Folla
Il termine 'folla' è generalmente riferito a quel particolare tipo di aggregazione sociale che si forma quando una moltitudine di individui è riunita, in maniera temporanea, in uno stesso luogo e nella quale lo spazio di ciascuno dei partecipanti è limitato in modo considerevole dalla presenza degli altri (dal latino fullare, lavare i panni, in cui è implicita l'idea del premere, dello stringere). Tale aggregazione può essere atomizzata e involontaria (per esempio, la ressa ai grandi magazzini) o, al contrario, intenzionale (per esempio, il pubblico di una partita di calcio, una sommossa popolare, una manifestazione politica). Nel primo caso si preferisce utilizzare il termine 'affollamento' (crowding). La folla e i fenomeni a essa collegati costituiscono oggetto di studio sia della psicologia sociale che della sociologia. Entrambe le discipline tuttavia si sono occupate di questo tema in maniera discontinua e soprattutto quando sono state sollecitate a farlo dalle vicende del momento. In pratica, l'interesse per le folle sembra nascere quando esse compaiono sulla scena, creando timori per la stabilità e l'ordine del sistema sociale. Pertanto la folla rappresenta una forma di aggregazione molto particolare: essa costituisce in se stessa un avvenimento, i cui esiti non sono sempre prevedibili.
Nella letteratura i termini 'folla' e 'massa' sono stati sovente utilizzati come sinonimi; appare tuttavia utile distinguere il primo termine, che fa riferimento a un'entità concreta e osservabile, dal secondo, con il quale ci si riferisce alla maggioranza della popolazione considerandola in modo astratto e indifferenziato, senza tener conto delle sue articolazioni interne in ruoli, classi, funzioni, ecc.
Anche se a livello teorico la distinzione tra folla e massa risulta abbastanza chiara, gran parte degli studi sull'argomento, soprattutto fino al secondo dopoguerra, ha teso a utilizzare per entrambe le medesime categorie interpretative, soprattutto quelle di carattere psicologico, e a usare i due termini in modo interscambiabile. Tra i fattori che hanno contribuito a mantenere in vita questa sovrapposizione vi è il fatto che la folla è stata vista come una concretizzazione della massa, poiché ne richiama alcuni aspetti quali la numerosità, l'indifferenziazione, l'anonimità. La folla è poi storicamente una delle modalità con cui le masse si sono espresse (v. Geremek, 1980, p. 830).Ripercorrendo rapidamente l'evoluzione storica di quest'area di studio si potrà osservare come la problematica della folla, anche a causa dell'imprecisione concettuale che ha caratterizzato per anni gli studi sull'argomento, abbia perso progressivamente di centralità nelle scienze sociali, pur essendosi arricchita nel corso del tempo di molti originali contributi.
L'interesse per le folle, e soprattutto per le dinamiche psicologiche a esse collegate, nasce contemporaneamente in Francia e in Italia alla fine del secolo scorso. Il processo d'industrializzazione e la conseguente nascita del proletariato industriale urbano, la diffusione delle idee socialiste e le forme di 'azione diretta' tipiche del nascente movimento operaio, gli scioperi violenti e i tumulti che si susseguono in varie parti d'Europa creano una situazione d'instabilità sociale di fronte alla quale i diversi governi si dimostrano incerti sulla linea da tenere e rispondono alternando momenti repressivi a concessioni democratiche. Dal canto loro, la borghesia e i grossi proprietari terrieri vedono con spavento l'avanzata di queste 'folle' che sembrano sfuggire a ogni controllo e minacciare il loro potere. Nasce quindi l'esigenza di studiare più attentamente questi fenomeni, onde poterli contenere e controllare in modo adeguato. L'interpretazione in termini psicologici dei comportamenti collettivi è favorita dall'interesse che anima, in quello stesso periodo, il mondo della cultura e della scienza per gli elementi irrazionali e i moventi più nascosti che guidano l'agire umano. Tale interesse, che si sviluppa come reazione al positivismo e al razionalismo del periodo precedente, viene sollecitato anche dalle contemporanee scoperte avvenute in campo psichiatrico. In particolare le ricerche compiute in Francia sull'ipnotismo, sulla suggestionabilità e sulla dissociazione della personalità forniscono una serie di elementi che, uscendo dal campo specifico della psicopatologia, sono utilizzati per interpretare avvenimenti storici e nuovi fenomeni sociali.Uno dei primi studiosi che si servì di questa chiave di lettura per analizzare i comportamenti collettivi fu Hippolyte Taine, nei capitoli dedicati alla Rivoluzione francese di Les origines de la France contemporaine (v. Taine, 1876-1894). Prendendo numerosi spunti dal suo lavoro, Gustave Le Bon e Gabriel Tarde in Francia e Scipio Sighele in Italia scrissero le prime opere interamente dedicate allo studio psicologico delle folle. In particolare La psychologie des foules di Le Bon (v., 1895) conobbe una particolare fortuna a livello internazionale e costituisce ancora oggi un punto di riferimento fondamentale degli studi in questo campo.
