PEPE, Florestano
– Nacque a Squillace, in Calabria ulteriore, il 4 marzo 1778 da Gregorio e Irene Assanti. I genitori appartenvano a una famiglia di proprietari fondiari e «nobili patrizi», come dichiarato nel catasto onciario del 1755.
Per volere del padre, Florestano studiò a Napoli e poi a Sulmona nel monastero dei padri celestini, per essere avviato al sacerdozio, ma a quattordici anni manifestò la volontà di intraprendere la carriera militare e nel 1793 entrò nella scuola militare Nunziatella di Napoli. Ne uscì ufficiale tre anni dopo e fu inserito come alfiere nel reggimento Real Borgogna. Nel 1798 partecipò alla guerra contro la Repubblica Romana, ma l’anno successivo passò – come tanti altri giovani ufficiali – dall’esercito borbonico a quello della Repubblica Napoletana.
Da quel momento compì una brillante carriera militare nell’ambito delle guerre dell’età napoleonica, sia nell’esercito francese, sia in quello napoletano durante il regno di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, così come il più famoso fratello Guglielmo, di lui molto più giovane, al quale fu legato da un affetto protettivo pur non approvandone l’irruenza nell’azione militare e politica.
Nel marzo 1799, Pepe, da capitano della legione napoletana di Ettore Carafa, partecipò alla spedizione francese in Puglia contro l’insurrezione filoborbonica; durante l’assedio di Andria fu ferito gravemente al petto e portato a Barletta, dove restò a lungo in fin di vita. Fatto prigioniero dopo l’occupazione di Barletta da parte delle truppe sanfediste, fu liberato in seguito alla pace di Firenze del marzo 1801 e rientrò a Napoli per curare la ferita (rimasta aperta per sedici anni con una cannula inserita per lo spurgo) e poi a Squillace. Dopo l’arresto del fratello Guglielmo nel giugno 1803, quando la casa dei Pepe fu assaltata dall’esercito borbonico, rimase nascosto per un anno e mezzo e poi fuggì a Malta, quindi in Spagna e infine in Francia.
Rientrò nel Regno di Napoli con Giuseppe Bonaparte nel febbraio 1806 da capitano dell’esercito francese, con cui aveva già partecipato alla vittoria sugli Austriaci a Caldiero, presso Verona, nell'ottobre 1805. Inserito come maggiore nella legione provinciale di Abruzzo citra, ricoprì numerosi incarichi importanti: nell’agosto 1806 fu membro dello stato maggiore della spedizione in Calabria del generale André Masséna contro i legittimisti sostenuti da truppe britanniche e borboniche; nel 1807 fu comandante in seconda della piazza di Gaeta; nel 1809 comandante militare in Molise, dove combatté contro briganti e popolo in armi, pacificando la provincia in pochi mesi.
A partire dal 1810 militò in Spagna, a capo dello stato maggiore della divisione napoletana del generale Francesco Pignatelli e in luglio partecipò alla difesa di Gerona. Nel corpo d’armata del maresciallo Louis-Gabriel Suchet si distinse poi in alcuni scontri minori lungo l’Ebro e in diversi assedi, tra cui quelli di Tarragona nel marzo-giugno 1811 e di Valenza nel gennaio 1812.
Nell’aprile 1812, promosso maresciallo di campo, fu nominato capo dello stato maggiore della divisione napoletana creata per la campagna di Russia che, nella riserva della Grande Armée, giunse a Danzica in ottobre e fu impegnata solo nelle operazioni di ritirata. Inviato in Russia, Pepe scortò il 5 dicembre 1812 la colonna di Napoleone da Osmiana a Wilna, al comando della cavalleria napoletana, decimata dalla marcia a oltre 28 gradi sotto zero, e riportò il congelamento e la successiva amputazione di parte del piede destro. Contro la volontà di Murat che voleva il suo rientro, partecipò poi con ardimento alla difesa di Danzica assediata dal gennaio al novembre 1813. Dopo la capitolazione della città fu fatto prigioniero dai Russi, ma venne liberato in seguito all’alleanza antifrancese stretta da Murat con Austria e Inghilterra nel gennaio 1814 e poté raggiungere il quartier generale del sovrano in Emilia.
