Fondi comuni di investimento
di Marco Onado
Nei paesi industrializzati, i fondi comuni rappresentano una delle principali forme di impiego del risparmio delle famiglie. In base alla definizione data dalla legge (Testo Unico della Finanza), essi sono patrimoni autonomi, suddivisi in quote di pertinenza dei partecipanti, la cui gestione è affidata ad apposite società che curano l'investimento in strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili. Il patrimonio di ciascun fondo comune è distinto sia da quello della società di gestione, sia da quello dei partecipanti e deve essere depositato presso una banca.I fondi comuni appartengono (insieme alle SICAV, Società di Investimento a Capitale Variabile) alla categoria degli strumenti di gestione collettiva del risparmio, che insieme ai fondi pensione e alle società di assicurazione formano il complesso di operatori definiti investitori istituzionali. Si tratta degli intermediari che hanno assunto importanza crescente nei moderni sistemi finanziari (si parla infatti di istituzionalizzazione del risparmio), in relazione allo sviluppo dei mercati finanziari e all'aumento dei titoli nella ricchezza finanziaria delle famiglie. (Per una classificazione di questi intermediari si veda la tab. I).
Secondo dati recenti dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) gli investitori istituzionali dei principali paesi industrializzati gestivano nel 1995 attività per oltre 24.000 miliardi di dollari, corrispondenti al 107 per cento del loro prodotto lordo (v. OECD, 1998). Di questi, circa un quarto era rappresentato dai fondi comuni. Lo sviluppo degli investitori istituzionali è stato in generale fortemente influenzato dalla crescita dei mercati finanziari e dagli incentivi fiscali. Nei paesi anglosassoni si sono affermati soprattutto i fondi pensione (a causa della bassa copertura della previdenza pubblica obbligatoria), mentre in Francia e in Italia si sono sviluppati soprattutto i fondi comuni (anche le SICAV nel caso francese).
Le caratteristiche essenziali di un fondo comune in quanto strumento di impiego del risparmio possono essere così sintetizzate: a) la gestione avviene su base collettiva per conto dell'investitore (quindi a suo rischio); b) il patrimonio è privo di personalità giuridica ed è suddiviso in quote; c) il patrimonio è autonomo da quello della società di gestione e da quello dei partecipanti; d) la gestione è affidata ad una società specializzata (SGR), che può svolgere solo gestione collettiva e individuale; e) il rapporto fra risparmiatori e società di gestione è regolato dalle norme di legge e dal regolamento del fondo; f) l'informazione all'investitore è assicurata sia nella fase che precede l'investimento (il prospetto) sia nel corso dell'attività di gestione; g) i fondi hanno la piena titolarità delle azioni possedute e le società di gestione possono esercitare i diritti di voto relativi.
Gli investitori non sono titolari del fondo. Essi vantano esclusivamente un diritto di credito nei confronti della società di gestione. Si tratta di un rapporto tipico (v. Costi, 2000) che comporta che la società assuma "gli obblighi e le responsabilità del mandatario". Con la gestione collettiva o in monte le somme versate dai singoli investitori confluiscono indistintamente in un unico fondo, che costituisce una sorta di pool gestito complessivamente per conto degli investitori. Questi ultimi sopportano totalmente il rischio dell'investimento e demandano ogni decisione, in ordine agli investimenti e ai disinvestimenti, alla società di gestione del fondo. Per questo la gestione collettiva (insieme a quella individuale) è definita gestione per conto terzi o risparmio gestito.