Le Bon definisce la sua epoca come un periodo nel quale le folle (in questo caso da intendere come masse), in seguito a una serie di cambiamenti quali il suffragio universale, la crescita delle città, il miglioramento delle comunicazioni, sono destinate a dominare la scena sociale. Poiché esse propendono per le azioni violente e sono "poco inclini al ragionamento" (v. Le Bon, 1895; tr. it., p. 35), tale predominio prelude a un periodo di decadenza e di disgregazione. È necessario quindi che l'uomo di Stato approfondisca la psicologia delle folle, in modo tale da riuscire ad arginarle e "non essere da esse interamente governato" (ibid., p. 38).
Per Le Bon dal punto di vista psicologico una folla è un'entità che non è necessariamente riunita nello stesso posto nello stesso momento. Ciò che la caratterizza è la presenza di un'anima collettiva che unisce gli individui a livello spirituale. È possibile quindi che anche persone tra loro separate sviluppino questa comune psicologia provando uno stesso sentimento o vivendo insieme un'unica, forte emozione. L'individuo immerso nella folla subisce una radicale trasformazione, la sua personalità cosciente si annulla ed emergono in lui gli elementi più primitivi e irrazionali. Spinto dalla folla, egli compie azioni che non compirebbe mai da solo, perché questo sentimento collettivo orienta i sentimenti e i pensieri di tutti nella medesima direzione, producendo una diminuzione delle capacità intellettuali dei singoli individui e un aumento dell'impulsività, della volubilità e della violenza. Tutto ciò è favorito dal fatto che la situazione di folla, essendo quest'ultima anonima, assicura l'impunità.
Questa trasformazione avviene sulla base di tre meccanismi fondamentali. Innanzitutto l'essere immerso in una folla consente all'individuo di acquisire un 'senso di potenza invincibile', poiché egli si sente spiritualmente vicino, all'unisono, con una grande quantità di persone. In secondo luogo i sentimenti si trasmettono da un individuo all'altro 'per contagio', esattamente come avviene per le malattie infettive. Infine, ed è questo il meccanismo più importante, agisce nella folla la 'suggestione', che riduce l'individuo in uno stato particolare, simile a quello provocato dall'ipnotizzatore.
Per Le Bon la folla ricerca istintivamente un capo, un trascinatore (meneur des foules). Questa persona può essere in grado di controllarla, non solo sulla base del prestigio personale, ma anche attraverso un sapiente uso delle parole. Poiché le folle pensano poco, esse sono influenzate da frasi semplici ma di grande effetto, da slogan, da idee-immagini che suscitano forti sentimenti. È quindi necessario che il meneur utilizzi un tipo di linguaggio molto elementare e colorito per far comprendere alla folla il suo messaggio e per ottenere da essa il consenso che egli desidera.
