Al riguardo Giovanni Baglione, nel medaglione dedicatogli all’interno delle sue Vite (1642), rammenta che Vacca «attese molto a ristorare statue antiche, e per questa cagione fabbricò poche opere da sé». Flaminio fu inoltre l’autore di un breve compendio, in forma di memoriale, in cui annotò le principali scoperte antiquarie cui assistette in vita. Tale testo, intitolato Memorie di varie antichità, fu composto intorno al 1594, ma stampato solo nel 1704, in appendice alla Roma antica di Famiano Nardini. Esso non solo rappresenta una preziosa testimonianza scritta delle colossali campagne di scavo finanziate all’epoca, così come del commercio e del restauro dei reperti ritrovati in quelle occasioni, ma è anche un’importante fonte per la biografia del maestro. È dalla dedica all’erudito perugino Simonetto Anastagi che desumiamo la data di nascita di Flaminio, allorché dichiara di avere in quel momento cinquantasei anni (Vacca, 1594, 1704, p. 3).
Dalle Memorie apprendiamo anche che Vacca fu allievo di Vincenzo de’ Rossi (ibid., pp. 6, n. 19, 14, n. 70), lo scultore di origine toscana formatosi con Baccio Bandinelli, con cui collaborò già alla fine degli anni Trenta a Roma nel cantiere delle tombe dei papi Leone X e Clemente VII in S. Maria sopra Minerva. L’alunnato di Vacca presso Rossi cadde durante il secondo soggiorno romano di quest’ultimo, avvenuto tra i primi anni Quaranta e il 1560, ma più plausibilmente si deve circoscrivere alla seconda metà degli anni Cinquanta. Lo stile di Rossi lasciò un’evidente impronta nell’opera di Vacca, caratterizzata sempre da una peculiare potenza fisica, che è una componente di tradizione più strettamente michelangiolesca, e dalla ricerca di un plasticismo chiaroscurato, derivato a sua volta da Bandinelli. Al contempo, tuttavia, la maniera energica e inquieta del maestro toscano appare addomesticata nelle creazioni di Vacca, in linea, quindi, con certi risultati dei colleghi romani di origine lombarda.
All’età di ventisette anni, nel 1565, Vacca lasciò la dimora in cui conviveva con i fratelli Girolamo e Mario (Bertolotti, 1884, p. 106), dopo un accordo sulla spartizione delle proprietà di famiglia a Roma. Fu probabilmente in quest’occasione che si trasferì nell’area della Ciambella, nei pressi dell’antico sito delle Terme di Agrippa, dove istituì la sede del proprio studio (Vacca, 1594, 1704, p. 11, nn. 53-54). Non sono comunque note molte informazioni sull’attività dell’artista tra il settimo e l’ottavo decennio del secolo. Può essere per ora considerata una delle sue prime opere il monumento di Henri Clutin oggi nel chiostro di S. Luigi dei Francesi. Il sepolcro del cavaliere e diplomatico francese fu eretto tra il 1568 e il 1570 nella controfacciata della chiesa, ma nel XVIII secolo fu smontato e collocato nell’attuale ubicazione.
L’attribuzione a Vacca fu suggerita da Alberto Riccoboni (1942, p. 108), e più recentemente è stata confermata da Regina Schallert (2012, pp. 22-27). Valentino Martinelli (1954, p. 162 nota 23), d’altra parte, proponeva di assegnare il busto a Giovanni Antonio Dosio, ma, come osservato da Schallert, può forse essere riferita a Dosio la progettazione del monumento, ma la sua messa in opera, almeno quella delle figure, si deve riconoscere a Vacca.
Risale probabilmente a queste date anche il restauro di una statua giacente menzionata nelle Memorie, per la quale Vacca eseguì una testa con le sembianze di Cesare. La figura fu acquistata da tale «Ferrante di Torres» per il viceré di Napoli Pedro Afán de Ribera, che la fece trasportare in Sicilia, ma non è stato ancora possibile rintracciarla (Vacca, 1594, 1704, pp. 3 s., n. 4). Anche se il passo non fornisce precise indicazioni cronologiche, gli interventi al pezzo devono essere stati eseguiti entro il 1571, anno della morte del viceré.
