FLUIDODINAMICA (App. III,1, p. 629)
Ci si limita qui a fare cenno di metodi di ricerca che sono stati applicati recentemente con notevole successo in f. e di nuove applicazioni che hanno assunto notevole rilevanza.
Metodi di ricerca. - Sono essenzialmente due: il metodo degli sviluppi asintotici raccordati (matched asymptotic expansions) e il metodo degli elementi finiti.
Metodo degli sviluppi asintotici raccordati. - Originariamente proposto nei suoi principi fondamentali da K.O. Friedrichs nel 1953, sistematicamente sviluppato da S. Kaplan e P.A. Lagerstrom nel 1957, ha successivamente avuto numerosissime applicazioni a una grande varietà di problemi, così da costituire in questi ultimi anni uno dei mezzi più potenti d'indagine in f. e in genere in fisica-matematica. Qui ci si limita a qualche cenno sul principio su cui il metodo stesso si basa e sulle ricerche a cui esso ha dato luogo.
Si consideri un problema definito da un'equazione differenziale
e da condizioni al contorno
dipendenti da un parametro adimensionato ε piccolo (ε ≪ 1), in modo tale che l'ordine dell'equazione differenziale si riduce, o il tipo dell'equazione stessa cambia per ε = 0, mentre il numero delle condizioni al contorno rimane inalterato. Si cerca innanzitutto una soluzione della [1] nella forma di uno sviluppo asintotico in serie di ε, per ε → 0 con xi fissi,
essendo le δn (ε) una sequenza appropriata di funzioni di ε tali che
Per il modo col quale le ψ(ne) sono ricavate, esse non soddisfano in generale a tutte le condizioni al contorno [2], e di conseguenza lo sviluppo [3] non è uniformemente valido. Supposto che sia solo sulla parte λ della frontiera Λ del dominio in cui le dette condizìoni, in tutto o in parte, non sono soddisfatte, in prossimità della λ si pone
essendo le ϕi tali che, facendo tendere ε a zero, tenendo costanti le Xi, le xi tendano ai valori corrispondenti ai punti di λ. Si cerca quindi una soluzione della [1] nella forma di uno sviluppo asintotico in serie di ε, per ε → 0 con Xi fisso,
in cui le Δn (ε) soddisfano a condizioni analoghe alle [4], e possono essere uguali, o anche diverse dalle δn: si deve avere cura, in ogni caso, che con la trasformazione di coordinate [5] l'equazione definente la ψ(i) nella sua prima approssimazione (corrispondente a ε = 0) conservi tutti gli elementi essenziali che sono perduti nella prima soluzione [3], e quindi, in particolare, il passaggio al limite non porti a un abbassamento di ordine, o a un cambiamento di tipo della [1]. Si può perciò imporre che la ψ(i) isoddisfi a quelle condizioni al contorno, che sono state trascurate nella determinazione della ψ(e), mentre, in generale, le condizioni al contorno relative alla parte (Λ − λ) perdono significato per la ψ(i) stessa.
La soluzione [3] si ritiene dia, in generale, un'approssimazione sufficiente in tutto il dominio eccettuata la parte di questo in vicinanza della λ (regione esterna), ed è chiamata "soluzione esterna", così come le xi sono indicate come coordinate esterne; al contrario, la [6] è considerata come soluzione approssimata nella regione prossima alla λ (regione interna) ed è chiamata "soluzione interna", mentre le coordinate trasformate (stretched coordinates) sono dette "coordinate interne".
Le ψ(e) e ψ(i) conterranno ciascuna costanti (o funzioni) arbitrarie, di guisa che la loro completa determinazione richiede la determinazione di dette costanti (o funzioni), e questo è ottenuto imponendo che le due soluzioni si raccordino (matching process): si esprime la ψ(e) nella regione interna ponendo in essa xi = ϕ i-1 (Xi, ε), e la ψ(i) nella regione esterna ponendo in essa Xi = ϕi (xi, ε); si sviluppano poi le due espressioni in serie di ε e s'impone la condizione che i due sviluppi (ψ(e))(i) e (ψ(i))(e) siano legati l'uno all'altro dalla trasformazione [5].
Il procedimento conduce a un risultato utile se le regioni di validità delle [3] e [6] hanno una parte a comune, e questo è quanto molte volte si verifica: in questa ipotesi, una sufficiente approssimazione per la ψ valida in tutto il dominio è data dallo sviluppo composto
Il procedimento ora indicato ha parecchi punti di contatto col metodo delle coordinate dilatate (method of stretched coordinates) proposto da M. J. Lighthill, che qualche volta è di più elegante applicazione, ma che è di più limitata validità.