Queste, in sintesi, le tesi che Le Bon esprime utilizzando, come il suo meneur, un linguaggio semplice, chiaro e immediato. Lo straordinario successo di questo piccolo libro è tuttavia attribuibile solo in parte allo stile dell'autore: non vi è dubbio che le parole di Le Bon hanno ottenuto vasta eco anche perché hanno legittimato, attraverso il ricorso a spiegazioni psicologiche, una diffidenza nei confronti delle folle che è di antica data e storicamente ricorrente. La sua visione della folla, come entità irrazionale e tendenzialmente violenta, sarà ripresa innumerevoli volte in seguito, così come i suoi consigli agli uomini di governo saranno seguiti attentamente da uomini politici e dittatori (in primis Hitler e Mussolini) del nostro secolo. All'opera di Le Bon, pur ricca di affermazioni scopertamente ideologiche e di imprecisioni terminologiche e concettuali, va riconosciuto il merito di aver individuato e descritto aspetti del comportamento collettivo e processi d'influenza sociale che sono tuttora oggetto di studio. I lavori successivi sulla folla faranno continuamente riferimento a questo testo, talvolta per criticarlo aspramente, talvolta per riconoscerne i meriti.Risalgono sempre agli anni tra la fine dell'Ottocento e l'inizio di questo secolo i lavori sulla folla di Tarde (v., 1893 e 1901) e Sighele (v., 1891), destinati anch'essi a ottenere una certa notorietà, soprattutto tra i contemporanei. Senza approfondire le tesi di questi autori, basterà qui ricordare che si deve a Tarde la distinzione, mancante in Le Bon ma di primaria importanza, tra la folla, aggregato di tipo concreto, e il pubblico, comunità puramente spirituale. Il pubblico è insomma quella "folla spiritualizzata, elevata" (v. Tarde, 1901, p.2) che verrà in seguito denominata 'opinione pubblica'. Scipio Sighele, invece, fu un rappresentante della scuola criminologica italiana e s'interessò del problema delle folle soprattutto dal punto di vista legale. La sua analisi psicologica della folla è in parte simile a quella di Le Bon (fra i due autori vi fu anche un'accesa polemica con accuse reciproche di plagio), ma se ne discosta per una maggiore attenzione agli aspetti contestuali e motivazionali che caratterizzano i singoli episodi di folla. Va infine ricordato, come un caso anomalo nel panorama nazionale e internazionale dell'epoca, il socialista Pasquale Rossi, il quale dedicò alla psicologia collettiva una serie di volumi (v. Rossi, 1898 e 1902) e fondò anche una rivista sull'argomento, con l'intento non già di gestire le folle, bensì di educarle.
Dopo questo periodo di grande produzione lo studio della folla conosce, fino agli anni venti, una fase di flessione creativa, nella quale i pochi lavori sull'argomento ricalcano grosso modo le tesi degli autori ottocenteschi. È in questi anni tuttavia che l'interesse per questo tema, anche per merito delle traduzioni dei testi francesi e italiani, comincia a diffondersi in altri paesi, quali l'Inghilterra, la Germania e gli Stati Uniti. In consonanza con il prevalere delle teorie 'istintivistiche' nelle scienze sociali, ottengono un notevole successo le opere di due autori inglesi, William McDougall (v., 1908) e William Trotter (v., 1916), i quali sottolineano l'importanza dell'istinto gregario nella spiegazione dei fenomeni collettivi.
Mentre in Germania, dove sono soprattutto i sociologi a interessarsi del problema, la lettura psicologica della folla di Le Bon è in linea di massima accettata, negli Stati Uniti essa è accolta inizialmente con molta diffidenza. Le descrizioni fornite dagli autori europei, la concezione della folla come sostanzialmente irrazionale ed emotiva, sono considerate (v., per esempio, Cooley, 1909) il frutto di una particolare situazione storica e culturale, quella europea appunto, e quindi non universalmente valide e tantomeno applicabili alla realtà americana, a democrazia consolidata. Tuttavia, anche per mezzo di studiosi che effettuano viaggi e periodi di studio in Europa, gli psicologi e i sociologi americani cominciano a prestare anch'essi maggiore attenzione ai fenomeni collettivi, di cui peraltro hanno diretta esperienza nel loro paese (gli episodi di linciaggio furono frequenti negli Stati Uniti alla fine dell'Ottocento e nei primi decenni di questo secolo).
