Fondazioni bancarie
La concretezza come ragione sociale
L'autonomia delle Fondazioni bancarie
di Fabio Roversi-Monaco
Il Consiglio di Stato trasmette al ministro dell'Economia Giulio Tremonti il suo parere sul regolamento attuativo della riforma delle Fondazioni bancarie, inserita nella Legge finanziaria 2002. La suprema magistratura amministrativa approva l'affidamento a società di gestione del risparmio delle quote di controllo di banche ancora possedute dalle fondazioni, ma chiede l'eliminazione dal testo della soglia del 66% prevista nei Consigli di amministrazione per i rappresentanti degli Enti locali.
Una storia lunga e gloriosa
La descrizione dell'attuale sistema delle Fondazioni bancarie derivanti dalla trasformazione delle Casse di Risparmio richiede una breve premessa volta a ricostruire la complessiva vicenda di queste istituzioni, caratterizzate da una lunga storia, spesso gloriosa, e dalla peculiarità della loro natura. Occorre partire da lontano, per collegarsi alla prima metà dell'Ottocento, fase storica nella quale, a fronte delle crescenti esigenze della società, sorsero numerosi soggetti spinti dall'intento di operare per finalità altruistiche nell'ambito di settori che per tradizione gli Stati continentali e le loro strutture pubbliche non ritenevano di loro pertinenza.
Si svilupparono in effetti in quegli anni numerose iniziative, definibili privatistiche con riferimento alla natura dei promotori, ma sostanzialmente altruistiche nel senso che miravano a soddisfare finalità collettive nell'ambito della scuola, dell'educazione, dell'assistenza, delle cure sanitarie e dei servizi in genere. Queste iniziative non possono essere condotte a unità, ma certamente le esigenze cui intendevano corrispondere possono considerarsi espressione della comune volontà di molti di contribuire allo sviluppo della società facendo fronte, in assenza dell'intervento degli Stati, a esigenze nuove e nell'intento di migliorare le condizioni di vita dei cittadini più deboli. Le Casse di Risparmio, che appartengono a questo filone di sviluppo della società italiana, cominciarono a intervenire nel settore del credito, senza porsi scopi lucrativi e in odio a ogni forma di usura. Le tipologie furono fin dall'inizio differenti, pur nell'unità degli intenti ultimi, nel senso che in alcuni casi furono gruppi di cittadini a impegnarsi a vantaggio della loro collettività di riferimento, dando luogo ad associazioni, in altri casi furono enti locali a costituire istituzioni di tipo diverso. Nel corso dei decenni la situazione ebbe a mutare. Trattando l'argomento con grande semplificazione, può osservarsi che, nel momento in cui si realizzò lo Stato unitario ed emerse l'istanza, di matrice francese, per un forte accentramento statale, cominciò a farsi strada la diversa idea che lo Stato dovesse assumere via via, in prima persona o attraverso le sue articolazioni, una serie di compiti che, in quanto indirizzati al soddisfacimento di riconosciute esigenze della collettività, diventavano di interesse collettivo e, quindi, pubblici.
In definitiva lo Stato, non più governato da una sola classe sociale ma ormai Stato pluriclasse, con l'avvento al potere di ceti diversi da quelli che erano stati i soli dominanti, ebbe a individuare in misura crescente come compiti pubblici, e dunque in allora statali, quei compiti nuovi volti a migliorare le condizioni di vita dei cittadini e a favorirne lo sviluppo.
In conseguenza di ciò le Casse di Risparmio, Associazioni o Istituzioni chiamate a realizzare una struttura bancaria volta a erogare il credito soprattutto a piccoli artigiani, agricoltori, commercianti a condizioni di favore, nonché allo scopo di incentivare il risparmio considerato in sé e per sé come un valore, vennero trasformate in strutture pubbliche rilevanti per l'economia locale, sottoposte all'indirizzo e al controllo dello Stato.
Una sorta di sopraffazione, sancita via via legislativamente e amministrativamente (a tacere dei controlli sull'attività bancaria, il presidente e il vicepresidente venivano nominati dal Ministero del Tesoro e sulla nomina del direttore doveva esserci il gradimento di Banca d'Italia), che senza per la verità modificare l'assetto istituzionale fondamentale delle Casse di Risparmio le sottopose allo Stato come Enti pubblici economici aventi una duplice natura: imprenditoriale, in quanto Banche, e, nello stesso tempo, erogativa.