Nel 1573 Vacca entrò nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (Tiberia, 2000, p. 125). L’anno seguente risulta inoltre in contatto con Fulvio Orsini, l’illustre antiquario al servizio del ‘gran cardinale’ Alessandro Farnese. Non si può che identificare con Vacca quel «maestro Flaminio scultore alla Ciambella» che provvide nel 1594 a creare la cassa in legno per una statua di «Hermaphrodito», probabilmente da lui stesso restaurata, che il prelato decise di donare al duca di Savoia Emanuele Filiberto (Riebesell, 1989, p. 182, doc. 10). Ciò suggerisce tra l’altro che lo scultore ebbe legami con la corte farnesiana, e che probabilmente collaborò anche con la bottega di Guglielmo Della Porta, che allora era lo scultore ufficiale del ‘gran cardinale’.
Entro l’ottavo decennio si possono datare altri importanti lavori di ripristino di marmi antichi. A questi anni risale il completamento dell’Apollo conservato dal 1794 alla Galleria degli Uffizi. Esso fu acquistato da Leone Strozzi per donarlo a Ferdinando de’ Medici, all’epoca cardinale a Roma, che lo impiegò per decorare l’ingresso della sua villa alla Trinità dei Monti, acquistata nel 1576 (Vacca, 1594, 1704, p. 10, n. 42; Mansuelli, 1958; Schallert, 2012, p. 35 nota 56). Sempre per Medici Vacca realizzò un Leone, concepito come pendant per un esemplare antico che era stato restaurato precedentemente da Giovanni Scherano. Entrambi i felini marmorei sono esposti dal 1787 nella loggia dei Lanzi in piazza della Signoria, ma furono in origine creati a ornamento della villa romana del cardinale Ferdinando. La belva di nostro interesse presenta inoltre, in prossimità della zampa posteriore destra, la firma dell’autore: «OPVS FLAMINII VACCAE ROMANI» (Vacca, 1594, 1704, pp. 13, n. 64, 14, n. 75; Martinelli, 1954, pp. 157 s.; Arizzoli-Clémentel, 1991, p. 515 nota 31). L’attività di Vacca per Ferdinando deve essere probabilmente circoscritta a Roma, dove Medici risiedette fino al 1587, prima della nomina a granduca di Toscana. Non c’è ragione di credere che Flaminio «andò a Fiorenza al servizio di quell’Altezza», come invece affermava Baglione (1642, p. 72), probabilmente sulla scorta delle succitate commissioni medicee.
Contemporaneamente Flaminio riuscì a crearsi una propria collezione di antichità, che è oggi in parte ricostruibile grazie alle segnalazioni contenute nelle sue Memorie. Ebbe infatti modo di acquistare alcuni frammenti dell’arco di Claudio che erano stati ritrovati al tempo di papa Paolo IV (Vacca, 1594, 1704, p. 8, n. 28). Possedeva inoltre una testa di Giove capitolino in basalto, proveniente da una porta che era riemersa durante alcuni scavi intorno agli Orti farnesiani (ibid., p. 14, n. 76). Tra le sculture antiche a lui appartenute va in particolare ricordato il Fauno con Dioniso fanciullo e una pantera, attualmente al British Museum di Londra (Rausa, 2007, pp. 18, 73 nota 37). Nelle sue rimembranze Vacca sottolineava infatti che il gruppo statuario, conservato a palazzo Farnese al tempo in cui scriveva, era stato in precedenza di sua proprietà: «quel bel Fauno, ch’è nella Galleria [Farnese] (che già fu mio)» (Vacca, 1594, 1704, p. 6, n. 17).
Poco dopo gli inizi del nono decennio, nel 1583, scolpì due stemmi marmorei del papa Gregorio XIII che furono montati presso «le scale del cortile delle scuole» del Collegio romano (Bertolotti, 1880, p. 115). Nella seconda metà degli anni Ottanta, ovvero durante il pontificato di Sisto V, Vacca fu inoltre impiegato in alcuni dei maggiori cantieri scultorei del momento. Nel 1587 realizzò il S. Francesco d’Assisi per la Cappella Sistina in S. Maria Maggiore, una delle sei statue destinate alle nicchie lungo le pareti (Baglione, 1642, p. 71; Riccoboni, 1942, p. 109; Martinelli, 1954, p. 160; Lombardi, 1993, p. 392, scheda 1d). Tra il 1587 e il 1589 collaborò con Pietro Paolo Olivieri nell’esecuzione del rilievo con Giosuè che fa attraversare agli ebrei il Giordano asciutto per la mostra dell’Acqua Felice in piazza S. Bernardo. Contemporaneamente, per la stessa fabbrica, Vacca scolpì uno dei due Angeli reggi-stemma da porre sull’attico, di cui l’altro deve essere ricondotto a Olivieri (Baglione, 1642; Riccoboni 1942, p. 109; Martinelli, 1954, p. 159; D’Onofrio, 1957, pp. 85-95). Nel 1589 fu pagato a Vacca, Olivieri e Leonardo Sormani il restauro dei due colossali Dioscuri, affiancati dai loro destrieri impennati, in cima a Monte Cavallo (l’attuale piazza del Quirinale), un’opera che rientrava in un più ampio intervento di rinnovamento di quello spazio urbano voluto dal pontefice Peretti (Bertolotti, 1884, p. 106; D’Onofrio, 1957, pp. 105 s.). Si deve infine collegare alla committenza sistina anche il tabernacolo eucaristico in marmo scolpito da Vacca, tra il 1587 e il 1589, per l’altare maggiore di S. Lorenzo a Spello, ma alla fine del Settecento spostato nella cappella del Ss. Sacramento della stessa chiesa (Lombardi, 1993, p. 439, scheda 9; Felicetti, 1999-2000). Nel 1589 Vacca eseguì anche l’epitaffio per il cardinale Philibert Babou de la Bourdaisière, collocato in S. Luigi dei Francesi (Schallert, 2012, p. 27).
