Fondamentalismo
Il progetto fondamentalista ha mostrato, nel respiro breve del ventennio, successivo all'apparire dei primi movimenti collettivi che lo hanno interpretato sulla scena sociale, tutti i limiti propri di un'ideologia che pretende di mettere in discussione la separazione moderna fra Stato e Chiesa, fra religione e politica. Se nella prima metà degli anni Ottanta del 20° sec. accostare movimenti di tipo fondamentalista, nati e diffusi in contesti religiosi, culturali e sociali diversi poteva apparire una forzatura, all'inizio del 21° sec., alla prova dei fatti, la comparazione appare legittima. Pur muovendo da premesse culturali diverse, infatti, questi gruppi radicali tendono a riproporre gli stessi temi.
Il f. è un modo di pensare e di agire la cui propagazione non è più limitata solamente agli ambienti influenzati rispettivamente dalle tre grandi religioni monoteiste (ossia ebraismo, cristianesimo e islam); esso è diffuso, in forme a volte inattese, anche in altri contesti come, rispettivamente, quello buddhista, induista e sikh.
Negli studi dei primi anni del 21° sec., il f. è diventato una formula astratta utile a classificare gruppi e organizzazioni che agiscono soprattutto nella sfera politica, ricorrendo alla religione come a un efficace mezzo di comunicazione, e ciò si può affermare per due ragioni. In primo luogo, la religione funziona come un repertorio di simboli della coscienza collettiva, che vengono rivisitati e declinati come puri e indistruttibili strumenti di difesa dell'identità di un gruppo, di un popolo o di una etnia. In tal caso, si ritiene che la propria identità sia minacciata da un pericolo incombente, a seconda delle situazioni di crisi in cui i movimenti di tipo fondamentalista si trovano ad agire. Essi perciò possono assecondare, esasperandole, le spinte politiche neonazionaliste o le tendenze influenzate dal revival etnico. Essi, in tal modo, si trasformano talvolta in movimenti etnoreligiosi o nazional-religiosi, ricombinando, in un nuovo plesso ideologico, le ragioni della politica e le credenze religiose più arcaiche, attinte dai testi sacri e adattate alle contingenze della lotta politica. L'efficacia della religione, in secondo luogo, deriva dalla spregiudicatezza, tutta moderna, nel saper utilizzare il linguaggio della comunicazione di massa: telepredicazione; riproduzione capillare di immagini di militanti che si offrono come esempi viventi di testimoni della fede, come nel caso dei cosiddetti martiri in ambiente musulmano; costruzione di reti on-line che consentono una veloce e semplice circolazione delle idee nel mondo e, infine, utilizzazione di spazi e luoghi non convenzionali - ampie sale cinematografiche riadattate a luoghi di culto e stadi - per contenere grandi masse di persone.
Il f., per quanto detto, esprime una nuova tipologia di conflitto, fondato non più e non soltanto sulla dialettica degli interessi economici e sulle differenze sociali, ma anche, e soprattutto, sui valori. I conflitti di valore riguardano, da un lato, la separazione moderna tra ambito politico e ambito religioso e, dall'altro lato, il principio dell'autonomia della politica, partendo dal presupposto ideologico e dalla constatazione di fatto che la sfera politica lasciata a sé stessa, senza forti vincoli etici, inevitabilmente si corrompe.