La partecipazione al fondo è rappresentata da una quota: nei fondi aperti (i più diffusi) la sottoscrizione può avvenire in ogni momento e dunque il numero di quote in circolazione è variabile. Il valore complessivo netto del fondo (Net Asset Value o NAV) è pari al valore corrente di mercato (alla data di riferimento della valutazione stessa) delle attività che lo compongono al netto delle eventuali passività. Il valore degli strumenti finanziari quotati è determinato sulla base dell'ultimo prezzo disponibile rilevato sul mercato di quotazione.Il valore di ciascuna quota corrisponde al NAV diviso per il numero delle quote in circolazione. Esso è calcolato ogni giorno per i fondi aperti e ha ampia pubblicità: in particolare, è indicato fondo per fondo nella apposita sezione di tutti i principali quotidiani. Può essere calcolato anche con cadenza settimanale ed è calcolato con periodicità diversa a seconda della struttura, aperta o chiusa, del fondo.Le quote possono essere riscattate dal risparmiatore in contropartita diretta con la società, la quale deve rimborsare il controvalore entro 15 giorni dalla richiesta. 2c. L'autonomia del patrimonio.I fondi sono patrimoni autonomi, distinti a tutti gli effetti dal patrimonio delle società di gestione e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società. Ciò rappresenta una importante tutela per gli investitori: non sono infatti ammesse azioni di creditori delle società di gestione o della banca depositaria, mentre le azioni dei creditori dei singoli investitori partecipanti sono ammesse solo sulle quote di partecipazione degli stessi.Il principio di autonomia giuridica e di tutela del fondo comune è rafforzato dalla norma che prescrive che la custodia degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide di un fondo deve essere affidata ad una banca depositaria. Le funzioni di questa non sono solo di custodia materiale, ma di verifica e controllo. La banca deve infatti, fra l'altro, accertare la legittimità di tutta una serie di aspetti cruciali come le operazioni di emissione e rimborso delle quote del fondo, il calcolo del valore della quota, la destinazione dei proventi, il rispetto del regolamento nell'esecuzione delle operazioni. 2d. La Società di Gestione del Risparmio (SGR).La Società di Gestione del Risparmio è l'intermediario disciplinato dal Testo Unico della Finanza che (insieme alle SICAV) è abilitato alla gestione collettiva del risparmio. La novità del Testo Unico risiede nel fatto che la SGR può prestare anche il servizio di gestione individuale di portafoglio (servizio prima riservato a banche e SIM) e istituire e gestire fondi pensione. Essa non può però svolgere altri servizi di investimento o bancari.Nell'ambito delle norme generali e del regolamento del fondo, la società ha piena discrezionalità nelle scelte di investimento e disinvestimento. Essa può anche delegare ad altri soggetti specifiche scelte di investimento. La società che istituisce il fondo comune può inoltre essere diversa da quella che lo gestisce.
Gli investimenti vengono decisi dalla società di gestione nel rispetto di quanto stabilito dalla legge e dal regolamento del fondo. La normativa generale prevede in particolare limiti allo scopo di garantire la diversificazione dei rischi. Il fondo aperto non può essere investito in strumenti finanziari di uno stesso emittente per un valore superiore al 5 per cento del totale delle attività. Il limite è elevato al 15 per cento, a condizione che si tratti di strumenti finanziari quotati e che il totale degli strumenti finanziari degli emittenti in cui il fondo investe più del 5 per cento delle proprie attività non superi il 40 per cento del totale delle attività del fondo. Sono poi previsti limiti per i titoli emessi da uno stesso gruppo (30 per cento, ridotto al 15 per il gruppo di appartenenza della SGR), per i titoli derivati (consentiti solo se previsti dal regolamento e se l'investimento non altera il profilo di rischio indicato fra gli obiettivi del fondo).Il regolamento di ciascun fondo comune definisce le caratteristiche del fondo, il suo funzionamento, indica la società promotrice, il gestore, se diverso dalla società promotrice, e la banca depositaria, definisce la ripartizione dei compiti fra tali soggetti, regola i rapporti intercorrenti tra tali soggetti e i partecipanti al fondo. Definisce inoltre le modalità di partecipazione al fondo, di sottoscrizione e rimborso delle quote, gli organi competenti per la scelta degli investimenti, le tipologie di valori in cui è possibile investire il patrimonio, i criteri relativi alla determinazione dei risultati di gestione e le modalità di distribuzione degli stessi, la ripartizione delle spese fra il fondo e la società di gestione, la misura e i criteri delle provvigioni e degli oneri, le modalità di pubblicità del valore delle quote. Il regolamento e le relative variazioni devono essere approvati dalla Banca d'Italia.In sintesi, il regolamento definisce la composizione del fondo e quindi la categoria cui appartiene (vedi sotto) nonché il profilo di rischio per l'investitore. A far tempo dal Testo Unico della Finanza il prospetto deve indicare un parametro di riferimento: il cosiddetto benchmark. Questo termine preso a prestito dalla topografia (letteralmente: i punti di riferimento per misurazione e rilevamento) ha un duplice significato: ex ante serve come indicatore della composizione 'media' del portafoglio e quindi del rischio del portafoglio (ad esempio: l'indice azionario Italia, il tasso dei titoli a reddito fisso statali). Ex post misura il risultato del portafoglio tramite il confronto con il benchmark stesso.
