Fondazioni
Un patrimonio per uno scopo o, più brevemente, 'patrimonio finalizzato': è questa la definizione più sintetica possibile della fondazione. Le due parole servono a identificare un tratto essenziale del fenomeno 'fondazione', e costituiscono un utile punto di partenza sia per mettere in rilievo gli aspetti salienti della fondazione in quanto istituto giuridico, sia per indagare su fatti e azioni sociali riconducibili al concetto di fondazione.Storia, sociologia, macro- e microeconomia, discipline organizzative e contabili offrono possibili prospettive analitiche del fenomeno delle fondazioni. Tuttavia non c'è dubbio che nella considerazione del fenomeno ha finora prevalso la prospettiva giuridica. Ciò è accaduto per una ragione assai semplice: la nozione di 'fondazione' occupa un capitolo fondamentale della storia della personalità giuridica, in quanto essa completa sul versante dell'attività privata la gamma delle figure soggettive dotate, appunto, di personalità. La fondazione costituisce il prototipo della persona giuridica senza fini di lucro e si affianca alle persone giuridiche (società di vario tipo) operanti nel mondo dell'economia e degli affari.
Ciò vale naturalmente nella cultura giuridica di civil law dell'Europa continentale, che ha dapprima creato e poi perfezionato la nozione di persona giuridica. Nei paesi di common law, invece, la questione di come realizzare in concreto il 'patrimonio finalizzato' è stata risolta attraverso lo strumento del trust. Questo "è il più originale e forse il più importante istituto dell'ordinamento inglese e della tradizione di common law; esso è tanto flessibile e generale quanto lo è il contratto" (cfr. Francesco De Franchis, Trust, in Dizionario giuridico inglese-italiano, Milano 1984). Questo istituto consente che un soggetto (settlor of the trust) alieni taluni beni o diritti a un altro soggetto (trustee) che deve amministrarli nell'interesse di un terzo (beneficiary). L'istituto si applica in casi molto diversi e può, in particolare, ben realizzare quella destinazione di un patrimonio a uno scopo che è l'essenza della fondazione. Tale destinazione viene raggiunta nei sistemi di 'diritto civile' attraverso la costituzione di una persona giuridica. La diversità dei meccanismi e dei concetti giuridici nei vari ordinamenti e la suggestione che deriva dalla loro analisi comparativa hanno costantemente attratto l'attenzione sugli aspetti giuridici del fenomeno delle fondazioni.
Una definizione meno sintetica, basata sull'esperienza concreta più che su dati formali, si ricava dalla prassi del mondo anglosassone: la fondazione può essere definita come un'organizzazione privata la cui finalità non è il profitto, che è dotata di fondi propri, è gestita da direttori che sono fiduciari del fondatore o dei fondatori secondo i criteri fissati dallo statuto, ed è creata per sostenere attività sociali, educative, filantropiche, religiose, scientifiche e culturali che possano contribuire al benessere o al progresso collettivi.
Elemento caratterizzante della fondazione è, comunque, il patrimonio di cui dev'essere dotata fin dall'inizio affinché ne sia garantita l'autonomia finanziaria necessaria ad alimentare un'attività a tempo indeterminato. In passato la dotazione patrimoniale era prevalentemente agricola o immobiliare. Col passar del tempo, essendosi accresciuta la rilevanza economica delle ricchezze mobiliari, si sono avuti apporti patrimoniali in forma di capitale finanziario costituito da titoli azionari e obbligazionari.
Il patrimonio può derivare da disposizioni testamentarie ma più frequentemente, almeno in epoca contemporanea, da atti di donazione. È anche avvenuto (per esempio in Belgio per la Fondation Roi Baudouin) che si sia giunti alla costituzione del patrimonio di una fondazione attraverso forme di sottoscrizione pubblica.C'è da aggiungere, infine, che alla dotazione patrimoniale si accompagna spesso l'impegno, registrato nello statuto o assunto in forma contrattuale dai fondatori o da altri soggetti sostenitori, di fornire alla fondazione contributi finanziari periodici per le sue attività.
La fondazione non è soltanto frutto di iniziative private, ma anche di iniziative di autorità pubbliche. La scelta di creare una fondazione o di contribuire a costituirne il patrimonio significa, in termini formali, seguire logiche di diritto privato e, in termini sostanziali, rimettersi alle regole e alla deontologia di organismi indipendenti e non di enti pubblici, sia pure dotati di autonomia secondo le prescrizioni del diritto amministrativo.
La definizione di fondazione come 'patrimonio finalizzato' consente di cogliere due punti critici nella storia dell'istituto: la perpetuità del legame tra il patrimonio e lo scopo, e la congruità del patrimonio rispetto agli scopi.Sul primo punto c'è da ricordare che in alcuni momenti storici si sono levate le più forti critiche. Si è detto che le fondazioni, nate spesso dalla motivazione di mantenere post mortem la volontà del fondatore, hanno rivelato spesso di essere basate su una pretesa troppo ambiziosa. Ciò è accaduto soprattutto quando lo scopo è stato fissato rigidamente, con la conseguenza di una vera e propria 'sterilizzazione' dell'utilità economica di un determinato patrimonio. Ad esempio, il desiderio di perpetuare la memoria di sé difficilmente può essere accolto, nella considerazione sociale, come un motivo sufficiente per la creazione di una fondazione: verrebbe limitata infatti in qualche modo la libertà di uso e gestione dei patrimoni da parte delle generazioni future. Fu proprio la paura di una società le cui risorse fossero assorbite dalla vanità dei singoli, illusi di rendersi immortali, ad alimentare durante il Settecento, nell'epoca del giusnaturalismo, l'ostilità nei confronti delle fondazioni. In realtà, la questione della durata di una fondazione si ripropone periodicamente, anche per varie altre ragioni: il prevalere della logica di mera sopravvivenza nella vita di molte fondazioni una volta perduto lo slancio dei momenti iniziali, l'obiettivo superamento dei fini specifici che hanno condotto alla loro creazione e così via. Per questa ragione, nel Congresso degli Stati Uniti fu avanzata la proposta di fissare un termine di durata (per esempio, venticinque anni) per le fondazioni.In quest'ordine di idee va ricordata, ancora, l'ostilità della borghesia dell'Ottocento verso i patrimoni immobilizzati in 'opere pie'. Un'ostilità che, più in generale, si coniugherà, in buona parte d'Europa, con la perdita di considerazione per i fini sociali perseguiti da singoli individui e non dagli organi della società nel suo complesso. Superiori e nobili sono, nella logica della statualità prima giacobina e poi napoleonica, i fini pubblici, cioè i compiti e gli obiettivi dello Stato.
Il secondo punto (la congruità del patrimonio) pone la questione della soglia di rilevanza del fenomeno fondazioni. La congruità fra patrimonio e scopo è spesso un requisito richiesto dagli ordinamenti giuridici per assicurare alle fondazioni pieno status operativo, sebbene sia difficile valutarlo nei casi concreti. Ma a prescindere da ogni pur importante questione formale, il rapporto di proporzionalità fra patrimonio e scopo è decisivo per la rilevanza della fondazione come fatto sociale.
