Folchetto (Folco) di Marsiglia
Poeta provenzale (m. nel 1231), vescovo di Tolosa (1205), partecipò alla crociata contro gli Albigesi; di lui restano 27 composizioni tra canzoni e sirventesi.
Esponendo nel De vulg. Eloq. la dottrina degli elementi formali dello stile tragico, D. tratta della constructio, che è la regulata compago dictionum e dichiara che quattro sono i gradi della costruzione: l'insipidus, qui est rudium; il pure sapidus, qui est rigidorum scolarium et magistrorum; il sapidus et venustus, qui est quorundam superficietenus rethoricam aurientium; e il sapidus et venustus etiam et excelsus, qui est dictatorum illustrium e che solo conviene alla canzone: hoc solum illustres cantiones inveniuntur contextae (II VI 5-6).
Del grado supremo della costruzione D. non espone la dottrina, ma lo rappresenta proponendo undici esempi di canzoni di trovatori provenzali (cinque) e italiani (sei) e si giustifica: Nec mireris, lector, de tot reductis auctoribus ad memoriam; non enim hanc quam supremam vocamus constructionem nisi per huiusmodi exempla possumus indicare. Il secondo degli esempi addotti, dopo la canzone di Giraut de Bornelh Si per mon Sobretos non fos, e prima della canzone di Arnaut Daniel Sols sui che sai lo sobraffan chem sorz, è la canzone di F. Tan m'abellis l'amoros pensamen; nella quale, annota il Marigo, D. " avrà ammirato il largo periodare che si sviluppa in ogni stanza ". È l'unica citazione che nel De vulg. Eloq. si faccia di F., al quale, indicato col nome di Folco, son dedicati i vv. 37-42 e 67-108 di Pd IX. Dopo Carlo Martello, tra gli ‛ splendori ' del cielo di Venere, Cunizza si rivolge a D. per dire di sé e della sua sorte terrena ed eterna; e poi improvvisamente - come osserva il Torraca - accenna alla luculenta e cara gioia che più le è propinqua e di cui grande fama è rimasta, tale che pria che moia, / questo centesimo anno ancor s'incinqua, cinque secoli passeranno ancora prima che si spenga. E quando tace Cunizza, l'altra letizia che già, dunque, è nota a D. per cara cosa si fa in vista / qual fin balasso in che lo sol percuota e parla a lungo di sé, e dopo aver dichiarato di essere nato sulla riva settentrionale del Mediterraneo (sulla costa tra Ebro e Macra, v. 89), nella città che, su quella costa, sorge di fronte a Buggea (v.) e che del suo sangue fece caldo il porto, a Marsiglia, dunque, che arrossò del sangue dei suoi cittadini le acque del suo mare quando fu presa d'assalto dalle milizie di Bruto per ordine di Cesare; e dopo aver indicato il nome, Folco, con cui la sua gente lo chiamò (v. 94), prosegue dicendo che il cielo di Venere, che ora s'imprenta della luce di F., ha sigillato del suo influsso l'anima di F., per tutto il tempo della sua giovinezza: d'amore arse F. infin che si convenne al pelo (v. 99) più che Fillide per Demofoonte o Ercole per Iole. " Uritur infelix Dido ", " ardet amans Dido ", scrive Virgilio (Aen. VI 68, 101); ma felicemente annota il Torraca che proprio a F. " l'ardore d'amore fu immagine cara "; e cita la canzone del trovatore in cui si legge: " Il bene che vi voglio con tutta fede non si può dire né mostrare di fuori, ma ciò che vi dico è niente rispetto al fuoco inestinguibile che mi occupa il cuore. Perché mai non mi consuma ed uccide? ". Due precisi dati biografici, dunque, di F.: la nascita a Marsiglia e la condizione di ardente amatore, nel tempo della giovinezza. Che F. sia marsigliese ricorda anche il Petrarca nel Trionfo d'Amore, aggiungendo però che il trovatore è oriundo genovese (" Folco, que' ch'a Marsiglia il nome ha dato / ed a Genova tolto ", IV 49-50), sulla scorta dell'antico biografo (" Folquet de Marseilla si fo fillz d'un mercadier que fo de Genoa et ac nom ser Anfos "; e aggiunge che, quando morì, il padre lasciò F. " molt ric d'aver ", sicché poté intendere " en pretz et en valor " a mettersi " a servir als valenz barons et als valenz homes et a brigar ab lor, et a dar et a servir et a venir et a anar "; ediz. Boutière-Schutz, p. 470). Quanto alla vita giovanile di F. travagliata da molti amori, indicativa la testimonianza di una razo (Boutière-Schutz, p. 474), in cui si ricorda che il trovatore amava " la moiller d'En Barral son senhor; madona N'Azalais de Rocamartina ", per la quale " fazia sas chansos ". Ma En Barral " avia doas serors de gran ben e de gran valor ", Laura de Saint Jorlan e Mabelia de Pontenes, che " abdoas estavan ab En Barral " e " Folquet avia tant d'amistat ab andoas, que semblans era qu'el entendes en cascuna per amor " e così si diceva " per maint cavalier e per maint home "; sicché donna Azalais " l'encuzet... e li det comjat, que no volia plus sos precx ni sos digz e que se partis de Na Laura e que de leis non esperes mais be ni amor ". E " Folquetz fo molt tritz e dolenz " e " laiset solatz e chant e rire " ed " estet longua sazo en gran marrimen, planhen... Sobre aquel marrimen " andò F. " vezer l'Emperairitz ", cioè la moglie di Guglielmo di Montpellier, " que fo filla de l'Emperador Emanuel, caps e guida de tota valor e de tota cortezia e de totz ensenhamens "; la quale " lo confortet " " el preguet que nos degues marrir ni dezesperar e qu'el per la so' amor degues cantar e far chanso ". E per i preghi dell'" Emperairitz ", F. compose la canzone Tan mou de cortezia razo. Ma in termini meno innocenti è raccontata la relazione di F. con l'Emperairitz in un'altra razo (Boutière-Schutz, p. 478), che apertamente dichiara: " puois [Folchetto] s'enamoret de la Emperairitz, che fo moillier d'En Guillem de Montpellier la qal fo filla de l'emperador de Costantinopol que ac nom Manuel "; e aggiunge: " E si fo aisi desaventuratz q'en aqela sason qe s'en fo enamoratz, la domna si fo encusada q'ella agues mal fait de Guillem de Montpellier, so marit. E fo cresut per el; si qu'el la mandet via e la parti de si; et ella s'en anet. Don Folquet remas tris e grams e dolens ". Non " fina amor ", dunque, nel giudizio pubblico accettato dal signor di Montpellier, ma adulterio; e quindi il ripudio. Stabilita, insomma, nella tradizione la fama di F. smisurato amatore infin che si convenne al pelo, che D. rievoca nei versi che abbiamo riportato; e certo è il dato del pentimento e della conversione del trovatore, cui si accenna nei versi che seguono (103 ss.), pentimento e conversione che han preservato F. dal precipizio del cerchio infernale e lo hanno innalzato tra gli spiriti del cielo di Venere: " Don el per tristeza de la soa domna... abandonet lo mon; e si se rendet a l'ordre de Cistel ab sa muiller et ab dos fillz qu'el avia. E si fo faichs abas d'una rica abadia, qu'es en Proensa, que a nom lo Torondet. E pois el fo faichs evesques de Tolosa; e lai el muric " (Boutière-Schutz, pp. 470-471). F. trovatore è insomma quel F. che fu abate di Torronet nel 1201 e nel 1205 vescovo di Tolosa e come tale ebbe parte preminente nella crociata albigese, della quale fu anzi il banditore e l'animatore: la fortezza albigese di Lavaur cadde nel maggio del 1211 al canto degli ecclesiastici capeggiati dal vescovo di Tolosa. Così come Gerico cadde al suono delle tube, il che spiega il fatto che tra i suoi compagni nella gloria, F. ricordi solo Raab meretrice di Gerico (vv. 115-126), che favorò la prima gloria / di Iosüè in su la Terra Santa, accolse e mise in salvo i due esploratori mandati avanti dal capo degli Ebrei, favorendone così la vittoria (los. 6, 1 ss.), sicché alla gloria del cielo fu assunta prima di tutte le anime redente dal trionfo del Cristo. Appare chiaro che F. rileva l'identità della vicenda sua con quella di Raab, peccatrice ma salva per le sue opere: anche F. redime le dissipazioni della sua vita giovanile non solo con la penitenza, ma più con l'opera sua di crociato della fede. È stato rilevato che appartiene alla tradizione l'accostamento delle crociate alla presa di Gerico: e pertanto il ricordo di Raab, che nella conquista della città ebbe parte importante, significa rivendicazione, da parte di F., dell'opera sua di crociato dell'ortodossia contro la minaccia ereticale. Così l'episodio del Paradiso è rievocazione piena e intera della persona storica di F.; non vi si fa cenno, però, dell'attività poetica di lui, che è indicato in VE II VI 6 come maestro altissimo dello stile sapidus et venustus etiam et excelsus. Il giudizio di D. è condiviso dagli amatori e cultori medievali della poesia trobadorica, come mostra il fatto che F. è il terzo trovatore, dopo Peire d'Alvernha e Giraut de Bornelh (qualificato come " maystres des troubadors ") cui nei canzonieri ordinati per autore sia riservato il primo posto, il posto d'onore. Ai moderni, invece, non pare che la poesia di F. si distingua dalla genericità della scuola. Unica novità, secondo il Jeanroy, può riconoscersi nella " metodica applicazione dei procedimenti della scolastica agli antichi luoghi comuni " della tradizione trobadorica, riprendendo i quali il poeta " usa le risorse di uno spirito meticoloso e preciso, rotto alle sottigliezze della dialettica ". Senza dubbio le scuole del Trivio - grammatica, retorica, dialettica - F. ha assiduamente frequentato, ricevendone quella formazione che gli ha consentito di entrare agevolmente, nella maturità, nella vita ecclesiastica.