I movimenti fondamentalisti nel mondo musulmano
I movimenti esaminati svelano, nella loro critica radicale, l'esistenza nelle società contemporanee di legami sociali deboli (la famiglia, i luoghi di culto, la scuola, il mondo del lavoro) che un tempo, in un passato remoto spesso mitizzato, dal loro punto di vista, erano in grado di assicurare le relazioni profonde che consentivano agli individui di riconoscersi come soggetti che condividevano valori comuni. Si scorge, nel pensiero e nell'azione dei militanti fondamentalisti, un'acrimonia nei confronti dello Stato, a cui contrapporre una comunità di santi e di puri. Realisticamente, essi sono consapevoli però che non si può ridare un'anima alla politica senza la conquista del potere politico stesso: occorre cacciare 'i mercanti dal Tempio' e imporre, attraverso un regime della verità, un modello di Stato della virtù, unico valido antidoto al vizio. Non è casuale che, laddove i movimenti di tipo fondamentalista siano andati al potere, molto spesso i loro leader hanno istituito ministeri della virtù e hanno imposto una disciplina puritana di massa, una minuziosa logica del potere sui corpi delle persone, non solo su quelli delle donne, le quali, per prime e in modo più clamoroso, hanno subito gli effetti censori di tale controllo. Il riferimento immediato va alla breve, quanto intensa esperienza del movimento dei Ṭālibān (nome che deriva da una parola araba e che è riferito agli studenti delle scuole teologiche coraniche) in Afghānistān tra il 1997 e il 2001. Esso ha avuto origine nei campi profughi del vicino Pakistan. Qui, subito a ridosso del confine che divide le due nazioni, si erano rifugiati molti afghani di etnia pashtun (una delle più consistenti tra le popolazioni che compongono il mosaico etnico afghano) durante il periodo del regime filosovietico. Il movimento si formò nelle scuole coraniche che i militanti dei gruppi estremisti pakistani aprirono per educare le nuove generazioni pashtun afghane a un modello socioreligioso che si può icasticamente riassumere nella formula: Corano e moschetto. Un'etica guerriera, dunque, impartita ai giovani pashtun, che presupponeva uno stile di vita ascetico e rigoroso, non adatto a tutti, un cammino impegnativo per una élite di puri e duri combattenti della fede. Quando i Ṭālibān assunsero i pieni poteri a Kābul, il loro leader M. ̔Umar (noto anche come Mullā ̔Umar) ebbe buon gioco nell'instaurare un modello di Stato sedicente islamico, che in buona sostanza perseguiva la politica della virtù. L'ascetismo appreso fin da giovani nei campi profughi dai monaci-guerrieri pashtun si trasformò così in un potente apparato ideologico di Stato, che venne imposto sotto forma di una disciplina di massa, giustificata spesso con radicali quanto improbabili interpretazioni dei versetti del Corano o della Sunna (il complesso della tradizione orale attribuita al profeta Maometto). È un esempio di regime concentrazionario, dove è perseguita la virtù e bandito il vizio per ragion di Stato. Esso venne smantellato, dopo l'attentato di New York dell'11 settembre 2001, in seguito alla guerra proclamata dagli Stati Uniti, con una larga partecipazione di forze alleate, compresi alcuni Paesi a maggioranza musulmana, contro l'Afghānistān, dove aveva trovato rifugio U. ibn Lādin, accusato di aver progettato l'azione terroristica contro le Twin Towers. Al di là della guerra contro l'Afghānistān, combattuta del resto su un piano di vistosa disparità tecnologica tale da rendere ben presto evanescente la forza militare dei Ṭālibān, la sconfitta del regime islamico di Kābul apparve agli occhi degli stessi musulmani sparsi nel mondo come la liberazione da un'ossessione tutta moderna, di cui il f. si è fatto interprete, di dover necessariamente associare l'islam a un modello di Stato sostanzialmente di tipo totalitario, distorcendo il concetto stesso di Islam.