Un'inversione di tendenza
Ora si assiste a una sorta di inversione di tendenza in quanto l'attività bancaria è stata scissa dall'attività erogativa, costituendosi separatamente la Società per Azioni-Banca e la Fondazione detentrice delle partecipazioni nella Banca. Le Fondazioni bancarie, che sono fondazioni di diritto privato a ogni effetto, per esplicita volontà del legislatore e per atto ricognitivo e costitutivo del Ministero del Tesoro, sembrano rappresentare una categoria a sé stante nel panorama delle istituzioni italiane.
Concepite dalla Legge Ciampi come fondazioni di diritto privato, faticosamente istituite come tali dalle Casse di Risparmio nel corso di qualche anno, a seguito di un procedimento sul quale non può che esprimersi una valutazione positiva - poiché le Casse da cui hanno tratto origine le fondazioni hanno saputo adeguarsi a un cambiamento sostanziale in un tempo definibile come congruo in assoluto, ma certamente brevissimo per il sistema amministrativo italiano, ingessato e conservatore -, le Fondazioni bancarie sono state oggetto di un intervento, molto incisivo e in più direzioni, del Ministero del Tesoro al momento dell'approvazione della Legge finanziaria 2002 (l. 448/2001). È sembrato a molti, e sembra tuttora ad alcuni, che con la Legge finanziaria si sia voluto incidere, modificandone il regime giuridico, sulla natura stessa delle Fondazioni bancarie: in particolare, creando le premesse per riaffermarne, in piena contraddizione con l'indirizzo legislativo dell'ultimo decennio, la natura e la vocazione pubblica.
Il dibattito che ne è seguito, e che è stato caratterizzato da prese di posizione disparate, spesso ispirate a motivazioni puramente politiche, è stato via via alimentato da numerosi interventi, anche di particolare rilievo sotto il profilo istituzionale, e dalla presentazione di una bozza di regolamento di attuazione - sulla quale il Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere cui ha fatto seguito una proposta definitiva adottata all'inizio di agosto dal governo- ora sottoposta al controllo della Corte dei Conti.
Il difficile processo di privatizzazione
Un lungo e controverso procedimento, dunque, che ha trovato divisioni all'interno di forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione; che ha visto un forte coinvolgimento delle Regioni; che è stato segnato principalmente da due problematiche: la prima relativa all'inopportunità di dare eccessivo spazio agli Enti locali e attraverso di essi alle forze politiche nella nomina dei componenti l'organo di indirizzo; la seconda, quella di non vulnerare l'autonomia privata, gestionale e di governo, delle fondazioni, già compresse nella loro operatività da una serie di prescrizioni legislative, regolamentari e amministrative, che conservano al Ministero del Tesoro e alla Banca d'Italia un forte potere di controllo nell'assunzione delle principali decisioni riguardanti l'attività degli enti.
Si credeva che con la legge Ciampi (l. 461/1998) e con il decreto legislativo che l'ha attuata (d. lvo 153/1999) questa materia fosse definitivamente disciplinata; invece, anche in conseguenza della modifica del titolo V della Costituzione, operata con la legge costituzionale nr. 3 del 2001, l'intera problematica è stata nuovamente e inopinatamente messa in discussione. C'è da domandarsi perché questa 'privatizzazione' sia stata così difficile e si può rispondere a questa giusta domanda sottolineando che la soluzione tipica delle privatizzazioni in senso sostanziale, quella cioè di collocare sul mercato le partecipazioni, trasferendo ad altri la proprietà degli enti creditizi, non ha avuto seguito nelle fondazioni. In esse, in conseguenza di oggettive condizioni di mercato, quando si è cercato di separare l'azienda bancaria dall'ente conferente - al quale appartenevano le relative partecipazioni - si sono incontrate gravi difficoltà: oggettive, poiché non era possibile immettere sul mercato pacchetti azionari di grande rilevanza in un breve arco di tempo, senza penalizzare il soggetto alienante, vale a dire le fondazioni; di carattere soggettivo, poiché c'è stata molta riluttanza da parte dei vertici delle fondazioni a mettere a rischio la loro possibilità di conservare cariche presso le banche, ovvero di conservare il potere di nominare amministratori presso le medesime, in particolar modo quando si trattava di banche di importanza nazionale.
C'è da dire che la legge Ciampi ha operato opportunamente e con equilibrio proprio per risolvere questo tipo di problemi, vale a dire assegnando una missione alle fondazioni, che hanno assunto la veste di enti privati, ma con finalità di interesse collettivo e imponendo, in tempi che possono definirsi sufficientemente rapidi, la dismissione delle partecipazioni fino a portarle a scendere al di sotto della partecipazione di controllo, intendendo il concetto in senso lato.