Tra il 1592 e il 1593 scolpì invece le statue in marmo dei ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista per la cappella Glorieri in S. Maria in Vallicella. Oltre a essere menzionate come opere di Vacca già da Baglione (1642, p. 71), entrambe le figure sono firmate in prossimità del tronco su cui si appoggiano: «FLAMINIVS VACCA OPIFEX» (Riccoboni, 1942, pp. 108 s.; Martinelli, 1954, p. 160). Nel 1596 l’artista fu nominato reggente dell’Accademia dei Virtuosi (Tiberia, 2002, p. 95), e l’anno seguente riuscì a ottenere la concessione di un luogo per la propria sepoltura presso l’altare degli accademici al Pantheon (ibid., p. 106). Alla seconda metà degli anni Novanta risale anche la decorazione statuaria della cappella Garzoni al Gesù, cui partecipò anche Vacca, stando a Baglione (1642, p. 71). Si ritiene che Flaminio sia stato l’autore dell’Angelo presso l’ingresso a destra, mentre gli altri devono essere riferiti a Olivieri, Sormani e Silla Longhi (Riccoboni, 1942, p. 109; Martinelli, 1954, pp. 160 s.). Martinelli ipotizzava inoltre che l’Angelo attribuibile a Olivieri, ossia quello in prossimità dell’entrata a sinistra, fosse stato completato da Vacca nel volto, a causa delle affinità fisionomiche con il pendant (ibid.). Nel 1599 Flaminio realizzò il proprio ritratto in marmo, la cui data è leggibile nell’iscrizione apposta nel retro: «RITRATTO DI FLAMINIO VACCA SCVLTORE ROMANO / ANNO / DOM(IN)I / M599». L’opera fu concepita dallo scultore per decorare la propria sepoltura al Pantheon, dove è infatti segnalata da Baglione (1642, p. 72), ma nel 1820 venne trasferita in Campidoglio e dal 1950 è visibile nella Protomoteca Capitolina (Riccoboni, 1942, p. 110; Martinelli, 1954, p. 162; Lombardi, 1993, pp. 438 s., scheda 8). Intorno agli stessi anni Vacca scolpì probabilmente il busto di Taddeo Zuccari, l’insigne pittore marchigiano che fu tra i membri fondatori dell’Accademia dei Virtuosi. Tale ritratto, custodito attualmente nella Protomoteca Capitolina, è stato attribuito al maestro da Riccoboni (1942, p. 110; Martinelli, 1954, p. 163) alla luce delle strette tangenze con l’autoritratto. Risale verosimilmente a queste date anche il busto di Baldassarre Ginanni, legato pontificio morto nel 1599, presso il suo monumento in S. Agostino, opera ricondotta convincentemente a Vacca da Martinelli (p. 162).
Morì il 26 ottobre 1605, consumato da una grave malattia che lo aveva colpito il mese precedente, e fu seppellito, come si è detto, presso l’altare dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon, intitolato a S. Giuseppe (Lombardi, 1993, p. 565). La sua lapide è visibile nella parete sinistra e recita: «FLAMINIO VACCAE / SCVLPTORI ROMAN(O) / QVI IN OPERIBVS QVAE FECIT / NVSQVAM SIBI SATISFECIT». L’epitaffio sembra rievocato da Baglione (1642) quando ricorda il temperamento malinconico di Vacca, che fino alla fine dei suoi giorni si dichiarò scontento nei confronti dei propri lavori: «Et operando era sì difficile nel contentarsi, che mai ne’ suoi lavori non si sodisfaceva» (p. 72).