La disciplina dei fondi è sempre stata improntata a garantire la massima trasparenza sia nella fase che precede l'investimento (mediante il prospetto informativo), sia nel corso dell'attività di gestione.Il prospetto deve contenere tutte le informazioni necessarie perché gli investitori possano formulare un giudizio fondato sull'investimento che viene loro proposto e contenere le informazioni relative sia al fondo comune (gli elementi contrattuali del regolamento e dunque il profilo di rischio), sia al gestore. In particolare devono essere indicati il benchmark di riferimento e i risultati ottenuti in passato.Per quanto riguarda la trasparenza nel corso della gestione, si è già detto della pubblicità delle quote e del criterio fondamentale di valorizzazione ai prezzi di mercato. I fondi devono poi avere una relazione semestrale e un rendiconto annuale che devono essere forniti gratuitamente agli investitori. Questi due documenti elencano nel dettaglio tutti i titoli in cui il fondo ha investito e contengono anche una relazione degli amministratori di commento al risultato ottenuto nel periodo e alle politiche di gestione attuate.
g) L'esercizio dei diritti di voto.
Il fondo ha la piena proprietà dei titoli gestiti e la società di gestione può quindi esercitare tutti i diritti relativi. In particolare, per quanto riguarda le azioni il Testo Unico della Finanza prevede che "la società di gestione del risparmio provvede, nell'interesse dei partecipanti, all'esercizio dei diritti di voto inerenti alle azioni e altri strumenti posseduti". Ciò apre il dibattito su quanto 'attivi' debbano essere i fondi nella vita societaria delle imprese. Su questo aspetto torneremo più avanti.
I fondi comuni possono essere suddivisi in varie categorie come risulta dalla tabella I. A seconda dell'oggetto e delle forme dell'investimento si distingue innanzitutto fra fondi mobiliari, immobiliari e speculativi (hedge funds). Dal punto di vista delle modalità di partecipazione, si distingue tra fondi aperti e fondi chiusi. I primi, i più diffusi, si caratterizzano per la possibilità di ingresso in ogni istante (acquisto delle quote) e di uscita sulla base del valore della quota stessa. Nell'ambito dei fondi aperti si distinguono i fondi armonizzati, cioè quelli conformi alle direttive comunitarie e che possono essere commercializzati all'interno dell'Unione in regime di mutuo riconoscimento. Per completezza, merita di essere ricordato che il fondo mobiliare aperto realizza un risultato diverso nella forma, ma uguale nella sostanza a quello delle SICAV. La differenza fondamentale è che in queste ultime l'investitore acquista azioni, non quote di un patrimonio indistinto e può in ogni momento chiedere il rimborso delle azioni. Il capitale è quindi variabile ed è sempre uguale al valore del portafoglio di titoli posseduti.I fondi chiusi sono prevalentemente investiti in strumenti finanziari non quotati. A differenza dei fondi aperti, l'ammontare totale del fondo da sottoscrivere è prefissato al momento della promozione del fondo e il rimborso avviene solo a scadenze predeterminate. I fondi raccolti sono prevalentemente investiti in titoli di società non quotate, in vista di un guadagno di capitale nel medio termine, conseguito con le cessione delle partecipazioni e in particolare con il collocamento in borsa. Il fondo chiuso riveste quindi un ruolo molto importante nel finanziamento a titolo di capitale di rischio e nell'indirizzare le imprese verso la quotazione.I fondi chiusi possono essere offerti al pubblico o a investitori qualificati. Il regolamento dei primi è soggetto a disposizioni particolari per quanto attiene al capitale sociale minimo delle SGR (1 milione di euro) e alla quota minima di sottoscrizione (50.000 euro). Il patrimonio viene raccolto mediante un'unica emissione, che deve essere sottoscritta entro 18 mesi dalla pubblicazione del prospetto per i fondi offerti al pubblico ovvero per gli investitori qualificati dalla data di approvazione del regolamento del fondo da parte della Banca d'Italia. Il fondo non può essere investito per più del 20 per cento in strumenti finanziari non quotati di uno stesso emittente. Pertanto il numero delle quote del fondo in circolazione non può aumentare o diminuire in relazione alle richieste di sottoscrizione e riscatto da parte dei risparmiatori. Sono obbligatoriamente costituiti in forma chiusa i fondi che investono in beni immobili e diritti reali immobiliari e in crediti e titoli rappresentativi di crediti, oltre quelli già ricordati che investono in strumenti finanziari non quotati, diversi da parti di OICR aperti, in misura superiore al 10 per cento, e in altri beni per i quali esista un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con periodicità almeno semestrale.Il problema fondamentale dei fondi immobiliari è quello della valutazione dei beni posseduti, dato che per gli immobili non esiste un prezzo desumibile da listini ufficiali. Ciascun bene immobile detenuto dal fondo è valutato singolarmente e al valore corrente, per tale intendendosi il prezzo al quale il cespite "potrebbe essere ragionevolmente ceduto alla data in cui è effettuata la valutazione, supponendo che la vendita avvenga a condizioni normali" (Regolamento Banca d'Italia, 20 settembre 1999, par. 2.5). Per la valutazione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari in cui è investito il patrimonio del fondo, nonché delle partecipazioni in società immobiliari non quotate controllate dal fondo, la SGR deve avvalersi di esperti indipendenti, che redigono una relazione semestrale di stima del valore degli immobili e delle partecipazioni di controllo delle società non quotate facenti parte del fondo. Anche il fondo immobiliare è retto da un regolamento che si differenzia in termini di requisiti minimi da quello dei fondi mobiliari per la durata (che non può essere inferiore a 30 anni), l'ammontare minimo complessivo del fondo (100 miliardi) e l'ammontare minimo di ogni singola quota (3 milioni).