Quella formazione si riflette chiaramente nelle sue canzoni, che F. intesse di motivi sentenziosi derivati dagli auctores - specialmente dall'Ars amandi, dagli Amores, dalle Metamorfosi di Ovidio - e dai Florilegi - da cui derivano certo le citazioni delle sentenze di Publilio Siro e di Seneca che si rilevano nell'opera del trovatore -, che sono i testi sui quali si fonda l'insegnamento grammaticale e retorico della scuola medievale. Non solo dagli auctores deriva F. spunti sentenziosi, ma anche dai grandi trovatori che lo hanno preceduto; il che rileva la caratteristica sua di poeta culto, che volentieri e consapevolmente si rifà alla tradizione di cui è partecipe. Più che questa poesia sottilmente discorsiva e dialettica piacciono di F. la celebre ‛ alba ' religiosa Vers Dieus, el vostre nom, elevata nel pensiero e grave nella forma (ma forse è da attribuire a Folquet de Romans) e il compianto in morte di sire Barral, in cui sono accenti commossi e nitide immagini.
Resta però fermo il giudizio di D. sull'eccellenza dello stile di F., che si riconosce specialmente nella prima stanza della canzone Tan m'abelis citata in VE II VI 6, che è, osserva il Marigo, la " meglio riuscita di tutte " e in cui " il ben costruito periodo ha un'armoniosa sentimentale dolcezza, che dovette certo piacere a Dante, colla personificazione del pensiero amoroso che da solo occupa, ‛ doutz ni plazenz ', il cuore dell'amante ".
Rilevante il fatto che non c'è nella poesia di F. alcuna eco del gran dramma albigese di cui il trovatore fu protagonista: del mondo meridionale travolto dalla crociata guidata da F. è interprete Peire Cardenal (1225-1272), la cui poesia - " intrepida ", è stato detto - nasce proprio dallo sdegno contro la sanguinosa ferocia del clero intransigente nella difesa del dogma, ma moralmente decaduto e corrotto. È lo sdegno che D. attribuisce nell'episodio del Paradiso anche a F.; il quale dopo l'esaltazione di Raab che favorò la conquista della Terra promessa, passa alla denuncia fierissima del papa e dei cardinali che non alla Terra Santa, dominata dagl'infedeli, intendono, ma solo ai Decretali, cupidi non della verità del Vangelo e dei dottor magni, ma solo del maladetto fiore che Firenze produce e spande e ha disvïate le pecore e li agni, / però che fatto ha lupo del pastore (Pd IX 126-138).
Bibl. - Le poesie di F. sono criticamente edite in S. Strònski, Le troubadour Folquet de Marseille, Cracovia 1910; la razos in J. Boutière e A.H. Schutz, Biographies des Troubadours, Parigi 19642; si vedano anche J. Anglade, Les Troubadours, ibid 1907, 166, e A. Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, ibid 1934. Su F. e D.: N. Zingarelli, La personalità di F. di M. nella Commedia di D., Bologna 1899 (già in " Atti R. Accad. Archeologia Lettere Belle Arti Napoli " XIX [1898] 99 ss.); Marigo, De vulg. Eloq. 214; A. Viscardi, Storia delle letterature d'oc e d'oil, Firenze-Milano 1967, 359 ss.