FOLKLORE (ingl. folk-lore, dalle voci, ora antiquate, folk "popolo", e lore "dottrina")
Il termine fu foggiato dall'archeologo J. W. Thoms, che lo propose all'Athenaeum di Londra il 22 agosto 1846, per indicare il patrimonio di tradizioni che ha il popolino. Da allora la voce ebbe fortuna, anche nel significato di "ricerche relative alle tradizioni popolari". Oggi è di uso universale, pur essendone stati proposti altri, come il ted. Volkskunde, svedese e norveg. Folkminne e Folkeminne, fr. traditionnisme, gr. λαογραϕία e ital. tradizione popolare, demopsicologia, demologia.
Ma per recente che sia il nome, la scienza, come ricerca o principio di ricerca, preesisteva, giacché i suoi precursori, dallo Straparola al Basile, dal Perrault ai fratelli Grimm, dal Thiers al Brown, dal Valletta al Leopardi, al Placucci, da L. Giustiniani, che primo (sec. XV) porse l'orecchio ai canti popolari, a J. G. Herder, preparano in varî paesi dell'Europa il terreno su cui più tardi il folklore dovrà lavorare, quando nella seconda metà del sec. XIX, l'etnografia si affermerà come disciplina autonoma. Appunto allora sorge il quesito dell'oggetto di questa disciplina, delineatasi attraverso la raccolta di proverbî, di canzoni, di racconti e di altre manifestazioni popolari, e si cerca di determinare il suo dominio e i suoi rapporti con le discipline che studiano l'uomo sotto l'aspetto fisico, morale e politico. La prima definizione in materia appartiene alla Folk-lore Society di Londra (1878). Per la scuola inglese il folklore è la scienza delle tradizioni, cioè la storia primitiva dell'umanità; il termine "tradizione", sinonimo di "antichità popolari" (Hartland), comprende le superstizioni e altre credenze di carattere arcaico (Gomme), sopravviventi nel mondo della civiltà (survivals in culture, Burne), o meglio le reliquie delle epoche lontane o addirittura primitive. Sotto tale aspetto il folklore escluderebbe dal suo dominio le pratiche e le costumanze, costituendo quel capitolo della scienza storica che tratta della "storia non scritta e della religione non ufficiale" quella parte, cioè, della vita che presso i selvaggi è una realtà attuale e presso il volgo delle nazioni civili una realtà sopravvivente. Contro questa dottrina, seguita nei paesi di lingua inglese, si affermano a poco a poco altri concetti e nuove tendenze talvolta più comprensive. Secondo la scuola finnica, l'oggetto precipuo del folklore è la tradizione orale, tutto ciò che concerne i miti e le leggende: esso è essenzialmente studio della mitologia e della letteratura popolare. Ma tanto l'una quanto l'altra teoria prescindono dai problemi fondamentali che fanno del folklore una disciplina etnografica, e dimostrano di trascurare l'intima e organica dipendenza che rende inscindibili gli elementi che la costituiscono: spirituale (tradizione orale) e pratico (tradizione oggettiva).
Finché prevalevano concezioni più ristrette, gli studî folkloristici hanno risentito l'influsso delle teorie che erano in auge nel campo della mitologia e della novellistica comparate. La scuola naturista (M. Müller) mirava a rintracciare gli elementi mitici costituenti il nocciolo dei racconti popolari e dava del mito un'interpretazione naturalistica (v. mito); la scuola indianista (T. Benfey) metteva in evidenza le fonti indiane che, pure attraverso i molteplici rifacimenti e rimaneggiamenti, sarebbero ancora rintracciabili nelle fiabe, nelle leggende e nelle novelle dei popoli occidentali (v. fiaba; leggenda; novella). Contro e al disopra di queste tendenze si è affermata la scuola antropologica (molti Inglesi usano anthropology anche nel senso di "etnografia") la quale tendeva (E. B. Tylor) a cogliere nella mentalità animistica del primitivo i germi da cui si sarebbero sviluppate le strane e meravigliose storie di demoni e dei, di eroi e stregoni e le varie pratiche superstiziose.