Nello spirito della legge Ciampi le Fondazioni bancarie dovevano essere considerate alla stregua di tante altre fondazioni italiane e straniere, di origine non bancaria. In questo contesto, tuttavia, va considerato che forse non si è voluto arrivare fino in fondo, poiché, come è stato rilevato da Fabio Merusi, neppure la legge Ciampi dice che alle fondazioni, pur privatizzate, si applicano integralmente le sole regole del Codice Civile; anzi, esse sono sottoposte a una serie di poteri del Ministero del Tesoro in attesa dell'istituzione di una 'authority' che si occupi di questi particolari soggetti non lucrativi e comunque in attesa di una nuova normativa che, modificando il Libro I del Codice Civile, definisca le norme applicabili a tutte le fondazioni.
Inoltre è stata individuata una serie di settori di intervento che comunque definiscono in modo limitativo i campi di attività specifici delle fondazioni, cosa che appare certamente in contrasto con la loro asserita piena autonomia gestionale.
Queste sono alcune delle carenze e delle incongruità - peraltro non decisive - che si sono concretizzate, anche in conseguenza di un'azione di governo non sempre rispettosa di principi sanciti dalla legge Ciampi.
In realtà, cominciò il ministro Vincenzo Visco a formulare direttive gravemente limitative dell'autonomia delle fondazioni, scatenando una serie di ricorsi sui quali si è pronunciato, sia pure parzialmente, il TAR del Lazio, che, con un'articolata ordinanza, ha in sostanza rinviato il tutto alla Corte Costituzionale, ponendo il seguente quesito: il legislatore ha affermato che le fondazioni sono enti di diritto privato e che la disciplina deve essere quella del diritto comune; da ciò potrebbe conseguire che tutti i poteri di indirizzo sono costituzionalmente illegittimi e lo saranno anche per derivazione quelli che rafforzano tale funzione di indirizzo previsti nella finanziaria 2002.
Su tale quesito dovrà pronunciarsi la Corte, ma, come si è detto, il ministro del Tesoro è intervenuto sulla materia, adottando una prima ipotesi di regolamento attuativo della legge finanziaria, che, per più profili, è sembrato limitativo dell'autonomia privata delle fondazioni, in quanto tendente soprattutto a enfatizzarne il ruolo pubblico. Questo è tanto vero che si è subito manifestata una corrente di pensiero volta ad affermare la perdurante natura pubblica delle Fondazioni bancarie.
Va detto, tuttavia, che nell'ultima e definitiva versione della proposta di regolamento approvata dal governo, che ha recepito le indicazioni del Consiglio di Stato accettate dal Ministero del Tesoro, vengono chiariti alcuni profili a favore dell'autonomia delle Fondazioni bancarie e vengono inserite disposizioni, come quelle sulla incompatibilità, che appaiono eticamente condivisibili, e che mirano a eliminare alla radice le frequenti situazioni di conflitto di interessi non compiutamente definite nel contesto della normativa precedente.
C'è di più. Proprio perché ha contribuito a meglio definire e attuare nelle Casse di Risparmio la netta separazione fra azienda bancaria e fondazione, la legge Tremonti e forse la bozza del successivo regolamento hanno contribuito in modo determinante alla pronuncia della Commissione europea che con determinazione del 23 agosto 2002 ha sancito che talune misure fiscali introdotte dall'Italia nel 1998 e nel 1999 a favore delle Fondazioni bancarie non sono soggette alle regole comunitarie in materia di aiuti allo Stato. A giudizio della Commissione, infatti, l'attività di gestione del proprio patrimonio e di utilizzazione dei proventi per le erogazioni di contributi a enti senza scopo di lucro non è un'attività economica. Di conseguenza, le Fondazioni bancarie non sono qualificabili come imprese ai sensi della normativa comunitaria.
Si tratta di una decisione ben diversa rispetto alla decisione del dicembre 2001 con la quale la Commissione aveva stabilito che altre agevolazioni fiscali a favore delle banche italiane, concesse con la medesima legge, erano illegali e ne aveva disposto il rimborso. E va rilevato che è stato possibile giungere a questa conclusione, a parere della Commissione, anche in seguito al rafforzamento della separazione tra banche e fondazioni, sancito dall'art. 11 della Legge finanziaria 2002. La nuova normativa, infatti, vieta il controllo congiunto di aziende bancarie da parte di più fondazioni e rende più severe le norme in materia di incompatibilità di incarichi e ciò consente di escludere l'esercizio dell'attività bancaria da parte delle fondazioni per il tramite delle banche controllate.