La diffusione di piccole fondazioni, cioè di fondazioni dotate di un patrimonio modesto, induce a considerare il fenomeno nell'ambito del comportamento sociale dei singoli e può far pensare all'esistenza di una moda.
La presenza di grandi fondazioni, cioè di grandi patrimoni destinati a scopi di ampio respiro, porta, invece, a dare risalto a problemi di struttura sociale: come cioè si organizzino soggetti sociali riconoscibili e forti che, almeno in senso stretto, non sono collegati né al mercato né allo Stato. È il tema del cosiddetto 'terzo settore', nel quale le fondazioni giocano un ruolo importante anche se non esclusivo. Torneremo più avanti su questo punto.Infine, il tema del patrimonio introduce naturalmente la storia economica delle fondazioni. La nascita di grandi fondazioni nell'Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale è certamente legata al ciclo economico. È negli anni sessanta, per esempio, che vengono costituite in Europa fondazioni con finalità prevalentemente culturali. Tale fenomeno è legato certamente anche all'andamento positivo dell'economia e all'accumulazione che si andava allora realizzando. Prendendo come campioni le grandi fondazioni europee di origine industriale legate al Club dell'Aia (l'associazione dei direttori di tali fondazioni creata negli anni settanta) è interessante notare, ad esempio, come tutte le maggiori fondazioni tedesche (Robert Bosch Stiftung GmbH, Fritz Thyssen Stiftung, Stiftung Volkswagenwerk) siano nate nella prima metà degli anni sessanta.
Il fenomeno delle fondazioni presenta caratteristiche analoghe in Giappone: oltre l'80% delle principali fondazioni grants making furono create dopo il 1960, quando il paese entrò nel periodo del suo lungo e progressivo sviluppo economico (di 158 fondazioni censite nel Foundation directory del 1985, 32 furono costituite negli anni sessanta, 54 negli anni settanta e 34 negli anni ottanta).
Quando si parla dello scopo a cui è destinato un patrimonio si intende, come s'è detto, uno scopo non di lucro. Esso offre una caratterizzazione essenziale della fondazione, la quale, beninteso, può e deve ricavare utili dal proprio patrimonio e dalle attività a esso connesse, ma deve spendere il ricavato nella realizzazione dei propri scopi senza alcun profitto per fondatori e amministratori.
Ancora una volta occorre distinguere accuratamente i problemi sostanziali dai problemi formali. La presenza di uno scopo non di lucro non è una caratteristica esclusiva delle fondazioni e delle associazioni. In molti ordinamenti, compreso il nostro, esiste da tempo o comincia a esistere la società commerciale senza fine di lucro, ma nelle fondazioni la mancanza di lucro (il non profit) è l'elemento costitutivo e caratteristico.
Gli scopi delle fondazioni possono suggerire il criterio della loro classificazione. Data la molteplicità degli scopi possibili, appaiono sensati e utili solo quelli molto ampi e generali. Per esempio, si sono diffuse in questi ultimi decenni le fondazioni culturali. Il termine 'culturale' risulta troppo ampio per dar conto delle distinzioni utili nella pratica. Esso indica tuttavia una particolare predisposizione della fondazione a operare come centro di iniziative nell'ampio campo che va dall'educazione alla ricerca scientifica, dalle arti alla comunicazione. In termini ancora più generali si può distinguere fra fini di assistenza e beneficenza (charity) e fini di filantropia, intesa come interesse e cura per la promozione umana nel suo significato più comprensivo. Tale distinzione può sembrare generica ma non è irrilevante, come si vedrà, per la politica pubblica relativa alle fondazioni.Una classificazione più utile sembra quella fondata sul tipo di attività, ovvero sul tipo di erogazioni delle fondazioni. In questo ambito vale soprattutto la distinzione fra fondazioni operative (operating) e fondazioni erogatrici (granting o grants making o giving).
Le prime perseguono le loro finalità attraverso una propria diretta attività, le altre, invece, devolvendo ad altri (singole persone, associazioni o enti) contributi finanziari per attività ritenute meritevoli di sostegno. È chiaro che per i due tipi di fondazione si pongono problemi diversi sia sul piano organizzativo sia su quello delle procedure di decisione e scelta. La fondazione operativa deve scegliere un campo preciso d'azione (per esempio, darsi la struttura di istituto di ricerca o di un think tank se opera in campo culturale o scientifico), ovvero creare più organismi operativi che a essa direttamente rispondano. Assai importanti sono invece per la fondazione erogatrice di contributi i criteri di selezione e le modalità di erogazione, nonché gli strumenti di verifica sull'uso e sui risultati dei grants.Per le fondazioni erogatrici che hanno un ampio spettro di compiti finanziabili si impone la necessità di periodiche scelte di priorità riguardo ai campi d'intervento. Si ricorre quindi a bandi o inviti a presentare progetti da finanziare in tutto o in parte, nell'ambito della priorità prescelta. Alcune fondazioni, come ad esempio, la Fondation Européenne de la Culture, tendono a finanziare iniziative che possano raccogliere altri consensi e altri supporti finanziari da altre fondazioni o enti.Quanto più si allarga l'esperienza delle fondazioni e il ricorso a questa istituzione d'intervento nel campo sociale e culturale, tanto più ci si imbatte, com'è naturale, in una vasta pratica di ibridazione fra formule organizzative e gestionali. Ciò riduce fra l'altro il valore della distinzione fra fondazioni e associazioni riconosciute (cioè dotate di personalità giuridica in seguito a un provvedimento dell'autorità pubblica), vigente in alcuni ordinamenti giuridici come quello italiano.
Per le fondazioni di grandi dimensioni è di notevole importanza l'assetto organizzativo. Sono tre, solitamente, le questioni alle quali va data risposta: la lealtà agli scopi fissati dai fondatori; l'autonomia di giudizio degli amministratori rispetto alle variabili esterne quali, soprattutto, la volontà o le pressioni di eventuali contributori finanziari occasionali; la buona gestione amministrativa e la valorizzazione del patrimonio.
Riguardo alla prima questione si è molto discusso sul grado di flessibilità con il quale gli scopi fissati dal fondatore devono essere via via interpretati e adattati. La rigidità degli scopi da mantenere fermi nel tempo è stata fonte di critiche, come si è già ricordato, nei confronti del concetto stesso di fondazione. Alcuni protagonisti della storia delle fondazioni hanno particolarmente insistito su questo punto. Andrew Carnegie, il grande industriale scozzese-americano promotore di molteplici iniziative filantropiche, scriveva a questo proposito: "Nessun uomo lungimirante cercherà di legare il patrimonio che dona a una causa fissa. Egli lascerà al giudizio dei suoi trustees la questione di modificare o cambiare la natura del trust, in modo da dare risposta alle esigenze del tempo. È probabile che ogni board of trustees divenga indifferente o privo di attenzione o anche che prenda cattive decisioni. Nel trust perpetuo - cioè, diremmo noi, nella fondazione - così come in tutte le istituzioni umane, ci saranno stagioni fruttuose e stagioni improduttive. Ma fin quando esisteranno delle fondazioni, perverranno di tempo in tempo al loro controllo e alla loro direzione uomini che possiederanno lungimiranza, energia e capacità di governo. E le fondazioni ricominceranno a esercitare le loro utili funzioni di servizio". Parole belle, ricche di ethos filantropico, ma anche piene di indicazioni implicite sui meccanismi organizzativi.
