FOGLIANI SFORZA D'ARAGONA, Giovanni
Nacque a Piacenza il 3 ott. 1697 dal marchese Giuseppe e da Rosa Malvicini Fontana, ultima della sua casata, ambedue discendenti di nobili famiglie piacentine, dalle quali il F. ereditò il titolo di marchese e i feudi di Pellegrino e Castelnuovo de' Terzi nel Piacentino e Vighizzolo nel Tortonese. Indirizzato alla vita di corte presso i Farnese, nel 1714, quando Elisabetta andò in Spagna per sposare Filippo V, il F. la seguì insieme con la moglie Maria Teresa Ala Ponzoni, dama di compagnia della futura regina.
L'iniziale fortuna del F. si svolse all'ombra di questa sovrana e della sua caparbia politica volta a dare al figlio, don Carlos, un trono negli Stati italiani su cui i Farnese esercitavano la loro signoria o vantavano diritti. Inserito nella trama di relazioni diplomatiche che la regina andava tessendo con le potenze europee che di volta in volta sembravano disposte a sostenere i suoi progetti, il F. sviluppò le sue capacità accompagnando Carlo in tutte le tappe del percorso che lo portò alla conquista dei Regni di Napoli e di Sicilia. Egli fu tra i dodici gentiluomini di camera al seguito di Carlo quando questi, nel 1731, in seguito alla morte del duca Antonio Farnese e in virtù del trattato di Siviglia (1729), si recò in Italia per far valere i diritti alla successione a Parma e Piacenza e in Toscana.
Nei primi anni di permanenza dell'infante in Italia il F. non ricoprì alcun particolare ruolo. Solo quando, in seguito alla guerra di successione polacca, Carlo di Borbone ottenne i troni di Napoli e Sicilia (1734-35) il F. ebbe incarichi diplomatici: nel complesso nemmeno dieci anni di carriera, condotta senza grandi successi.
Nel 1737 fu inviato in veste non ufficiale presso il granduca di Toscana, proprio nei mesi dell'agonia di Giangastone de' Medici e del passaggio del potere ai Lorena. Il suo ruolo nella gestione dei rapporti con il nuovo granduca e con la potenza austriaca fu poco determinante, soprattutto perché si trovava a rappresentare un sovrano che regnava ancora sotto la piena tutela della Spagna.
Nel novembre del 1737 la destinazione del F. mutò per la Repubblica di Genova, con la quale Napoli aveva intensi e frequenti rapporti commerciali.
La sua azione non riuscì a mitigare i contrasti che nel corso dei due anni successivi sorsero tra i due Stati a causa della Corsica, sulla quale la Spagna nutriva mire in nome del re di Napoli, ma che era stata posta di fatto, anche se segretamente, dalla Francia e dall'Austria sotto il protettorato di Genova. Nel 1738egli dovette fronteggiare le ire dei Genovesi perché Napoli aveva lasciato fuggire, dopo la cattura, l'indipendentista corso Teodoro di Neuhof. A questa crisi si aggiungevano i contrasti per il diritto accordato dalle potenze a Carlo di Borbone di reclutare truppe nel territorio della Repubblica, a compenso delle rendite che i Genovesi titolari di feudi nel Regno di Napoli trasferivano nella loro terra d'origine.
L'anno successivo il F. fu perciò richiamato a Napoli e inviato nuovamente a Firenze, dove tra il 1739 e il 1740 risiedé il granduca Francesco Stefano di Lorena con la moglie Maria Teresa d'Austria. Il F. fu giudicato l'uomo adatto, per il suo fascino e la sua conoscenza della vita di corte, ad accogliere e complimentare i granduchi. Neanche questa missione sortì effetti positivi e concreti; non si stemperò infatti la tensione sorta tra le due corti a proposito dei beni allodiali dei Medici, che Carlo rivendicava come propri, essendo beni privati della famiglia di cui era discendente e non dello Stato, ma i cui diritti erano stati ceduti dalla sorella dell'ultimo Medici ai Lorena.
