FLORIO, Ignazio, iunior
Nacque a Palermo il 1° sett. 1868, primogenito di Ignazio senior e di Giovanna d'Ondes Trigona. Trascorse l'adolescenza e la prima giovinezza nell'ambiente aristocratico e dell'alta borghesia della sua città. Raggiunta la maggiore età e diventato procuratore generale della Casa di commercio di famiglia, riprese e porto a compimento il progetto per la produzione di brandy che da tempo languiva nello stabilimento dì Marsala.
Nello stesso periodo si trovò a gestire la crisi della Navigazione generale italiana, la grande compagnia sorta nel 1881 dalla fusione della impresa armatoriale paterna con quella di R. Rubattino, e di cui il F. rimaneva il maggiore azionista. Scadute, nel 1891, le convenzioni firmate col governo per i servizi sovvenzionati, la società ottenne alcune proroghe che consentirono, in attesa dei rinnovi, di proseguire l'attività.
La compagnia ricopriva un ruolo di grande rilievo nell'economia e nel tessuto sociale di Palermo che fondava nel settore cantieristico una parte importante della propria ricchezza. In realtà gli impianti siciliani, risalenti al tempo di Vincenzo Florio, erano obsoleti e comunque inadatti alle aumentate dimensioni dei vapori. Ciò valeva sia per lo scalo d'alaggio che per la gru installata su un braccio del molo: il primo, già mal costruito, non era più al passo coi tempi e le carene dei piroscafi più grossi dovevano essere fatte pulire a Napoli o a Genova; la seconda non aveva la portata necessaria per sollevare le moderne enormi caldaie che, perciò, prima o poi, non si sarebbero più costruite nella Fonderia Oretea, l'impianto siderurgico palermitano la cui attività era strettamente legata alla vita della compagnia navale.
A Palermo, infatti, periodicamente ricorrevano voci di un disimpegno della compagnia nell'isola suscitando allarme tra la manodopera locale. Nel 1892 si parlò addirittura del trasferimento a Napoli del compartimento marittimo. In attesa di conoscere le decisioni del governo gli operai di Palermo si erano organizzati in un comitato di vigilanza per seguire da vicino gli sviluppi della situazione. Per la prima volta il F. venne attaccato e accusato di trascurare gli interessi della manodopera locale. Gli inviti alle amministrazioni pubbliche e alla Camera di commercio palermitane di farsi carico della vertenza non produssero effetti. Anzi iniziarono i licenziamenti, mentre le navi, ormai soggette a frequenti riparazioni, venivano mandate in porti più attrezzati.
La delusione fu grande quando, nel 1893, si sparse la notizia che alcuni industriali campani si erano recati da Giolitti, allora presidente dei Consiglio dei ministri, per ottenere l'appoggio per la costruzione di due bacini di carenaggio all'interno del porto di Napoli.
Nel frattempo, alcuni armatori genovesi presentarono offerte più convenienti di quelle della Navigazione generale per l'assunzione dei servizi convenzionati. Si trattava senza dubbio di una manovra a danno del F. e dei suoi soci poiché era impossibile in poco tempo avere a disposizione una nuova, grande flotta che sostituisse i cento e più bastimenti della compagnia. Infatti, alla Camera, dopo la votazione di una sospensiva, si preferì concedere nuovamente alla compagnia del F. i servizi. In attesa del voto al Senato, la deliberazione della Camera fu accolta a Palermo senza entusiasmi, tanto più che sul problema del compartimento circolavano voci contraddittorie. Si temeva, addirittura, la nascita di un compartimento a Venezia con la contemporanea soppressione di quello siciliano.
Alla fine, grazie al voto favorevole di un forte schieramento parlamentare ben disposto nei confronti dei F., nell'aprile del 1893 le convenzioni furono rinnovate fino al 1908 e il compartimento di Palermo mantenuto. I rapporti con il governo, tuttavia, cambiarono. Nell'autunno del 1893 una commissione governativa d'inchiesta sulla Navigazione generale italiana, presieduta da D. Gallotti, verificò lo stato di oltre settanta bastimenti e determinò una spesa di 6,7 milioni da distribuire alla società in non più di tre anni. Malgrado le assicurazioni del presidente circa le condizioni di bilancio, il governo richiese una garanzia subito assunta dal F. in solido col Credito mobiliare.
I costi generali aumentarono d'improvviso, perché erano tramontati i tempi in cui, potendo contare su laute e disinvolte prebende statali, la compagnia trascurava l'efficienza dei trasporti e il conforto dei passeggeri. La situazione sembrò precipitare quando, nel 1896, l'amministratore delegato Erasmo Piaggio impose la svalutazione del capitale da 55 a 33 milioni. Questo episodio segnò, verosimilmente, l'inizio del tracollo finanziario ed economico della casa Florio.
Il F. tentò di superare le difficoltà del momento diversificando e intensificando gli investimenti. Aveva consistenti interessi commerciali e industriali nel settore degli zolfi, con una produzione, nel 1894, pari a 4.500 tonnellate annue. Il futuro, tuttavia, si presentava incerto anche in questo settore, a causa della forte concorrenza americana e dell'impiego delle piriti al posto dello zolfo nella preparazione dell'acido solforico. Nel 1896 la crisi sembrò superata con la costituzione dell'Anglo-Sicilian Sulphur, una società a prevalente capitale inglese che si offriva di acquistare tutto o parte del prodotto ad un prezzo prefissato. Il F., in considerazione del suo prestigio, ebbe l'incarico di stipulare i contratti coi produttori; le adesioni raggiunsero l'80% della produzione complessiva per un periodo di dieci anni.