Il biografo romano aggiungeva altre sculture al catalogo di Vacca, che sono state però espunte dalle moderne ricerche archivistiche. Baglione gli attribuì uno dei Tritoni per la cosiddetta fontana del Moro in piazza Navona, progettata intorno al 1575 da Giacomo Della Porta e terminata solo nel secolo successivo da Gian Lorenzo Bernini: i documenti permettono di assegnare gli esseri marini lungo i bordi a Taddeo Landini, Simone Moschino, Longhi ed Egidio della Riviera (D’Onofrio, 1957, pp. 40, 65-77). Per Baglione Vacca sarebbe inoltre stato l’autore di uno degli Angeli in marmo per il transetto di S. Giovanni in Laterano, rinnovato sotto il pontificato di Clemente VIII, ma le carte d’archivio non lo menzionano tra i vari scultori cui fu appaltata l’esecuzione di tali rilievi (Freiberg, 1995).
Fonti e Bibl.: F. Vacca, Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi della città di Roma (1594), in F. Nardini, Roma antica, Roma 1704; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma 1642, pp. 71 s.; L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, V, Prato 1825, pp. 338 s. e nota 1; B. Gasparoni, La casa di F. V. scultore e antiquario, in Il Buonarroti, II (1867), pp. 108-111; A. Bertolotti, Curiosità storiche ed artistiche raccolte negli archivi romani, in Archivio storico, artistico, archeologico e letterario della città e provincia di Roma, IV (1880), pp. 110-125; T. Schreiber, Flaminio Vaccas Fundberichte, in Berichte über die Verhandlungen der Königlich Sächsischen Gesellschaft der Wissenschaften. Philologisch-Historische Klasse, XXXIII (1881), 43-91; A. Bertolotti, Artisti subalpini in Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Ricerche e studi negli archivi romani, Mantova 1884, pp. 105 s.; Id., Artisti bolognesi, ferraresi ed alcuni altri del già Stato Pontificio in Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Studi e ricerche tratte dagli archivi romani, Roma 1886, p. 77; W. Gramberg, V., F., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXXIV, Leipzig 1926, pp. 22 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, 3, La scultura del Cinquecento, Milano 1937, pp. 687 s.; A. Riccoboni, Roma nell’arte. La scultura nell’Evo moderno, Roma 1942, pp. 107-110; V. Martinelli, F. V. Scultore e antiquario romano, in Studi romani, II (1954), pp. 154-164; C. D’Onofrio, Le fontane di Roma, con documenti e disegni inediti, Roma 1957, pp. 40, 65-77, 85-95, 105 s.; G.A. Mansuelli, Galleria degli Uffizi. Le sculture, I, Milano 1958, pp. 76 s., n. 47; C. Pietrangeli, Guide rionali di Roma, III, 2, Rione III-Colonna, Roma 1978, p. 118; Ch. Riebesell, Die Sammlung des Kardinal Alessandro Farnese. Ein ‘studio’ für Künstler und Gelehrte, Weinheim 1989, p. 182, doc. 10; P. Arizzoli-Clémentel, Le décor intérieur et l’ameublement de la villa Médicis à l’époque du cardinal Ferdinand, in La villa Médicis, a cura di A. Chastel, II, Roma 1991, pp. 506-529; S. Lombardi, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura (catal.), a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, pp. 392, scheda 1d, 438 s., schede 8-9, 565; J. Freiberg, The Lateran in 1600. Christian Concord in Counter-Reformation Rome, Cambridge 1995, pp. 292 s., doc. III.D.1; S. Felicetti, Il tabernacolo della cappella del Sacramento nella chiesa di S. Lorenzo di Spello. Nuovi documenti (1583-1590), in Bollettino storico della città di Foligno, XXIII-XXIV (1999-2000), pp. 235-252; V. Tiberia, La Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta nel XVI secolo, Galatina 2000, p. 125; Id., La Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta nei pontificati di Clemente VIII, Leone XI e Paolo V (1595-1621), Galatina 2002, pp. 95, 106; F. Rausa, Le collezioni farnesiane di sculture antiche. Storia e formazione, in Le sculture Farnese. Storia e documenti, a cura di C. Gasparri, Napoli 2007, pp. 15-80; R. Schallert, Il monumento funebre di Henri Clutin d’Oisel de Villeparisis (†1566) a San Luigi dei Francesi, in Scultura a Roma nella seconda metà del Cinquecento, a cura di W. Cupperi - G. Extermann - G. Ioele, San Casciano Val di Pesa 2012, pp. 17-57.