Il permanere dei contrasti con l'Austria non impedì al re di Napoli di rinsaldare i suoi legami internazionali. Furono intrecciati rapporti con la Repubblica olandese con obiettivi prevalentemente commerciali e il F. fu inviato all'Aja come ministro plenipotenziario. In questo periodo, grazie alla neutralità delle Province unite, egli non si occupò delle vicende della guerra di successione austriaca che coinvolse molti Stati europei e lo stesso Regno di Napoli. Unica eccezione fu una breve missione a Londra (1743), volta a mitigare i contrasti tra i due Stati, culminatì l'anno prima nell'umiliazione inflitta da una squadra navale inglese, che aveva ingiunto a Carlo di ritirare la flotta e di chiudersi in una posizione di neutralità. Per il resto si occupò all'Aja di questioni commerciali, ma non riuscì a pervenire alla stipula di un trattato, che sarà stilato solo nel 1753.
Nella primavera del 1746 il F. fu richiamato a Napoli per assumere la carica di primo ministro ed in particolare la cura degli Affari esteri, di Casa reale, Guerra, Marina e Commercio. Iniziava così un decennio in cui egli fu in qualche misura protagonista della vita politica napoletana, anche se il suo contributo viene scarsamente considerato dagli storici (con l'unica eccezione di G. Coniglio), che giudicano il F. un uomo politico di scarso valore e una figura di secondo piano rispetto a B. Tanucci. D'altra parte la nomina del F. avveniva subito dopo la morte di Filippo V di Spagna, in sostituzione dell'abile J. Joaquin marchese di Montealegre, ritenuto dalla regina Maria Amalia di Sassonia e dal suo partito troppo legato alla politica di Madrid e troppo riformatore. Il F. invece era sostanzialmente un conservatore, ma non tanto per una scelta ideologica, quanto per la sua indole apatica e timorosa, che lo rendeva adatto soprattutto alla normale amministrazione, ad una conduzione statica dei rapporti diplomatici, e quindi non in grado dì destreggiarsi nelle situazioni difficili, che richiedevano allo stesso tempo prudenza e fermezza, intraprendenza e sicurezza.
I primi anni del suo mandato coincisero con un importante momento di trasformazione e di riassestamento per il Regno di Napoli, dovuto alla volontà di affrancarsi dall'influenza spagnola e di riaffermare la propria dignità nell'ambito dei nuovi equilibri europei sanciti ad Aquisgrana (1748). Il F. si occupò pertanto prevalentemente delle trattative in corso nella città tedesca, pur restando sempre a Napoli, poiché a Carlo non era stata data facoltà di mandare un proprio rappresentante: gli interessi di Napoli furono sostenuti dalla Francia.
La pace di Aquisgrana se da un lato metteva al riparo Napoli da ulteriori pretese e pericoli, dall'altro non assicurava la successione ai figli di Carlo: alla morte, considerata imminente e senza eredi, di Ferdinando VI di Spagna, Carlo gli sarebbe successo, lasciando il. trono napoletano al fratello Filippo, il quale avrebbe ceduto i Ducati di Parma e Piacenza rispettivamente all'Austria e al re di Sardegna.
Dopo Aquisgrana il F. si caratterizzò per un'azione politica improntata alla più piatta normalità. Uomo di corte, dedicava gran parte del suo tempo alla frequentazione del re, delle sue cacce e dell'aristocrazia più vicina alla monarchia, non disdegnando di adoperare il proprio potere per conseguire notevoli vantaggi personali e per far assegnare ai propri parenti e corregionali cariche pubbliche ed altri privilegi. I suoi principali interventi di politica estera furono di scarso rilievo: lo scambio di ambasciatori con Vienna (1752) ed il consolidamento dei rapporti con Londra, ove fu inviato nel 1753 G.B. Albertini, principe di Cimitile. Il F. riuscì soltanto a conseguire un certo rafforzamento del prestigio del Regno in ambito europeo.
Per questo motivo nel 1755 egli, che aveva anche perso l'appoggio della regina, fu allontanato dalla carica e sostituito agli Affari esteri dal Tanucci. Gli furono tolti anche gli altri incarichi, ripartiti tra vari segretari di Stato, essendo soppressa la carica di primo ministro.
