follia
. Significa " stoltezza ", " sciocchezza ", " scempiaggine ", come emerge dall'equivalenza intercorrente fra i vv. 1 e 11 di Fiore CLVIII: fra Donar di femina si è gran follia, e Agli uomini lasciam far la larghezza, / ché natura la ci ha, pezz'è, vietata. / Dunque a femina farla [" che la faccia una femmina "] si è sempiezza. Con la pur stereotipa contrapposizione di CCI 3 senn' e follia, quel significato fondamentale è confermato da numerosi altri luoghi: in CLXXVII 4 la Vecchia asserisce che è f. donare troppo largamente (e cfr. CXCI 7); in CLXXXV 2, che è tale il dare appuntamento a due amanti alla stessa ora; in CVII 12 Falsembiante osserva proverbiosamente: Di gran follia credo m'intramettesse / voler insegnar vender frutta a trecca, / o ch'i' al letto del can unto chiedesse; e cfr. XIX 11, XXXIII 6, XLI 8, LV 14, CXXVII 5, CXCV 14, Rime XCI 104.
Più rilevato è il senso che presenta in Rime CVI 52, dove il termine è messo in rapporto con la cecità della mente (gli occhi ch'a la mente lume fanno, / chiusi per lui [" per il vizio ", Contini] si stanno; v. FOLLE), e in Fiore XXXVIII 8, ove l'Amante osserva a Ragione che è f. cercare di convincerlo ad abbandonare Amore, di cui egli è vassallo (fedel).
Come equivalente di " a causa dei suoi peccati " il Sapegno intende il sintagma di Pg I 59, laddove Virgilio dichiara a Catone le ragioni del viaggio dantesco: Questi non vide mai l'ultima sera; / ma per la sua follia le fu sì presso, / che molto poco tempo a volger era: interpretazione che riceve conforto da Pd VII 93, ove con f. si allude al peccato originale, in forza del quale l'umanità peccò tota / nel seme suo (vv. 85-86).
Bibl. - Per una diversa interpretazione del termine (e dell'aggettivo ‛ folle '), collegata al concetto di deviazione temeraria dalle leggi volute da Dio o da una norma morale umana, v. U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 55-75.