La competenza delle Regioni
Il quadro attuale non sarebbe completo se non ci si soffermasse più a lungo sulla modifica del titolo V e sull'attribuzione alle Regioni di una competenza concorrente in materia di Casse di Risparmio.
È da verificare se questa innovazione possa incidere in qualche misura sul problema delle Fondazioni bancarie.
Esiste una prima ipotesi di soluzione contenuta, nella lettera 'L' del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione ora modificato. Se le fondazioni, come ha affermato la legge Ciampi, sono veramente fondazioni di diritto privato perché il legislatore le ha trasformate, la competenza regionale sarà inesistente giacché la norma sopracitata prevede tra le varie materie che sono attribuite all'esclusiva competenza statale l'ordinamento civile, cioè i rapporti interprivati e la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato.
Però questa può essere la piena soluzione da accogliere se le fondazioni risultano privatizzate effettivamente, a ogni effetto, per l'interprete e per gli operatori del diritto, in quanto se la Corte Costituzionale - di cui si attende la pronuncia - dovesse invece affermare che il legislatore, al di là del nome, non ne ha conservato la natura pubblicistica, si porrà certamente il problema di un possibile intervento legislativo regionale. Le Regioni, infatti, potrebbero intervenire sulle fondazioni con leggi ad hoc per disciplinarle a seconda delle attività che esse svolgono, in quanto enti pubblici di interesse locale che svolgono attività di interesse collettivo per lo più rientranti nelle materie attribuite alla competenza regionale residuale.
È evidente, al contrario, che se anche la Corte Costituzionale riconoscesse la personalità giuridica privata, gli enti conferenti, ora fondazioni in senso proprio, saranno sottoposti interamente al regime privatistico e alle fondazioni non potrà che essere riconosciuta quella piena autonomia che caratterizza gli enti privati.
Se si volessero trarre delle conclusioni dalla complessiva vicenda delle Fondazioni bancarie, potrebbe dirsi che la legge più recente e i provvedimenti di essa attuativi, pur incidendo in modo significativo su alcuni profili del regime giuridico delle stesse, non hanno affatto abrogato il sistema precedente.
Ciò nel senso che è stata in definitiva confermata l'essenziale sottoposizione al diritto privato, e non al diritto pubblico, delle fondazioni, che discende in modo esplicito dalla legge 461/1998, all'art. 2, e che viene confermata sia nel decreto delegato 153/1999, sia nella stessa legge finanziaria 448/2001, che nell'art. 11 evidenzia con chiarezza la volontà del legislatore di non intervenire su questo principio. Possono tratteggiarsi aspetti peculiari di questa categoria di fondazioni rispetto a quelle istituite in base alle disposizioni del Codice Civile, ma certamente non tali da vulnerare il principio dell'appartenenza di questi enti alla materia dell'ordinamento civile.
Tutto ciò è rilevante anche e particolarmente alla luce delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione, che amplia il novero delle materie assegnate alla competenza concorrente delle Regioni e prevede una competenza legislativa residuale piena delle stesse in tutte le materie non enumerate, che delinea significative aperture per le funzioni legislative regionali in materia di credito, ma che non tocca e non potrebbe toccare le fondazioni, a loro volta ulteriormente protette, principalmente per quanto riguarda quelle a base associativa, dalla nuova dizione dell'art. 118, ultimo comma, della Costituzione, ove, in ossequio al cosiddetto principio di sussidiarietà orizzontale, si statuisce che: "Le Regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".
Due diverse tipologie
Nel contesto più ampio delle Fondazioni bancarie, in effetti, si debbono distinguere due tipologie. La prima è quella delle fondazioni a base associativa; la seconda è quella delle fondazioni di natura istituzionale. Questa distinzione è sempre esistita fra le Casse di Risparmio, ma mentre per il passato atteneva fondamentalmente al momento genetico, vale a dire, alla fase costitutiva dell'originaria Cassa di Risparmio, ora è una distinzione che comporta alcune conseguenze non irrilevanti sul piano della disciplina organizzativa delle singole fondazioni.
In effetti, nelle fondazioni istituzioni, gli Enti locali territoriali (originariamente Comuni e Province, poi anche le Regioni) erano e sono presenti in modo del tutto prevalente negli organi di governo (il Consiglio di amministrazione per il passato, l'Organo di indirizzo attualmente). Mentre nelle fondazioni a base associativa esiste un organo, vale a dire l'assemblea dei soci, istituita dagli originari fondatori delle Casse di Risparmio e via via autoalimentatasi per cooptazione, che ha sempre avuto il potere di nominare gli amministratori e i sindaci. La Legge finanziaria non elimina, anzi, enfatizza questa distinzione, mantenendo all'assemblea il potere di nominare il 50% dei componenti il Collegio di indirizzo nelle fondazioni a base associativa.
