FLORIO, Ignazio, senior
Figlio di Vincenzo - l'artefice dello sviluppo della Casa di commercio - e di Giulia Portalupi, nacque a Palermo il 17 dic. 1838. Alla morte del padre, nel 1868, risolse felicemente i problemi della divisione dell'eredità che avevano fatto temere la liquidazione della fiorente impresa.
Gli altri eredi, le sorelle Giuseppina e Angelina, non interessate alle aziende di famiglia, preferirono il pagamento delle loro parti. Ciò impose esborsi in contanti per oltre 4 milioni di lire, corrispondenti a più di un terzo del valore di tutti i beni. Il F. riuscì ad assorbire lo sforzo finanziario senza menomare le attività produttive, quindi, libero da vincoli, pose mano al consolidamento e allo sviluppo ulteriore.
Rinsaldò subito le amichevoli relazioni con G. Barbavara, il potente direttore generale delle Poste, interlocutore indispensabile già di suo padre in merito ai servizi marittimi che la società palermitana svolgeva in base alla convenzione del 1862. La cura diligente dei rapporti col potere centrale assumeva importanza decisiva perché, se da un lato le sovvenzioni ministeriali assicuravano, da sole, una parte cospicua delle entrate della casa, dall'altro andavano difesi i forti investimenti necessari all'esercizio della marineria in presenza del costante pericolo che lo Stato non rinnovasse i contratti.
Nel 1872 il governo deliberò di tagliare i premi della linea Palermo-Civitavecchia-Livorno; il F. protestò energicamente, ma la controparte si mostrava irremovibile, tanto più che, a parziale compensazione, proponeva l'aumento del numero dei viaggi per Napoli regolarmente sussidiati dallo Stato. Alla fine, il 14 aprile di quell'anno si arrivò ad un compromesso: il F. manteneva la sovvenzione per il tratto da Palermo a Civitavecchia, assumendo però l'impegno di proseguire gratuitamente il servizio postale sino a Genova. Successivamente, iniziate le nuove traversate per Napoli, il mancato guadagno si ridusse ulteriormente, ma la società, malgrado le pressioni esercitate, non riuscì ad ottenere assicurazioni circa il futuro rinnovo dei suoi contratti.
Nel 1873 il F. fondò un'azienda per la tessitura meccanica, introducendo forme di assistenza per il personale addirittura avveniristiche per quei tempi, almeno in Sicilia.
Fu provveduto alla custodia dei figli delle lavoranti e all'istruzione, con appositi corsi serali, delle fanciulle operaie. A questi servizi si aggiunsero una mensa e la costruzione di case economiche. Una cassa di mutuo soccorso, La Provvidente, concedeva piccoli prestiti ad un tasso ben inferiore a quelli praticati dagli usurai, gli unici disposti a finanziare persone a basso reddito. Tuttavia l'esperimento non durò a lungo. Sembrò addirittura che il servizio del baliatico fosse causa di un aumento della mortalità infantile. E poi, la sera, i genitori preferivano tenere a casa le fanciulle per l'aiuto nei servizi domestici. A tutto questo si aggiungeva il paternalismo del F. nella gestione del personale.
Dopo gli sforzi per mettere in piedi la struttura produttiva, le difficoltà insorte coi dipendenti portarono al blocco dell'attività e alla chiusura dell'opificio.
Le altre sezioni della Casa di commercio mostravano maggiore vitalità. La Fonderia Oretea, che Vincenzo Florio aveva rilevato trent'anni prima dai fratelli Sgroi, funzionava a pieno ritmo soprattutto da quando la direzione tecnica era stata assunta dall'ingegnere francese G. Theis e l'impianto ingrandito e spostato in altra zona della città. Per quanto l'Oretea non potesse reggere il confronto con le più moderne industrie del settore operanti in Italia, essa era in grado di soddisfare una domanda esigente anche extra-isolana. I principali prodotti erano: macchine locomobili, macchine per la distillazione, idrovore, macchine agricole. Spesso costruiva impianti su ordinazione, specialmente da installare nelle miniere di zolfo. Theis diversificava al massimo la produzione per essere comunque presente sul mercato. Ciò impediva allo stabilimento di specializzarsi, anche se, data la grossa produzione complessiva, assicurava il lavoro ad alcune centinaia di operai.