Negli anni successivi alla prima guerra mondiale vengono prodotti nuovi e originali contributi. È proprio da una riflessione sui processi psicologici che avevano agito nel periodo bellico che nasce uno dei lavori più importanti del periodo, Psicologia delle masse e analisi dell'Io, di Sigmund Freud (v., 1921). Freud condivide nelle linee essenziali la descrizione leboniana della folla, apportandovi tuttavia due importanti integrazioni. Innanzitutto per Freud la suggestione, o meglio la suggestionabilità, non costituisce un principio esplicativo, un fenomeno primario irriducibile, ma necessita essa stessa di una spiegazione. In secondo luogo egli ritiene che Le Bon abbia sottovalutato il ruolo del capo all'interno della folla e l'importanza del legame affettivo che lega i seguaci al capo.
La spiegazione che egli propone, alla luce della psicanalisi, è fondata sull'affermazione che i legami affettivi costituiscono l'essenza della psicologia collettiva. Nella folla (o massa) si svilupperebbe una struttura libidica correlata, basata sul fatto che i singoli individui assumono come ideale dell'Io, ossia come punto di riferimento per la valutazione di se stessi, lo stesso oggetto (il capo) e di conseguenza si identificano gli uni con gli altri. La figura del capo, o di un ideale che eserciti tale funzione, costituisce quindi l'oggetto libidico fondante l'intera struttura. Se il capo viene a mancare, se il legame con lui s'interrompe per qualche motivo, si annullano anche i legami che uniscono i seguaci tra loro e la folla si disintegra.
Va rilevato che per Freud, come già per Le Bon, non vi sono, dal punto di vista psicologico, differenze fondamentali tra folle momentanee o durevoli, organizzate o spontanee, concrete o astratte, ecc. I meccanismi-base da lui descritti, assunzione a ideale dell'Io dello stesso oggetto e identificazione con gli altri partecipanti, possono svilupparsi all'interno di qualsiasi forma di aggregazione sociale, anche di quelle più altamente strutturate. Ciò che interessa a Freud non è tanto la folla nei suoi comportamenti e nei suoi meccanismi, ma piuttosto il perché l'individuo soggiaccia a essa e quale tipo di trasformazione psichica si verifichi in questa situazione. La psicologia collettiva lo interessa solo in quanto gli permette di cogliere una serie di elementi che sono particolarmente rilevanti "per l'esplorazione psicanalitica del profondo" (v. Freud, 1921; tr. it., p. 66).
Il periodo del dopoguerra offrì nuovi spunti di riflessione agli osservatori europei. L'avvento della pace non aveva prodotto un clima di tranquillità politica e sociale, ma, al contrario, aveva portato con sé violenze e disordini.
Gli avvenimenti della Russia, la Rivoluzione bolscevica, avevano rinvigorito il movimento dei lavoratori ma al tempo stesso rafforzato le ansie e le paure di quanti temevano l'avanzata del socialismo. Questo clima contribuì a dar vita a movimenti sociali delle più svariate tendenze e finì per favorire l'avvento di governi totalitari e dittatoriali. A partire dagli anni trenta la situazione si presenta completamente mutata: le folle 'caotiche' sono diventate masse organizzate, che seguono docili e mansuete i nuovi meneurs. Gli studi di psicologia collettiva si discostano sempre più dall'analisi della folla in termini concreti per incentrarsi sul problema delle masse e della crescente massificazione. I contributi più importanti di questo periodo cercano tutti, in un modo o nell'altro, di darsi delle ragioni di questo 'istinto del gregge' che appare con evidenza a chi osserva l'evolversi della situazione europea. La ribellione delle masse di José Ortega y Gasset (v., 1930), Psicologia di massa del fascismo di Wilhelm Reich (v., 1933), Le viol des foules di Sergio Ciacotin (v., 1938), pur essendo opere profondamente diverse tra loro, sono accomunate dallo sforzo di comprendere questa nuova realtà sociale e il nuovo volto delle masse.Contemporaneamente, negli Stati Uniti, in linea con il crescente successo delle teorie behavioriste, si diffonde tra i ricercatori l'esigenza di affrontare in modo più concreto e meno teorico lo studio dei fenomeni sociali. Per quanto riguarda il nostro tema, il primo risultato di questa nuova tendenza è lo smembramento di quest'area di studio, dai confini fino ad allora imprecisi, in differenti filoni di ricerca che procederanno in parallelo, anche se non saranno esenti da reciproche e importanti influenze. La folla, come forma specifica e concreta di aggregazione sociale, diviene allora un oggetto di studio della nuova psicologia sociale a indirizzo sperimentale e, contemporaneamente, di quell'area nascente della sociologia che prenderà il nome di collective behavior.