Con Alfred Nutt e Andrew Lang prevale il concetto antropologico, limitato col primo nel senso che il folklore rappresenta "l'antropologia in relazione all'uomo primitivo, di basso stadio, a base di empirismo e di tradizionalità della conoscenza"; ed esteso col secondo nel senso che il folklore abbraccia lo studio di tutta la vita umana. Fra l'uno e l'altro si pone Giuseppe Pitrè quando immagina la nuova disciplina da lui detta demopsicologia come la scienza della vita morale e materiale dei popoli civili e non civili. Secondo questo orientamento antropologico, che si è rinsaldato con J. G. Frazer (v.), il folklore sarebbe l'espressione della mentalità animistica e pre-animistica la quale persiste e affiora nelle consuetudini, nelle credenze, nelle cerimonie delle semplici e inculte popolazionì dei casolari e dei villaggi, sotto la forma di tradizione. Ecco perché, per intendere i principî su cui si fondano o da cui scaturiscono tante manifestazioni della vita del volgo, che sembrano strane, è necessario conoscere le leggi che governano quella mentalità, orientata com'è verso l'animismo e la magia. La credenza comunissima tra i primitivi, che l'anima possa separarsi dal corpo, spiega l'enigma del racconto del gigante che tiene il cuore staccato dal suo organismo e nascosto; la fede in oggetti che parlano, propria delle genti inferiori, apre l'adito alla comprensione del mito della statua che, attaccata alla prua della nave Argo, favella con voce umana. In molti miti l'idea fondamentale è rappresentata dal dramma o mistero, che si svolge in forma di cerimonia magica, intesa a provocare qualche fenomeno della natura, mediante i processi della magia "simpatica" e "imitativa". Sotto tale aspetto i problemi che il folklore nelle sue svariate e molteplici manifestazioni presenta, sono soprattutto problemi etnografici, in quanto a risolverli occorre il continuo riferimento alle idee e alle costumanze primitive, che sopravvivono o rivivono nelle tradizioni volgari. Questa concezione, che tende a far coincidere l'etnografia con il folklore propriamente detto, ha però bisogno di essere precisata, e a precisarla ha provveduto appunto la teoria etnografica, che supera e concilia tutte quelle elaborate nell'ultimo cinquantennio. Secondo essa, il folklorista si rivolge a quelle classi sociali che rappresentano il più umile e il più basso strato delle nazioni culte; che vivono nei remoti villaggi, in cima ai monti e nelle valli, conservando tenacemente le vecchie consuetudini, nella casa e fuori, nel costume e in tutte le svariate espressioni dello spirito. Tali classi, che costituiscono il volgo (vulgus in populo, Hoffmann-Krayer), hanno per il folklorista la medesima importanza che per l'etnografo ha il primitivo; perché, fedeli alle vecchie tradizioni, già superate dall'uomo evoluto, ne subiscono l'influsso, rappresentando stati d'animo o di fatto analoghi o uguali a quelli che l'etnografo osserva nei gruppi incivili. "L'etnografia prende il nome specifico di folklore quando osserva gli strati più oscuri e profondi delle nazioni civili rappresentati dai gruppi volgari, presso cui come in un fondo si depositano, per rigermogliare, talvolta, tante forme di attività, che sembrava dovessero scomparire per sempre". Per tale orientamento, che prevale oggi in Europa, si sostituisce una concezione più larga a quelle troppo ristrette della scuola inglese e più ancora della finnica, che si chiudono nell'esplorazione del patrimonio fantastico e morale; e non s'invade, come fanno le scuole antropologica e demopsicologica, il territorio dell'etnografia generale: di questa il folklore forma uno speciale capitolo, come "etnografia del volgo".
