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GIUSEPPE, Flavio

di Arnaldo Momigliano - Enciclopedia Italiana (1933)
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GIUSEPPE, Flavio (Φλάουιος 'Ιώσηπος, Flavius Iosēphus; o meno corretto Giuseppe Flavio)

Arnaldo Momigliano

Storico giudeo. Figlio di Mattia, appartenente a famiglia sacerdotale, nato nel 37-38 d. C. Educato nello studio delle leggi religiose, vi dimostrò una singolare irrequietudine, che lo portò giovanissimo a simpatizzare ora con il sadduceismo, ora con l'essenismo, fino a darsi alle pratiche ascetiche e rimanere tre anni nel deserto; ma in definitiva aderì al fariseismo. Entrato nel servizio del Tempio di Gerusalemme, vi dovette acquistare molta autorità, perché nel 64 fu incaricato di recarsi a Roma per ottenere la liberazione di alcuni sacerdoti arrestati dal procuratore Felice. A Roma fu presentato da un mimo suo connazionale a Poppea, che, se non era giudaizzante, aveva certo simpatie per i culti orientali, e con il suo interessamento riuscì nel suo scopo. Tornato in Palestina alla vigilia della grande ribellione, nel 66, fu incaricato dal Sinedrio di una missione in Galilea, per apprestare, come egli stesso dice nella Guerra giudaica (II, 562 segg.), la difesa contro i Romani; secondo l'Autobiografia (28 segg.), G. sarebbe stato invece incaricato di sorvegliare gli estremisti, che volevano la guerra a ogni costo. Tra le due contraddittorie versioni va preferita quella dell'Autobiografia, sia perché G. doveva essere noto come filo-romano, sia perché le alte autorità religiose di Gerusalemme furono inizialmente ostili alla ribellione. È quindi da ritenere che G., inviato a tenere il comando militare della regione con l'istruzione d'impedire ogni atto violento contro Roma, solo dal precipitare degli eventi fosse poi costretto a prendere parte alla guerra. Ciò spiega come il capo degli estremisti della regione (zeloti), Giovanni di Gischala, per quanto accusasse di tradimento G., non riuscisse mai a ottenerne il richiamo. La difesa della Galilea volse presto a male; e G. si dovette ritirare nella piccola fortezza di Iotapata, dove sostenne un assedio di 47 giorni. Secondo il racconto di G. stesso, quando la fortezza fu presa d'assalto, egli si rifugiò in una cisterna con 40 compagni, i quali decisero, seguendo la sua proposta, di uccidersi mutualmente nell'ordine stabilito dalla sorte: G. rimase ultimo con un compagno e lo persuase ad arrendersi con lui ai Romani. È facile indovinare da questa storia un qualche sotterfugio di G. per sopravvivere ai compagni (67 d. C.). Condotto davanti a Vespasiano, G. si atteggiò a profeta e gli predisse l'impero. Avveratasi due anni dopo la predizione, Vespasiano si ricordò di lui e lo liberò: in conseguenza G. assunse il gentilizio del suo patrono, Flavio. Dopo aver accompagnato Vespasiano ad Alessandria, tornò in Palestina al seguito di Tito e assistette all'assedio di Gerusalemme, riusciti vani i suoi tentativi di persuadere i connazionali alla resa. Dopo la guerra, venne con Tito a Roma e visse alla corte dei Flavî, attendendo ai suoi lavori storici, e fu insignito della cittadinanza romana. È evidente che i Flavî, soprattutto per la prima sua opera, la Guerra giudaica, lo consideravano un prezioso strumento di propaganda pacificatrice fra gli Ebrei della diaspora. Per noi l'ultima data della sua vita è quella del 100 d. C., in cui pubblicò la seconda edizione della sua autobiografia (v. appresso).

Come storico G. ha due mire: difendere l'opera svolta da lui stesso e dal suo partito filo-romano durante la ribellione; illustrare ed esaltare il giudaismo davanti ai pagani. I due interessi sono legati molto strettamente, dato il modo con cui egli concepisce il giudaismo medesimo. G. è fariseo in quanto accetta la Legge in tutti i suoi svolgimenti, da Mosè alle elaborazioni rabbiniche contemporanee. Ma interpreta la legge ellenisticamente come una legislazione, sia pure la migliore possibile, ed è quindi estraneo a ogni esperienza del divino, a ogni comune categoria della religiosità farisaica: anche se raramente ne discorre, egli non sa che cosa siano la preghiera, l'amore e il timore di Dio, il messianesimo, il peccato, la fede nella risurrezione. Perciò egli non può intendere i fermenti messianici che alimentarono la ribellione contro Roma. La sua costante fedeltà a Roma è sincerissima, non esistendo per lui la minima contraddizione fra il dominio romano e le norme rituali e culturali della Legge avita. Ma la mancanza di ogni profonda interiorità provoca in lui quell'assenza di nobiltà che gli è caratteristica.