All'interno di uno dei primi testi a carattere sperimentale, Social psychology di Floyd H. Allport (v., 1924), compare la prima interpretazione dei fenomeni di folla che prende decisamente le distanze dall'interpretazione psicologica leboniana. Seguendo il modello behaviorista, Allport sostiene che il comportamento collettivo non è altro che un insieme di risposte individuali a uno stimolo sociale. Egli rifiuta in modo categorico le teorie che postulano l'unità mentale del collettivo, lo spirito di gruppo, l'anima della folla. Per Allport il meccanismo-base che agisce nelle situazioni collettive è la 'facilitazione sociale'. L'individuo non subisce nella folla, come sosteneva Le Bon, un mutamento radicale a livello psicologico: la situazione collettiva ha solo la facoltà d'intensificare le pulsioni e i sentimenti individuali e di facilitare la disinibizione delle condotte. Il comportamento degli altri agisce contemporaneamente come stimolo e rinforzo per i sentimenti e l'azione di ciascuno e agevola la rottura delle normali convenzioni. Il singolo tende, nella folla, ad attribuire agli altri le sue stesse idee e i suoi stessi sentimenti e a considerare in termini assoluti ciò che egli crede e sente in quel momento; egli vive così 'un'impressione di universalità'.
L'aggressività e la violenza che a volte si sviluppano nelle situazioni di folla non sono dovute a residui di primitivismo, ma al fatto che le pulsioni fondamentali degli individui che compongono la folla sono state contrastate o minacciate. Anche la suggestione che si verifica nella folla è frutto della pressione, della facilitazione reciproca dei partecipanti. Questo meccanismo produce un aumento dell'attività esplicita, un'accentuazione dei comportamenti e, contemporaneamente, inibisce le reazioni implicite, il pensiero. Il ragionamento assume quindi una forma elementare, perdendo gran parte delle facoltà critiche. Tuttavia per Allport il comportamento degli individui che compongono la folla può essere fondato su ragioni esplicite o desideri inespressi, ma non è mai irrazionale. Le azioni collettive hanno sempre un senso, una loro ragion d'essere, anche se il loro significato non è necessariamente lo stesso per tutti i partecipanti e risulta, a volte, incomprensibile a un osservatore esterno.
L'interpretazione di Allport presta il fianco alle critiche che vengono in genere rivolte al behaviorismo: ridurre il comportamento a un fatto puramente meccanico, come risposta a uno stimolo, non permette di cogliere il margine d'imprevedibilità e d'indeterminatezza sempre presente nell'azione umana. Questo autore ha avuto tuttavia l'indubbio merito di ridimensionare la portata dei mutamenti che la folla è in grado di attivare nell'individuo, proponendone una chiave di lettura che, senza negare un'amplificazione dei fenomeni dovuta alla particolare situazione, permette di rintracciare gli stessi processi psicologici all'interno di differenti forme di aggregazione sociale. In tal modo la folla cessa di essere un aggregato 'primitivo' e in qualche misura patologico, per divenire uno dei luoghi e delle situazioni in cui gli esseri umani interagiscono e s'influenzano reciprocamente.