I fondi speculativi (hedge funds) raggruppano una serie molto eterogenea di operatori, accomunati dal fatto di attuare strategie di investimento basate su un forte ricorso alla leva finanziaria. I primi hedge funds nacquero negli Stati Uniti, per attuare strategie di investimento basate sull'acquisto (a termine) di titoli ritenuti 'sottovalutati' e dalla vendita (pure a termine) di titoli 'sopravvalutati'. Il fondo risultava quindi coperto (hedged) dai movimenti del mercato nell'ipotesi che questi si riflettano simmetricamente sulle due categorie di operazioni e dunque sulla posizione del fondo. Se questa ipotesi non viene realizzata, la posizione è naturalmente esposta ad un rischio doppio e dunque la denominazione inglese non risulta più appropriata.
Successivamente, gli hedge funds hanno assunto caratteristiche ancora più decisamente orientate allo sfruttamento della leva finanziaria, mediante ricorso all'indebitamento e, più frequentemente, con il ricorso a posizioni su mercati derivati. Essi sono normalmente localizzati in paesi in cui è minima la regolamentazione e comunque strutturati in modo da non ricadere nella normativa sulla sollecitazione del risparmio. Nella normativa italiana, possono essere costituiti in forma aperta o chiusa. Non sono sottoposti a predefiniti vincoli in materia di oggetto dell'investimento, non possono avere più di 100 partecipanti e devono prevedere una sottoscrizione minima iniziale non inferiore a un milione di euro. Inoltre, non possono essere oggetto di sollecitazione all'investimento e devono indicare nel regolamento la particolare rischiosità dell'investimento.Nell'ambito dei fondi aperti assume particolare importanza la classificazione in base all'obiettivo di investimento, che identifica il profilo di rischio. Nella maggior parte dei paesi industrializzati gli organismi di controllo e di vigilanza dei mercati finanziari o le associazioni delle società di gestione dei fondi (per l'Italia Assogestioni) hanno cura di elaborare e aggiornare una classificazione istituzionale dei fondi comuni d'investimento. L'evoluzione del contesto giuridico ed economico in cui si sono trovati ad operare i fondi modifica nel tempo gli schemi classificatori utilizzati. (Per la classificazione Assogestioni adottata a far tempo dall'unione monetaria, gennaio 1999, si veda la tab. II).