La questione non è né teorica, né fine a sé stessa. Il fatto è che nelle fondazioni a base associativa è sempre rappresentata la cosiddetta società civile, pienamente espressiva dell'origine, della storia e della disciplina fondamentale delle fondazioni a base associativa. Il rispetto doveroso di questa presenza della società civile, che almeno inizialmente la nuova normativa sembrava sminuire, è diventato per molti l'elemento principale di valutazione della riforma apportata dalla Legge finanziaria. Può essere, infatti, che non tutte le componenti della società siano presenti nelle assemblee delle fondazioni, ma non vi è dubbio che, pur nella varietà dei singoli statuti, la società sia ampiamente rappresentata in esse, soprattutto per quanto attiene alle categorie professionali, alle università e accademie, alle associazioni economiche e così via.
E, in effetti, prima la Legge finanziaria, poi lo schema definitivo di regolamento conservano le assemblee, nelle quali le originarie Casse di Risparmio e ora le fondazioni, hanno sempre trovato il principale punto di riferimento, la cui forza è basata su un presupposto originario e perdurante di natura inequivocabile: dalla società civile queste fondazioni sono state costituite; con essa hanno saputo esistere e svilupparsi attraverso gli amministratori che ne sono stati di volta in volta espressione; per essa hanno saputo operare in assoluta autonomia, senza nessun onere per lo Stato, a vantaggio del proprio territorio di riferimento e della nazione.
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Le basi giuridiche delle Fondazioni bancarie
Le Fondazioni bancarie sono oggi un fenomeno tipicamente italiano, nella cui filigrana si può leggere una parte di rilievo della storia del paese, che nell'evoluzione del suo sviluppo socioeconomico fa riferimento sia al mondo del credito sia a quello del 'non profit'. Queste istituzioni possono essere prese in considerazione tenendo presenti due diversi aspetti che si intersecano fin dal loro primo sorgere, a partire dal 1990: da una parte la presenza in Italia di numerose e prestigiose istituzioni creditizie non profit promosse da privati cittadini e discendenti dai Monti di Pietà rinascimentali e dalle Casse di Risparmio dell'Ottocento, dall'altra il progressivo dissolversi di significative esperienze di fondazioni private anche per una diffusa presenza di opere di assistenza e beneficenza di ispirazione religiosa. Il contesto in cui si pongono le Fondazioni bancarie comincia a configurarsi nel momento in cui si realizza lo Stato unitario, prosegue nel periodo del Fascismo, giunge allo Stato repubblicano e viene condizionato dal processo di Unione Europea.
Le Istituzioni per il credito e il risparmio, il 15 luglio 1888, e le Istituzioni private di assistenza e beneficenza, il 17 luglio 1890, sono oggetto da parte del governo Crispi di provvedimenti che impongono su di esse un rigido controllo pubblico. Nel ventennio fascista le Casse di Risparmio sono ancor più fortemente regolamentate e definitivamente attratte nella sfera del pubblico: la legge del 29 dicembre 1927 riduce le Casse da 203 a 112 e quella del 3 giugno 1938 attribuisce al governo le nomine di presidenti e vicepresidenti. La situazione legislativa rimane inalterata fino al 1990 quando il governo ottiene dal Parlamento l'approvazione della legge 30 luglio 1990 nr. 218: "Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli Istituti di credito di diritto pubblico" (cosiddetta legge Amato), cui fa seguito il decreto legislativo 20 novembre 1990 nr. 356. Questi provvedimenti sono anche espressione di accordi e impegni della politica economica europea per il risanamento delle finanze pubbliche e l'affermazione del libero mercato nel Credito. Obiettivi principali sono: modernizzare il settore del credito in Italia, riconsegnandolo al mercato libero e competitivo, e nello stesso tempo indirizzare nuove risorse private verso impieghi sociali per consentire un alleggerimento della spesa pubblica nel sistema di welfare italiano.
La riforma interviene su 83 Casse di Risparmio e Monti di Pietà e su 6 Istituti di credito di diritto pubblico. Viene recuperata l'originaria vocazione dei Monti di Pietà e delle Casse di Risparmio attribuendola a fondazioni di nuova istituzione che si pongono come enti conferenti nei confronti delle aziende di credito, separati dalla gestione del credito e titolari di soli diritti patrimoniali, le cui rendite devono essere devolute a impegni in settori quali: beni culturali, arte, istruzione e ricerca scientifica, sanità, assistenza e beneficenza, e volontariato.