Successivamente, si impegnò con Tito Pignone, nel tentativo di salvare la Società generale di credito mobiliare, la cui sede palermitana era presso il Banco Florio e del cui consiglio di amministrazione faceva parte. Tra il 1897 e il 1898 si unì alla Cassa di risparmio di Ravenna, alla Banca commerciale italiana (di cui rimarrà consigliere sino al 1932) e allo stesso Piaggio per la progettazione di un grande zuccherificio in Romagna che non fu mai realizzato.
Risultati ugualmente deludenti ottenne poi dalla partecipazione (1899) alla Prodotti chimici colla concimi, l'impresa romana sorta ad iniziativa della casa Manzi, e all'Elba (Società anonima di miniere e altiforni), la grande società dotata di un capitale di 15 milioni.
Certamente egli riponeva maggiori speranze nella legge 23 luglio 1896 che, con la concessione di premi ai costruttori di navi e alla navigazione, si riprometteva di dare nuovo slancio alla marina mercantile italiana. Il F. sfruttò prontamente l'occasione: il 14 maggio 1898 - grazie ad una sovvezione di 3 milioni a fondo perduto concessa dal Comune e dalla Provincia - progettò la costruzione del Cantiere navale di Palermo e, nel contempo, avviò le pratiche per costruirne un altro a Messina e per assumere la gestione del bacino di carenaggio esistente nella stessa città.
La legge del '96 ma, ancora di più, l'imprevisto rialzo dei noli, spinsero molti industriali, sino ad allora restii ad investire nella marineria, ad ordinare nuovi vapori e a costituire nuove società per l'esercizio della navigazione. In questo modo il tonnellaggio complessivo aumentò di quasi nove volte, provocando sgomento nel governo che aveva calcolato la previsione di spesa su stime nettamente inferiori. Per correre ai ripari, altro non si poté fare che preparare in tutta fretta un disegno di legge con drastiche riduzioni dei premi. Il F. e gli altri industriali si sentirono traditi. Mentre Luigi Einaudi dimostrava che si trattava di spese folli, una parte della stampa insisteva sul fatto che se il disegno di legge fosse stato approvato dal Parlamento, migliaia di occupati sarebbero rimasti senza lavoro e i grossi capitali investiti sarebbero andati in fumo.
Il governo, respingendo ogni pressione, nel 1900 pubblicò due decreti che riducevano sensibilmente le sovvenzioni. Gli industriali reagirono violentemente. I cantieri si bloccarono a Genova. Nel febbraio-marzo 1901 scoppiarono disordini a Palermo ed il Cantiere navale rimase chiuso sino al 1903. Il F. protestò con rabbia ed amarezza dalle colonne de L'Ora, il quotidiano da lui fondato nel 1900.
La vicenda lo segnò profondamente: le perdite sempre più frequenti, un tenore di vita troppo alto per le mutate condizioni economiche, l'incapacità a cogliere le nuove tendenze produttive e di mercato, lo portarono ad una esposizione crescente con la Banca commerciale italiana, che già nel 1902 aveva assorbito il piccolo banco della Casa.
Presso la medesima banca il F. depositò, in riporto finanziario, le azioni della Navigazione generale. Le azioni del cantiere passarono ad Attilio Odero, le tonnare di Favignana e Formica furono pesantemente ipotecate. Del progetto industriale di Messina non si parlò più. Nel 1905 l'aumento di capitale della Navigazione da 33 a 54 milioni trovò il F. in una situazione finanziaria personale difficilissima. Egli temeva, d'altra parte, che alla scadenza delle convenzioni i servizi marittimi fossero affidati ad altre compagnie, o addirittura soppressì sotto l'incalzare delle ferrovie. Ma si trattava di problemi che non avrebbero più dovuto riguardarlo dal momento che la speranza di potere riscattare le azioni in riporto si faceva sempre più tenue.
Già due anni prima la Banca commerciale gli aveva concesso un fido di 5 milioni con cui sviluppare il commercio dei grani importati dalla Russia e dalla Romania. Con altro finanziamento era entrato nella francese Société générale des soufres. Anche questi tentativi, tuttavia, ebbero esiti assai modesti. Il F. si vide presto costretto a cedere, a garanzia dei propri debiti, oltre 30.000 azioni della prestigiosa azienda del vino marsala, vero fiore all'occhiello della Casa: la Florio e C. - Società anonima vinicola italiana (così denominata dopo la trasformazione avvenuta nel 1904 in società per azioni e la sua apertura ad alcuni commercianti e capitalisti). Per fronteggiare in qualche modo la situazione che si avvicinava al tracollo, nel 1918 costituì la Società sicula immobiliare con sede a Milano e un capitale di 5 milioni interamente costituito dalla vendita della splendida residenza palermitana dell'Olivuzza. In breve l'intero complesso, che ricopriva una superficie superiore ai sette ettari, passò ad altre mani. Uguale sorte subì la celebre Villa Igiea. Sette anni dopo fondò un'impresa di navigazione per i collegamenti con la Sicilia e la Sardegna. Dopo un incerto avvio, dalla fusione con la Citra, altra impresa di navigazione, nacque la Società Tirrenia, salvata dalla Finmare nel 1936 quando il F. era stato ormai estromesso.
Morì a Palermo il 19 nov. 1957.
Personaggio sicuramente rappresentativo di un'epoca, il F. contribuì in misura notevole, insieme alla moglie Francesca Paola Iacona, alla sprovincializzazione di Palermo e al suo inserimento tra le più vive città europee sino al 1915.
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