Nel giugno 1755 il F. fu nominato viceré di Sicilia. A Napoli egli era entrato a far parte, pur senza presenziare quasi mai alle riunioni, del Consiglio di Stato; nel 1759 sarà anche nominato al Consiglio di reggenza, creato da Carlo per il periodo di minore età di Ferdinando IV. In Sicilia, fin dal suo arrivo, si preoccupò di stringere buoni rapporti con la nobiltà palermitana, che usava intrattenere con fastosi ricevimenti privati nel suo palazzo e con grandiose feste pubbliche. I primi anni del suo viceregno furono contrassegnati da una generalizzata pace sociale, che mascherava il progressivo squilibrio di un'economia fondata in maniera esclusiva sulla produzione e il commercio dei grani e i contrasti tra la plebe e i ceti produttivi da un lato ed i feudatari e i grandi trafficanti di cereali dall'altro.
Il buon andamento dei rapporti del F. con la nobiltà è testimoniato dalle prime sedute del Parlamento (1758 e 1762), in cui i baroni concessero i donativi richiesti dal re. Già nel 1762 vi fu però qualche problema, perché i nobili, desiderosi di affermare la loro autonomia da Napoli, ottennero dal F., dopo controversie con Tanucci, il comando di alcuni reggimenti che essi stessi avevano di recente costituito e finanziato. In quegli anni il F., rispondendo alle esigenze di sicurezza dei mercanti, intraprese un'azione di lotta alla pirateria, attraverso il popolamento dell'isola di Ustica, fino a quel momento dominio incontrastato dei pirati. Convinse perciò l'arcivescovo di Palermo, a cui apparteneva l'isola, a cederla al Real Patrimonio, in cambio di un compenso annuale. La popolazione che accettò di trasferirvisi non ebbe tuttavia le condizioni di sicurezza promesse e si trovò in più occasioni in balia dei pirati. Nel 1762 alcune decine di abitanti di Ustica furono tratti in schiavitù dai pirati algerini, senza che le navi preposte alla difesa della Sicilia riuscissero ad intervenire. Il Tanucci ne considerò responsabile il vicere anche perché, contro gli ordini di Carlo, aveva affidato a censo la gestione dell'isola ad un mercante, con il quale intratteneva stretti rapporti.
Il 22 apr. 1757 morì la moglie del F., mentre questi già da qualche tempo intratteneva una chiacchierata relazione con Eleonora Borghese, consorte del principe di Francavilla Michele Imperiali. Poiché non aveva figli, nel 1759 adottò Federico Meli Lupi di Soragna, figlio della sorella Lucrezia, che ereditò cognome, titoli e feudi. I sovrani borbonici lo colmarono di titoli: nel 1747 fu fatto cavaliere di S. Gennaro, nel 1768 ottenne il titolo di duca da Ferdinando IV e nel 1774 fu nominato grande di Spagna da Carlo III.
Nel 1763 il F. dovette fronteggiare la prima grave emergenza: la carestia. La politica del governo aveva un'incidenza molto forte sul prezzo e la commercializzazione dei grani, in particolare ne controllava l'esportazione (con la concessione delle licenze) e quindi garantiva l'approvvigionamento alla popolazione.
Questo sistema favoriva gli occultamenti e il contrabbando e dava ampio margine di manovra e di profitto ai grandi mercanti, in grado di influenzare e corrompere il governo. Da questo sistema di corruzione sembra non fosse stato esente il F., che fu accusato di essere amico e socio o almeno connivente del mercante genovese Gazzini, detentore nel corso degli anni Sessanta di una posizione di pressoché totale monopolio. Nel 1763 il F. convocò i ministri del Real Patrimonio, che stabilirono la meta del grano (prezzo fisso), un provvedimento che provocò l'occultamento del cereale. A nulla valsero le successive misure repressive e organizzative adottate dal F., la fame nelle campagne spinse, nell'inverno successivo, molti contadini a spostarsi a Palermo. dove, per far fronte alle esigenze alimentari della popolazione, la Colonna frumentaria fu costretta ad acquistare frumento a prezzi elevati nel Levante e in Inghilterra. La sistemazione degli affamati affluiti a Palermo rappresentò un enorme problema; il F. in parte lo risolse utilizzando magazzini detti dello Spasimo, da cui i ricoverati in cambio del vitto non potevano allontanarsi pena la prigionia. A marzo tuttavia si diffuse un'epidemia, che spinse il F. a promuovere il ritorno dei ricoverati nelle terre d'origine. Nel mese successivo emanava un decreto che espelleva da Palermo tutti i poveri del Regno. Per attuare questa decisione fu posta intorno alle mura della città una rigida sorveglianza. Nella speranza di vedere posto sul mercato il grano che si presumeva fosse stato occultato, il F. revocò il bando che fissava il prezzo del grano e concesse l'indulto agli occultatori, ma soltanto l'abbondante raccolto del giugno successivo riportò la situazione alla normalità.
