fondamentalismo
s. m. – Corrente teologica nata all’interno del protestantesimo agli inizi del Novecento; la nozione di f. è utilizzata per classificare tutti quei movimenti che, sorti in altri contesti religiosi, predicano il ritorno alla purezza delle fede, generalmente contenuta nei libri sacri, considerati depositari di verità assoluta così come di modelli di società perfette e virtuose fondate sulla legge divina. Tali movimenti sono presenti non solo nel mondo protestante statunitense, ma anche, rispettivamente, in quello musulmano ed ebraico, nonché in ambiente induista e buddhista. Nel cattolicesimo si parla piuttosto di integrismo, dal momento che, rispetto alle altre religioni appena ricordate, manca il riferimento all’inerranza di un testo sacro; nei movimenti integristi c’è, tuttavia, l’idea della superiorità della legge divina, autorevolmente custodita e interpretata dal capo supremo della Chiesa cattolica, su quella umana. Per l’integrismo cattolico gli ordinamenti di uno Stato non possono violare ciò che Dio ha iscritto nell’ordine naturale; di conseguenza, le leggi degli uomini devono rispettare la legge naturale, specchio del disegno divino sul mondo e sulla società. Il f. è diventato nel corso del tempo e, soprattutto, nel terzo millennio, sinonimo di estremismo religioso, terreno di coltura di gruppi radicali politico-religiosi che prevedono nel loro programma il ricorso alla violenza in tutte le sue forme: dalla lotta armata clandestina agli attentati di tipo terroristico, dalla guerra rivoluzionaria all’eliminazione fisica di tutti coloro che sono considerati impuri e infedeli, dagli attacchi suicidi ai rapimenti di turisti presi come ostaggi politici.
Dopo l'11 settembre 2001. – L'attentato alle torri gemelle del World trade center di New York dell’11 settembre 2001 (v.) può essere considerato, a tutti gli effetti, un evento cerniera: il passaggio da una forma specifica di credere, in particolare, nell’assolutezza dei testi sacri, che ha preso forma in un coerente progetto politico di rifondazione delle società secolarizzate e degli stati secolari su basi fortemente religiose (a partire dalla rivoluzione iraniana del 1979), alla teoria e pratica delle lotta armata per conquistare il potere politico e per imporre tale progetto. La lunga serie di attentati portati a termine in varie parti del mondo da uomini e – più recentemente – anche da donne, che si imbottiscono di esplosivo e si fanno saltare in aria per arrecare il maggior danno possibile al nemico, da un lato mostra quanto stretto sia il legame a una forma di pensiero religioso radicale e intransigente com’è il f. e, dall’altro, la convinzione di dover ricorrere necessariamente alla violenza per imporre il proprio punto di vista. L’estremismo religioso ha generato una forma di radicalismo dell’agire che ha portato molti gruppi fondamentalisti a giustificare comportamenti che sovente e in linea di principio sono censurati dalle rispettive tradizioni religiose di riferimento, come nel caso del suicidio o della violenza rivolta a civili. Dal 1982 – anno del primo attacco suicida organizzato contro l’ambasciata statunitense a Beirut da un gruppo affiliato al movimento sciita libanese Ḥezbollāh (letteralmente «partito di Dio») – sino al 2005 sono stati documentati 845 attentati messi a segno da ‘uomini-bomba’ in tutto il mondo, con una media di 27 attentati al mese nel 2005: complessivamente i morti sono stati 11.689, con picchi di vittime raggiunti rispettivamente negli attacchi di New York, Madrid e Londra e soprattutto negli scenari di guerra successivi all'11 settembre 2001, in Iraq, in Afghanistan e, più recentemente, nel nord della Nigeria. Il ricorso al metodo bellico di tipo terroristico non costituisce certo una novità nel corso della storia moderna e contemporanea. Ciò che appare nuovo è l’emergere di un profilo di combattente che, in nome di un’idea religiosa portata alle estreme conseguenze fideistiche, è disposto a compiere azioni di straordinaria violenza, compreso il sacrificio della propria vita, per infliggere al nemico il maggior numero possibile di vittime in una situazione di rapporti di forza militare asimmetrici. In molti casi, alla dimensione religiosa si sovrappongono motivi più strettamente politici, come la lotta per l’indipendenza nazionale o la difesa di un territorio occupato militarmente (Afghanistan, Iraq, Palestina), o ancora la ribellione alla sovranità di uno Stato che non tollera alcuna rivendicazione di autonomia o di indipendenza di parti del suo territorio (come in Cecenia o Sri Lanka). In quest’ultimo caso, i monaci buddhisti hanno sviluppato una tendenza fondamentalista, invocando a più riprese la necessità della guerra santa (dharma yudhaya) contro il movimento indipendentista Tamil, prevalentemente di cultura induista, che ha rivendicato dapprima una reale autonomia amministrativa e poi, di fronte alle resistenze del governo centrale cingalese, la secessione dei territori abitati dai Tamil. Tale richiesta è stata considerata dai monaci buddhisti e dal governo come una dissacrazione della terra e ha finito per sospingere sia una parte dei Tamil sia altre minoranze religiose, come per esempio quella musulmana, verso posizioni ideologiche assimilabili al fondamentalismo. La vicenda si è conclusa, per il momento, nell’inverno del 2009, con la vittoria dell’esercito cingalese sulle formazioni armate Tamil. In molti movimenti di matrice fondamentalista dalla rivendicazione o dalla difesa della propria identità si passa a invocare la sacralità della terra dove si abita e si finisce poi per giustificare tale politica d’identità con ragioni di carattere religioso. Quando la tensione con i regimi al potere cresce, si rafforza nella coscienza di chi si sente represso e non ascoltato la convinzione che il ricorso alla violenza estrema sia un dovere sacro. Il passaggio, allora, dalla guerriglia all’azione terroristica, motivata anche religiosamente, diviene sempre più plausibile. Laddove si impone il f., i conflitti politici e religiosi si acuiscono; in tal modo, i problemi reali che alimentano l’ideologia fondamentalista si complicano ulteriormente. L’intransigenza di gruppi fondamentalisti frena i progetti di una ragionevole pace fra Israele e l’autorità Palestinese così come, specularmente, il movimento radicale Hamas blocca tutti gli sforzi di quanti fra le fila politiche palestinesi si adoperano per la soluzione di due popoli/due stati. Su un altro fronte, la convivenza pacifica fra cristiani e musulmani è messa seriamente in pericolo dall’insorgenza di gruppi radicali islamici che predicano la purificazione della casa dell’islam (dar al-islam) dalle influenze occidentali, così come da tutti coloro che, ai loro occhi, professano una religione infedele. Il gruppo nigeriano Boko Haram (letteralmente «chi combatte per la difesa degli insegnamenti del profeta e per la jihad contro l’educazione e l’influenza dell’Occidente»), nato nel 2002 in uno Stato del nord (Borno) ha progressivamente spostato il suo bersaglio da obiettivi militari (colpendo sino al 2009 prevalentemente posti di polizia o caserme dell’esercito) a luoghi di culto cristiani. Di conseguenza la convivenza fra cristiani e musulmani è sempre più difficile in larghe zone del Paese africano. Allo stesso modo, l’avvento dei gruppi salafiti (letteralmente «ritorno ai padri dell’islam o alla prima comunità dei credenti radunata attorno al profeta») sulla scena politica in Egitto, in Tunisia e in Libia dopo la fine dei regimi autoritari o dittatoriali avvenuta in questi paesi nell’inverno del 2011, rischia di compromettere la via democratica che i movimenti spontanei di protesta hanno invocato in questi e in altri paesi del mondo arabo.