Compiti fondamentali del folklore sono la raccolta e l'esame delle tradizioni popolari, intendendo per tradizione non solo le credenze e le opinioni che il popolino ha relativamente ai fatti e ai fenomeni dell'universo, ma anche le consuetudini quotidiane, le cerimonie festive, nonché le manifestazioni estetiche di ogni specie. Alla raccolta provvedono i questionarî e le istruzioni riguardanti la maniera di fissare o trascrivere i racconti, i canti e le melodie (grafica, ortofonica, fonetica, ecc.), di proiettare le espressioni mimiche, dal gesto alla danza (diagrammi), di riprodurre o rappresentare i tipi, i costumi, i riti (fotografie, fototipie, disegni, modelli), di preparare le collezioni e gli atlanti, di custodire e disporre gli oggetti. L'esame è compiuto col metodo comparativo, raffrontando cioè più tradizioni per rilevarne, attraverso le somiglianze e le differenze, i caratteri sostanziali o primitivi e quelli accessorî o secondarî. Questo procedimento, che il folklore ricava dalla disciplina madre, l'etnografia, permette di analizzare le tradizioni e di scoprire i loro principî fondamentali o originarî. Secondo il sistema della scuola storica (Gomme), alla ricerca o scoperta del nucleo radicale di una credenza, di un pregiudizio, ecc. si può pervenire mediante due operazioni: la prima scompone le tradizioni negli elementi costitutivi; la seconda confronta questi elementi, per rilevare le somiglianze e le differenze.
Per esempio, indichiamo con 1, 2.3, 4 le tradizioni da esaminare, e con a, b, c, d, ecc., gli elementi che le formano. Se la tradizione 1 = a, b, c, d, e, f, la tradizione 2 = a, b, c, d + g, h, la tradizione 3 = a, b + g, h, i, k e la tradizione 4 = g, h, i, l, m; è chiaro che 1, non presentando variazioni, debba essere considerata sostanzialmente pura e i suoi elementi tutti radicali; 2, per le variazioni g, h, come divergente da 1; 3, per le variazioni g, h, i, k, più divergente che 2; e 4, del tutto differente dal tipo primitivo, per il complesso g, h, i, l, m. Possiamo però dire, che delle quattro tradizioni, tre concordano tra loro per alcuni tratti, e cioè 2 con 1 in a, b, c, d; 3 con le due precedenti in a, b; e che questi rappresentano l'elemento radicale, cui si sarebbero aggiunti o sovrapposti nuovi elementi (g, h, in 2, e g, h, i, k in 3).
Più complicato e meno efficace è il procedimento detto antropologico. Secondo esso, dopo avere scomposto un tema nei suoi elementi, si passa alla ricerca dei paralleli di ciascuno di questi; e quindi alla ricerca dei paralleli nel vasto campo delle tradizioni universali senza limiti di luogo e di tempo e astraendo da considerazioni storiche ed etniche. Per tale procedimento, se la visione comparativa si allarga e coglie le linee generali o panoramiche dei fatti, si perdono di vista le linee particolari o essenziali, che più interessano il folklorista, intento a indagare, attraverso le peculiari differenze che si manifestano nella vita dei popoli, i principî etnici e fondamentali.
Perciò alcuni folkloristi, che rappresentano l'elemento moderato, sostengono l'utilità della comparazione per gradi, passando da un'area etnicamente definita e omogenea a un'altra meno definita, e via di seguito, integrando in tal modo il criterio storico col criterio etnografico. Nella pratica i folkloristi si mostrano divisi in due correnti, di cui l'una tende a rintracciare, attraverso lo studio delle tradizioni del popolo, i caratteri fondamentali di una o più civiltà, e l'altra a scoprire il fondo umano comune a tutti i popoli. Quella costituisce la corrente nazionalista, e questa la corrente antropologica, che spiega le analogie generali dei fatti e dei costumi con l'identità dello spirito umano.