Identiche considerazioni si possono fare, analizzando le alterne fortune della rivoluzione iraniana dopo la morte del suo leader, R. Khomeini, scomparso nel 1988. Dopo la conquista della presidenza da parte di un esponente dell'ala riformista del clero sciita, S.M. H̱atamī, nel 1990, la corrente più radicale ha preso di nuovo il sopravvento nel 2005, con la vittoria delle elezioni presidenziali da parte di M. Aḥmadīnejād. Con H̱atamī, il progetto fondamentalista di Khomeini era stato messo in discussione, nel tentativo di ridurre il potere dell'oligarchia degli āyatollāh, che controllavano saldamente tutte le leve dello Stato, e di favorire una forma di democrazia repubblicana, rispettosa dei valori e delle norme islamiche. In particolare vi furono minori controlli sull'uso del lungo abito nero prescritto alle donne in pubblico (il chador), la liberalizzazione della stampa e minori pressioni censorie sulla produzione cinematografica. Per dare un'idea dell'effervescenza collettiva vissuta dalla maggioranza della popolazione iraniana, nella prima fase del regime riformatore di H̱atamī, basta ricordare la nascita di una rivista, diretta da donne teologhe, che cominciò a discutere temi e problemi legati alla condizione femminile, in particolare in riferimento a tutta una serie di discriminazioni e segregazioni, imposte e sancite dalla tradizione musulmana. Il periodo vissuto dalla popolazione iraniana sotto H̱atamī, fra il 1990 e il 2005, può essere descritto come una sorta di primavera culturale che prometteva l'avvio, nel laboratorio Irān, di un modello di repubblica costituzionale che assumeva i valori della tradizione religiosa come una cornice di senso e di consenso del popolo iraniano, senza però far derivare da essa una gerarchia delle fonti normative che andasse dalla legislazione statale alla disciplina minuta dell'abbigliamento delle persone. I tentativi compiuti dal gruppo politico e religioso coagulatosi attorno a H̱atamī di passare dalle parole ai fatti sono andati incontro alla paralisi prima e alla sconfitta definitiva poi.
Dopo circa quindici anni, infatti, le riforme promesse sono state snaturate o bloccate sul nascere dai Guardiani della rivoluzione, rigidi custodi del modello fondamentalista elaborato da Khomeini. Con il ritorno alla presidenza di un fedele khomeinista come Aḥmadīnejād sono stati ripristinati i controlli sul comportamento delle persone, a riprova del fatto che i regimi fondamentalisti, una volta instauratisi, non solo mostrano di non poter essere facilmente riformati dall'interno, ma anche che hanno bisogno di ostentare un volto austero e ascetico di un potere che pretende di esercitare l'arte sublime di guidare i cittadini sulla retta via. La politica della virtù, in tali regimi, è in fondo un enorme dispositivo per creare vincoli di obbedienza in società di massa, altrimenti ritenute ingovernabili da chi assume il punto di vista integralista in campo religioso.
Il fondamentalismo di origine protestante e di matrice ebraica
Anche laddove i movimenti fondamentalisti non hanno conquistato il dominio statale, le pressioni esercitate su singoli uomini politici sono avvenute e avvengono in nome di valori virtuosi che lo Stato dovrebbe fare propri, in termini di legge, e applicare erga omnes. L'attività di lobby, per es., esercitata da gruppi ultraortodossi ebraici in Israele o da gruppi evangelici negli Stati Uniti, ha avuto un certo successo: nel primo caso, allargando le aree di rispetto delle regole di purezza rituale nelle città e nei quartieri; nel secondo, con la scelta compiuta da parte di governi federali o nazionali di finanziare gruppi religiosi fondamentalisti, autorizzati, per es., a predicare l'astinenza sessuale nelle scuole fra gli adolescenti, in nome della lotta contro l'AIDS. Quando G.W. Bush era governatore del Texas, per es., fece approvare alcuni provvedimenti che stabilivano l'obbligo per tutti gli insegnanti delle scuole pubbliche di esaltare la virtù dell'astinenza per combattere l'AIDS, nell'ambito dei programmi di educazione sessuale da tempo introdotti nelle scuole statunitensi. Questa iniziativa si è diffusa poi gradualmente anche in altri Stati, con una accelerazione nel 2005, successiva alla rielezione di Bush, che sostiene attraverso impegni finanziari non indifferenti i programmi educativi volti a incoraggiare la presenza nelle scuole di gruppi religiosi impegnati nelle campagne for the virginity. In alcuni Stati e in alcune scuole degli Stati Uniti, infatti, tali gruppi hanno sperimentato ormai con successo la virginity pledge cerimony: la promessa solenne di ragazze e ragazzi di restare vergini sino al matrimonio, compiuta davanti ai genitori, agli insegnanti e ai coetanei. È una politica della virtù, dunque, e la verginità diviene un simbolo che ricompone la frattura fra pubblico e privato, fra politica e religione. Si diventa buone cittadine e buoni cittadini mantenendosi puri sino al matrimonio, atto pubblico per eccellenza. L'alleanza, nel caso che viene qui preso in esame, fra il nuovo ceto politico neoconservatore statunitense, coagulatosi intorno alla seconda presidenza di Bush, da un lato, e i movimenti neofondamentalisti (non solo di matrice protestante), dall'altro lato, si crea non soltanto per linee di simpatie ideologiche e di appartenenze di partito, ma nel concreto, in quello spazio intermedio fra pubblico e privato che è rappresentato dal sistema educativo, vale a dire dalla scuola.