La possibilità di un ricambio di uomini nei compiti di governo delle fondazioni dipende evidentemente dai meccanismi istituzionali fissati negli statuti per la selezione dei trustees, dai collegamenti stabiliti con la società circostante (comunità accademiche, mondo religioso, sindacati, associazioni professionali e imprenditoriali e così via) e dalle modalità di cooptazione e di decadenza nelle cariche.
Questa delicata materia implica altre distinzioni: quella, per esempio, fra private, corporate e community foundations. Si tratta di una distinzione che ha a che fare soprattutto con le origini delle fondazioni: le private derivano dall'iniziativa di una persona; le corporate da quella di un'impresa, per lo più di grandi dimensioni; le community foundations sono quelle che raccolgono le iniziative filantropiche di più cittadini riguardanti una città o una comunità. A questi diversi tipi di fondazioni corrispondono meccanismi diversi di scelta e nomina degli amministratori.
Tali meccanismi, tuttavia, non riescono sempre a garantire quel costume di indipendenza del giudizio su cui si deve basare ogni fondazione. In questa prospettiva è cruciale il rapporto fra la corporate foundation e la corporation di provenienza; si può talora verificare il caso che una fondazione si riduca a essere uno dei dipartimenti (per gli studi e la ricerca, per la promozione di iniziative d'arte e così via) di un'impresa. Altrettanto delicato è talvolta il rapporto fra la fondazione e la famiglia al cui nome (o al nome di uno dei suoi membri) essa è intitolata, quando ai membri della famiglia spettino ruoli amministrativi a vita o trasmessi per via sostanzialmente ereditaria. Non sempre è risultata facile, infatti, l'ibridazione fra fondazioni familiari e fondazioni culturali.
Gli Stati Uniti sono stati la patria d'elezione delle fondazioni in questo secolo e nel precedente. Conviene dunque analizzare tale esperienza per mettere in luce alcuni aspetti evolutivi.Due sono stati i fattori principali dello sviluppo delle fondazioni: il pluralismo che connota la condotta sociale e politica, e lo spirito filantropico.A proposito del pluralismo rimane classica l'analisi - spesso ricordata - fatta da Alexis de Tocqueville in De la démocratie en Amerique (1835) sulla tendenza americana a creare un diffuso associazionismo. Nel pluralismo tipico dell'esperienza americana si manifesta la convinzione che la società civile, cioè la collettività dei cives, sia capace di autorganizzarsi sulla base di un sentire comune. Una realtà sociale estremamente composita e variegata ha favorito la nascita di organismi che hanno espresso interessi e specificità culturali, senza passare attraverso le strutture pubbliche e dunque senza subire la loro inevitabile spinta all'uniformità. La fede nel 'sogno americano' e l'etica della 'frontiera' hanno fatto il resto.
Se il pluralismo è stato un fattore determinante nello sviluppo di quell'associazionismo che è contiguo al fenomeno delle fondazioni, non bisogna dimenticare che senza l'ideale filantropico difficilmente queste ultime avrebbero potuto svilupparsi nel mondo anglosassone. Tale ideale si diffuse in campo religioso attraverso l'opera di Cotton Mather, Bonifacius: an essay upon the good that is to be devised (1710), e in quello laico grazie agli sforzi di Benjamin Franklin (il quale diede vita nel 1791 alla prima fondazione statunitense conosciuta, avente lo scopo di assistere 'giovani artificieri sposati di buon carattere'). Il legame tra filantropia e fondazioni è stato subito strettissimo; anzi ben presto queste si sono rivelate come il mezzo principale per usare nel modo più proficuo le risorse disponibili per scopi altruistici. L'esperienza di John Rockefeller all'inizio di questo secolo ne è un esempio importante. Il legame tra fondazioni e filantropia permette di fissare obiettivi di ampio respiro e in larga misura indefiniti ('il bene dell'umanità') e di mantenere netta la distinzione fra il 'patrimonio finalizzato' e la responsabilità dei dirigenti pro tempore della fondazione. Consente infine di modificare più facilmente i vincoli di destinazione dei capitali filantropici.
Da questo punto di vista è assai importante - come già s'è accennato - l'opera di Andrew Carnegie. Nel suo The Gospel of wealth (1900), egli teorizzò il dovere dei ricchi di distribuire i loro beni in vita. La filantropia non dovrebbe però limitarsi a soccorrere i bisognosi, ma dovrebbe diventare uno strumento per un più rapido ed efficace sviluppo sociale. Per Carnegie si trattava infatti di aiutare i poveri 'ambiziosi', i quali, come proprio la sua biografia stava a dimostrare, erano in grado di mettere in campo energie nuove e vigorose. Egli pensava, invece, che non si dovesse dare nemmeno un centesimo ai "mendicanti inveterati".Ci si può ben domandare, ovviamente, se tali convincimenti non fossero irrimediabilmente legati a un ben determinato periodo storico, la belle époque, quando la fede in un progresso indefinito e l'illusione di avere finalmente debellato calamità come la guerra aveva contagiato quasi tutti. A questo primo momento di grande sviluppo economico, dovuto alle enormi fortune accumulatesi grazie alla crescita dell'industria pesante, seguì un periodo di riflusso e di ripensamento che ebbe il suo culmine nella crisi del 1929. Solo alla metà degli anni quaranta nacque negli Stati Uniti una nuova generazione di fondazioni. Questa volta la molla non fu soltanto un rinnovato sentimento filantropico - sebbene la vittoria nella seconda guerra mondiale, simbolo per molti della sconfitta del Male, avesse suscitato nuove speranze e nuove visioni del mondo - quanto piuttosto l'esigenza di sottrarsi a una pressione fiscale che dopo il New Deal roosveltiano era cresciuta per far fronte ai nuovi compiti dello Stato (economia di guerra, prima, affermazione del Welfare State e riarmo per la guerra fredda, più tardi).
La commistione che si è venuta creando fra altruismo ed esigenze meno nobili (risparmio fiscale) ha creato non pochi problemi che sono stati affrontati rafforzando il vincolo di 'non retrocessione' ai fondatori, in qualsiasi forma, degli eventuali profitti dell'attività delle fondazioni. Ma i vantaggi raggiungibili attraverso una fondazione sono numerosi e non possono tutti essere riportati a una concezione ristretta del profitto o del lucro. Si pensi ai vantaggi di migliori relazioni pubbliche o a quelli dello sviluppo della ricerca applicata da utilizzare poi in sede industriale. Si pensi al vantaggio sulla concorrenza derivante dal prestigio sociale. Se poi si considera che al patrimonio di una fondazione possono appartenere valori mobiliari, allora è possibile immaginare che attraverso una fondazione si realizzi il controllo permanente di un'impresa: la fondazione si trasforma sostanzialmente in una holding, riuscendo magari, in quanto tale, a facilitare il reperimento di mezzi finanziari. Sono queste alcune delle ovvie motivazioni o dei 'secondi pensieri' spontanei che possono spingere alla creazione delle fondazioni.