A partire dagli anni trenta, la psicologia sociale va focalizzando sempre più la sua attenzione sullo studio dei piccoli gruppi, i quali vengono considerati non solo come un'unità sociale fondamentale, ma anche come modelli su scala ridotta di qualsiasi forma di aggregazione sociale. Sulla base del presupposto, derivante dalla psicologia della Gestalt, secondo il quale la struttura del campo totale è più importante delle sue dimensioni (v. Lewin, 1951), i meccanismi psicologici che si sviluppano all'interno di un gruppo ristretto possono essere considerati simili a quelli che hanno luogo in contesti sociali di più ampie dimensioni. La possibilità di studiare i fenomeni sociali su scala ridotta si accorda inoltre perfettamente con la predilezione che la psicologia sociale ha in quel periodo per gli studi di laboratorio. Nonostante si facciano vari tentativi di studiare in laboratorio anche aggregati di ampie dimensioni, le numerose difficoltà di tipo tecnico e organizzativo dissuadono rapidamente i ricercatori dall'intraprendere questa strada. In sintonia con i postulati teorici la via più semplice per superare questi problemi consiste nel ridimensionare il campo d'indagine. Succede così che i lavori sui grandi gruppi, e sulle folle in particolare, assumono una posizione marginale all'interno della disciplina, mentre i risultati delle ricerche condotte sui piccoli gruppi vengono utilizzati per interpretare processi che si sviluppano anche in situazioni più vaste e meno strutturate. Contributi interessanti di questo tipo riguardano, per esempio, lo studio delle condizioni che facilitano gli episodi di panico (v. Mintz, 1951; v. Kelley e altri, 1965), delle modalità attraverso cui si crea una norma comune collettiva (v. Sherif, 1948), nascono le dicerie e si deformano le informazioni (v. Allport e Postman, 1947).
A partire da quel periodo, i lavori che affrontano direttamente il tema della folla in psicologia sociale sono stati assai sporadici. Vanno tuttavia segnalati alcuni contributi sull'argomento. Negli anni sessanta si è cercato di approfondire la base razionale dei comportamenti della folla basandosi sulla teoria dei giochi e sull'analisi dei costi e dei benefici (v. Brown, 1965). Si è inoltre cercato di collegare l'approccio psicologico a quello sociologico nello studio dei comportamenti collettivi (v. Milgram e Toch, 1969). Si tratta, in entrambi i casi, di lavori che, come la maggior parte degli studi sulla folla, sono di tipo esclusivamente teorico. Negli anni ottanta si è assistito a una certa ripresa dell'interesse per il tema della folla. Oltre ad alcuni contributi teorici (v. Moscovici, 1981; v. Mucchi Faina, 1983), sono state anche prodotte varie ricerche empiriche, analizzando singoli avvenimenti d'attualità (v. Reicher, 1984; v. Dunand, 1986). In generale i lavori più recenti di psicologia sociale, in linea con gli interessi attualmente prevalenti nella disciplina, hanno prestato particolare attenzione al rapporto tra meccanismi cognitivi e comportamenti sociali, mettendo in luce i processi di attribuzione e di costruzione di significato che sottostanno alla convergenza comportamentale.
Negli stessi anni in cui a Harvard gli psicologi sociali interpretano i fenomeni di folla secondo il modello comportamentista, nasce anche tra i sociologi, a Chicago, una particolare attenzione per questo tema. L'approccio della Scuola di Chicago, tuttavia, pur ponendo anch'esso al centro dell'interesse il comportamento sociale, è assai lontano dal rigido meccanicismo unidirezionale stimolo-risposta, sottolineando al contrario la reciproca influenza e il continuo scambio tra individuo e ambiente sociale. È in questa prospettiva che Robert Park, in quegli anni figura preminente all'interno del Dipartimento di sociologia, approfondisce lo studio del comportamento collettivo (collective behavior), che egli definisce come "il comportamento degli individui sotto l'influenza di un impulso comune [...] ossia di un impulso che è il risultato dell'interazione sociale" (v. Park, 1967, p. 236; l'articolo risale al 1926).
Per Park il comportamento collettivo è un processo che si sviluppa a partire dalla rottura della normale routine quotidiana. Esso si manifesta innanzitutto come una forma di "inquietudine sociale" (social unrest); si diffonde poi per contagio dando luogo a quei "processi di assiepamento" (milling process) che caratterizzano la folla; assume quindi la fisionomia del movimento di massa e infine si esaurisce, cristallizzandosi nell'istituzione. La folla rappresenta quindi una precisa fase evolutiva del comportamento collettivo, la fase in cui gli individui si trasmettono e rinforzano reciprocamente le proprie emozioni (circular reaction), sviluppando un impulso collettivo che guida poi la loro azione comune. Nell'interpretazione di Park i comportamenti collettivi consentono a una società di evolversi e rinnovarsi, e svolgono pertanto un ruolo sociale di primaria importanza.