Per mostrare la linea di continuità che caratterizza l'evoluzione del processo può essere interessante rilevare che nel 1990, nel momento in cui si avvia la riforma, le Casse di Risparmio Banche e gli altri Istituti di diritto pubblico già devolvono parte dei loro utili per scopi sociali. In particolare i 307 miliardi (11,1% degli utili) erogati a beneficenza nel 1990 risultavano così ripartiti: arte e beni culturali, 22%; istruzione, 13,7%; ricerca scientifica, 4%; sanità, 23,6%; vari, 34%. Da questi dati appare evidente la sostanziale coincidenza fra le finalità originarie delle Casse di Risparmio Banche e gli obiettivi della legge di riforma che assegna alle Fondazioni bancarie un mandato di difesa del patrimonio e di erogazione di contributi in settori prevalenti di utilità sociale quasi corrispondenti agli ambiti della preesistente 'beneficenza'.
Fin dall'inizio del processo di riforma emerge una serie di problematiche che divengono oggetto del successivo dibattito politico e scientifico: innanzitutto deve essere ricordata la questione dell'effettiva separazione dell'azienda di credito e del suo collocamento sul libero mercato finanziario; poi quella della qualificazione delle fondazioni nei confronti delle comunità di riferimento e della valorizzazione dei loro interventi sulla realtà sociale, e ancora quella del coinvolgimento delle altre istituzioni pubbliche e private della comunità nella vita istituzionale delle fondazioni. Vi sono infine da considerare le differenze nel corpo delle fondazioni fra soggetti storicamente riferibili a libere associazioni di privati cittadini (fondazioni di tipo associativo, situate per lo più nel Centro Italia) e soggetti invece riferibili ad associazioni fra istituzioni locali (fondazioni di tipo istituzionale presenti nei territori che erano sotto il controllo dell'Austria e nei Ducati).
Il dibattito che accompagna il processo avviato dalla legge Amato si concentra sulla natura giuridica - pubblica o privata - da attribuire al nuovo soggetto giuridico costituito dalla fondazione bancaria, scontando anche la mancata revisione delle norme del titolo II del Libro primo del Codice Civile relative alle associazioni e fondazioni private. Il contesto politico generale si concentra sul nodo del rallentamento del processo di dismissione delle aziende di credito scorporate e sulla vischiosità con cui le fondazioni tendono a separarsi dalle banche, sia per la carenza di una consolidata cultura delle fondazioni e del non profit sia per l'oggettiva difficoltà a rivolgersi ad altri settori di investimento, più rischiosi e meno protetti di quello bancario, soprattutto a livello locale. Si manifesta inoltre una sensibile opposizione nei confronti delle fondazioni sia da parte del mondo politico locale, che paventa la perdita di potere, sia da parte di quanti aspirano all'azionariato e alla governance delle aziende di credito privatizzate.
Le fondazioni, per parte loro, provvedono a migliorare la diversificazione del patrimonio, aumentano i livelli delle erogazioni, regolamentano la gestione istituzionale, mettono a punto la struttura, si dotano di strumenti organizzativi e di risorse umane idonee al raggiungimento dei loro scopi e allo svolgimento delle loro attività.
Nonostante il 18 novembre 1994 il Ministero del Tesoro abbia emesso una direttiva per accelerare il processo di dismissione delle partecipazioni bancarie delle fondazioni, nel 1996 l'allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi ritiene che sia ancora irrisolto il problema della proprietà delle aziende di credito: "Tutti gli enti creditizi si sono trasformati in società per azioni, ma le Casse di Risparmio sono diminuite solo da 82 a 73. Però soltanto 6 sono interamente possedute dalle loro fondazioni. Pertanto è necessario un rinnovato vigoroso impulso alla diversificazione degli assetti proprietari delle società bancarie".
Data la situazione si rende manifesta l'opportunità di una nuova legge per le Fondazioni bancarie che razionalizzi e sistematizzi l''invenzione' della legge Amato, acceleri il processo di dismissione e faccia chiarezza, dando certezza alla natura giuridica privata delle fondazioni avviate a dispiegare compiutamente il loro ruolo nel panorama del non profit italiano: una legge che precisi modalità e profili del processo istituzionale, intervenga in termini definitivi sulla governance e sull'operatività, nel rispetto dei principi fondativi delle Casse di Risparmio e della legge del 1990.