In tal modo, il motivo ispiratore ideale delle fondazioni si è fuso con motivazioni di altro tipo. Ciò in un primo tempo ha favorito l'espansione del fenomeno, ma poi ha rischiato di comprometterlo. È cresciuta la diffidenza da parte sia del pubblico che dell'amministrazione. Quest'ultima ha istituito controlli e vincoli più rigidi, con la conseguenza che le fondazioni si sono trovate a dipendere maggiormente dalla politica economica e fiscale, in quanto hanno cercato di garantirsi esenzioni particolari. Né si può dire che, quando la politica fiscale dei governi inglese e statunitense durante gli anni ottanta ha avvantaggiato i redditi alti, ciò abbia giovato alle fondazioni.
Al contrario, è venuto meno qualche incentivo a favore della loro costituzione.
Malgrado ciò l'idea di fondazioni basate sulla filantropia ha incontrato fra gli anni cinquanta e gli anni settanta il favore della legislazione. Innanzitutto nel 1959 è stata estesa la definizione di attività filantropica (charitable activity) ai fini del trattamento fiscale. Dal tradizionale concetto di aiuto ai poveri e ai diseredati e di sostegno al progresso educativo e alla religione si è passati a una concezione più ampia che comprende fra le attività meritevoli di trattamento fiscale favorevole anche quelle orientate alla difesa dei diritti umani e civili e alla lotta contro il deterioramento delle comunità. Più tardi, durante il dibattito del Tax reform act del 1969, fu posta la questione - poi risolta positivamente - della facoltà delle fondazioni filantropiche di erogare contributi finanziari a favore di programmi di educazione degli elettori o di elaborazione della politica pubblica.Infine nel 1976, dopo una lunga battaglia congressuale, fu riconosciuto alle fondazioni e più in generale alle organizzazioni filantropiche (charity organizations) il diritto di agire come lobbies, cioè di presentare direttamente al Congresso le proprie opinioni e proposte senza timore di perdere lo status di soggetti fiscalmente esenti. "Perché - si chiese in quell'occasione il senatore Edmund Muskie - il governo dovrebbe incoraggiare il mondo degli affari a comunicare con il Congresso facendo del lobbying una spesa che può essere detratta dalle tasse, mentre vanifica gli sforzi fatti dai gruppi di pubblico interesse per parlare con i legislatori, abolendo la loro situazione di esenzione fiscale? Se vogliamo mantenere nella pratica una forma democratica di governo e se il Congresso deve giungere a giudizi razionali sulle questioni che gli sono innanzi, noi dobbiamo essere sicuri che ogni segmento della nostra società sia in grado di comunicare con il Congresso".Ricordare queste vicende legislative serve a segnalare le dimensioni via via assunte dal settore, chiamato 'terzo settore' o 'settore indipendente', di cui le fondazioni sono venute a far parte. È dunque il fenomeno delle organizzazioni senza scopi di lucro (non profit organizations) che deve essere studiato.
Una breve presentazione della storia di alcune fondazioni americane ed europee potrà servire a comprendere meglio quanto si è detto finora in via generale. Abbiamo scelto a tal fine alcuni esempi significativi, come la Fondazione Rockefeller e la Fondazione Ford, i due casi di fondazioni filantropiche americane sorte per volontà di ricchi industriali; tra le europee prenderemo in considerazione il Wellcome Trust, la Fondation Européenne de la Culture, la Bank of Sweden Tercentenary Foundation e la Stiftung Volkswagenwerk.La fondazione Wellcome Trust costituisce un caso emblematico in quanto rappresenta un esempio di uso del trust, ovvero, come abbiamo detto precedentemente, dello strumento per la realizzazione di un 'patrimonio finalizzato' in un paese di common law (in questo caso la Gran Bretagna), e delle ambiguità che ne possono derivare quando vi sia coinvolta un'impresa (qui un'industria farmaceutica). La Fondation Européenne de la Culture si caratterizza a sua volta per il suo essere nata con lo scopo di promuovere il concretizzarsi dell'idea di Europa, mettendo a disposizione fondi (donati anche dalla Lotteria e dal Totocalcio olandesi) per attività che possano ricevere adesioni e contributi anche da altre istituzioni. La Bank of Sweden Tercentenary Foundation e la Stiftung Volkswagenwerk hanno, invece, la particolarità di essere sorte per iniziativa parlamentare e di essere state finalizzate via via a scopi più ampi, riguardanti non soltanto la nazione di appartenenza.La prima fra queste sei Fondazioni lo è anche in ordine di tempo. Infatti la Fondazione della famiglia Rockefeller nasce nel 1913 per volontà di John Davison Rockefeller sr. (1839-1937), il fondatore della Standard Oil, con lo scopo di "promuovere il benessere del genere umano in tutto il mondo".
Ispirato dal suo 'ministro della beneficenza', il reverendo battista Frederick T. Gates, John Rockefeller affidò "somme di denaro sostanziose a cittadini responsabili, da usare per il beneficio della società". La Fondazione fu così la prima tra le iniziative filantropiche del petroliere americano a operare su scala mondiale. La si può considerare come una risposta concreta all'articolo che Andrew Carnegie aveva pubblicato sulla "New American review" con l'obiettivo di definire la filosofia del milionario contemporaneo. Nella lettera aperta di Carnegie il ricco veniva considerato come l'unico detentore della verità per il solo fatto di essere il possessore della ricchezza: sembrava quindi l'unico capace di svolgere un ruolo centrale nella soluzione dei problemi della società. Rockefeller fece propria tale filosofia e iniziò una sorta di gara di generosità con lo stesso Carnegie.
Dagli iniziali finanziamenti 'per progetti', soprattutto a università, le attività della Fondazione si sono concentrate con il tempo su sette aree specifiche, delle quali cinque di natura mondiale: la lotta contro la fame, il controllo della popolazione, il miglioramento della sanità, la promozione delle risoluzioni dei conflitti grazie alle 'relazioni internazionali', il miglioramento del livello d'istruzione nelle nazioni in via di sviluppo. Le altre due aree di attività riguardano invece gli Stati Uniti: sviluppo della qualità ambientale e delle 'pari opportunità' e sviluppo culturale (soprattutto delle arti drammatiche, della letteratura e della musica).Poiché il Board of trustees che controlla i fondi e le linee di condotta della Fondazione Rockefeller si occupa della concessione di contributi a università, istituti di ricerca o altri centri qualificati, si tratta in questo caso di una cosiddetta 'fondazione erogativa'.
Non vengono concesse sovvenzioni per aiuti a singoli individui o per attivare istituzioni locali. Di queste ultime, invece, la famiglia Rockefeller si è presa cura attraverso il Rockefeller Brothers Fund, istituito nel 1940 dai cinque figli maschi di John D. Rockefeller jr. Complessivamente modesto nei primi anni di vita, il Brothers Fund crebbe a partire dal 1951 grazie a una donazione di John D. Rockefeller jr. e si ingrandì ulteriormente alla sua morte nel 1960 beneficiando della metà del suo patrimonio.L'oggetto iniziale dell'attenzione del Fondo è stata la città di New York, ove si è mirato soprattutto al rafforzamento e all'espansione di organizzazioni locali. Ma ben presto l'orizzonte si è allargato a problemi nazionali e internazionali, in base alla considerazione della sempre maggiore interdipendenza tra la città e il paese e tra questo e le altre nazioni. Beneficiati dal Fondo sono stati, ad esempio, il Museum of Modern Art, il Community Blood Center, il Negro movement e la Croce Rossa.
