FLIACI
Il vocabolo ϕλύαξ fu dal Thiele interpretato "chiacchierone" (etimo ϕλυ-), e studî recenti lo hanno messo a confronto con formazioni analoghe del tipo ῥύαξ, profluvium, e λύμαξ, che è nome di fiume. Originariamente ϕλύαξ sarebbe stato nome di un demone le cui rappresentazioni mimiche presso i Dori dell'Italia meridionale avevano significato magico e propiziatorio per il raccolto e per la vegetazione in genere, sicché più tardi, perduto il significato originario della parola, Fliaci sarebbero stati chiamati gli attori fallici della farsa popolare fra i Dori dell'Italia meridionale, gli stessi che a Sparta erano detti σοϕισταί, ϕαλλοϕόροι a Sicione, o, generalmente, σοϕισταί. A conforto di tale opinione si cita il vocabolo κοξίσαλος nome di demone e di danza, κόρδαξ che designa una danza così chiamata dal nome di un demone. Quali fossero gli argomenti della farsa dorico-italica possiamo congetturarlo dallo studio dei vasi figurati in cui compaiono scene fliaciche (v. sotto), da battute della commedia antica e perfino della commedia plautina. Personaggi delle farse fliacesche dovevano essere maschere sul tipo del ηόρυχος "stupido", detto anche σάννας o μαρικᾶς o ἀκκός, ecc., del πάππος, che nella Κοριαννώ di Ferecrate sosteneva le parti del vecchio innamorato e rivale di suo figlio, del μάκκος che era il contadino, del μυκκός che si comportava da furbo che fa lo stupido, ecc.
Argomenti come quello del mimo di Eroda intitolato La padrona gelosa non erano estranei alla farsa fliacesca nella quale spesso comparivano in contrasto tra loro padroni e schiavi, pedagoghi e giovanetti, cuoco e sguattero. Estranei non le sono neppure argomenti mitologici, anzi particolarmente preferiti dovevano essere Eracle tipo di mangione e Ulisse furbo di tre cotte, i quali eroi compaiono spessissimo nelle rappresentazioni fliaciche figurate. In una di esse compare anche, a parodia dell'Antigone sofoclea, un fliace che vestito da schiava ha assunto le parti dell'eroina e va incontro alla morte, in un'altra Eracle che divora manicaretti dinnanzi a Zeus che seduto sul trono lo minaccia col fulmine. Nella Casina plautina la beffa al vecchio innamorato della schiava risale forse alla farsa fliacesca; e di origine fliacesca sono anche gli sponsali di Eirene nella Pace di Aristofane, motivi centrali che, insieme con altri desunti dalla stessa commedia attica, mostrano come fosse vivace e popolare quella farsa e come perdurasse ancora nel gusto e sulle scene, quasi per diritto di primogenitura, rappresentando il primo stadio della commedia greca. Un riconoscimento ebbe anche nella letteratura per opera di Rintone che ne fu autore molto stimato (v. anche commedia).
Le scene fliaciche. - La miglior documentazione iconografica della farsa fliacica ci è data da una serie di vasi italioti, della quale numerosi esemplari, e senza dubbio i più notevoli, spettano all'officina di Pesto: al caposcuola di essa Assteas, al suo aiuto Pitone e forse a minori artefici. Si deve peraltro escludere che questi vasi fliacici, nei quali hanno parte molti elementi indigeni, abbiano diretta relazione con Taranto e con l'opera di Rintone, del quale i vasi di Assteas (v.) sono più antichi di un buon mezzo secolo, se non più.