Esempio tipico di applicazione del metodo ora indicato è quello relativo al flusso di una corrente viscosa incompressibile, all'infinito uniforme di velocità U∞ a contatto di una lamina piana semiinfinita nella direzione di U∞.
L'equazione di Stokes-Navier per la funzione di corrente del campo è
colle condizioni al contorno corrispondenti
Nella [7] la ψ è stata resa adimensionata dividendo la funzione di corrente per U∞ L, se L è un'arbitraria lunghezza di riferimento, mentre Re è il numero di Reynolds dato dalla Re = U∞ L/ν (ν è la viscosità cinematica); Δ2 è il laplaciano, ovvero l'operatore (ῼ2/ῼx2 + ῼ2/ῼy2). Si pone ψ(e) = δ1 (Re) ψ1(e) + δ2 (Re) ψ2(e) + ...; si riconosce che si deve prendere δ1 (Re) =1, mentre risulta ψ1 (x, y) = y. Analogamente posto ψ(i) = Δ1 (Re) ψ1(i) (x, Y) + Δ2 (Re) ψ2(i) (x, Y) + ... si ricava Δ1 (Re) = (Re)-1/2 e Y = (Re)1/2 y, mentre utilizzando le condizioni di raccordo tra le ψ1(e) e ψ1(i) si ottiene:
essendo f1 (η) la funzione di Blasius. Procedendo a una successiva approssimazione, e valendosi sempre delle condizioni di raccordo si ottiene prima δ2 (Re) = (Re)-I/2; e quindi:
e infine Δ2 (Re) = (Re)-1. Col simbolo ℛ si è indicata la parte reale della funzione complessa indicata, mentre nella deduzione della [8] ci si vale dell'espressione asintotica della f1 (η) per η → ∞ (f1 (η) = η − β + ... = ηy − 1,21678).
Appare perciò che a meno di termini dell'ordine di (Re)-1 è:
Metodo degli elementi finiti. - I concetti fondamentali sui quali il metodo si basa furono indicati da R. Courant nel 1943, ma il metodo stesso fu esposto in modo organico per la prima volta da M.J. Turner e altri nel 1956. Esso ebbe subito una larga diffusione nello studio dei problemi di elasticità, mentre le sue applicazioni in f. sono molto più recenti, e, almeno nelle prime applicazioni, limitate in casi in cui esistono principi variazionali, dai quali le equazioni del moto possono essere ricavate (fluidi perfetti, o moti "lenti" di fluidi viscosi), e questo in analogia a quanto avviene nella teoria dell'elasticità. Si dànno qui ora solo alcuni cenni indispensabili per la comprensione della possibilità dell'applicazione del metodo ai problemi fluidodinamici piani di fluidi incompressibili, per quanto l'estensione ai moti tridimensionali sia relativamente semplice.
Si consideri il moto di un mezzo continuo in un dominio chiuso S, e, con riferimento a un sistema di assi cartesiani ortogonali, siano xi le coordinate di un generico punto P in S, e ui (xi, t), p (xi, t) le componenti della velocità e la pressione in P. Si sostituisce S con un dominio S* risultante da un numero finito H di subdomini S(h), che costituiscono gli elementi finiti, scelti in modo che sia S ≈ S* = UHh=1 S(h).