A livello mondiale la Fondazione ha incoraggiato lo sviluppo di tecniche agricole, finanziato programmi e istituzioni che nei paesi in via di sviluppo si sono preoccupati di legare i capitali, i talenti umani e i valori culturali agli sforzi per autosostenersi, nel rispetto dell'equilibrio tra popolazione e produzione da un lato e risorse naturali dall'altro. Il Fondo ha, inoltre, sostenuto la ricerca di mezzi per facilitare il commercio e il credito internazionali e lo studio di metodi di produzione di energia più flessibili, diversificati, meno inquinanti e non depauperanti le risorse disponibili.
I programmi del Rockefeller Brothers Fund si sono quindi basati - più che sulla volontà paternalistica e religiosa di promuovere il 'benessere dell'umanità' che aveva guidato le attività filantropiche di John Rockefeller e di suo figlio - sulla moderna constatazione dell'esistenza di one world, di un mondo unico in cui il benessere di una nazione non può prescindere da quello di tutte le altre.
È ancora la filantropia il filo che lega le generazioni di un'altra importante famiglia americana, quella dei Ford. Nel 1936, infatti, il fondatore della Ford Motor Company, Henry I (1863-1947) e suo figlio Edsel (1893-1943) crearono una Fondazione a loro nome che doveva "ricevere e amministrare fondi per scopi scientifici, educativi e caritatevoli".
La Fondazione nasceva alla fine del quindicennio (1921-1936) nel quale l'industria automobilistica dei Ford aveva conosciuto un'espansione a livello mondiale; proprio la sua creazione permise alla famiglia di non pagare i diritti di successione nel passaggio della guida dell'impero da una generazione all'altra.Inizialmente la Ford Foundation si limitò a sostenere delle istituzioni di carità soprattutto nel Michigan, ma nel 1959, dopo la morte dei suoi fondatori, il patrimonio si era ormai notevolmente accresciuto; ciò consentì allo staff dirigenziale di orientare il lavoro della Fondazione su problemi nazionali e internazionali.
Vennero istituiti il dipartimento internazionale e quello nazionale: il primo si occupò soprattutto di promuovere l'istruzione, di creare manodopera esperta e di sostenere le istituzioni locali nell'affrontare problemi relativi alla produzione di cibo, alla pianificazione familiare, allo sviluppo della tecnologia agricola e industriale. Il dipartimento nazionale concentrò invece la sua attenzione soprattutto sull'educazione, occupandosi delle 'pari opportunità' e della gestione e sviluppo del processo educativo.Dalla metà degli anni settanta la Fondazione ha dovuto però ridurre di circa il 50% il suo bilancio a causa dell'inflazione e della flessione dei mercati finanziari. In seguito a tale riduzione sono rimasti comunque prioritari i problemi della fame nel mondo e delle eguali opportunità negli Stati Uniti.
Come la Rockefeller Foundation e la Ford Foundation, anche il Wellcome Trust nasce per volere di un potente industriale di origine americana: sir Henry Solomon Wellcome (1853-1936).Nel 1880, infatti, Henry Wellcome formò una società con l'obiettivo di introdurre nel Regno Unito, dove l'industria farmaceutica era ancora primitiva, la vendita all'ingrosso di pillole già pronte, da lui ribattezzate tabloids. L'impresa riuscì egregiamente facendo arricchire il suo ideatore, il quale peraltro non dimenticò di essere figlio di un missionario puritano.
Egli sviluppò, particolarmente negli anni della sua maturità, una 'rispettosa comprensione' dell'utilità delle ricerche mediche, viste non soltanto come lavoro di laboratorio al fine di ottenere nuovi efficaci farmaci, ma anche come "ampio studio storico della scena umana e dei mali che il corpo eredita". Il suo concetto di ricerca includeva, quindi, anche scavi archeologici e ricerche su libri, e a tal fine nacque l'Istituto di ricerca a cui facevano capo un ufficio di ricerca scientifica, i laboratori di ricerca chimica, fisiologica ed entomologica e in seguito anche il Museo di Scienza medica e la Biblioteca di Storia della medicina, che ben presto i frutti delle ricerche permisero di creare.Nel febbraio 1932 sir Henry firmò il suo 'testamento', un documento complesso, giudicato per molti versi poco chiaro e poco logico, il quale comunque dette vita al Wellcome Trust. In questo scritto l'industriale dava disposizioni sulla formazione di un team di 'fiduciari', sul legame fra questi e la Wellcome Foundation (la fabbrica farmaceutica e l'Istituto di ricerca) e sui lasciti alla famiglia e agli impiegati. I trustees dovevano essere i soli detentori delle azioni dell'industria farmaceutica, mentre un Consiglio di direttori avrebbe avuto un ruolo esecutivo e avrebbe seguito una propria politica sulla quale i trustees non avrebbero dovuto influire. Il doppio ruolo che Wellcome aveva avuto in vita, come unico proprietario della fabbrica e dell'Istituto di ricerca, fu così svolto alla sua morte dai trustees, per i quali divenne tuttavia sempre più imprescindibile la necessità di separare gli interessi della produzione dalle attività filantropiche dell'Istituto che, fra l'altro, continuava a finanziare anche molte università e centri di ricerca esterni. Il problema fu risolto a partire dal 1986 con la vendita al pubblico del 30% del capitale azionario, che permise la diversificazione dell'assetto azionario del trust, rendendo quest'ultimo meno dipendente dalle sorti dell'industria farmaceutica e quindi meno ambiguo il fine delle ricerche che a esso facevano capo.
La motivazione della nascita della Fondation Européenne de la Culture è essenzialmente diversa da quella delle fondazioni viste finora. Essa infatti nacque nel 1954 a Ginevra per volontà di alcuni eminenti europei, tra i quali l'ex ministro degli Esteri francese Robert Schumann, i quali vollero creare un fondo per incoraggiare la cooperazione fra le nazioni europee e soprattutto la nascita di 'uno spirito europeo'.
Nel 1956 il principe Bernhard dei Paesi Bassi sostituì Robert Schumann alla presidenza della Fondazione che fu quindi trasferita ad Amsterdam acquisendo lo stato giuridico di fondazione indipendente di diritto olandese.
La direzione è stata affidata a un Board of governors internazionale, costituito da 54 membri che stabiliscono la politica della fondazione e approvano i bilanci, mentre allo svolgimento delle attività sovrintende un Comitato esecutivo.I finanziamenti provengono per il 35-40% del fabbisogno annuale dalla Lotteria generale e dal Totocalcio olandesi. Gli altri contributi provengono dai lavori e dalle ricerche sviluppate dai diversi centri e istituti della stessa Fondazione quali, ad esempio, l'Istituto Europeo d'Educazione e di Politica Sociale, l'Istituto per la Politica Europea dell'Ambiente e il Centro Europeo Lavoro e Società.
