fobia
Paura morbosa, angoscia eccessiva e ingiustificata, provata dal soggetto in situazioni specifiche o in presenza di oggetti specifici, che normalmente non la giustificano razionalmente. Pur rimanendo il più delle volte cosciente della sproporzione della sua reazione emotiva rispetto alla sua causa e pur criticandola, il paziente fobico si trova nell’impossibilità di dominarla ed è tipicamente costretto ad adottare comportamenti e strategie, anche complessi, al fine di evitare il contatto con la situazione o con l’oggetto temuti (condotte di evitamento).
La f. rientra classicamente nel gruppo delle nevrosi. La psichiatria classica la descrive come una angoscia non liberamente fluttuante ma piuttosto legata a situazioni od oggetti che assumono per il paziente un significato minaccioso. La capacità del paziente di riconoscerne la natura psicopatologica (coscienza di malattia) è di fondamentale importanza per la diagnosi differenziale rispetto a condotte e sintomatologie di tipo psicotico. Sebbene i sintomi fobici siano spesso associati a sintomi e condotte ossessivo-compulsivi (➔ ossessivo-compulsivo, disturbo), la tendenza attuale è di descriverne i quadri clinici separatamente. Sono state in passato proposte svariate classificazioni delle f.: per es., f. di oggetti, di luoghi, di esseri viventi, di fenomeni organici, ecc.; oppure f. riferite alle qualità fisiche del mondo non animato versus f. legate alle dinamiche socioantropologiche umane. Spesso la classificazione comprendeva l’aggiunta di lunghi e minuziosi elenchi di termini derivati per lo più dall’etimologia greca dell’oggetto o della situazione causa della f.: per es., claustrofobia (paura dei luoghi chiusi), rupofobia (paura di sporcarsi), ereutofobia (paura di arrossire), ecc. Ciò che tuttavia ha storicamente assunto un valore teorico fondamentale, e che ha aperto la strada a una elaborazione psicoterapeutica della f., è stata l’eluci;dazione, da parte della psicoanalisi, dei meccanismi psicopatologici inconsci all’opera nella formazione del sintomo fobico.
Nel saggio Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans) di Sigmund Freud (1908) è contenuta la prima chiara descrizione della psicopatologia fobica dal punto di vista psicoanalitico. Freud riconosce nella rimozione del complesso di Edipo (➔) e nella trasformazione della relativa angoscia di castrazione le due radici fondamentali del disturbo fobico del bambino (che, nel caso studiato, consisteva nella paura irrazionale di essere morso da un cavallo), e fa perciò rientrare la f. nell’ambito più generale della malattia isterica, con il nome di isteria ➔) d’angoscia. Infatti il meccanismo psicopatologico fondamentale che opera nell’isteria è appunto la rimozione (➔) delle rappresentazioni psichiche connesse al complesso edipico, mentre ciò che distingue le due principali forme cliniche dell’isteria (isteria di conversione e isteria d’angoscia) è il destino dell’affetto collegato (che per Freud è un quantum di energia libidica). Nella conversione isterica, l’affetto si traduce nel sintomo somatico (motorio, sensitivo-sensoriale o neurovegetativo), mentre nell’isteria d’angoscia esso subisce un destino diverso e si trasforma nel sintomo fobico.
Proiezione e spostamento sono i due meccanismi di difesa specifici (➔ difesa, meccanismi di) che entrano in azione nel processo di formazione del sintomo fobico. La proiezione (uno dei meccanismi di difesa più arcaici, all’opera soprattutto nella paranoia) consiste nel fatto che il soggetto espelle da sé e localizza nell’altro, proiettandolo quindi all’esterno, un contenuto mentale o un affetto sentito come non accettabile; mentre lo spostamento è una operazione difensiva per la quale un contenuto mentale si lega (appunto, si sposta su) a un oggetto (persona o cosa) diverso da quello originale, legato però a quest’ultimo da un nesso associativo. In questo modo, nel meccanismo di formazione della f., l’affetto originariamente collegato alla rappresentazione rimossa viene proiettato all’esterno e spostato in un oggetto diverso, dal quale il soggetto può tenersi difensivamente lontano. La formazione del sintomo fobico rappresenta così il prezzo pagato dal soggetto per allontanare da sé un contenuto mentale altamente conflittuale generante angoscia. Nel caso del piccolo Hans, l’ostilità edipica nei confronti del padre, proiettata all’esterno, diventa angoscia di essere attaccato dal padre per vendetta. Questa angoscia è successivamente spostata sulla figura del cavallo, che diventa così l’oggetto della f. del bambino.
Il complesso edipico rimane il fulcro centrale dello sviluppo psicosessuale del soggetto umano. La psicoanalisi contemporanea ha tuttavia sempre di più sottolineato la frequenza e l’importanza clinica delle angosce legate alle prime fasi dello sviluppo, soprattutto nell’area precoce della separazione-individuazione, angosce che si sovrappongono, rafforzandole, alle angosce edipiche più evolute. Alcune forme particolari di f. (soprattutto l’agorafobia e la claustrofobia) sembrano affondare le loro radici più profonde in queste angosce primordiali che riguardano la definizione del sé rispetto alla realtà esterna (secondo Jacqueline Amati Mehler) e sono anche per questo motivo considerate le più difficili da trattare con l’approccio psicoanalitico.