Una scuola non orientata ai valori religiosi, secondo il punto di vista fondamentalista, rischia di corrompere le nuove generazioni; dunque, occorre compiere uno sforzo congiunto fra movimenti religiosi, chiese, personale politico vicino a questi soggetti per creare un ambiente educativo sano. Da qui la diffusione negli Stati Uniti di una rete di scuole confessionali che raggiungono più del 20% della popolazione scolastica e la richiesta continua di finanziamento pubblico. Alcune di esse sono sorte con il preciso intento apocalittico di 'sottrarre i propri figli dall'influenza di Satana', dove Satana è la scuola pubblica, magari in cattivo stato e poco competitiva nei processi formativi; da qui il ricorrente tentativo, compiuto a partire dal 1923 (dalla celebrazione del primo processo contro un insegnante del Tennessee, accusato da alcune famiglie evangeliche fondamentaliste di illustrare la teoria di Ch. Darwin), allo scopo di far scomparire dai programmi scolastici la teoria evoluzionista.
Si è di fronte, in conclusione, a nuovi attori sociali che si prefiggono la purificazione dalla corruzione che affligge la società e, a maggior ragione, di ciò che, nello stereotipo popolare, è la quintessenza della corruzione, il potere politico secolare e i suoi ordinamenti. I nuovi movimenti socioreligiosi di cui si parla condividono tutti una dimensione neopuritana, che non riguarda solo il mondo evangelico-protestante, ma che accomuna anche alcuni movimenti ultraortodossi appartenenti al mondo ebraico.
È il caso, per es., del movimento Habad (acronimo che combina tre parole ebraiche: saggezza, intelligenza, conoscenza) o Lubavitch, dalla cittadina bielorussa dove ebbe effettivamente origine nella seconda metà del 18° sec., come una espressione del vasto movimento mistico ebraico del Centro-Est europeo, meglio noto come hasidismo. I membri di questo movimento sono convinti che il Messia sia in arrivo, anzi pensano che in realtà Egli sia già giunto e si identifichi nell'ultimo leader della comunità, M.M. Schneerson, morto nel 1994. Perciò, alla metà del primo decennio del 21° sec. dopo più di dieci anni dalla sua scomparsa, essi non hanno nominato il successore, ritenendo di non poter attendere un altro messia.Il quartier generale del movimento è a Brooklyn (New York), ma importanti enclave si trovano in Israele, dove i militanti hanno creato vere e proprie microsocietà autocefale, impenetrabili a chi non appartiene al movimento.