Prende vita quindi la legge 23 dicembre 1998 nr. 461: "Delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all'art. 11, comma 1 del decreto legislativo 20 novembre 1990 nr. 356 e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria". Seguono il decreto legislativo 17 maggio 1999 nr. 153 e il provvedimento ministeriale 5 agosto 1999: "Atto di Indirizzo a carattere generale in materia di adeguamento degli Statuti delle fondazioni alle disposizioni della l. 23 Dicembre 1998 nr. 461 e D.L. 17 maggio 1999 nr. 153".
La legge stabilisce la trasformazione delle Fondazioni bancarie in persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale. Il riconoscimento viene previsto solo dopo l'adeguamento degli statuti alle disposizioni dei decreti legislativi e in conseguenza della conformazione dell'assetto organizzativo dell'Ente al modello prefigurato dalle norme.
Gli statuti prevedono: Organo di indirizzo (con la partecipazione di rappresentanze del territorio), Organo di gestione e Organo di controllo distinti fra loro e incompatibili, gli ultimi due, con gli organi delle Banche di riferimento. La funzione di vigilanza resta al Ministero del Tesoro, fino all'entrata in vigore dell'Autorità di vigilanza sulle persone giuridiche di cui al titolo II del Libro primo del Codice Civile. Il Ministero interviene sulle riserve obbligatorie e sulla regolamentazione dei criteri per la gestione patrimoniale e sul Bilancio di istituzione. I nuovi Organi di indirizzo hanno il compito di indicare le linee strategiche per gli investimenti patrimoniali e le attività erogative che devono essere definite con criteri di trasparenza e di rappresentatività del territorio in relazione alle finalità istituzionali della fondazione. Le fondazioni devono dotarsi di regolamenti per il funzionamento degli organi istituzionali e le erogazioni, di linee guida per gli investimenti patrimoniali con l'apporto di consulenti esterni, di piani pluriennali quali strumenti di programmazione e definizione di strategie e priorità da attribuire ai settori di intervento, infine del Bilancio di missione impostato secondo le indicazioni dell'atto di indirizzo ministeriale.
Negli anni 2000 e 2001 le fondazioni applicano la normativa, approvando nuovi statuti e nominando nuovi organi. In questi, secondo rilevazioni ACRI (Associazione fra le Casse di Risparmio italiane), si riscontra una presenza di rappresentanza, riconducibile alla società civile esterna, per il 49,% rispetto al totale degli amministratori. L'assetto istituzionale e organizzativo delle fondazioni è completato. Globalmente la struttura presenta una buona integrazione fra risorse umane qualificate e sistemi operativi affinati soprattutto alla gestione istituzionale e alle attività di comunicazione nei confronti della comunità di riferimento.
Ci troviamo di fronte a strutture semplici per le istituzioni di piccole dimensioni e a strutture più complesse per le fondazioni più grandi con organigrammi funzionali in 'line' e anche significativi apporti in staff: strutture non più certo riferibili a una tipologia bancaria, che presentano comportamenti istituzionali da non profit, qualificati nelle gestione di investimenti e nel controllo delle proprie erogazioni sociali, con particolare sensibilità nel rapportarsi all'insieme delle energie della comunità. Queste istituzioni si pongono da subito come snodo essenziale nei rapporti fra pubblico e privato nella dimensione sociale, punto strategico di una moderna società pluralista non più statalista.
Parallelamente vengono introdotte anche altre normative, che sebbene siano predisposte per altri settori, tuttavia fanno carico sulle risorse delle fondazioni: così la legge nr. 266 del 1991 sul Volontariato, che vincola parte delle risorse erogate dalle fondazioni a favore di Centri di servizi per il volontariato; e anche la legge nr. 62 del 2001 sull'Editoria che impone alle fondazioni obblighi di acquisto per prodotti editoriali da destinare alle istituzioni scolastiche.
Negli anni successivi il Ministero del Tesoro interviene per regolamentare ancora gli statuti in merito ad aspetti di incompatibilità e onorabilità. Nel dicembre 2001, in sede di approvazione della Legge finanziaria per il 2002, il governo ottiene l'approvazione di norme che intervengono nuovamente sull'assetto istituzionale e gestionale, in termini di carattere pubblicistico, e tendono a limitare l'autonomia delle nuove istituzioni e della gestione delle risorse. Tale processo trova sviluppo nel corso del 2002 ma durante l'estate pronunce del Consiglio di Stato, in sede di parere sui regolamenti ministeriali, fanno ritenere che non si possa più prescindere da quanto stabilito e attuato secondo la legge nr. 461 del 1998. Realisticamente si può pensare che sia stata messa una parola definitiva a una vicenda politica e istituzionale che dura ormai da dodici anni.
