Portinari, Folco
Figlio di Ricovero, è certamente il personaggio della sua stirpe più noto fra quelli vissuti nell'età di D., e per essere stato - come asserì il Boccaccio - il padre di Beatrice e - più ancora - per aver fondato l'ospedale di Santa Maria Nuova, la massima istituzione ospitaliera fiorentina, rimasta per secoli al centro dell'attività assistenziale cittadina e ancora oggi operante in Firenze fra le maggiori fondazioni di questo tipo.
Il Passerini traccia di Folco una succinta biografia, non scevra di errori, come là dove accenna alla presenza di lui tra le file dell'esercito imperiale, ma senza dare alcuna documentazione di quanto afferma. Folco fu, piuttosto, un buon guelfo, che, senza coltivare ambizioni politiche - non ne ebbero, d'altronde, salvo alcune eccezioni, neppure i suoi consanguinei -, alle quali avrebbe potuto tentarlo la consapevolezza di ragguardevoli origini da famiglia consolare, unitamente alle ricchezze e alla posizione sociale, seppe dedicarsi con abile realismo alla formazione di una solida fortuna personale mediante l'esercizio della mercatura e dell'attività bancaria. La documentazione archivistica fiorentina ne testimonia l'appartenenza al gruppo politico dirigente fin dai primi tempi del governo popolare. Pur non essendo esponente di rilievo di quel ceto, Folco nel maggio 1282 fu compreso tra i quattordici buonuomini istituiti dal cardinal Latino, e nell'agosto successivo entrò a far parte del primo collegio dei priori. Della signoria fu membro ancora due volte, fra il 15 agosto e il 15 ottobre 1285, e fra il 15 ottobre e il 15 dicembre 1287; più volte venne chiamato a partecipare ai lavori delle consulte. Sul piano sociale, consolidò la sua posizione sposando Cilia de' Caponsacchi, figlia di Gherardo, dalla quale ebbe i numerosi figli che ricorda nel testamento del 15 gennaio 1288, che è fonte importantissima per la conoscenza della sua ricchezza e della composizione della sua famiglia. Morì in Firenze il 31 dicembre 1289 e fu sepolto, secondo il suo volere, nella cappella dell'ospedale di Santa Maria Nuova.
Appena quattro o cinque anni avanti egli aveva compiuto i primi passi per la fondazione dell'ospedale la cui esistenza ne tramanda ancora oggi la memoria. È del 24 aprile 1285 l'atto notarile con il quale Folco acquistava dai fratelli Lippo e Tura di Guido di Benincasa una " petiolam terrae cum casolari " posta nel territorio della parrocchia di Santa Maria in Campo, fuori la porta degli Albertinelli (a Pinti); l'acquisto faceva parte di un programma più vasto, i cui fini vengono chiariti dalla supplica che il P. rivolgeva poco più tardi al pontefice (maggio 1286) onde ottenere ai frati del convento di San Gilio (Sant'Egidio) il permesso di permutare un pezzo di terra di loro proprietà con un altro appartenente a lui, il cui possesso gli avrebbe reso più facile la costruzione già iniziata di un ospedale " ad opus pauperum et infirmorum ". Onorio IV accordò il permesso con la bolla del 21 maggio 1286, nel cui testo si ricorda lo stato in cui si trovavano i lavori di edificazione del nucleo primitivo dello " spedale ", che già in quel momento era degno di essere considerato " opus sumptuosum ". I lavori erano già finiti nel 1288, così che il 23 giugno di quell'anno fu possibile a Folco di dettare l'atto di fondazione e di dotazione della nuova opera assistenziale, con un documento solenne rogato alla presenza del vescovo Andrea de' Mozzi e di numerosi altri testimoni scelti fra i principali esponenti del mondo politico e sociale fiorentino.
Il testamento di Folco P. fu rogato il 15 gennaio 1288 presso la chiesa di Sant'Egidio " foris muros civitatis Florentiae " dal notaio ser Tedaldo di Orlando Rustichelli, alla presenza di alcuni frati francescani della provincia monastica e del vicino convento omonimo. Con questo documento il P. dava disposizioni per la propria sepoltura e ordinava agli eredi d'impiegare mille lire di fiorini piccoli onde costituire due dotazioni in beni immobili, con i cui frutti si potessero mantenere il custode dell'ospedale e il cappellano di Sant'Egidio. Disponeva ancora che il patronato spettasse " in perpetuum ", liberamente e pienamente, ai discendenti maschi che, in altra parte del testamento, nominava eredi universali escludendo le donne. Fatti, poi, numerosi lasciti a conventi, chiese e ospedali della città, Folco provvedeva alla moglie Cilia - lasciandole, oltre alla dote, le vesti e le robe di camera insieme con un pezzo di terra come rendita -, alla sorella Nuta - alla quale permise di restare fino al termine della vita nella propria casa, ricevendo dai nipoti gli alimenti e una modesta provvigione in denaro -, alle figlie ancora nubili e minorenni Vanna, Fia, Margherita e Castoria - a ciascuna delle quali lasciò una dote di 80 lire di fiorini piccoli -, all'altra figlia Bice, sposata a messer Simone de' Bardi - alla quale destinò un dono di 50 lire di fiorini piccoli -. I figli maschi - Manetto e Ricovero già maggiorenni; Pigello, Gherardo e Iacopo ancora minori - furono nominati eredi delle sostenze paterne, a preferenza delle femmine. Manetto e Ricovero vennero anche istituiti tutori dei fratelli e delle sorelle, insieme a altri cittadini amici del testatore.
Bibl. - La precisazione dei dati biografici di Folco ha interessato, oltre ai genealogisti, i cultori di cose dantesche e gli storici di Firenze; così che un ragguaglio bibliografico su di lui tende a identificarsi con la rassegna degli scritti pubblicati in quei diversi ambiti specialistici. Oltre alla bibliografia citata in appendice al profilo genealogico della famiglia, si veda, per l'appartenenza di Folco al collegio dei priori, in Archivio di Stato di Firenze, il " priorista " del Mariani (Biblioteca manoscritti, 248, sub voce Portinari); per la partecipazione alle consulte, Le Consulte della Repubblica fiorentina dall'anno MCCLXXX al MCCXCVIII, a c. di A. Gherardi, Firenze 1896, passim; il testamento è conservato (copia coeva) in Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, R. Acquisto Manni, 1288 gennaio 15, ed è stato pubblicato da G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, VIII, ibid. 1754, 229-230 (ma parzialmente), da I. Del Lungo, Beatrice nella vita e nella poesia del secolo XIII, Milano 1891, e nel volume commemorativo su Il R. Arcispedale di Santa Maria Nuova. Suoi benefattori, sue antiche memorie, Firenze 1888. Per l'intelligenza della personalità e dell'azione del P. nel quadro della storia cittadina, cfr. Davidsohn, Storia II II 286, 383, 569, 570, 605; IV II 257, 372, 446, 461, 679, 856; IV III 79, 80, 83, 99, 100, 372, 373, 561, 703. Documenti editi e inediti, studi antichi e recenti sulla storia dell'ospedale - e, implicitamente, sulla figura del fondatore - sono citati e criticamente utilizzati da G. Pampaloni nei recenti volumi su Il palazzo Portinari-Salviati, Firenze 1960, 11-45, e Lo spedale di Santa Maria Nuova, ecc., ibid. 1961, 5-53, il rimando al cui esauriente apparato critico rende pleonastico ogni altro elenco di scritti su quell'argomento.