La Fondazione ha promosso la creazione di comitati nazionali in venti paesi d'Europa fra cui l'Italia, dove il comitato è sorto per iniziativa degli studiosi del Gruppo di Studio Società e Istituzioni con l'adesione di diverse personalità del mondo della cultura, dell'informazione e dell'industria.La Bank of Sweden Tercentenary Foundation (1962) ha la particolarità di essere nata, grazie a un atto parlamentare, per 'festeggiare' i trecento anni della banca centrale più antica del mondo: la Banca di Svezia, appunto.
Lo scopo iniziale doveva essere quello di "promuovere e finanziare ricerche scientifiche connesse con la Svezia" e in particolare "ricerche aventi per scopo la crescita della conoscenza dell'impatto dei cambiamenti tecnici, economici e sociali sulla società e sui cittadini". In linea di principio, tuttavia, nessun campo di ricerca veniva escluso dalla possibilità di ricevere sovvenzioni.
Le risorse della Fondazione venivano quindi considerate come complementari, non come alternative a quelle già disponibili per il finanziamento della ricerca. Ancora adesso l'entità delle sovvenzioni dipende totalmente dalla rendita messa a disposizione della Fondazione dal decreto del Parlamento svedese. Tale rendita consiste di un portfolio assicurativo gestito dalla Banca di Svezia e dall'interesse prodotto dai depositi della Fondazione.
La destinazione dei fondi, prima di essere sottoposta al vaglio del Consiglio dei direttori (composto da rappresentanti del Parlamento e della Banca), è decisa per lo più da esperti o anche da uno o più comitati, formati da membri del Consiglio e da esperti esterni. Ogni comitato si occupa di un campo specifico tra quelli scelti dalla Fondazione per i suoi interventi. Tra i campi di attività, oltre quello che comprende i vari rami delle scienze sociali (dalla storia economica alla psicologia, ecc.), vi sono le dottrine umanistiche, la medicina, le scienze naturali e la tecnologia.Anche la Stiftung Volkswagenwerk, come la Bank of Sweden Tercentenary Foundation, viene fondata nel 1962 e, come la sua omologa svedese, grazie a un intervento statale. Nasce infatti in base a un trattato governativo tra la Repubblica Federale di Germania e lo Stato della Bassa Sassonia, che risolve la controversia sulla proprietà Volkswagenwerk dopo il 1945.
L'industria automobilistica era una creatura del regime nazista, nata a Wolfsburg nel 1938 per la costruzione dell'utilitaria Volkswagen progettata da Ferdinand Porsche, ma nei fatti fu utilizzata solo per la produzione di autoveicoli leggeri per la Wehrmacht. Quella che era la Volkswagenwerk GmbH fu convertita con il trattato governativo in una società per azioni sotto la legge tedesca. Il 40% del capitale fu diviso equamente tra la Repubblica Federale di Germania e lo Stato della Bassa Sassonia, mentre il rimanente capitale fu convertito in proprietà privata con le cosiddette 'azioni del popolo'. Il ricavato della vendita delle azioni divenne il patrimonio della Fondazione.La direzione è affidata a un Board of trustees composto da 14 membri, dei quali sette designati dal governo federale e sette dallo Stato della Bassa Sassonia. Il Consiglio amministra la Fondazione, autonomamente dai governi, decidendo il programma dei fondi e la loro distribuzione, mentre il segretario generale esegue le decisioni e verifica l'uso dei fondi, che sono per lo più destinati alla promozione della scienza, delle dottrine umanistiche e della tecnologia, attraverso la ricerca e l'insegnamento universitario. Particolare attenzione viene data a tematiche e a campi per i quali non vi è copertura finanziaria sufficiente da parte dello Stato o di altre istituzioni donatrici di fondi. Le attività sovvenzionate riguardano anche l'estero, sulla base del principio della necessità ineludibile della cooperazione interdisciplinare, sovranazionale e internazionale.
A questo principio, come abbiamo visto, sono approdate anche le fondazioni nate sulla spinta del desiderio di risolvere i problemi della comunità più vicina, come nel caso del rapporto tra il Rockefeller Brothers Fund e la città di New York o tra la Fondazione della Bank of Sweden e la Svezia.Il nostro tempo, infatti, sembra mostrare sempre più chiaramente che solo in una prospettiva mondiale si può operare per la soluzione dei problemi dell'uomo e che quindi, parafrasando John Donne, "no country is an island": lo strumento 'fondazione', data la sua flessibilità, appare l'unico in grado di rispondere alle nuove esigenze.
Non è casuale il fatto che la situazione politica e sociale dell'Est europeo dopo gli avvenimenti del 1989 (caduta del 'muro' di Berlino, ritorno alla piena indipendenza dei paesi dell'Europa centrale e orientale, disintegrazione dell'URSS) sia stata caratterizzata tra l'altro da una notevole spinta verso la creazione di fondazioni, nell'accezione più ampia del termine.
Alcuni incontri fra fondazioni occidentali e neofondazioni centrorientali hanno rappresentato l'occasione per disporre dei primi dati riguardanti il fenomeno delle fondazioni nell'Europa orientale dopo il 1989. Facendo riferimento al dibattito che si è svolto nel convegno organizzato dalla Fondation Européenne de la Culture a Vienna nell'aprile 1991 e alla documentazione presentata in quell'occasione è possibile delineare il quadro, generale ma significativo, dell'evoluzione del fenomeno.Alcune fondazioni hanno avuto un ruolo nelle vicende politiche che hanno condotto alla riconquista della libertà e della democrazia nell'Europa orientale. È il caso della ex Cecoslovacchia e dell'attività svolta dalla Fondazione Charta 77, cioè dalla prima fondazione costituita in quel paese dopo la rivoluzione democratica del novembre 1989 e la caduta definitiva del governo comunista. Questa Fondazione promana in realtà dall'omonima Fondazione costituita prima a Stoccolma, nel 1978, e poi a New York nel 1984, per sostenere sul piano dell'azione culturale il movimento della dissidenza noto appunto come Charta 77, di cui lo scrittore Václav Havel, divenuto poi Presidente della Repubblica, è stato importante promotore.
In Ungheria già nel 1987, cioè nell'ultima fase del governo comunista, è stata approvata una legge che favoriva le fondazioni e che ne ha provocato una vera e propria proliferazione. Il primo annuario pubblicato nel 1991 ha dato notizia della nascita di circa 2.400 fondazioni.In Bulgaria, dove nel 1992 si è costituita l'Associazione delle fondazioni bulgare con un centinaio di aderenti, si è avuto il primo caso di una fondazione internazionale non governativa sorta nei paesi del blocco comunista prima che nell'URSS e in altri paesi di quel blocco fosse riconosciuta la figura giuridica delle fondazioni. Si tratta della Fondazione creata nel 1982 per iniziativa di varie personalità occidentali, oltreché bulgare, e intitolata a Liudmilla Zhivkova, che era stata attivo ministro della Cultura ed era scomparsa prematuramente nel 1981 dopo aver preso iniziative culturali controverse ed eterodosse. La Fondazione è stata intitolata, dopo la caduta del regime comunista, ai nomi dei santi Cirillo e Metodio, inventori e diffusori del cirillico nel mondo slavo nel secolo IX.Emblematico dello sviluppo delle fondazioni nell'Europa dell'Est è soprattutto il fatto che Michail Gorbačëv, nell'abbandonare il ruolo storico da lui svolto nel grande cambiamento del mondo sovietico, si sia dedicato alla creazione di una fondazione per gli studi sociali.