Con lo sviluppo della società di navigazione, il F. impresse all'opificio l'indirizzo prevalente della meccanica navale. Fu così che la Fonderia l'Oretea costruì, per conto dello Stato, una macchina da 40 cv per il bacino di carenaggio di Messina e, per i privati, caldaie di varie dimensioni nonché attrezzature usate nella marineria (verricelli, gru, ancore, trombe idrauliche ed altro). Era l'unico stabilimento siderurgico di rilievo in Sicilia intorno al 1875; la commissione Bonfadini, istituita per indagare sulle condizioni dell'isola, giudicò il complesso non inferiore a quelli del Settentrione.
Il giudizio però non si fondava su analisi attente di efficienza e di Produttività. L'organizzazione del lavoro lasciava a desiderare, i salari non superavano il livello di pura sussistenza, non esistevano ancora forme di assistenza e previdenza. Quando l'onorevole Q. Sella promosse la Lega del risparmio invitando gli industriali a far dono ai loro dipendenti di un libretto con una lira, il F. rifiutò. Poi non esitò però ad elargire premi e a far curare gratuitamente i malati. Il lavoro era duro, la disciplina rigida. All'uscita, gli operai venivano sottoposti a perquisizione. Un gruppo di lavoratori venuto dal Nord non si trovava bene.
Nel 1874 il F. aveva acquistato, per meno di 3 milioni, le tonnare di Favignana, Formica, Levanzo e Marettimo che appartenevano ai marchesi Rusconi di Bologna e Pallavicino di Genova. Il padre del F. aveva tenuto in gabella quelle tonnare per diversi anni, lasciandole dopo il 1859, forse per contrasti coi proprietari.
Si trattò di un buon affare. Tra fissi e stagionali, l'azienda occupava 900 persone. Le ciurme percepivano una lira a testa al giorno ed inoltre partecipavano ai ricavi generali e beneficiavano di varie provvidenze. Negli anni compresi tra il 1878 e il 1888, l'investimento produsse utili sino al 20%, al lordo degli interessi sul capitale. Però il mercato risentiva della forte concorrenza spagnola e portoghese, sebbene fosse stato istituito un dazio protettivo del 10% sullo scabeccio d'importazione. Il F. richiedeva un aumento di quell'aliquota, lamentando la sua condizione d'inferiorità. Il prodotto siciliano, infatti, raggiungeva i centri di consumo con difficoltà e, invariabilmente, dopo che le primizie dei concorrenti erano già state vendute.
Il F. gestiva, oltre la propria miniera di Bosco di San Cataldo, le zolfare di Rabbione vicino Caltanissetta, e di Grottarossa, di cui erano rispettivamente titolari il marchese di Torrearsa e la principessa di Montevago. Nel settore dello zolfo i suoi interessi consistevano particolarmente nella speculazione commerciale, realizzata attraverso anticipazioni sul minerale. Nel 1880 la produzione in tutta la Sicilia raggiunse vette mai toccate prima: lo zolfo si vendeva con grande facilità a causa del largo impiego che se ne faceva in Italia e all'estero. Con tutto ciò, il contemporaneo utilizzo delle piriti aveva provocato lo scivolamento dei prezzi dalle 140 lire del 1874 al quintale alle 100 del 1878. Né, con gli antiquati sistemi di estrazione, si poteva contare su un aumento della produttività capace di rinnovare i profitti di un tempo.
L'impresa del vino marsala, cominciata in condizioni difficili da suo padre nel 1832, dava risultati incoraggianti. A dirigere lo stabilimento il F. chiamò l'inglese Gordon, un tecnico figlio di un enologo già alle sue dipendenze.
Il vino, lavorato secondo un metodo che si tramandava da decenni, era conservato in fusti di rovere americano allineati su tre file, per vari metri d'altezza, sotto le tettoie lunghe 200 metri. La qualità risultava eccellente, mentre era scadente la presentazione del prodotto. I fusti erano poco eleganti, se non addirittura rozzi, specie in confronto con le botti usate dalle aziende continentali.
Il F. si mostrava poi insofferente verso le leggi fiscali che, a suo modo di vedere, lo danneggiavano. Il congegno dei rimborsi all'esportazione era tale che egli veniva a goderne in misura ridotta. Per ottenere il beneficio la gradazione media del marsala doveva essere di 15 gradi, mentre per il vermut piemontese ne era richiesta una più bassa. Se ne lagnò con F. Crispi, allora presidente del Consiglio e suo amico personale. Lo statista gli promise il suo interessamento, ma l'avvertì che ragioni di bilancio vietavano più marcate agevolazioni a favore del settore.