Ciascuno dei subdomini S(h) ha una forma geometrica semplice (per es., triangolare o rettangolare), e presenta un numero finito Nh di nodi (che potrebbe anche variare da elemento a elemento) di coordinate xNi(h) (i = 1, 2; h - 1, 2, ..., H; N = 1, 2, ..., Nh). Si esprimono quindi la velocità u e la pressione p nel punto generico P di un elemento qualsiasi con le
in cui le uNi(h) (t) e pNi(h) (t) sono rispettivamente la velocità e la pressione nel nodo N dell'elemento S(h), mentre ϕN(h) (xi) e ψN(h) (xi) sono funzioni (per es., lineari) d'interpolazione, che hanno le seguenti proprietà
Il problema è così ridotto alla determinazione delle incognite uN(h) (t) e pN(h) (t): ora, come già si è detto, non esiste in f. un principio variazionale che consente di ottenere le equazioni di Stokes-Navier del moto estremando un dato funzionale, e pertanto la determinazione sopraddetta non può essere fatta nel modo usuale per i problemi di elasticità. È stato peraltro dimostrato da S.M. Deshpande (1973), che nel caso di moto stazionario esiste un sistema di equazioni differenziali funzionali, che sono equivalenti alle equazioni di Stokes-Navier; questo risultato può essere facilmente esteso ai moti non stazionari, e precisamente si ottiene: siano
in cui
essendo ρ la densità del fluido, k il versore della normale orientata al piano del moto, mentre gl'integrali a secondo membro delle [10] sono estesi a tutto il dominio S e a un intervallo qualsiasi T di tempo, durante il quale il moto è considerato. Se si indicano con δD* e con δℰ* le variazioni di D* e di ℰ* per variazioni arbitrarie δu1, δu2, δp di u1, u2, p soggette soltanto alla condizione di annullarsi alla frontiera di S e agli estremi dell'intervallo T, si trova che, per le funzioni u1, u2 e p soddisfacenti alle equazioni di Stokes-Navier, dev'essere
S'inseriscano le [9] nelle [10] e [11] e si ponga
Si ricava, tenendo conto delle [12], le
in cui:
che permettono di ricavare le equazioni differenziali ordinarie definenti le uNi(h) e le pN(h), note le condizioni iniziali.
Applicazioni del metodo degli elementi finiti, sia pure con tecniche diverse da quella cui qui si è accennato, sono state fatte da parecchi autori fra i quali C. Taylor e P. Hood, R. T. Cheng, M. D. Olson, J. T. Oden e L. G. Wellford: degni di nota sono i risultati ottenuti da R. T. Cheng nella determinazione della velocità in un condotto presentante una contrazione dell'area della sezione retta del 40% e per un numero di Reynolds uguale a 25, per l'interesse che essi hanno in emodinamica, e per i quali si rimanda alla nota citata in bibliografia.
Nuove applicazioni. - Fluidodinamica asimmetrica. - Notevole rilievo hanno avuto in questi anni le applicazioni della f. ai fluidi biologici, in particolare al sangue, e in generale a fluidi contenenti elementi che presentano una propria struttura, o gradi di libertà interni, come ioni, atomi, molecole, oppure bolle, particelle materiali diverse da quelle del fluido circostante in moto, e infine anche elementi vorticosi (in turbolenza). Questi fluidi sono designati spesso come fluidi orientati, o fluidi polari, o anche fluidi strutturati o microfluidi; gli elementi strutturati hanno una propria massa intrinseca, proprie quantità di moto ed energia, e un proprio momento di quantità di moto, così come posseggono proprietà fisiche, quale la viscosità, che sono generalmente diverse da quelle del fluido nel quale sono immersi.
Si deve pertanto considerare il campo delle velocità di deformazione e di rotazione dei detti elementi, in aggiunta a quello delle velocità del fluido preso nel suo complesso, definite prendendo i valori medi in modo opportuno delle velocità dei baricentri degli elementi strutturati in ogni elemento di volume, le cui dimensioni lineari sono molto piccole rispetto a quelle del campo di moto, ma molto grandi rispetto a quelle che caratterizzano le dimensioni delle particelle strutturate. Il mezzo può ancora essere considerato continuo, ma nello scrivere le equazioni che esprimono la conservazione delle quantità di moto, del momento delle quantità di moto e dell'energia occorre tener conto delle interazioni tra gli elementi strutturati e il fluido che li circonda, e tra gli elementi stessi fra loro; in particolare, la differenza fra la rotazione di questi e il rotore della velocità del fluido (mediata come sopra si è detto) comporta una asimmetria del tensore delle tensioni interne, mentre in aggiunta a detto tensore (del secondo ordine e corrispondente al microtrasporto delle quantità di moto) si ha un tensore (di terzo ordine) delle coppie interne di tensione (corrispondente al microtrasporto dei momenti delle quantità di moto degli elementi strutturati), che ha pure proprietà asimmetriche.
Dalla dissimmetria dei tensori delle tensioni e delle coppie interne deriva il nome di "f. asimmetrica" dato alla dinamica dei fluidi strutturati: la considerazione di mezzi continui aventi proprietà analoghe a quelle qui indicate, accennata per la prima volta da P.-M. Duhem fin dal 1893 e oggetto di trattazione da parte dei fratelli E. e F. Cosserat un poco più tardi, nel 1909, ma limitatamente ai solidi deformabili, fu posta su rigorose basi matematiche da J. L. Ericksen e C. A. Truesdell nel 1958, ed ebbe successivamente da parte di A. G. Eringen, S. J. Allen, J. N. De Silva, J. S. Dahler, D. W. Condiff, K. A. Kline, A. D. Kirwan, E. L. Aero, A. N. Bulygin e E. V. Kuvshinskii e numerosi altri, sempre più approfondite trattazioni e applicazioni a problemi specifici del moto dei fluidi.