È importante ricordare che l'attesa del Messia, identificato nell'ultimo rebbe (capo spirituale) della comunità, è stata confortata non solo dalla conquista dei territori della Samaria e della Giudea, avvenuta con la guerra dei Sei giorni del 1967, ma anche dalla disfatta subita da Ṣ. Ḥusayn nella prima guerra del Golfo del 1991. I due eventi hanno alimentato la convinzione dell'imminente arrivo del Messia nella Terra Promessa. I tratti di f. in tal caso riposano sul fatto che in Habad si salda coerentemente l'idea di una Parola rivelata in un testo sacro, ritenuta verità assoluta, e la convinzione tutta politica che i confini di uno Stato, quello d'Israele, coincidano d'ora in poi con il perimetro ideale della Terra Promessa tracciato da Dio per il suo popolo. Una coincidenza fra religione e politica che ha creato e potrebbe continuare a creare alla giovane democrazia israeliana numerosi problemi e conflitti.
Il fondamentalismo all'inizio del 21° secolo
Sin dalle origini, nella galassia fondamentalista si confrontano almeno due correnti: la prima, che ha sempre pensato che fosse necessario ricostruire dal basso un tessuto di legami e luoghi sociali dove veder risplendere la verità religiosa alla quale si desidera essere integralmente fedeli, la seconda, invece, che ha puntato in alto, alla conquista del potere politico, agendo direttamente nella sfera pubblica. La prima si è limitata ad agire tra le pieghe della società, costruendo cittadelle esemplari, che, in alcuni casi, hanno rivendicato e ottenuto una relativa autonomia rispetto alle leggi degli uomini, in nome e nell'osservanza della conclamata Legge di Dio. La seconda, invece, ha finito per cedere sempre di più alla logica della lotta politica. Dove essa ha conosciuto forti censure da parte degli apparati ideologici e repressivi degli Stati, frange estremiste hanno decisamente scelto la lotta armata, organizzandosi in gruppi clandestini, che ricorrono oggi al terrorismo come metodo di guerra, soprattutto in ambiente musulmano e indù. Si può definire tale deriva come la malattia senile del fondamentalismo.
Chi ha agito secondo il primo modo di pensare è riuscito a compiere talvolta una piccola rivoluzione dal basso, che gli ha consentito di insediarsi stabilmente nella società civile. I casi più noti sono costituiti dalla formazione di alcuni quartieri ultraortodossi ebraici a Gerusalemme e a Tel Aviv o dalla strategia di inserimento sociale perseguita dall'organizzazione dei Fratelli musulmani in Egitto, che, dopo le prime timide prove di democrazia, nelle elezioni politiche dell'inverno del 2005, costituiscono l'unico vero partito d'opposizione, o, infine, dalla rete organizzata di scuole confessionali aperte dai gruppi neofondamentalisti americani. Una vena di moderato f. è visibile anche nei progetti di riconquista della società e del ruolo che la Chiesa cattolica intende svolgere nello spazio pubblico e, indirettamente, nell'arena politica in Europa. Nel cattolicesimo non esiste la centralità del testo sacro e la sua inerranza. Perciò non è semplice applicare in tal caso la categoria di fondamentalismo. Tuttavia nell'agenda dell'azione di alcuni movimenti e leader del mondo cattolico europeo si ravvisano temi comuni a quelli agitati dai movimenti neofondamentalisti protestanti e forme di azione molto simili, soprattutto in campo scolastico, in tema di aborto e per quanto riguarda il riconoscimento di diritti civili alle coppie omosessuali.
Coloro i quali, al contrario, si sono mossi decisamente sul terreno politico hanno dovuto registrare sconfitte, contraddizioni e fallimenti, che hanno spesso spinto alcune minoranze più radicali a maturare forme di azione violenta. Ridurre la religione alla politica, infatti, si è presto dimostrato un esercizio sterile e pericoloso: non fosse altro perché chi si è mosso in nome di Dio o della Legge per affermare le ragioni della Verità nella sfera politica non pensava a quali e quanti rischi potesse andare incontro, piegando le ragioni trascendenti alle piatte esigenze della lotta politica.
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