Le opere di G. sono quattro. 1. La Guerra giudaica (Περὶ τοῦ 'Ιουδαικοῦ πολέμου) in 7 libri pubblicati in greco fra il 75 e il 7V d. C. Ma una redazione in aramaico, interamente perduta, era già comparsa alcuni anni prima. Per la traduzione in greco, G. dovette farsi aiutare da collaboratori, a cui probabilmente si deve il tono tucidideo dell'opera. La quale nel suo interno non ha nulla da fare con lo sforzo obiettivo di Tucidide, ed è invece una ricostruzione partigiana della guerra, in cui si esaltano i Romani e si discolpano i Giudei in genere per scaricare tutta la responsalbilità sugli zeloti. Precede la narrazione della guerra un sommario storico (I, 31-II, 284) a partire dai Maccabei, che è attinto alla storia universale di Nicola Damasceno. Oltre ai ricordi personali, G. si valse certo largamente dei commentarî di Vespasiano e di Tito. 2. Le Antichità Giudaiche ('Ιονδαικὴ ἀρχαιολγία) in 20 libri terminate nel 93-94 e concepite a imitazione delle Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso. Sono un'ampia storia di Israele dalle origini all'inizio della ribellione contro Roma scritta con quella sostanziale indifferenza per i valori religiosi, che abbiamo notato: la grandezza e la singolarità dell'ebraismo, su cui G. insiste continuamente, sono fatte consistere in vicende esteriori. Il materiale su cui è condotta questa storia ha dato luogo a infinite discussioni. Manca peraltro sinora una qualsiasi certezza nei risultati. Per i libri I-XIII, che risalgono per la massima parte alla Bibbia, ivi compreso il I Maccabei, è dubbio se la contaminazione con molte leggende e interpretazioni, che hanno spesso riscontro nella letteratura rabbinica, sia propria di G. o sia stata attinta nel suo complesso a qualche opera alessandrina. La seconda ipotesi è la più probabile. Lo studio dei varî testi della Bibbia, che G. mostra di aver avuto dinanzi - il testo ebraico, la traduzione greca dei Settanta, forse una traduzione aramaica - potrà un giorno cooperare a scindere i varî strati, di cui è composta questa parte dell'opera. Nei libri XIV-XVII, che comprendono il periodo asmonaico fino alla dominazione romana, si rinnova certamente l'uso di Nicola Damasceno, ma contaminato con altre fontí, il cui numero e le cui tendenze non sono stati ancora sufficientemente determinati. Nei libri XVIII-XX è certo solo l'uso di una fonte romana, Cluvio Rufo, mentre il resto del materiale sembra provenire da varie e diversissime fonti. 3. Il Contro Apione, e più esattamente Sull'antichità ael popolo ebraico (Περὶ τῆς τῶν 'Ιουδαίων ἀρχαιότητος) in due libri, composti tra il 93 e il 96. L'autore intende confutare le obiezioni sollevate contro l'antichità del popolo ebraico; ma la discussione di queste obiezioni, in specie contro il grammatico e antisemita Apione, lo porta a difendere, oltre l'antichità di Mosè, anche il valore della sua legislazione. Il Contro Apione è quindi il documento più importante della religiosità di G. Il quale utilizza una grande abbondanza di materiale erudito ma anche qui probabilmente di seconda mano (come si può dimostrare con assoluta certezza per l'uso di Manetone) attingendo alle solite compilazioni alessandrine. L'apologia religiosa è derivata per grande parte dagli Hypothetica di Filone. 4. L'Autobiografia (Βίος) in un libro pubblicato per la prima volta nel 93-94 come appendice alle Antichità e poi rielaborato in seconda edizione nel 100 per difendersi dalle accuse di Giusto di Tiberiade. L'edizione a noi giunta è la seconda.