Come conseguenza delle proprietà sopra indicate, per i mezzi fluidi strutturati le equazioni che esprimono la conservazione del momento delle quantità di moto (equazioni di Helmholtz) non risultano più conseguenza di quelle esprimenti la conservazione delle quantità di moto (equazioni di Stokes-Navier): si indicano qui, per ovvi motivi di limitazione di spazio, dette equazioni soltanto per fluidi incompressibili e per elementi strutturati rigidi. Si ha:
in cui ρ è la densità del fluido considerato come mezzo continuo, e ui la sua velocità; Tij è il tensore delle tensioni totali agenti in corrispondenza di un elemento arbitrario del fluido stesso; li è il momento risultante delle quantità di moto degli elementi strutturati, per unità di massa, rispetto all'asse xi; Cik è il tensore delle coppie interne, e l'indice dopo la virgola indica derivazione rispetto alla coordinata che ha lo stesso indice; εijk è il tensore alternante di Levi-Civita; fi e Φi sono rispettivamente la forza e il momento, per unità di massa, esercitati dall'esterno sull'elemento in esame. Nelle [13] si è poi usata la convenzione usuale che l'indice ripetuto porta la sommatoria rispetto all'indice stesso, mentre (d/dt) indica la derivata sostanziale, eseguita cioè considerando sempre la medesima particella in movimento.
Quanto alle equazioni che esprimono il principio di conservazione della massa, esse sono date dalle:
in cui c è la concentrazione degli elementi strutturati, ossia la massa di questi contenuta nel volume di massa unitaria, mentre qk è il vettore che definisce il flusso di questi per diffusione. Alle leggi di conservazione [13] [14] è ancora necessario aggiungere le equazioni costitutive, ossia le equazioni che esprimono le leggi reologiche di dipendenza dello stato di tensione dalle grandezze caratteristiche del moto, che eccitano tale stato. Dette equazioni costitutive sono state date dagli autori sopra citati, e per il caso di elementi rigidi esse si riducono alle:
mentre il vettore q risulta definito dalla
D è il coefficiente di diffusione, e k il coefficiente di presso-diffusione, o coefficiente di permeabilità del fluido attraverso gli strati degli elementi strutturati; η1 è l'ordinario coefficiente di viscosità, mentre η2, η3, η4, η5 rappresentano coefficienti di viscosità rotazionale e le α sono coefficienti strutturali.
Le condizioni al contorno per le [13] e [14], per le u e c, sono identiche a quelle usuali nella f. dei mezzi continui ordinari; non è facile invece stabilire le analoghe condizioni per la ω, o almeno non sono sufficientemente chiarite le cause fisiche che possono determinare tali condizioni. È verosimile che dette cause debbano essere analizzate a parte per ogni tipo di problema concreto; è però plausibile che esse debbano essere del tipo
in cui le αik sono costanti, che hanno il significato di coefficienti di attrito superficiale rotazionale, S è la superficie sulla quale le condizioni si applicano, νk è il vettore della normale a S.
Numerose e interessanti sono le applicazioni che delle equazioni sopra indicate sono state fatte: così per es., A.S. Popel, S.A. Regirer e P.L. Usick nello studio del flusso del sangue entro i vasi sanguiferi hanno potuto spiegare lo spostamento radiale dei globuli rossi dalla parete verso l'asse di detti vasi, in conseguenza del quale si forma uno strato di plasma adicante alla parete stessa quasi del tutto privo di globuli rossi. È questo un fenomeno che fu già scoperto sperimentalmente da M. Malpighi circa tre secoli fa, e che è del tutto analogo a quello riscoperto recentemente in idrodinamica e ribattezzato come tubular pinch effect o effetto Segrè-Silberboerg, nel quale, per flussi entro condotti tubolari contenenti particelle in sospensione, queste emigrano lateralmente sia dalla parete sia dall'asse del tubo tendendo a concentrarsi in un anello tra l'asse e la parete a circa 6/10 del raggio del condotto dall'asse. Per effetto del fenomeno ora indicato, poiché il plasma sanguigno ha una resistenza al flusso, a parità di velocità, alquanto minore di quella del sangue, ne deriva una resistenza più piccola, e tanto più piccola quanto minore è il raggio del vaso. Rimane così spiegato anche l'effetto noto come effetto Fähreus-Lindqvist.