A fianco di questi metodi, altri ve ne sono, i quali a seconda dei criterî da cui partono, prendono nomi differenti. Così si dice statistico o tyloriano, dal Tylor che lo formulò, quello per cui i fatti etnografici vengono esposti in tavole, allo scopo di rilevare dal rapporto fra le concordanze e le coesistenze, la connessione di causa; si dice storico-culturale (Graebner) quello che si basa sopra gl'indici morfologici e quantitativi per determinare le aree o i cicli di civiltà; si dice finnico, dalla nazionalità del suo fondatore (G. Krohn), quello che valuta nella ricerca delle affinità dei varî gruppi di varianti, oltre i dati storici, i fattori di ordine geografico; si dice poi psicoanalitico (Freud), quello che mette in vista nelle tradizioni popolari gl'impulsi dovuti all'inconscio, che si manifesta in maniera uniforme nei selvaggi, nei nevrotici e nei fanciulli. Recentissimo è il sistema cartografico ideato dal van Gennep, che l'applicò alle tradizioni savoiarde. Secondo tale sistema, che deriva la sua denominazione dalle cartine geografiche che compendiano le ricerche, e che vuole concentrata la visione comparativa in un ambiente etnicamente definito, all'opposto del sistema antropologico delle concordanze, che si basa sui paralleli a perdita d'occhio, i problemi folklorici non potranno essere risolti ove non siano prima rilevate le costanti dei fatti, mediante l'indagine luogo per luogo, senza prescindere da tutte quelle circostanze di natura geografica, economica e psicologica, che ne accompagnano l'irradiazione e la ripartizione.
Le opinioni che dividono gli studiosi si rispecchiano non solo nei programmi delle diverse società scientifiche, ma nell'ordinamento dei musei e degli altri istituti scientifici.
I primi nuclei di musei folklorici rimontano alla metà del sec. XIX. Da allora, crescendo l'interesse per le raccolte di curiosità locali, cominciano a costituirsi dei veri e proprî istituti e laboratorî di folklore o di etnografia nazionale, metodicamente sistemati. In Europa ne esistono parecchi e molti altri sono in via di formazione nei capoluoghi e nei centri secondarî, e perfino nei paeselli. La Svezia, che possiede in Stoccolma il celebre Museo Nordico (Nordiska Museet), fondato nel 1872, ne ha più di 2000. Anche nella Finlandia pullulano simili istituti locali. Oltre il Museo all'aperto (friluftmuseum), sul tipo di quello svedese del Haze-lius, inaugurato nel 1908, la Finlandia ha nel Museo Nazionale di Helsinki una cospicua sezione folklorica. In Germania, in numerose città, grandi e piccole, esiste un museo di arte industriale (Kunstgewerbe Museum): se ne contano 117 nelle provincie prussiane, 81 in quelle della Germania meridionale e 58 nelle rimanenti. I più importanti per le raccolte scientifiche e per l'ordinamento sono il Museo di Altona, il Deutsches Museum di Monaco, il Museum für Völkerkunde di Berlino e il Museo generale di folklore tedesco in Norimberga. Di gran lunga inferiore è il numero dei musei d'arte industriale, con spiccato carattere folklorico, in Austria, dove prende ogni giorno maggiore incremento il Museum für Volkskunde di Vienna, il quale sebbene destinato al folklore austriaco, è diventato un vero museo europeo per le svariate raccolte straniere che vi si sono venute ad aggiungere. Rinomato è, nella Svizzera, il museo di Basilea. Nella Francia non esiste un organismo speciale per la conservazione degli oggetti e dei costumi popolari, i quali sono largamente rappresentati in varî musei provinciali di archeologia e di storia (v. francia: Folklore). Il Belgio ha due importanti musei, ad Anversa e a Liegi (Musée de la Vie Wallonne); nel 1930 sono stati fondati quelli di Tournai, Stavelot, Auderlecht, Op-Heylissen. Musei etnografici nazionali di riconosciuto valore si trovano nella Polonia (Varsavia, Cracovia), nella Ceeoslovacchia (Praga, Luhačovice, Bruno), nella Romania (Cluj), nella Grecia (Museo folklorico annesso all'università di Salonicco e Museo d'arte decorativa in Atene) e nel Portogallo (Lisbona). L'Inghilterra, non possiede alcun museo del genere e le poche raccolte della Folk-lore Society di Londra sono in deposito presso il Museo archeologico e etnologico di Cambridge. In Italia, dove già il Pigorini vide l'utilità di un simile istituto, con le collezioni di L. Loria si è formato il Museo di etnografia italiana, regificato nel 1923, con sede a Tivoli. Né mancano i musei regionali (Forlì, Tolmezzo, Spezia, Palermo, ecc.).