Il costume che gli attori di tali farse popolari portano sui vasi dipinti corrisponde in parte alle notizie letterarie intorno ai fliaci e alle figurine di terracotta che si trovano qua e là in tutto il mondo greco-orientale. Oltre alla maschera, è caratteristico un camiciotto imbottito che riproduce, esagerando le protuberanze del ventre e dei glutei, le forme del torso nudo, e a cui è sospeso un enorme fallo: la materia di cui era fatto il rivestimento esterno di questo strano costume si volle interpretare come una specie di grossa maglia, ma il colore adoperato per indicarlo è sempre il rosso-bruno, il che farebbe piuttosto pensare a cuoio imbottito. Ricorrono però attori che sopra strette brache vestono semplicemente una giubba o camicia di panno cadente sino a mezza coscia, e cinta alla vita, che in qualche esemplare è dipinta di bianco ed è quindi da supporre di lino o di lana candida, come il costume di Pulcinella che con molta probabilità deriva da qualche analoga maschera antica. Se si pone mente che tali rappresentazioni vascolari si accentrano nella Campania e nella vicina Pesto, non parrà inverosimile che la produzione teatrale greca di siffatte farse (attestata in alcune scene dai nomi dei personaggi scritti in greco) si sia incontrata e contaminata con farse locali osche, o in esse si sia trasformata, e che i dipinti vascolari rispecchino in parte questo stato di cose.
Il locale ove la scena è recitata non viene sempre indicato. Talora la rappresentazione sembra aver luogo su suolo libero, le cui ondulazioni sono segnate da linee a tratti o a puntini di color bianco o giallo, come è assai frequente nella ceramografia italiota; e ciò converrebbe a compagnie di attori girovaghi. Talaltra è raffigurato un rozzo palco di legno, con scale esterne, anche di legno, appoggiate, che presuppone spettatori collocati in piano, su una piazza o spianata. Ma talvolta, come ad es. nel vaso di Assteas del Museo di Berlino, il palco o logeion è sostenuto da colonne. Qualcuno ha voluto servirsi di tali elementi per trarne indicazioni intorno alla dibattuta questione della scena nel primitivo teatro greco, ma senza giusto fondamento (v. teatro).
Le scene rappresentate sono di due sorta: o comico-borghesi, o parodie mitologico-eroiche, che forse ponevano in burla anche produzioni drammatiche nobili. I due vasi di Assteas appartengono ciascuno a una delle due classi: quello di Berlino rappresenta probabilmente un vecchio avaro che, per difendere il suo forziere, vi si è disteso sopra; i frammenti rinvenuti più di recente a Buccino (v. assteas) rappresentano la parodia di Aiace e Cassandra: da notare il motivo buffo dell'inversione delle parti. Tra le parodie merita menzione quella degli amori di Zeus e di Alcmena, che, secondo l'interpretazione più probabile, è presentata da un cratere del Museo Vaticano, opera di Assteas o di Pitone.
Vi sono inoltre figurazioni che, senza rappresentare una vera scena recitata, mostrano Dioniso in compagnia di attori comici. Bisogna rammentare che, fin dai vasi corinzî a figure nere, la compagnia di Dioniso presenta figure con ingrossamenti di ventri e di glutei simili al costume comico; che le maschere barbate degli attori di fliaci hanno talora tratti silenici; che Dioniso e i suoi seguaci appaiono sul rovescio dei vasi fliacici, aventi nel diritto vere e proprie scene, anche presso Assteas. Essere phlyax è perciò una forma gioconda dell'essere tiasota, seguace di Dioniso, il che aveva tanta importanza nelle credenze degl'Italioti, i cui vasi dipinti erano in massima destinati alle tombe.
Bibl.: Heydemann, Phlyakendarstellungen, in Jahrbuch d. arch. Inst., 1886, p. 260 segg.; G. Körte, ibid., 1893, p. 61 segg.; Thiele, in Neue Jahrbücher für das klassische Altertum, IX (1902), p. 413 segg.; E. Romagnoli, Origine ed elementi della commedia d'Aristofane, in Studi italiani di filologia classica, 1905; L. Radermacher, in Wiener Studien, 1925, p. 1 segg. Tutte le opere che trattano della ceramografia in generale e della commedia greca hanno riferimento alle scene fliaciche; per alcuni articoli speciali, v. A. Della Seta, Italia antica, 2ª ed., Bergamo 1927, p. 454. Per i fliaci in tecnica sovrappinta policroma, H. Bulle, in Festschrift für James Loeb, Monaco 1930, p. 5 segg.