Il punto di forza della Casa di commercio era la compagnia di navigazione. Pur con qualche titubanza, per l'incertezza delle relazioni col governo e dei rinnovi delle concessioni, il F. acquistò per poco più di 9 milioni le 13 navi della Compagnia di navigazione a vapore La Trinacria, sorta a Palermo il 26 dic. 1869 e fallita il 10 febbr. 1876, subentrando a questa nel contratto con lo Stato, e riuscendo a farsi aumentare in maniera considerevole l'ammontare delle sovvenzioni. Intanto, il 14 febbr. 1877, veniva firmato il rinnovo dei contratti risalenti al 1862; come per questi, si fissava la durata in 15 anni, con scadenza al 31 dic. 1891. Anche se la ferrovia cominciava a divenire diretta concorrente del servizio marittimo, l'indirizzo governativo di agevolare nuove linee commerciali internazionali sembrava eliminare sul nascere le preoccupazioni degli armatori.
L'accordo riguardava il servizio postale e commerciale tra la Sicilia e il continente (con prolungamento a Malta e Tunisi) e tra l'Italia e gli scali del Levante e del mar Nero. La convenzione garantiva quindi gli importanti collegamenti con Istanbul, Odessa, Corfú e diverse altre località, soddisfacendo le aspettative dei ceti mercantili. A titolo di premio il governo concedeva 19 lire per lega nel servizio nazionale e 21 in quello internazionale.
La compagnia Florio attraversava un'ottima congiuntura: nel quindicennio avrebbe spartito, con la compagnia dell'armatore genovese R. Rubattino, servizi convenzionati per 105 milioni di premio totale. L'assemblea dei soci deliberò l'aumento di capitale a 24 milioni (con l'immediato aumento per il momento a 16), lo spostamento della scadenza della società, originariamente fissata al 1881, al 30 sett. 1900. Ulteriori proroghe sarebbero dipese dal rinnovo dei contratti. Il patrimonio comprendeva 41 piroscafi (dei quali, tuttavia, alcuni vecchi e superati), la Fonderia Oretea e altri beni conferiti.
La società mise in mare nuove unità, tra cui il "Venezia", costruito nel cantiere Orlando a Livorno. Per il 1880 i cantieri sul Clyde in Scozia dovevano consegnare due navi destinate a diventare le ammiraglie della flotta: il "Vincenzo Florio" e il "Washington", entrambi di 3.500 t, da impiegare nei viaggi transatlantici. Insieme con la solidità economica, la compagnia raggiunse un indiscusso prestigio all'estero. I trasporti risultavano veloci, la periodicità degli approdi regolare, convenienti le tariffe. Per il commercio con la Germania, i trafficanti del Levante la preferivano apertamente al Lloyd Austriaco. Il favore diventò tale che il F. creò, nei medesimi percorsi, linee libere.
Ma questa situazione non durò molto. Divenivano ormai evidenti un riversamento crescente dei servizi di viaggio e trasporto dalla nave al treno e una crescente specializzazione della nave nel collegamento veloce intercontinentale e nel grande trasporto. Era l'indirizzo strategico già affrontato dalle marine estere. La concorrenza austro-ungarica migliorò i servizi sulle rotte che direttamente interessavano l'impresa Florio. La Francia legiferò sensibili benefici per la propria marina mercantile. Ad aggravare la situazione il govemo italiano, a termini di clausole contrattuali, cessò la sovvenzione per il servizio postale sulla Palermo-Messina. Il 1° dic. 1880, era stata inaugurata la ferrovia che univa le due città e che, a costi assai più contenuti e con maggiore rapidità, assicurava il trasporto dei plichi ed effettuava le prestazioni accessorie.