Negli anni seguenti il F. si confrontò con problemi di una certa importanza, come quello del brigantaggio nelle campagne, che affrontò nella maniera più tradizionale: nomina nel 1766 di un vicario - G. Lanza, principe di Trabia - e pugno di ferro; il Lanza, accompagnato da uomini suoi e del viceré, riuscì a catturare e giustiziare i più pericolosi banditi. Più complessa e impegnativa fu per il F. l'operazione connessa all'espulsione dei gesuiti, soprattutto perché lo scioglimento della Compagnia metteva in crisi l'organizzazione dell'istruzione elementare e superiore, affidata quasi per intero ad essa.
L'ordine di espulsione giunse da Napoli nel novembre 1767 e il F., nonostante gli ottimi rapporti che lo legavano ai gesuiti, affrontò la questione con durezza, emettendo subito un bando per l'esecuzione dell'espulsione ed un proclama con cui intimava a chiunque fosse in possesso di beni dei gesuiti di consegnarli al governo. Il problema dell'istruzione elementare fu risolto istituendo scuole di grammatica e retorica negli stessi luoghi in cui erano sorte quelle dei gesuiti, utilizzando comunque personale ecclesiastico. Più difficile e lento fu l'avvio delle scuole di istruzione superiore rientrate in funzione solo in parte l'anno successivo. Le chiese dei gesuiti furono riaperte quasi subito, ma al loro interno furono lasciati soltanto gli arredi necessari, mentre gran parte dei tesori fu trasportata al Monte di pietà in attesa degli ordini regi. I possedimenti rurali furono lasciati momentaneamente in gestione a coloro che già li coltivavano.
Dopo un breve soggiorno a Napoli (aprile - giugno 1768), per presenziare ai festeggiamenti per le nozze di Ferdinando IV e Maria Carolina, il F. dovette affrontare in Sicilia una situazione divenuta molto difficile; l'equilibrio sociale, che era riuscito a mantenere dando mano libera all'aristocrazia nei suoi traffici e tenendo buoni la plebe e il popolo degli artigiani con la politica del pane a buon mercato, si era ormai incrinato ed erano emerse le contraddizioni di un sistema economico arretrato. Infatti la carestia del 1763 ed il prezzo alto del grano degli anni successivi avevano seriamente compromesso le finanze degli organi preposti alla gestione annonaria della città, il Senato e la Colonna frumentaria, che non potevano più intervenire efficacemente nei momenti di emergenza, con l'acquisto di grano estero.
In questo contesto mutò innanzitutto l'atteggiamento della nobiltà nei confronti del viceré: nel 1770 il Parlamento, alle richieste di nuovi donativi, rispose con istanze senza precedenti e autonomiste, come quella di mantenere un agente che curasse gli interessi dell'isola presso la corte di Napoli e di sostituire le truppe svizzere di stanza in Sicilia con una fanteria autoctona comandata dalla nobiltà locale. D'altra parte il F., per poter far fronte alla politica del pane a basso prezzo, introdusse tasse sulla neve, sul carbone e sul vino, scatenando l'ira della popolazione palermitana. Si trattava di imposte estremamente impopolari, a cui si aggiunse quella sulle porte e le finestre, da corrispondere una tantum.
La figura del viceré, sospettato sempre più di mercimonio nella tratta del grano, era quindi già compromessa quando lo scarso raccolto del 1772-73 mise in subbuglio la città. La situazione ritornò sotto controllo quando Cesare Gaetani principe di Cassaro assunse, nel luglio 1773, la carica di capo del Senato (pretore). Il pretore, con la sua integrità morale e con provvedimenti rigidi contro chi infrangeva le leggi, ispirò fiducia al popolo, che ne fece una figura antagonistica a quella del Fogliani. Il Cassaro, due mesi dopo la nomina, fu colpito da una malattia che lo portò velocemente alla tomba; la fantasia popolare si scatenò fino a ritenerne responsabile lo stesso viceré, che l'aveva fatto operare dal proprio chirurgo; la rivolta sfociò in un clima di violenza generalizzata. Il 20 settembre, alla notizia della morte del Cassaro (gli succedette il fratello Ottavio, già designato dal F. il 18 settembre), anche le maestranze si associarono alla plebe palermitana nella richiesta al capitano della cavalleria, G. Filangieri, di cacciare il viceré. Costui, volendo evitare spargimenti di sangue, accettò di allontanarsi dalla città e fu condotto al porto dai consoli delle arti.
