CHIGI, Flavio
Nacque a Roma il 31 maggio 1810, nono dei dodici figli del principe Agostino Chigi Albani e della principessa Amalia Carlotta Barberini. La sua formazione fu tipica del cadetto di una grande famiglia patrizia romana. Nulla di preciso si sa dei suoi studi giovanili che certo si giovarono della ricca biblioteca Chigi; certo è che, quando, a più di quarant'anni, cominciò a pensare allo stato ecclesiastico, la consapevolezza della propria impreparazione culturale aggiunse un ulteriore elemento di incertezza alla travagliata decisione.
Signorilità, belle maniere, disinvoltura ed eleganza mondane furono caratteristiche della sua personalità: gli consentirono una positiva carriera diplomatica per la quale egli stesso confessava di non possedere preparazione adeguata e attitudine specifica. Sono significative, per il rilievo dei tratti personali del suo carattere, le lettere scritte alla sorella Flaminia e al fratello Giovanni, o conservate tra le carte dell'Archivio Chigi.
Dal 1836 al 1849 fece parte del corpo delle guardie nobili: la consuetudine di vita con la corte pontificia alimentò forse quell'atteggiamento di devoto acritico attaccamento alla persona del pontefice e di totale disponibilità a servire la Chiesa, cui si attenne fedelmente per tutta la vita. Non si hanno particolari significativi sul lungo servizio del C. come guardia nobile: di certo si sa che nel 1841 fu inviato a Lione per recare la berretta cardinalizia all'arcivescovo L. de Bonald e che, proclamata la Repubblica romana, raggiunse Pio IX esule a Gaeta. Si dimise allora dal corpo, con la motivazione ufficiale di debolezza alla vista, in realtà deluso dal comportamento tenuto dalle guardie del papa che "lo avevano servito nelle ultime tristi vicende molto male". Il 1850 fu un anno cruciale per la sua vita: soprattutto per risolvere dignitosamente la precarietà della propria situazione finanziaria, più che per autentica vocazione (benché non mancasse il motivo della noia del "gran mondo"), scelse la via del sacerdozio. Si ritirò così nel convitto dei gesuiti a Tivoli, dove studiò con impegno teologia; fu ordinato sacerdote il 17 dic. 1853.
La protezione e la benevolenza di Pio IX determinarono la rapidità della sua carriera; nel 1852 fu inviato in Francia per recare la berretta di cardinale all'arcivescovo di Bordeaux F.-A. Donnet, nel 1853 divenne canonico di S. Pietro, nel 1855 fu ascritto alla prelatura quale cameriere segreto partecipante; il 16 giugno 1856 fu nominato nunzio ordinario in Baviera e, preconizzato arcivescovo titolare di Mira nel concistoro del 19 giugno 1856, fu consacrato nella cappella Paolina del Quirinale il 6 luglio. "Se il S. Padre vuol fare di me un Nunzio è segno che non mi conosce", confidava il C. alla sorella, definendosi "un pover'uomo in fondo fondo buono da niente". Nel settembre 1856, fatta un po' di pratica presso la segreteria degli Affari Ecclesiastici straordinari, venne inviato a Mosca per assistere come nunzio straordinario all'incoronazione dello zar Alessandro II.
Questo incarico era puramente formale e non servì certo a far compiere alcun passo avanti al desiderio della S. Sede di ristabilire normali rapporti diplomatici con la Russia: il C. comunque l'assolse onorevolmente. Ebbe un lungo colloquio con il metropolita di Mosca Filarete Drozdov e, di passaggio a Varsavia, fu oggetto di calorose manifestazioni da parte dei cattolici polacchi.
È difficile dire se la carriera diplomatica del C. sia stata voluta in maggior misura da Pio IX o dal suo segretario di Stato. Probabilmente le due ipotesi non si escludono a vicenda, poiché, se egli non fu considerato negli ambienti vaticani "creatura dell'Antonelli" è pur vero che la sua personalità priva, a giudizio dei più, di particolari doti intellettuali, corrispondeva alle esigenze accentratrici del segretario di Stato, incline spesso a servirsi di persone più sottomesse che capaci.
Durante la sua missione a Monaco di Baviera, l'inclemenza del clima, la salute malferma, il persistere delle difficoltà economiche, la scarsa fiducia in se stesso, dovuta alla consapevolezza della propria inesperienza, costituiscono specialmente nel primo periodo notevoli difficoltà per il C.: ma fin d'allora egli manifestò diligenza, scrupolo, senso del dovere, facendosi osservatore attento dei fatti. Il concordato del 5 giugno 1817 e l'"editto di religione" del 1818 non avevano eliminato i motivi del contenzioso tra Chiesa e Stato in Baviera, dove la coesistenza di più confessioni religiose rendeva delicata la situazione.