Senza interventi governativi o comunque interventi di sostegno, l'impresa marittima Florio non aveva le forze per superare la prevedibile crisi. Il F. lasciava intendere di essere stato spinto a sempre maggiori investimenti dalla certezza che, almeno nei momenti di difficoltà, non gli si sarebbero negati gli aiuti necessari. Nel rapporto tenuto all'assemblea generale del 30 genn. 1881 avvertì che, in mancanza di fatti nuovi, era meglio ritirarsi in tempo per evitare il completo fallimento. Se il tentativo di fare pressioni sul governo appariva chiaro, bisognava riconoscere, come faceva la stampa locale, che gli interessi del F. coincidevano con quelli dell'intera città di Palermo. La chiusura dell'impresa navale si sarebbe ripercossa inevitabilmente non solo sullo scalo d'alaggio ma altresì sulla Fonderia Oretea, che ormai lavorava quasi esclusivamente per la navigazione, e sui lavoratori del porto. Nel clima di tensione, incomprensione, speranze deluse, si fece strada l'idea della fusione della compagnia siciliana con quella di Rubattino.
L'operazione sembrava ai più la sola idonea a risolvere i problemi sul tappeto: la sopravvivenza era legata a dimensioni industriali cui soltanto l'apporto di nuovi, rilevanti mezzi, poteva dar vita. Si ricordava che all'indomani dell'Unità, il governo avrebbe voluto affidare tutte le linee dei servizi postali ad un'unica, grande società, ove fosse esistita. Lo stesso Vincenzo Florio aveva fatto dei tentativi proprio con Rubattino, oltre che con G. Accossato, in tempi non ancora maturi. Esistevano ora le condizioni per un incontro dei due imprenditori, tanto più che, attraverso intermediari, già da anni proseguivano reciproci periodici sondaggi col medesimo scopo di accertare la possibilità di una fusione.
Agli inizi del 1881 le trattative si fecero serrate. Una certa ostilità manifestava R. Hofer, il finanziere svizzero parente e consigliere del Rubattino, timoroso che il F., dall'alto della sua forza economica, potesse assumere posizioni di predominio. Malgrado ciò, il 28 marzo le parti sottoscrivevano un contratto preliminare e, nel contempo, presentavano formale istanza al governo per la prescritta approvazione da parte delle Camere.
Immediata fu la reazione delle piccole compagnie, specialmente genovesi, unite nella denunzia della nascita del monopolio marittimo in Italia. Nel tentativo di ritardare le decisioni parlamentari, esse chiesero che ogni provvedimento venisse subordinato ai risultati dell'inchiesta Boselli sulla marina mercantile, allora in corso. Le ragioni favorevoli alla fusione furono però riconosciute di gran lunga prevalenti ed il ministro A. Baccarini presentò un disegno di legge - che dava mandato all'esecutivo di regolare i termini dell'accordo - approvato rapidamente dal Parlamento (l. 23 luglio 1881, n. 339).
Superato lo scoglio politico, il 4 settembre successivo vedeva la luce la Navigazione generale italiana (Società riunite Florio e Rubattino), con un capitale di lire 100.000.000 frazionato in 200.000 azioni da 500 lire, in due serie da 50.000.000 delle quali per ora si emetteva solo una. Il F. e Rubattino conferirono le rispettive imprese ricevendo ciascuno il 40% delle azioni, da dividere coi propri consoci. Il Credito mobiliare sottoscrisse il resto del capitale apportando danaro fresco. Per evitare contrasti municipalistici, e al tempo stesso essere vicini ai centri decisionali, si preferì fissare la sede a Roma. Genova e Palermo conservarono però le funzioni operative di compartimenti.
Coi suoi 83 piroscafi (subito passati ad oltre 100), la Navigazione generale si presentava come il più grande complesso armatoriale mai sorto in Italia. Il F. ci guadagnerà la nomina a senatore (1883). I costi però sopportati dalla collettività sotto forma di premi, unitamente al peggioramento dei servizi, ben presto diventarono oggetto di acceso dibattito all'interno delle sedi ufficiali e presso l'opinione pubblica. I privilegi derivanti dal monopolio si rivelarono di ostacolo ad una conduzione moderna ed attenta della società. Gli utili si distribuivano con regolarità, mentre gli investimenti necessari al rinnovo del materiale superato languivano. L'imprenditoria d'appalto metteva a nudo i propri vizi.
Nel 1882 il F. avviò una fabbrica di porcellane (la Ceramica Florio) che avrà in seguito una funzione promozionale nel design e nello stile liberty in Sicilia.