Salpato da Palermo, il F. si recò a Messina, da gran tempo città rivale della capitale, proponendosi di farvi trasferire la sede del governo vicereale, ma non incontrò in questo disegno l'appoggio del Tanucci e del re. Ottenne solo di non essere rimosso subito dal suo incarico e di rimanere a Messina, mentre Palermo era governata dall'arcivescovo S. Filangieri. Riuscì a rimanere in questa ambigua condizione per molti mesi, finché le sue ultime preghiere di essere confermato nell'incarico e di far ritorno a Palermo, nell'estate del 1774. furono seccamente respinte.
Ritornò quindi a Napoli, dove fu ben accolto dal re, ma non dal Tanucci; decise allora, in agosto, di recarsi a Madrid presso Carlo III. Dopo pochi mesi, probabilmente a causa di incomprensioni con il ministro P.P. Abarca y Bolea conte d'Aranda, ritornò a Napoli (gennaio 1775). Qui riprese a partecipare al Consiglio di Stato e alla vita di corte, aderendo l'anno successivo al partito della regina che nell'autunno riuscì a far allontanare il Tanucci.
Ormai in tarda età, dopo altri due anni di vita napoletana, nel settembre 1778 il F. decise di ritornare alle terre native. Morì a Castelnuovo de' Terzi (ora Castelnuovo Fog Fogliani presso Parma) il 10 marzo 1780.
Bibl.: Brevi profili del F. sono in P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Fogliani di Reggio, tav. IV, e in Enc. Italiana, XV, 588.
Al F. diplomatico e primo ministro dedicano un'ampia trattazione M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Roma 1923, ad Ind., e G. Coniglio, I Borboni di Napoli, Milano 1981, passim; mentre molto più succinta è la valutazione di R. Ajello, La vita politica napoletana sotto Carlo di Borbone, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, ad Ind. Notizie in altre opere generali sul Settecento borbonico: P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, ad Ind.; H. Acton, I Borboni di Napoli, Milano 1960, ad Ind.
Sul periodo siciliano si soffermano ampiamente, anche se in modo spesso partigiano, G.E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, V, Palermo 1791, pp. 590-650; N. Caeti, La cacciata del viceré F., in Arch. stor. siciliano, n.s., XXXIV (1909), pp. 325-356; XXXV (1910), pp. 81-112; XXXVI (1911), pp. 126-137. Utili sono anche: E. Pontieri, Il tramonto del baronaggio siciliano, Firenze 1943, ad Ind.; D. Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Bari 1970, ad Ind.; F. Renda, Dalle riforme al periodo costituzionale 1734-1816, in Storia della Sicilia, VI, Napoli 1978, pp. 215, 224-227, 230-235; G. Coniglio, L'allontanamento del viceré G. F. dalla Sicilia, in Atti dell'Accademia Pontaniana, n.s., XXXIV (1985), pp. 149-160.
Per la vita politica del F. fonte fondamentale, ormai in gran parte a stampa, è costituita dalle lettere del Tanucci: Lettere di B. Tanucci a F. Galiani, a cura di F. Nicolini, Bari 1914, ad Ind.; E. Viviani della Robbia, B. Tanucci e il suo più importante carteggio, I-II, Firenze 1942, ad Ind.; Lettere di B. Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, ad Ind.; Epistolario di B. Tanucci, diretto da M. d'Addio, Roma 1980, I, 1723-1746, a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri; II, 1746-1752, a cura di R.P. Coppini - R. Nieri; III, 1752-1756, a cura di A.V. Migliorini; IV, 1756-1757, a cura di L. Del Bianco; V, 1757-1758, a cura di G. De Luca; IX, 1760-1761, e X, 1761-1762, a cura di M.G. Maiorini; XI, 1762-1763, a cura di S. Lollini, ad Indices (gli altri otto volumi non sono stati ancora pubblicati).
Sugli ultimi anni del F.: E. Greppi, F. e Tanucci..., in Arch. stor. ital., s. 4, VI (1880), pp. 175-180.