Da questo momento i rapporti con Murat sembrano raffreddarsi: il re lo ritenne responsabile delle gravi perdite subite dalla cavalleria in Russia, mentre Pepe manifestò il proprio dissenso sul mutamento di alleanze che altri generali ritenevano funzionale al mantenimento del trono da parte di Murat. A inasprire i rapporti contribuì l’operato di Pepe negli Abruzzi dove, inviato a reprimere un’insurrezione carbonara nell'aprile 1814, negoziò con i ribelli la fine del movimento in cambio della cancellazione del reato. Tali patti non furono approvati da Murat per cui Pepe, rifiutandosi di punire i colpevoli, abbandonò il comando dell’operazione. Cittadino, dunque, più che soldato, come ebbe a definirsi, firmò un documento con cui sedici generali chiedevano al sovrano il regime costituzionale con la minaccia, poi non attuata, di instaurarlo per iniziativa militare in caso di rifiuto.
Nel 1815 non fu inserito da Murat nell’armata costituita dopo la fuga di Napoleone dall’Elba per muovere contro gli Austriaci e gli furono affidati solo incarichi collaterali; Pepe dissentiva, infatti, dall’idea di Murat di condurre una guerra aggressiva, ritenendo più utile attendere gli sviluppi politici – il congresso di Vienna – e militari – la nuova offensiva napoleonica. Tuttavia, venuto a conoscenza degli scontri nelle Marche, raggiunse il re sul campo di battaglia a Tolentino, guadagnandosi così il grado di tenente generale. Dopo la firma del trattato di pace di Casalanza, il 20 maggio 1815, fu nominato governatore di Napoli, abbandonata da Murat, e vi mantenne l’ordine. Come previsto dal trattato per gli ufficiali murattiani, conservò il grado di tenente generale nell’esercito borbonico, ma si ritirò a vita privata e non ricoprì incarichi per cinque anni fino allo scoppio della rivoluzione nell'estate del 1820 e alla concessione della richiesta costituzione di Cadice del 1812.
Il 9 luglio 1820 Pepe fu nominato da Francesco duca di Calabria, vicario del re Ferdinando I, nella giunta che affiancò il governo in attesa delle elezioni per il Parlamento, ma presto si dimise perché riteneva che non venisse assegnato il giusto ruolo all’esercito in vista di probabili interventi stranieri. Dopo lo scoppio della rivolta di Palermo contro il centralismo napoletano, a fine luglio, accettò di recarsi a Messina, rimasta fedele, allo scopo di conoscere la situazione dell’isola, promuovere l’adesione alla costituzione e organizzare una guardia civica nelle province non insorte. Tuttavia, il 13 agosto 1820 rientrò a Napoli per riferire sull’insufficienza delle forze militari nell’isola e sulla rapida estensione della rivolta fino alla Sicilia orientale. Tornò nell'isola a capo della spedizione militare deliberata a fine mese, con precise istruzioni sul grado di autonomia da concedere alla Sicilia e con il comando militare dell’isola, che gli venne conferito dietro insistenza del vicario, suo grande estimatore.
Giunto a Messina ai primi di settembre con 6 mila uomini, organizzò le truppe e iniziò la marcia verso Palermo. In seguito alle trattative con i rappresentanti del governo rivoluzionario palermitano intercorse fra il 18 e il 21 settembre 1820, proclamò, in cambio dell'immediata sottomissione e dell’ingresso pacifico delle truppe in città, l’oblio dei reati politici e la possibilità di un Parlamento separato purché deliberato dalla maggioranza dei rappresentanti di tutta l’isola, in quel momento in buona parte pacificata. Contro l’accordo insorse però il popolo della ‘capitale’ siciliana e al suo arrivo a Palermo, il 25 settembre, Pepe trovò la città in preda a una totale anarchia.
Dopo quattro giorni di aspri scontri non risolutivi, il popolo sotto assedio accettò la mediazione di Giovanni Luigi Moncada, principe di Paternò, per stilare un accordo di pace con Pepe, che dal canto suo riteneva possibile prendere la città solo con un’azione di estrema violenza. Il 5 ottobre 1820 fu dunque firmata una convenzione che prevedeva la convocazione di un’apposita assemblea per accertare la volontà della maggioranza dell’isola. In quel modo Pepe disattese, di fatto, i nuovi ordini inviatigli alcuni giorni prima da Napoli ma mai ricevuti, con cui lo si invitava a non prendere iniziative in materia politica senza istruzioni del Parlamento napoletano ormai costituito.