Si può dire che nel mondo postcomunista le fondazioni siano divenute strumenti importanti di espressione e autorganizzazione della società. Se si confrontano le varie tendenze sociali in atto nella parte centrorientale dell'Europa si può ritenere che il modello delle fondazioni si stia dimostrando più valido dello stesso modello del movimento o del partito politico al fine di organizzare il pluralismo. Il rifiuto dell'aggregazione politica in seguito all'esperienza delle aggregazioni coatte dell'epoca comunista, la novità costituita dall'agire in un ambito privato, la speranza di venire in contatto con le grandi fondazioni occidentali sono i motivi principali che possono spiegare il fenomeno.Queste fondazioni sono però alla ricerca di mezzi finanziari. Potrebbero essere chiamate grants seeking più che grants making. Mancando ovviamente grandi patrimoni privati a cui attingere all'interno dei paesi dell'Est, i fondi possono soprattutto venire dai paesi occidentali: si è quindi pensato che la politica di incoraggiamento degli investimenti esteri nell'Europa orientale potesse comprendere anche il capitolo delle fondazioni, nel senso di riconoscere particolari agevolazioni a chi, oltreché fare investimenti produttivi, faccia investimenti 'in fondazioni' o comunque investimenti senza scopo di profitto.
In Occidente una delle ultime fondazioni è sorta proprio con lo scopo di raccogliere fondi, sia pubblici che privati, per finanziare le riforme economiche e politiche nei Nuovi Stati Indipendenti dell'ex Unione Sovietica. L'americana Eurasia Foundation, infatti, è nata nell'aprile 1992 sulla base di alcune osservazioni che il Segretario di Stato James Baker aveva fatto alla prima conferenza sull'assistenza ai Nuovi Stati Indipendenti, tenuta a Washington in gennaio. Baker aveva esposto la grande utilità potenziale di una nuova, rapida risposta che avrebbe potuto esser data, appunto, da una fondazione.L'Eurasia Foundation è sorta grazie a un grant iniziale dell'Agenzia Internazionale per lo Sviluppo e la sua ricerca di altri fondi avrà certamente possibilità di riuscita di gran lunga superiori rispetto a quella delle sue sorelle dell'Est.
Ma quali sono gli scopi delle nuove fondazioni dell'Europa orientale? Se si considera il campione ungherese si possono, grosso modo, identificare cinque gruppi di fondazioni in ordine di dimensioni: il gruppo maggiore si occupa di cultura, arti, religione; un secondo gruppo è impegnato in programmi educativi per i giovani; un terzo gruppo ha scopi più generali di benessere sociale; il quarto si occupa di sanità; il quinto, infine, è impegnato in attività di promozione e formazione per il business e la gestione aziendale.Gli scopi delle fondazioni sono ampi e rientrano tra quelli che caratterizzano il cosiddetto 'terzo settore'. A questo proposito merita di essere considerata la realtà italiana. Un'ampia ricognizione ne è stata fatta da Pippo Ranci - sulla base di indagini di vario tipo condotte nel nostro paese - nella sua relazione al convegno 'Una politica per il sociale', organizzato a Roma dall'ACRI (Associazione delle Casse di Risparmio Italiane) nel novembre 1991.
Il quadro è ancora parziale perché può fondarsi soltanto su informazioni settoriali, ma fornisce un gran numero di dati significativi. Ranci ha osservato che "l'associazionismo costituisce un insieme parzialmente sovrapposto al volontariato, e non necessariamente tutto includibile in una definizione di non-profit che dia rilievo all'elemento altruistico. La ricerca svolta dal CIRIEC (Centro Italiano di Ricerche e d'Informazione sull'Economia delle imprese) nel 1985 ha censito in Italia circa 75 mila associazioni (esclusi partiti e sindacati), di cui solo una minima parte (circa 700) associazioni riconosciute. Gran parte di queste associazioni concentra le sue attività nel settore sportivo e del tempo libero (65 mila circa). Delle rimanenti, il maggior numero opera nella cultura e nella ricerca (2.500), nello spettacolo (2.300) e nell'assistenza e sanità (500).Delle associazioni in senso stretto (circa 12 mila, escluse quindi quelle sportive, i partiti, i sindacati, le pro-loco e le organizzazioni imprenditoriali), circa il 68% effettuava, nel 1982, spese annue per meno di 10 milioni di lire; il 23% spendeva da 10 a 100 milioni, mentre il 9% spendeva oltre 100 milioni di lire l'anno.
I dati ISTAT relativi al settore socioassistenziale mostrano, per il 1988, la presenza di circa 2.200 strutture private senza fine di lucro, operanti con servizi residenziali nell'area dei servizi socioassistenziali (a fronte di 1.300 IPAB - Istituzioni Pubbliche per l'Assistenza e la Beneficenza - e di 850 istituti pubblici).
Questi servizi danno lavoro a circa 39 mila addetti e assistono oltre 90 mila persone (contro i 40 mila addetti e i 97 mila assistiti delle IPAB, e i 15 mila addetti e 37 mila assistiti delle strutture pubbliche)".Lo studio di Ranci si sofferma inoltre su un piccolo settore abbastanza ben conosciuto, quello delle organizzazioni per la cooperazione internazionale. "Le cosiddette ONG (Organizzazioni Non Governative) impegnate nella solidarietà a paesi in via di sviluppo, secondo una recente indagine del CIPSI (Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale) sarebbero circa 1.200.
Di queste, circa 400 sono 'pulviscolari', cioè di piccole dimensioni e inconsistente struttura organizzativa. Delle restanti 800, circa 115 (presumibilmente quelle di dimensioni maggiori) sono riconosciute e registrate secondo la legge n. 49 del 1987. Queste 115 organizzazioni (dalla natura giuridica diversa, ma in cui predominano associazioni senza fine di lucro ed enti morali) occupano circa 1.800 persone in Italia e circa 3.000 operatori all'estero, dove si avvalgono anche di circa 200 persone che prestano la loro opera a titolo gratuito o come servizio sostitutivo di quello militare.
I fondi di fonte pubblica pervenuti a queste organizzazioni sono ammontati, nel 1990, a circa 320 miliardi, cui si debbono sommare circa 30 miliardi provenienti dalla CEE. A questi fondi si devono aggiungere i circa 100 miliardi raccolti da fonti diverse e che spesso costituiscono i matching funds dei finanziamenti pubblici".
Un altro settore piccolo ma in forte crescita e relativamente ben studiato è quello della "cooperazione di solidarietà sociale". Esso è "costituito da cooperative che hanno come scopo l'erogazione, a fini di solidarietà, di servizi socioassistenziali a soggetti svantaggiati. Secondo la rilevazione di Borzaga, nel 1986 esistevano circa 600 cooperative di questo tipo. L'autore ritiene che il loro numero dovrebbe essere oggi prossimo alle 2.500 unità.