Egli morì a Palemo il 17 maggio 1891. Aveva sposato nel 1866 la baronessa Giovanna D'Ondes Trigona, dalla quale aveva avuto i figli Ignazio, Vincenzo e Giulia.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. Giulia Florio Afan de Rivera, Carte private Florio, 4 ott. 1868, 8 nov. 1868, 11 nov. 1868, 1° dic. 1868, 15 ott. 1889; Genova, Istituto Mazziniano, Carte Rubattino, nn. 700, 4112a, 4112b, 4723, 4669, 5388, 5390; Torre dei Lago, Arch. U. Orlando, Carte Salvatore Orlando, fasc. Florio; Roma, Arch. centrale dello Stato, Min. Agr., Ind. e Comm. 1860-1899, Div. Ind. e Commercio, b. 20, fase. 166; Ibid., Min. Comunicaz., Direz. gen. Marina mercantile, Ispettorato servizi marittimi, 1861-1930, cart. 115, fase. 11965; cart. 120, fase. 30778; cart. 121, fase. 31709; cart. 123, fase. 63335; cart. 125, fascc. 82594, 83740, 83745, 8862; cart. 127, fasc. 58741; cart. 132, fase. 5628; cart. 138, fascc. 156766, 120, 84183, 73263, 137837, 131504, 67025, 151133, 125615; cart. 139, fascc. 7531, 13529, 7220, 9289; cart. 140, fascc. 140536, 143610, 167066; cart. 141, fascc. 62427, 13633, 96682, 158304; Ibid., Presid. Consiglio dei ministri, Cairoli (1881), fasc. 257; Crispi (1890), cat. 5 spec. 9 sottofasc. 48; Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, tornate dell'8 febbr., 2, 3, e 9 maggio 1877, 29 aprile, 2 e 9 maggio 1885; Idem, Documenti, Disegni di legge e relazioni, 1880-81, nn. 194, 194A; Palermo, Bibl. comunale, segn. 5 Qq-D-146, nn. 9-2, 9-3, 9-4; Ibid., Arch. notarile distrett., Notaio Giuseppe Quattrocchi, 7 marzo 1874, n. 87; Genova, Arch. notarile distrett., Notaio Giuseppe Balbi, 4 sett. 1881, n. 1369 di rep.; Il Commercio di Sicilia, 12-13 apr. 1872; Libertà e diritto, 10 luglio 1873; Camera di commercio ed arti di Palermo, 23 genn. 1876; Relazione della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni della Sicilia..., Roma 1876, passim; La Gazzetta di Palermo, 14 ag. 1877, 15 ag. 1877, 16 ag. 1877, 23 ag. 1877; Il Tempo (Venezia), 6 genn. 1878; Gazzetta di Venezia, 15 febbr. 1878; L'Operaio elettore, 30 maggio 1880, 10, 18 luglio 1880; Roma, Ministero di Agr., Ind. e Comm., Annali dell'Ind. e del Comm. 1880, n. 15, Roma 1880, pp. 789 s.; Giornale di Sicilia, 9, 12, 14 febbr. 1881; A. Codignola, Rubattino, Bologna 1938, pp. 516 ss., 520 n.; Diz. dei siciliani illustri, Palermo 1939, pp. 156 s.; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 381 s.; D. Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Bari 1970, ad Indicem; R. Trevelyan, Principi sotto il vulcano, Milano 1977, ad Indicem; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Palermo 1985, II, pp. 68, 147, 159, 278 e passim; R. Giuffrida - R. Lentini, L'età dei Florio, Palermo 1985, passim; S. Candela, I Florio, Palermo 1986, ad Indicem; E. Iachello - A. Signorelli, Borghesie urbane dell'Ottocento, in Stona d'Italia (Einaudi), Le Regioni dall'Unità a oggi. La Sicilia, Torino 1987, pp. 116, 125, 134 s., 139; O. Cancila, Palermo, Bari 1988, passim; Id., I grandi siciliani Vincenzo e I. Florio, Suppl. de L'Ora, 29 nov. 1989, pp. 47-57, 59-61 e passim. Sulla Ceramica Florio si veda l'omonimo volume (Palermo 1985); O. Cancila, La Società di navigazione "Tirrenia - Flotte Riunite Florio - Citra". 1932-1936, in Fra spazio e tempo. Studi in onore di L. De Rosa, III, a cura di I. Zilli, Napoli 1995, pp. 155-179. Sul quadro generale dell'imprenditoria in Sicilia si veda L'economia dei Florio, Palermo 1990.