Ai problemi di carattere giurisdizionale il C. pone, nei suoi dispacci, particolare attenzione: riferisce ad esempio sulla campagna seguita alla conferma papale di monsignor I. von Senestrey, nominato il 13 marzo 1858 vescovo di Ratisbona, campagna dovuta al timore di vedere introdotta la disciplina ecclesiastica romana; o rileva con amarezza l'ostruzionismo che si esercita contro la pubblicazione in Germania delle bolle apostoliche e delle costituzioni della Chiesa contro le sette massoniche. Le sue valutazioni politiche sono lo specchio di un conservatorismo ideologico che non conoscerà evoluzioni: così, in occasione delle elezioni bavaresi del 6 dic. 1858, giudica un errore l'alleanza tra cattolici e "sedicenti liberali" contro il progetto governativo di aumento del censo elettorale, quando invece i "diritti della Chiesa potrebbero essere difesi da un Parlamento formato da deputati scelti da una classe più elevata".
Gli avvenimenti italiani del 1859-60 lo videro allineato sulle posizioni antonelliane del "tanto peggio tanto meglio", fedele ad una valutazione che l'intransigenza dei principî rendeva incapace di comprendere le cause delle profonde modificazioni avvenute nelle condizioni politiche e ideologiche del tempo.
Il 30 sett. 1861 fu nominato nunzio in Francia. Parigi rappresentava allora il punto nodale di una possibile soluzione della questione romana. Nell'intricato intreccio politico-diplomatico nel quale era costretto a muoversi, il C. doveva farsi mediatore fra posizioni componibili: da un lato, l'intransigente posizione politica del pontefice che si batteva per la reintegrazione delle province perdute, dall'altro l'ambiguità della politica imperiale di Napoleone III. Ma l'Antonelli, che non poteva più sperare nell'aiuto dell'Austria, in attesa dello sfaldamento della compagine nazionale italiana, nel quale fideisticamente sperava, aveva bisogno dell'appoggio francese; contava quindi sull'azione del nunzio per sostenere la pressione che i cattolici ultramontani esercitavano sulla politica imperiale.
Ma nel 1864 il C. non seppe tempestivamente preavvertire Roma di un avvenimento importante come la convenzione di settembre di cui, per le assicurazioni ricevute del ministro Drouyn de Lhuys, diede una interpretazione poco realistica (dispacci 2 e 30 settembre e 8 ottobre). Costituì invece un successo di questa linea politica, non avvalorato peraltro dagli eventi successivi, l'intervento militare francese del 1867 a difesadi Roma.
Il fitto scambio di dispacci fra il C. e l'Antonelli è, in questo momento, assai interessante. Il nunzio condivide con il segretario di Stato la diffidenza per l'imperatore, nel cui aiuto è tuttavia costretto a confidare; nei giorni cruciali di fine ottobre, la fluidità e l'indeterminatezza della situazione gli consentono un certo ambito di manovra, grazie anche alle buone relazioni stabilite sia negli ambienti di corte sia con uomini di governo, come il ministro Moustier. Ma il C. non possiede la lucidità e l'intuito politico necessari, soprattutto nei momenti di maggior tensione; così egli, da un lato non si rende del tutto conto della non completa attendibilità delle rassicuranti confidenze del Moustier sull'atteggiamento assunto dal Consiglio dei ministri, riunitosi a Saint-Cloud il 16 e 17 ottobre, per deliberare sull'invio della spedizione a Roma, dall'altro (dispacci del 21 e 25) non è in grado, fino all'ultimo momento, di rassicurare Roma sull'intervento francese. Ad imbarco avvenuto, poi, si adopera per convincere tempestivamente corte e governo francesi della reale connivenza esistente fra garibaldini e governo italiano; giustificabile la sua amarezza quando è costretto ad ammettere (dispaccio del 29) l'inutilità di tale intenso lavoro. Le interpretazioni del C. ricalcano sostanzialmente quelle di Pio IX e dell'Antonelli. L'intervento francese del '67, realizzato, oltre tutto tardivamente, è stato determinato, non da devozione alla giusta causa del papa, ma da motivi di prestigio e dalla pressione del cattolicesimo d'Oltralpe: non può annullare l'inaccettabile realtà della lesione inflitta, sotto l'impulso e la protezione di Napoleone, dalla rivoluzione italiana ai diritti della S. Sede.