G. ha avuto immensa fortuna soprattutto in ambiente cristiano, per merito del famoso accenno a Gesù in Antichità, XVIII, 63-64, che è ora ampliato da interpolazioni cristiane. Ha quindi avuto traduzioni e rielaborazioni in molte lingue. La storia del preciso rapporto fra queste rielaborazioni è ancora quasi tutta da fare. Qui basteranno rapidi cenni. Un'epitome greca delle Antichità giunta a noi fu utilizzata da Zonara nei primi libri dei suoi annali. Una traduzione latina della Guerra, attribuita a Rufino, era già compiuta al tempo di Cassiodoro (sec. VI) che fece fare una traduzione delle altre opere, eccetto l'autobiografia. Preziosa per noi è specialmente la traduzione del Contro Apione, che sostituisce il greco nella grossa lacuna (I, 51-114) del manoscritto-archetipo, il Laurenziano LXIX, 22. È del sec. IV, ed è senza fondamento attribuita a S. Ambrogio, la libera elaborazione latina della Guerra giunta sotto il nome di Egesippo (corruzione evidente di 'Ιώσιππος, Iosippus) in cinque libri, in cui la materia è ripresentata da un punto di vista cristiano. ll libro VI della Guerra è tradotto in siriaco ed è chiamato volgarmente V libro dei Maccabei; esiste inoltre una versione armena e una slava di tutta la Guerra giudaica. la quale ultima, per certe sue aggiunte su Gesù e sulla vita di G. stesso, ha suscitato molte fantasie ed è stata anche ritenuta una traduzione diretta dalla prima edizione aramaica: è inveee probabilmente un'elaborazione del see. XII con alcuni indubbî e per ora inspiegati contatti con l'Egesippo latino. Un'elaborazione ebraica delle Antichità è stata fatta in Italia nel sec. X e va sotto il nome di Yōsēf ben Gorion (v. Yōsippon); è un'elaborazione simile un testo in arabo, forsc opera di un ebreo del Yemen, a cui è strettamente imparentata una storici degli Asmonei, chiamata volgarmente II Maccabei arabo. Questi tre testi risalgono a un'unica ignota fonte, la cui caratteristica era di contaminare l'uso del I Maccabei, già sussistente nell'originale di Giuseppe, con il II Maccabei.

Ediz.: Edizione principe, Basilea 1544. Edizioni migliori: B. Niese, Berlino 1885-94; Naber, Lipsia 1886-96. Del Contro Apione, ed. Th. Reinach, Parigi 1930. L'epitome greca edita dal Niese, Marburgo 1887-96. La traduzionc latina in corso di pubblicazione nel Corpus scriptorum ecclesiasticorum di Vienna: finora uscito il Contro Apione per cura di C. Boysen, 1898. La rielaborazione di Egesippo a cura di C. F. Weber e J. Caesar, Marburgo 1864 e ora a cura di V. Ussani, nel citato Corpus, Vienna 1932. Il libro VI della Guerra giudaica siriaco, ed. da H. Kottek, Berlino 1886. ll Giosippo ebraico in molte edizioni tra cui quella del Breithaupt, Gotha 1707 con trad. latina. Il Giosippo arabo nell'ed. di Beirut, 1872: ampio riassunto di J. Wellhausen, in Abhandl. Götting. Gesellsch. Wissensch, n. s., I, iv, 1897. Il II Maccabei arabo nelle bibbie poliglotte di Parigi 1628, IX, e di Londra 1657, IV. La trad. slava della Guerra giudaica ancora inedita: i libri I-IV trad. in tedesco da A. Berendts e K. Grass, Dorpat 1924-27. Di tutte le opere di G. una trad. francese a cura di Th. e S. Reinach è in corso di pubblicazione dal 1900.

Bibl.: E. Schürer, Gesch. des jüdischen Volkes, I, 3ª-4ª ed., Lipsia 1901, pp. 74 segg. e 159 segg. (per il Giosippo ebraico); Hölscher, in Pauly Wissowa, Real-Encycl., IX, coll. 1934 segg.; A. Momigliano, Prime linee di storia della tradizione maccabaica, Torino 1931, pp. 180-81. Le pubblicazioni più recenti elencate in J. Marouzeau, Dix années de bibliographie classique (1914-24), e L'année philologique, 1925 segg. Si dànno qui solo indicazioni di recenti studî complessivi. Monografie: B. Brune, F.J. und seine Schriften in ihrem Verhältnis zum Judentum, zur griech.-röm. Welt und zum Christentum, Gütersloh 1913; J. Thackeray, J., the Man and the Historian, New York 1929. Limitati alle fonti, ma di ampia portata per la comprensione di G. R. Laqueur, Der jüdische Historiker F. J., Giessen 1920; W. Webert, J. und Vespasian, Stoccarda 1921; B. Motzo, Studi di storia e letteratura giudeo-ellenistica, Firenze 1925, p. 150 segg. Parte dalla versione slava per complesse indagini storico-religiose: R. Eisler, 'ΙησÎυ βοσιλεὺς οὐ βασιλεύσας, Heidelberg 1930. Su G. come apologeta: P. Krüger, Philo und J. als Apologeten des Judentums, Lipsia 1906; A. Momigliano, Un'apologia del Giudaismo, in La Rassegna mensile di Israel, V (1931). Sulla cultura rabbinica di G.: S. Rappaport, Agada und Exegese bei F.J., Vienna 1930.

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