Nel 1986 le entrate delle cooperative derivavano per il 54% dalla fornitura di servizi per conto di enti pubblici e per il restante 46% dalla vendita a privati di beni e servizi". L'ultimo punto della ricerca riguarda le attività della Chiesa cattolica che "costituiscono un'area di primaria importanza, estesa in numerosi settori di intervento. Una recente ricerca della Consulta nazionale delle opere caritative e assistenziali (1990) ha censito i servizi sociali e assistenziali collegati alla Chiesa. Ne risulta una fotografia di circa 4.500 'servizi' costituiti da IPAB (12%), fondazioni (11%), cooperative (8%), associazioni (38%), congregazioni religiose (13%), enti morali (5%) e altre varie. I servizi censiti occupano circa 76 mila addetti a cui si somma, per il 60% di essi, anche la collaborazione di personale volontario.Gli aspetti economici sono assai più difficili da valutare poiché la ricerca non ci si sofferma. Si riesce a sapere che le fonti di entrata più diffuse sono le elargizioni private (usate dal 46% dei servizi), le convenzioni con enti pubblici (45%), le rette pagate dagli utenti (43%), i contributi degli enti pubblici (34%) e quelli degli enti religiosi (22%). Non c'è modo di risalire al peso delle diverse voci di entrata".Nella vasta accezione di settore non profit accolta da Ranci, si può ben concludere che il terzo settore è assai più rilevante di quanto non appaia immediatamente. Ciò vale "sia che si tratti - come scrive Ranci - di iniziative a carattere religioso o ideologico, sia di aggregazioni spontanee attorno a ideali non strettamente politici, sia semplicemente di manifestazioni dello spirito d'iniziativa che vuole risolvere direttamente, senza mediazioni, un problema della comunità".
L'obiettivo di contribuire alla gestione e alla soluzione dei problemi della comunità appare il più importante per la dinamica e per le prospettive del settore non profit, e il più significativo dal punto di vista sociale. In sostanza, il terzo settore costituisce un terreno di incontro fra pubblico e privato, un campo di sperimentazione per organizzazioni e attività pubblico-private.In questa circostanza si trova probabilmente anche la spiegazione del successo nell'Est europeo non tanto delle singole fondazioni nella loro concretezza storica e fattuale (è comunque troppo presto per avere dati probanti pro o contro), quanto, appunto, della formula 'fondazione' presa nell'accezione ampia del termine: cioè come organizzazione indipendente senza fini di profitto piuttosto che come 'patrimonio finalizzato'. Attraverso queste organizzazioni si intende talvolta far fronte al crollo e comunque all'incapacità operativa delle organizzazioni burocratiche pubbliche. Non deve perciò meravigliare che molte fondazioni nascano con fondi pubblici o, in alcuni casi, siano fondazioni spurie sorte da riorganizzazioni trasformistiche di organismi pubblici (il pericolo non può essere trascurato).In quest'ordine di idee si deve aggiungere che negli ultimi decenni il favore incontrato dalle fondazioni sembra un tratto caratteristico degli Stati usciti dai regimi totalitari. Il caso di maggior spicco al riguardo è quello spagnolo: la Costituzione del 1978 esplicitamente riconosce (art. 34.1) il "derecho de fundación para fines de interés general". Il riferimento all'interesse generale e poi il rinvio alla legge ordinaria suggeriscono la funzione, che abbiamo appena richiamata, di una nuova formula di decentramento e riorganizzazione di alcuni interessi collettivi dopo il crollo dell'accentramento totalitario nelle burocrazie pubbliche.
C'è da dire, d'altra parte, che i legami fra settore pubblico e terzo settore o settore indipendente non sono una novità nel mondo occidentale. Negli Stati Uniti, per esempio, si è stimato che il 26% delle entrate nel settore non profit è di fonte pubblica. Si tratta di una stima recente che tiene conto in qualche misura dei notevoli tagli alla spesa sociale e assistenziale, realizzati soprattutto durante la presidenza Reagan. La riduzione della spesa sociale si basava anche sulla convinzione che proprio il terzo settore dovesse darsi carico della charity, cioè dell'assistenza e della beneficenza ai più poveri e disagiati. Questa politica ha fatto insorgere i più attenti difensori dello spirito e della funzione della philanthropy come attività rivolta alla promozione umana nel senso più ampio del termine. La limitatezza delle risorse provenienti dai contributi privati in realtà riduce o elimina, ove le risorse siano tutte indirizzate alle necessità di base dell'assistenza e della beneficenza, le possibilità operative della filantropia indipendente e, dunque, dell'espressione stessa del pluralismo americano (cfr. Alan Pifer, Philanthropy, voluntarism and changing times, in AA.VV., 1987). Indipendenza e diversità degli obiettivi appartengono in realtà al nucleo essenziale dell'ethos delle fondazioni.
A conclusione di una ricognizione del fenomeno fondazioni che parta dalla definizione essenziale di 'patrimonio finalizzato' per giungere a una valutazione dell'esteso e molto indeterminato settore non profit si pongono alcuni quesiti.La fondazione è il tipo di organizzazione più significativa e rappresentativa di questo settore: non sarebbe allora opportuno adattare la formula giuridica e organizzativa alle complesse esigenze del settore non profit (piuttosto 'organizzazione indipendente' che non 'patrimonio finalizzato')? O invece, accantonando l'uso traslato o analogico del termine fondazione, occorre mantenere, anzi recuperare, un concetto rigoroso di fondazione, in quanto solo la varietà delle figure giuridiche organizzative può adeguatamente rispondere alle esigenze del settore indipendente che per crescere ha bisogno tra l'altro di chiarezza del diritto? Tali quesiti devono essere posti ai legislatori nei diversi paesi e, in Europa, anche a livello comunitario in sede CEE. Non è questa la sede per esprimere preferenze. È sul piano dei principî che va affrontata la questione prioritaria: le fondazioni come soggetti sociali devono essere o no espressione esclusiva dell'autonomia dei privati, anche se non soltanto dei ricchi ma potenzialmente di tutti i cittadini capaci di destinare liberamente a fini sociali o collettivi risorse ulteriori oltre alle imposte pagate allo Stato? Ovvero le fondazioni (magari nell'accezione larga ricordata sopra) sono qualcosa di più, cioè il luogo di un incontro tra pubblico e privato diverso da quello che si realizza nell'ambito dell'economia produttiva mista?Antonio Sáenz de Miera, presidente del Centro delle fondazioni spagnolo, ha scritto che, se è ormai entrata in crisi in tutti i paesi l'idea di una solidarietà amministrata e diretta dallo Stato, essa non può essere recuperata semplicemente affidandosi ai vantaggi del libero mercato. Questa virtù pubblica-privata ha bisogno di affondare le sue radici in un nuovo impianto morale e organizzativo dove la società civile conti di più, dove ci sia un rapporto di fiducia fra pubblico e privato (cfr. l'articolo Cuestion de confianza sul supplemento di "El Pais", 19 marzo 1992).
Sembra del tutto ragionevole pensare che proprio intorno a questi problemi si giocherà l'avvenire delle fondazioni e del settore non profit nello scorcio del XX secolo.
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