PORTINARI, Folco
PORTINARI, Folco. – Figlio di Ricovero, apparteneva a una famiglia mercantile di rilievo nella vita politica ed economica di Firenze, e fece parte del gruppo dirigente fin dalla fase iniziale del governo popolare, ottenendo la carica di priore nel sestiere di porta San Piero nel 1282, nel 1285 e nel 1287.
Si trattava di una congiuntura significativa della storia di Firenze: l’istituzione del priorato delle Arti (1282) era espressione del governo popolare di parte guelfa, formato da mercanti, artigiani e banchieri, la cui ascesa economica si era rafforzata dopo la morte di Federico II (1250), e ora equiparati politicamente alla nobiltà inurbata nelle cui mani erano da sempre le redini del potere.
Portinari è noto quasi esclusivamente per essere il padre della Beatrice amata da Dante e per aver fondato, tra il 1285 e il 1286, l’ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova, tuttora esistente alle spalle del Duomo, sebbene profondamente modificato tra il XVI e il XVIII secolo.
Per la costruzione dell’ospedale, che la tradizione vuole ispiratagli dalla fantesca Monna Tessa (fondatrice delle oblate francescane attive nell’ente), Portinari aveva acquistato, il 24 aprile 1285, un appezzamento di terra nel rione di Santa Maria in Campo.
La costruzione era a buon punto nel maggio 1286, quando una bolla papale autorizzò una permuta tra Portinari e i frati del preesistente convento di S. Egidio; la fondazione avvenne il 23 giugno 1288, davanti al vescovo di Firenze Andrea dei Mozzi. Ben dotato patrimonialmente, fu soggetto al patronato dei Portinari, che eleggevano lo spedalingo e il rettore della chiesa e controllavano la gestione patrimoniale e finanziaria. Ma non mancarono contrasti, nel Trecento, con i religiosi che si occupavano materialmente dell’ospedale, cosa che nel tempo provocò uno svuotamento progressivo del significato del patronato, che si ridusse a carica meramente onorifica, al punto che l’ospedale fu infine amministrato dal vescovo e il patronato ceduto, nel 1617, dai Portinari al granduca.
Al momento della fondazione, l’istituto era dotato di 17 letti che potevano ospitare circa una cinquantina di ammalati, mentre nel 1347, subito prima dello scoppio della peste, i ricoverati in Santa Maria Nuova arrivavano a 220, alla fine del Quattrocento erano ormai 600 e un migliaio nel Cinquecento.
Il 15 gennaio 1288 Portinari fece testamento di fronte al notaio Tedaldo Rustichello, occupandosi innanzitutto dell’ospedale recentemente fondato (cui lasciò 500 lire da investire in proprietà fruttifere) e per la sua chiesa e i sacerdoti (cui lasciò pari somma). Dall’atto emerge il solido radicamento dei Portinari nei rioni di S. Procolo e di S. Margherita: cinque case (domus), tra cui la domus vetus Portinariorum (provvista di torre) e la domus nova sede della famiglia; due casolari, su uno dei quali era stato costruito un palazzo con torre; un forno; un’altra domus abitazione di un orefice.
Dalla moglie Cilia di Gherardo Caponsacchi (destinataria di vesti, degli alimenti, di un terreno del valore di 237 lire) Portinari ebbe sei figlie femmine (Ravignana, Beatrice, Vanna, Fia, Margherita e Castoria), una delle quali (Ravignana) defunta all’epoca del testamento e un’altra (la Beatrice di Dante) nel 1288 già sposata, alla quale Portinari lasciò soltanto 50 lire, come fece per il nipote Nicola figlio di Ravignana. Alle altre quattro figlie destinò una dote di 800 lire ciascuna. Dei cinque figli maschi (Manetto, Ricovero, Pigello, Gherardo e Giacomo), i primi due nel 1288 risultano aver già compiuto i 18 anni ed essere in società con Oliviero, Bindo e Giovanni Cerchi (avendo ricevuto per ciò 1500 lire ciascuno).
I rapporti con i Cerchi – la potente consorteria poi a capo, agli inizi del Trecento, dei guelfi bianchi, sino alla cacciata del 1302 – erano strettissimi. Portinari previde nel testamento che i proventi derivati dagli immobili (non divisibili sino alla maggiore età di tutti i cinque figli) fossero reinvestiti nella società con i Cerchi, cui era accordata la più totale fiducia nella gestione della società e nella ripartizione dei crediti. Inoltre Oliviero (che dopo la battaglia di Campaldino, del giugno 1289, fu l’uomo più in vista di Firenze) e Bindo esercitavano la tutela delle figlie e dei figli minorenni; anche Giovanni occupò fino al 1287-88 un posto di rilievo nel banco di famiglia, attraverso il quale i Cerchi finanziavano la Curia come banchieri di fiducia del pontefice. Il sodalizio Cerchi-Portinari pose probabilmente le basi per l’affermazione autonoma della compagnia dei Portinari che si sarebbe sviluppata a partire dai primi anni del Trecento grazie al commercio della lana e ai prestiti alla Corona inglese.
Portinari (che Giovanni Boccaccio nella Vita di Dante menziona come «omo assai onorevole tra’ cittadini di Firenze»), morì il 31 dicembre 1289.
Venne tumulato, secondo le sue disposizioni testamentarie, nella chiesa di S. Egidio, presso l’ospedale di Santa Maria Nuova; il sepolcro esiste tuttora e l’epigrafe, oltre a esibire lo stemma dei Portinari, reca l’iscrizione «hic iacet Folchus de Portinariis, qui fuit fondator et edificator huius ecclesie et hospitalis S. M. Nove et decessit anno MCCLXXXVIIII die XXXI decembris, cuius anima pro Dei misericordia, requiescat in pace».
Fonti e Bibl.: G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, VIII, Il rione di San Giovanni, Firenze 1759 (rist. anast. 1972), pp. 175-233; G. Mancini, Il testamento di Folco Portinari, in Archivio storico italiano, XLVIII (1911), pp. 245-258; G. Pampaloni, Lo spedale di Santa Maria Nuova e la costruzione del loggiato di Bernardo Buontalenti, Firenze 1961; A. D’Addario, Portinari, Folco, in Enciclopedia Dantesca, IV, Roma 1973, p. 608; F. Cardini, Cerchi, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIII, Roma 1979, pp. 690 s.; Id., Cerchi, Vieri (Oliviero), ibid., pp. 696-700.