Riduzione dell'attrito turbolento con additivi. Effetto Toms. - Ai problemi cui sopra si è fatto cenno se ne ricollegano altri, che sono stati originati dalla scoperta che l'attrito turbolento può essere drasticamente ridotto dalla presenza nella corrente fluida di particelle in sospensione, o in soluzione: sono efficaci, a questo riguardo, sia particelle solide come granellini di sabbia o fibre di asbesto o di nailon, sia, e soprattutto, macromolecole di polimeri a struttura lin eare.
L'origine di questa scoperta non è ben chiara: sembra che sia stato U.A. Vanoni il primo a rilevare nel 1946 che grani di sabbia in sospensione in acqua incrementavano, a parità di potenza spesa, la portata del flusso in un condotto, mentre K.J. Mysels press'a poco nella stessa epoca notava che la portata di benzina in una tubazione di alimentazione per carri armati aumentava se la benzina era resa più densa con l'aggiunta di napalm. Fu però B.A. Toms nel 1948 a dare per la prima volta una descrizione chiara, dal punto di vista scientifico, del fenomeno, che perciò è designato come effetto Toms. Egli sperimentò con soluzioni in varie concentrazioni di poliacetilmetacrilato in monoclorobenzene in tubi di vario diametro, e dimostrò: a) la riduzione dell'attrito avviene solo quando il flusso è turbolento; b) per una data concentrazione del polimero e per un dato numero di Reynolds, la riduzione è tanto più grande quanto minore è il diametro del tubo; c) l'effetto riduttore si verifica solo quando la tensione tangenziale alla parete (τp) supera un valore critico. A quest'ultima proprietà P.S. Virk diede nel 1966 una formulazione più precisa mostrando che l'effetto Toms incomincia a verificarsi quando il rapporto tra la dimensione lineare della macromolecola in soluzione, misurata dal raggio d'inerzia medio di questa, ( 〈s2>1/2) e la microscala della turbolenza (λ) raggiunge un dato valore c; poiché si può assumere a misura di λ la
il criterio di Virk porta a scrivere, come condizione necessaria perchè si abbia riduzione dell'attrito
Dagli esperimenti di Virk, di Toms, e di Herbert e Zakin appare che è c1 = 0,015 ± 0,005. È da notare che la c1 ha il carattere di una costante universale, in quanto sembra non dipendere né dal tipo e dalla concentrazione del polimero in soluzione, né dal diametro del condotto, né dal tipo di solvente. Altri risultati di grande interesse sono i seguenti.
a) È minima la quantità di additivo necessaria per ottenere notevoli effetti riduttori dell'attrito; in effetti bastano 18 parti per milione (in peso) di ossido di polietilene (di massa molecolare 0,76 × 106) in acqua per ridurre l'attrito del 33%. Col crescere della concentrazione l'effetto riduttore cresce, ma tende rapidamente a un valore massimo (del 75% ÷ 80%) ancora per poche decine di parti per milione del soluto (≈ 200 p. p. m.). È notevole il fatto che a così forti diluizioni né la densità né la viscosità del solvente varino in modo sensibile.
b) L'effetto dell'additivo si esplica essenzialmente nel sottostrato laminare (ed eventualmente nello strato di transizione), il che è dimostrato dal fatto che, se s'inietta tale additivo a parete, si ha una drastica riduzione dell'attrito a poca distanza dal punto d'iniezione e la riduzione diminuisce a distanza, quando per effetto della diffusione l'additivo iniettato si estende a tutta la sezione del condotto. Al contrario, se l'iniezione avviene in corrispondenza dell'asse del tubo, non si ha effetto riduttore se non a distanza abbastanza grande perché l'additivo si porti per diffusione fino in adiacenza alla parete. Altra dimostrazione indiretta della proprietà ora detta è che la legge di variazione della velocità media nella sezione trasversale del condotto è sempre data dalla legge logaritmica
in cui A ha lo stesso valore che nel caso del solvente puro, mentre B varia (e precisamente cresce). L'invarianza di A indica che il polimero non ha effetto diretto sul flusso completamente turbolento, mentre la variazione di B mostra che esso influenza notevolmente il sottostrato laminare, il cui spessore cresce.