Alla notizia della stipula della convenzione Pepe fu perciò sconfessato da tutte le forze politiche presenti in Parlamento, compresi i rappresentanti di cinque province siciliane su sette, e la convenzione fu dichiarata incostituzionale e pertanto nulla il 14 ottobre 1820. Pepe fu quindi richiamato e sostituito da Pietro Colletta.
Tornato a Napoli, Pepe affermò le proprie ragioni con la consapevolezza di chi aveva operato seguendo le istruzioni ricevute dal governo, respinse le decorazioni proposte e si dimise. Convinto dal vicario, rimase però nei ranghi dell’esercito e nel febbraio 1821 fu nominato capo dello stato maggiore generale in vista della guerra contro l’Austria. Non partecipò però alle operazioni e dopo la sconfitta di suo fratello Guglielmo a Rieti lo spinse a lasciare il paese ritenendo che il vicario e gli altri generali napoletani volessero mettere fine al regime costituzionale.
Privato del grado, nel 1822 Pepe si ritirò a vita privata anche se accettò nel 1831 di rientrare nei quadri dell’esercito ristrutturato da Ferdinando II in qualità di ufficiale di terza classe in attesa di destinazione. Da allora in avanti si limitò a sostenere moralmente ed economicamente il fratello, con il quale scambiò un’intensa corrispondenza, fino alla sua morte avvenuta a Napoli il 3 aprile 1851.
Per le differenti posizioni politiche assunte nella loro vita i due fratelli furono ritenuti dallo storico liberale Georg Gottfried Gervinus il simbolo dell’antitesi fra rivoluzione (Guglielmo) e graduale maturazione degli eventi (Florestano) nel processo di affermazione di istituzioni liberali nella storia d’Italia (Id., Geschichte des neunzehnten Jahrhunderts seit den Wiener Vertragen, IV, 1, Leipzig 1860, pp. 249-251).
Fonti e Bibl.: Lettere e documenti riguardanti Florestano Pepe sono consultabili all'Arch. di Stato di Napoli, Archivio Poerio Pironti, Carte Pepe; presso la Società napoletana di storia patria, Carte d'Ayala; presso l'Archivio storico del Museo nazionale di S. Martino di Napoli. Profili biografici: F. Carrano, Vita del generale F. P., Genova 1851; C. Morisani, F. P., in L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, IV, Cosenza 1877, ad vocem, poi ampliato e ristampato in forma autonoma: C. Morisani, Ricordi storici del generale F. P., Reggio Calabria 1892; C. Trionfi, Guglielmo e F. P., Milano 1942. Sulle guerre napoleoniche: La divisione de’ soldati napoletani in Danzica nel 1813, in Antologia Militare di Napoli, III (1838), 5, pp. 115-214; ibid., 6, pp. 119-122; N. Cortese, L'esercito napoletano e le guerre napoleoniche. Spagna, Alto Adige, Russia, Germania, Napoli 1928, passim; V. Ilari - P. Crociani - G. Boeri, Storia militare del Regno murattiano (1806-1815), I-III, Invorio 2007, ad indices. Sul periodo 1820-21 e la spedizione in Sicilia: G. Bianco, La rivoluzione siciliana del 1820, Firenze 1905, passim; Atti del Parlamento delle due Sicilie. 1820-1821, a cura di E. Gentile, I-VI, Bologna 1926-1941, ad indices; N. Cortese, La prima rivoluzione separatista siciliana. 1820-1821, Napoli 1951, ad ind. (studio importante perché basato su documenti già in Arch. di Stato di Napoli e oggi perduti). Su vari momenti della sua vita: Memorie del generale Guglielmo Pepe intorno alla sua vita e ai recenti casi d’Italia, Parigi 1847, passim; G.M. Monti, La difesa di Venezia nel 1848-1849 e Guglielmo Pepe, Roma 1933, ad ind.; Guglielmo Pepe, I, (1797-1831), a cura di R. Moscati, Roma 1938, ad ind.; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, introduzione e note di N. Cortese, II-III, Napoli 1957, ad indices; J.A. Davis, Napoli e Napoleone. L'Italia meridionale e le rivoluzioni europee (1780-1860), Soveria Mannelli 2014, pp. 403, 427, 466, 469, 471 s., 476, 486, 491 s.; R. Stites, The Four Horsemen. Riding to Liberty in Post-Napoleonic Europe, Oxford 2014, pp. 163, 168, 180.