I dispacci del C. inviati, durante i drammatici eventi del '71 in Francia, da Bordeaux e poi da Versailles, con lo stesso stile e tono, con cui, anni prima, riempiva le relazioni da Monaco dei particolari sui festeggiamenti per il VII centenario di fondazione della città, ribadiscono i limiti della sua personalità politica e insieme le qualità dell'uomo: fedele, tenace, umile servitore di una causa ormai perduta che egli non è in grado di riconoscere e di accettare come tale. I suoi sforzi, ancora irrealisticamente volti a tentare un'opera di mediazione, sono adesso, più che difficili, impossibili; con Pio IX "prigioniero in Vaticano", vi è "l'impossibilità assoluta di entrare in qualsivoglia trattativa e di accettare, in qualunque tempo e sotto qual forma", proposte che pretendano tutelare l'esercizio della suprema autorità del pontefice (dispaccio del 24 genn. 1871). La carriera del C., che è ormai decano del corpo diplomatico, si avvia a conclusione.
Elevato alla porpora il 22 dic. 1873, ricevette le insegne cardinalizie nel concistoro del 15 giugno 1874 (titolo di S. Maria del Popolo); gli vennero assegnate le congregazioni dei Vescovi e Regolari, dell'Indice, del Concilio, degli Studi e degli Affari Ecclesiastici straordinari. Nel 1876, alla morte del cardinale Patrizi, fu nominato gran priore dell'Ordine geroso-limitano e arciprete della patriarcale arcibasilica del Laterano. Alla morte del cardinale Giannelli, fu nominato segretario dei Memoriali. Nel 1884 passò all'ufficio, di segretario dei Brevi apostolici. Furono anni tranquilli per il C., particolarmente impegnato nell'attività caritativa e assistenziale legata ai molti luoghi pii e monasteri di cui era protettore: fecero eccezione i giorni precedenti il conclave che portò all'elezione di Leone XIII. Del C. si era anche parlato come di un possibile successore alla carica di segretario di Stato, nei pochissimi giorni intercorsi tra la morte dell'Antonelli (6 nov. 1876) e la notizia della nomina del Simeoni (12 novembre). Adesso egli era tra quei cardinali poco favorevolmente disposti nei confronti della candidatura Pecci, alla quale si opponeva soprattutto il Randi. Fu infatti questi a proporre la doppia alternativa Martinelli o Chigi "cardinale gran signore". Scrive a riguardo il Soderini: "alla propria candidatura come Papa, egli per primo non avrebbe mai prestato fede. Nondimeno certe possibilità, forse più apparenti che reali, sembrava averle e questo poteva giustificare in certo modo l'azione a favor suo del Randi che pochi però, anzi pochissimi, si mostrarono disposti a secondare".
Durante il pontificato di Leone XIII, nei cui confronti egli mostrò scarsa simpatia, il C. visse ormai ritirato nel palazzo di piazza Colonna.
Morì a Roma il 15 febbr. 1885; quando, nel pomeriggio del 18, la sua salma fu trasportata a S. Maria del Popolo per i funerali, si provvide "a un grande apparato di forze temendosi qualche dimostrazione poco benevola".
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Archivio Chigi, fasc. 3808-3830; Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato, rubrica 255 (nunziatura di Monaco); rubr. 165 e 248 (nunz. di Parigi); La gerarchia cattolica e la famiglia pontificia per l'anno 1878, Roma 1878, p. 65; Civiltà cattolica, s. 12, IX (1885), 1º trimestre, pp. 613 s., Omaggio della Società di S. Vincenzo de' Paoli al defunto suo protettore il card. F. C., Roma 1885; G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano 1870-1901, Bologna 1920, I, pp. 157, 274; Iº Centenario della Guardia nobile del Corpo di S. Santità. Mem. e documenti, Roma 1901, p. 36; A. Guiccioli, Diario del 1885, in Nuova Antol., 16 ott. 1937, p. 436; U. Frittelli, Albero geneal.... Chigi, Siena 1922, II, pp. 132, 144-48; E. Soderini, Il pontif. di Leone XIII, I, Milano 1932, pp. 24, 33, 190 s., 198 s., 230; R. Mori, La questione romana 1861-65, Firenze 1963, ad Indicem; Id., Il tramonto del potere temporale 1866-1870, Roma 1967, ad Indicem; G. Moroni, Diz. di erud. stor.-eccles., XIII, p. 85; LXXXI, p. 469; LXXXVIII p. 149; XCV, p. 338; XCVI, p. 227; XCVIII, p. 49; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica, VIII, Patavii 1978, p. 398.