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Le Fondazioni bancarie in Italia: dati essenziali
di Federico Pierantoni
Dai dati dei bilanci del 2000, raccolti nel Sesto rapporto sulle Fondazioni bancarie, pubblicato dall'ACRI nel primo semestre del 2002, è possibile tracciare un quadro complessivo delle risorse possedute dalle fondazioni e delle attività da esse svolte.
a) Patrimonio e gestione economica. - Le 89 Fondazioni bancarie hanno un patrimonio calcolabile in 36 miliardi di euro e che risulta in continuo aumento (nel 2000 +12% circa rispetto al 1999). Le varie fondazioni sono molto diverse fra loro per dimensione, consistenza patrimoniale e distribuzione geografica sul territorio. Il patrimonio appartiene per oltre la metà alle prime cinque fondazioni e per i due terzi alle prime dieci (Fondazione Cariplo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia). Fra il 1999 e il 2000 le partecipazioni bancarie detenute dalle fondazioni sono scese dal 52,8% al 43,8%; l'investimento finanziario è passato dal 42% al 52%. La redditività delle partecipazioni bancarie nel 2000 è risultata del 9,9%.
b) Risorse destinate alle attività erogative. - Le fondazioni operano secondo il modello grant making, destinando a erogazioni una quota dell'avanzo di amministrazione. Le spese di funzionamento incidono per il 7% rispetto ai proventi ordinari. Gli accantonamenti a difesa del patrimonio variano dal 15% al 35%. Per l'intero sistema l'accantonamento a riserva è del 30% dell'avanzo di amministrazione e del 27% dei proventi totali. All'attività istituzionale va il 70% (1703 milioni di euro nel 2000). L'incremento rispetto all'anno precedente è del 113%, determinato da diminuzione degli accantonamenti a riserve, da aumento della redditività ma soprattutto da entrate straordinarie per plusvalenze da dismissioni.
c) Erogazioni delle fondazioni. - Nel 2000 le fondazioni hanno deliberato erogazioni per circa un miliardo di euro con 19.418 interventi singoli. Il numero delle iniziative è aumentato del 12% e l'importo del 33,6%. Il numero medio dei progetti per fondazione è passato da 199 a 223, l'importo medio per iniziativa da 22.747 a 27.165 euro. Nel corso dello stesso anno le fondazioni hanno destinato ai settori rilevanti la maggior parte delle risorse erogate. Ai settori istituzionali, compresi i fondi per il volontariato, è andato il 92% delle erogazioni, suddivise fra vari settori d'intervento (arte e cultura: 183 milioni di euro, 34,6% sul totale erogato; istruzione: 71 milioni di euro, 13,4%; assistenza sociale: 68,3 milioni di euro, 13,0%; sanità: 49,1 milioni di euro, 9,3%; ricerca scientifica: 34,1 milioni di euro, 6,5%; promozione e sviluppo comunità locale: 28,7 milioni di euro, 5,4%; fondi speciali per il volontariato: 75,6 milioni di euro, 14,3%). Le fondazioni tendono a realizzare interventi su un ampio ventaglio di beneficiari: il 79% eroga a non meno di otto diversi tipi di soggetti. Oltre il 10% delle risorse va ai soggetti più ricorrenti, rappresentati da centri di servizi volontariato (13,7%), enti e organismi assistenziali (12,8%), università, centri studi e istituti di ricerca (12,4%), organismi ecclesiastici e religiosi (12,2%), amministrazione pubblica (10,2%). Per gli importi medi unitari erogati risultano privilegiati: biblioteche, musei, teatri e istituzioni musicali (87.968 euro per intervento), università, centri di studi e di ricerca (71.582 euro per intervento) e ospedali e strutture sanitarie (58.974 euro per intervento).
Tra le tipologie di impieghi prevalgono quelle per la realizzazione e il recupero di strutture stabili (23,7%), soprattutto di tipo e natura socio-assistenziale e di edilizia scolastica e universitaria. Seguono la conservazione e il restauro del patrimonio artistico (16%) mentre sono in aumento le manifestazioni culturali. Notevole rilievo assume anche l'acquisto di beni e attrezzature (12,7%), particolarmente rilevante per la sanità e l'assistenza sociale.
L'80% dell'attività si svolge nell'area territoriale di competenza. Le fondazioni grandi (20% del totale) incidono per il 74% delle erogazioni distribuite e per il 50% degli interventi. Le fondazioni localizzate nel Nord-Ovest sono il 20% ma incidono per il 44% dell'importo complessivo e per il 38% delle iniziative; un ruolo più modesto è quello delle fondazioni del Mezzogiorno che numericamente sono il 14% e incidono solo per il 4% di erogazioni e interventi.