Dopo i primi promettenti contributi, a partire dagli anni trenta, gli studi sui comportamenti collettivi, e quindi sulla folla che di questi rappresenta un prototipo, diventano marginali anche all'interno della sociologia. Il mutato clima politico creatosi con la crisi economica si riflette sulle scelte tematiche, spostando il focus della disciplina verso i comportamenti istituzionalizzati, conformi alle norme sociali e funzionali alla stabilità della società. I comportamenti collettivi, nella loro transitorietà e imprevedibilità, sono visti come fattori di disturbo; essendo diversi dagli altri comportamenti sociali, essi esulano dal modello teorico complessivo e necessitano di categorie interpretative ad hoc. Questa tesi è appoggiata anche dai pochi studi sul tema, provenienti, per alcuni decenni, quasi esclusivamente dagli allievi di Park (v., per esempio, Blumer, 1951²).Verso la metà degli anni cinquanta comincia tuttavia a delinearsi, all'interno della sociologia, un'inversione di tendenza (v. Turner e Killian, 1957; v. Smelser, 1963²) che porta, nel corso dei due decenni successivi, a un progressivo ridimensionamento della 'anormalità' di questi fenomeni. In questa fase la ricerca sociologica tende soprattutto a individuare e sottolineare le similarità tra i comportamenti collettivi e i comportamenti istituzionalizzati. Avviene così che anche l'azione di folla, dopo essere stata considerata per molti anni una manifestazione spontanea, guidata dall'emotività, viene interpretata come il frutto di una decisione e di una forma, se pur particolare, di organizzazione (v. Couch, 1968; v. Berk, 1974).
Dalla fine degli anni settanta gli studi sociologici hanno cercato di superare la distinzione tra comportamenti convenzionali e comportamenti collettivi, mirando a individuare similarità e differenze tra comportamenti sociali all'interno di una medesima struttura teorica e concettuale (v. Marx e Wood, 1975). In questa nuova prospettiva anche i fenomeni di folla, come qualsiasi tipo di azione sociale, non possono essere considerati in modo indifferenziato, ma vanno visti come il risultato di un intreccio di rappresentazioni, sentimenti e motivazioni, che interagiscono e vengono negoziati socialmente, le cui modalità di sviluppo sono quindi da mettere in relazione con le specifiche condizioni contestuali e normative. La ricerca si è così andata orientando verso lo studio del processo attraverso cui un singolo evento si costruisce, non solo analizzandone gli aspetti organizzativi e comunicazionali, ma cercando di coglierne le basi sociocognitive.
Dopo aver attraversato fasi alterne, in cui l'importanza di particolari aspetti è stata accentuata a scapito di altri, gli studi sulla folla sono ora indirizzati verso un'analisi più articolata e di tipo multidimensionale. Considerata per molti anni un oggetto di studio anomalo e speciale, la folla è oggi vista come un luogo nel quale possono agire e manifestarsi meccanismi di tipo diverso, alcuni dei quali rilevabili anche all'interno di gruppi più ristretti o più stabili, mentre altri sono riferibili unicamente a questa particolare forma di aggregazione sociale. In questa nuova prospettiva le componenti affettive ed emotive non sono più esasperate né demonizzate, e il rapporto tra fattori individuali e sociali, fattori emozionali e cognitivi, fattori normativi e dirompenti è più attentamente analizzato. Gli elementi che sembrano accomunare attualmente l'approccio sociologico e quello della psicologia sociale sono sia l'attenzione per il ruolo attivo, e non meramente ricettivo/reattivo, che i soggetti assumono nei fenomeni di folla, sia l'interesse per i processi attraverso i quali l'evento si costruisce socialmente.
(V. anche Comportamenti collettivi; Gruppi; Movimenti politici e sociali; Psicologia sociale)
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