FLORIO da Camerota
Nobile del principato di Salerno ricordato per la prima volta alla metà del sec. XII, fu un tipico esponente della classe dominante del Regno normanno. Pur senza esserne uno dei maggiori baroni, infatti, i suoi possedimenti erano comunque rilevanti: vassallo diretto del re per Camerota, feudo per il quale prestava un servizio ordinario di dodici milites, da lui dipendevano anche, nella stessa zona, vari signori minori. Questi beni lo collocavano in una fascia sociale appena inferiore a quella dei più importanti signori feudali, un ceto che venne utilizzato dai re normanni per creare l'ossatura della loro amministrazione statale; la carriera di F. è, in questo senso, esemplare. Nel 1150-51 ricopriva la carica di giustiziere nella Curia del principato di Salerno con il collega Lampo di Fasanella (altro rappresentante della media feudalità). Di fronte a loro venne discussa una causa intentata dall'arcivescovo di Salerno contro un signore laico accusato di aver usurpato alcuni beni ecclesiastici: F. e il suo collega si pronunciarono in favore dell'arcivescovo.
La sua attività giudiziaria proseguì negli anni successivi (è nota un'altra sentenza del 1158) per interrompersi soltanto in seguito a un evento sfortunato che lo costrinse ad un breve periodo di esilio dal Regno. Nel 1164, infatti, papa Alessandro III incaricava l'arcivescovo Alfano di Capua (uno dei suoi principali sostenitori nel Mezzogiorno nonché zio di F.) di avvertire Guglielmo I di Sicilia che la sua vita era minacciata da una congiura di palazzo; l'arcivescovo non si recò personalmente a Palermo, ed inviò invece suo nipote. L'ambasceria costò assai cara a F.: il re normanno, infatti, non prestò fede a quanto gli venne riferito, e condannò l'inviato del papa e dell'arcivescovo di Capua all'esilio. F. decise di recarsi a Gerusalemme, certo dopo aver sollecitato lo zio ad adoperarsi presso il pontefice per ottenere il perdono del sovrano. Il 16 febbr. 1165 papa Alessandro III scriveva al re di Francia Luigi VII perché intercedesse in suo favore presso il re di Sicilia; in quest'occasione il papa definiva F. "unus de maioribus Calabriae [sic!] baronibus", ma si trattava verosimilmente di un'esagerazione per indurre il sovrano francese a intervenire. Non sappiamo se l'intervento del re di Francia abbia indotto Guglielmo I a tornare sulla sua decisione, o se soltanto la morte di quest'ultimo (maggio 1166) abbia permesso a F. di rientrare in patria.
Nel 1168 troviamo F. reintegrato nel suo ruolo sociale e giudiziario: nel gennaio di quell'anno, infatti, egli era a Messina tra i componenti del tribunale incaricato di giudicare Riccardo de Mandra, accusato di tradimento; la sua presenza nella Magna Curia fu tuttavia, con ogni probabilità, occasionale e limitata a questo procedimento, e presto F. dovette tornare a svolgere le sue normali fimzioni di giudice locale nel principato di Salerno. Quattro anni più tardi (1172), nell'esercizio di questa funzione con il suo collega Luca Guarna, F. definiva una lunga lite tra gli uomini di Corleto e i loro signori, spostandosi in vari centri della zona: Larino, Eboli, la stessa Salerno. Nel 1176 Alessandro III e l'arcivescovo Alfano ottennero per lui un incarico diplomatico di prestigio: F. fu tra gli ambasciatori inviati da Guglielmo II alla corte di Inghilterra per chiedere in sposa Giovanna, la figlia del re Enrico II; probabilmente, sempre con suo zio Alfano. presenziò alle nozze celebrate a Palermo il 18 febbr. 1177.
Le ultime informazioni che possediamo sulla vita di F. ce lo mostrano nuovamente impegnato nel suo ufficio di regius iustitiarius: nel 1177 gli venne affidato dal re Guglielmo l'incarico di perseguire gli assassini dell'abate Matteo del monastero salernitano di S. Benedetto. La sentenza contro i colpevoli venne emessa da F., ancora una volta in compagnia di Luca Guarna, l'anno successivo. Segue un periodo, di circa dieci anni, durante il quale non sappiamo più nulla di F.; soltanto nel 1189 è presente in un documento, anche questo relativo a un procedimento affidatogli da Guglielmo II. Si trattava, in questo caso, di dirimere una controversia, riguardo al possesso di un terreno, sorta tra Gerardo, abitante della città calabrese di Rossano, e Nettario, abate del vicino monastero greco di S. Maria del Patir.
Non si hanno ulteriori notizie su F., che tuttavia doveva essere ormai in età avanzata, visto che la sua attività di iustitiarius durava ormai da ben trentanove anni: la sua morte deve essere quindi avvenuta, con ogni verosimiglianza, negli anni immediatamente successivi al 1189.
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