c) È stato sperimentalmente constatato che le macromolecole sono adsorbite alla parete del condotto; uno strato macromolecolare adsorbito non avrebbe però uno spessore sufficiente per influenzare in modo sensibile il flusso nel sottostrato laminare, il cui spessore è di qualche ordine di grandezza più elevato di quello dello strato adsorbito; senonché è stato pure constatato che le molecole adsorbite assumono configurazioni tali da favorire l'allacciamento al primo strato ancorato alla parete di altri successivi strati, il cui spessore complessivo può essere dello stesso ordine di quello del sottostrato laminare. Una riprova di queste proprietà sta nel fatto che se in un tubo, lungo il quale si è fatta fluire una corrente fluida con additivo attrito-riduttore, il flusso della soluzione è arrestato e sostituito con flusso di solvente puro, l'effetto riduttore persiste per un tempo fino a 15 minuti primi e più, a seconda delle condizioni del flusso.
Quest'ultima proprietà può forse permettere di superare quello che è stato ed è la più grande difficoltà di spiegare come e perché la riduzione dell'attrito avvenga, difficoltà insita nella proprietà affermata dalla [15], che le dimensioni della macromolecola sono di due ordini di grandezza minore di quella della microscala della turbolenza; e forse per ottenere tale spiegazione è necessario, oltre che tener conto della proprietà (c) sopra indicata, applicare le equazioni della f. asimmetrica, delle quali si è dato un cenno sopra. Tuttavia le ricerche in questo campo sono ancora troppo lontane dall'avere conseguito risultati sicuri, perché di esse si possa dare un cenno qui.
Può invece essere opportuno osservare che il fenomeno ora considerato può dare ragione di quello che è stato chiamato "paradosso di Gray", per il quale, per parecchie famiglie di Pesci, il raggiungimento di velocità così elevate come quelle osservate non dovrebbe essere possibile, perché esse richiederebbero una potenza notevolmente più grande di quella compatibile col peso della muscolatura dei pesci stessi. In effetti, recenti esperimenti di M.W. Rosen e N.E. Cornfold hanno pienamente avvalorato la congettura di Brader, che risale al 1926, per la quale una notevole riduzione dell'attrito doveva essere prodotta dal muco secreto dalla pelle dei pesci. Gli autori sopra citati, infatti, presero vari esemplari vivi di diverse famiglie di Pesci, e immediatamente dopo averli tolti dall'acqua e fatto defluire dai loro corpi l'eccesso di acqua, di cui erano impregnati, prelevarono campioni dell'umore vischioso secreto dalla loro pelle. Il muco fu quindi diluito in varie concentrazioni, sia in acqua pura, sia in acqua di mare, e le varie soluzioni furono sperimentate con reometro di Hoyt. Risultò che per quasi tutti gli esemplari provati la riduzione dell'attrito è notevole, fino a raggiungere, per una concentrazione del 5% della soluzione sopra indicata, il 76%.
Altre proprietà che gli esperimenti citati hanno messo in luce sono: a) questo muco, posto in acqua tranquilla, non si scioglie in essa; la soluzione avviene solo agitando e rimescolando fortemente; b) la minima quantità di sostanze organiche, che il pesce deve perdere, per ridurre in misura sostanziale l'attrito (non più del 5,7 p. p. m. delle sue sostanze solide organiche).
Rosen e Cornfold hanno quindi formulato le seguenti ipotesi: per la maggior parte del tempo i pesci nuotano a velocità piccola abbastanza perché il flusso nello strato limite sia laminare, e in queste condizioni, data l'immiscibilità del muco, lo straterello di questo, che è aderente alla sua pelle, rimane ancorato a questa. Ma nei periodi relativamente brevi, nei quali il pesce deve nuotare velocemente per catturare la preda, o per sfuggire a un pericolo, lo strato limite diventa turbolento; una parte, sia pure minima, del muco, in conseguenza del rimescolamento turbolento si scioglie nell'acqua, e si verificano così le condizioni per una drastica riduzione della resistenza al moto.
A questo riguardo è ancora opportuno dire che i prodotti del metabolismo organico di parecchi altri organismi viventi, oltre ai Pesci sono efficienti nella riduzione dell'attrito: produttori di sostanze attrito-riduttrici sono per es. i Dinoflagellati marini, le Diatomee, e alghe marine come Ulva, o di acqua dolce come Anabaena floss-aquae; o ancora batteri come le Xantomonas campestris, o della specie Pseudomonas, Bacillus e Neisseria.
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