Numerose sono in Europa le associazioni per lo studio delle tradizioni popolari. La più antica è quella di Londra (Folk-lore Society), fondata da L. Gomme nel 1878; vengono poi il Verein für Volkskunde di Berlino, la Schweizerische Gesellschaft für Volkskunde fondata nel 1896 a Basilea, il Verein für Osterreichische Volkskunde di Vienna (1903); altre società esistono in Grecia, Polonia, Francia (Société de folklore français). L'Associazione finlandese (Folklore Fellows; v. finlandia: Folklore) è considerata l'istituto centrale in Europa, per il suo carattere internazionale. Organi di questi enti sono, in Inghilterra, la rivista Folk-Lore (dal 1889); in Germania, la Zeitschrift f. Volkskunde (dal 1891); in Austria, la Wiener Zeitschrift f. Volkskunde; nella Svizzera, lo Schweizerisches Archiv für Volkskunde (dal 1897); nella Grecia, la rivista Λαογραϕία (dal 1909); nella Polonia, la rivista Lud; nella Francia, la Revue de Folklore Français (dal 1930); e nella Finlandia, le Folklore Fellows Communications.
In seguito al Congresso internazionale di Praga (1928), si è costituita sotto gli auspici della Società delle Nazioni, la Commissione internazionale delle arti popolari, la quale coi suoi vari comitati nazionali in ogni stato dell'Europa, attende allo studio delle manifestazioni artistiche del popolo (danze, canti, musica, ecc.). Pochissime le cattedre universitarie: una in Finlandia (Helsinki), una in Estonia (Tartu), la terza in Norvegia (Oslo), la quarta in Romania (Cluj). L'Italia che ebbe nel 1892 la prima Società delle Tradizioni popolari italiane, sotto il patronato della regina, e nel 1914 la società di etnografia italiana, ha oggi il Comitato nazionale delle tradizioni popolari. Attendono alle ricerche della materia le riviste Il Folklore italiano (dal 1925) e Lares (dal 1930), le quali continuano l'opera dell'Archivio delle trad. pop. (1881-1907), della Riv. delle trad. pop. italiane (1893-1894) e del Lares (1912-1914), diretto prima dal Loria e poi dal Novati.
Bibl.: R. F. Kaindl, Die Volkskunde, ihre Bedeutung, ihre Ziele u. ihre Methode, Lipsia e Vienna 1909; C. Knotz, Was ist Volkskunde und wie studiert man dieselbe?, Altenburg 1900; F. S. Krauss, Allgemeine Methodik der Volkskunde, in Roman. Forsch., III (1891-97); E. Hoffmann-Krayer, Die Volkskunde als Wissenschaft, in Man (1902), p. 38 seg.; A. Spauer, Wesen, Wege und Ziele der Volkskunde, Lipsia 1928; M. Haberlandt, Einführung in die Volkskunde, Vienna 1924; E. Kagarow, Folkloristik und Volkskunde, in Mitteil. d. Schlesisch. Gesell. f. Volksk., XXX (1929), pp. 70-77; G. S. Hartland, Folklore. What is it and what is the Good of it, Londra 1888; M. Cox, Introduction to Folk-lore, Londra e New York 1895 (rist. 1904); L. Gomme, Hand-Book of Folk-lore, Londra 1887; R. Vuia, Etnographie, etnologie, folclor, Cluj 1930; P. Sébillot, Le folk-lore, Parigi 1913; A. van Gennep, Le folklore, Parigi 1924; R. Corso, Folklore: storia, obietto, metodo, bibliografia, Roma 1923. La migliore bibliografia generale è quella di E. Hoffmann-Krayer, Volkskundliche Bibliographie (Berlino e Lipsia, 1920-1931). Quest'opera, che ha carattere periodico e che abbraccia il folklore dei paesi europei ed extraeuropei, è compilata con le indicazioni fornite da competenti di ogni stato o nazione.