La regolamentazione dei fondi comuni è tradizionalmente improntata all'obiettivo di garantire al risparmiatore i vantaggi della diversificazione (limiti alla concentrazione degli impieghi), della trasparenza (calcolo quotidiano del valore della quota), dell' informazione (norme sul prospetto), della liquidità (diritto al riscatto in tempi brevi), della sicurezza (separatezza dei patrimoni e obbligo della banca depositaria).La prima normativa ispirata a questi principî è quella statunitense del 1940, che fa parte della vasta riforma bancaria e finanziaria realizzata dopo la 'grande crisi' del 1929 e che ha favorito l'eccezionale sviluppo che questo settore (insieme ai fondi pensione) ha avuto nella seconda metà del secolo scorso (v. Fortune, 1997). In Italia, si è dovuto aspettare il 1983 (legge 77 del 23 marzo) per avere una disciplina organica in materia. La disciplina attuale è quella prevista dal più volte citato Testo Unico della Finanza (d.l. 24.2.1998, n. 58), che ha sancito una vigilanza basata sulla distinzione di competenza fra Banca d'Italia (a cui sono assegnati i controlli di stabilità) e CONSOB (controllo di trasparenza) secondo le linee generali della regolamentazione finanziaria italiana (v. Onado, 1997). Sono peraltro i controlli di trasparenza che nel caso specifico di questo tipo di intermediari, e diversamente da quello che avviene per le banche, assumono importanza prevalente ai fini della protezione del risparmiatore (v. Piatti e Susi, 1997).Complessivamente, la regolamentazione si è sviluppata passando da un riferimento al prodotto (disciplinato in modo che potesse essere offerto da operatori specializzati in forma esclusiva) a un riferimento al soggetto: la Società di Gestione del Risparmio che opera in tutti i campi del risparmio gestito: la gestione collettiva, la gestione individuale, i fondi pensione. Le attività di asset management possono così essere concentrate in un unico operatore giuridicamente e funzionalmente separato rispetto al resto dell'intermediazione finanziaria. L'innovazione del Testo Unico della Finanza, analoga a quella realizzata in Francia, dovrebbe essere recepita dalla Direttiva europea di imminente approvazione.L'altra fondamentale innovazione del Testo Unico della Finanza e dei regolamenti successivi ha riguardato l'introduzione del parametro di riferimento (benchmark) già ricordato. In questo modo, è stata significativamente aumentata la trasparenza nei confronti dell'investitore, anche se a prezzo di qualche difficoltà metodologica e pratica nell'identificazione del parametro e soprattutto nel confronto tra il risultato del fondo e quello del benchmark, cui si accennerà nel prossimo capitolo.In effetti, il problema fondamentale della regolamentazione dei fondi comuni è quello di realizzare nel modo più efficace possibile gli obiettivi generali ricordati all'inizio del capitolo, che fanno del fondo comune uno dei prodotti finanziari più garantiti nella storia dell'intermediazione finanziaria. A tal punto ciò è vero che talvolta ci si interroga se l'eccesso di garantismo non possa risultare controproducente. Ad esempio, nonostante l'importanza che il prospetto informativo assume ai fini della decisione di investimento, ci si chiede se un prospetto agile e 'leggibile' non sia più adatto agli scopi di un documento apparentemente completo ma poco adatto alle conoscenze specifiche dell'investitore medio (v. Cammarano, 1997).
l fondo comune consente al risparmiatore di investire in una quota di portafoglio diversificato, ottenendo un certo rendimento, a fronte di determinati costi. Il calcolo di questi rendimenti e la determinazione dei costi non sono tuttavia affatto semplici e sono questi i problemi fondamentali da chiarire prima di effettuare il confronto con il benchmark.In effetti, se è univoco e certo il modo di determinazione della quota, è tecnicamente più complesso calcolare il risultato (o performance) di un fondo comune nel suo complesso, a motivo della necessità di tenere conto di fattori come i versamenti e prelevamenti nel corso del periodo, l'incidenza di vari oneri diretti e indiretti e così via. A questo scopo, sono stati individuati dalle associazioni di categoria (AIMR, Assogestioni) criteri universalmente riconosciuti che tengano conto della complementare esigenza dei risparmiatori di potersi avvalere di criteri stabili per orientarsi fra i vari prodotti offerti, e dei gestori di essere valutati sulla base di uno standard che misuri effettivamente il risultato a loro imputabile. Solo per fare un esempio, è evidente che la performance è influenzata da flussi di cassa (sottoscrizioni e rimborsi che avvengono nel periodo) che sono indipendenti dalla volontà del gestore. È quindi corretto valutare il risultato che egli ottiene solo tenendo conto del patrimonio sotto il suo controllo. A questo scopo si ricorre ad un particolare criterio che è la ponderazione dei valori del patrimonio in relazione al tempo per cui ogni flusso rimane investito.Inoltre, la valutazione della performance dei fondi comuni richiede la misurazione dei rendimenti al netto delle componenti di rischio e di ogni commissione o altro tipo di costo sostenuto dal sottoscrittore. Per quanto riguarda il rischio, un metodo è quello di ricorrere al cosiddetto indice di Sharpe (pubblicato anche dalla stampa quotidiana) che è dato dal rapporto fra la differenza del rendimento del portafoglio e il rendimento del titolo privo di rischio e lo scarto quadratico medio del rendimento stesso.
La gestione comporta per l'investitore varie categorie di costi. Innanzitutto, le commissioni di ingresso (o di rimborso) che sono percepite al momento della sottoscrizione. Talvolta le commissioni di ingresso sono molto basse (o nulle) e sostituite da commissioni percepite al momento del disinvestimento. Altri fondi (cosiddetti no load puri) non richiedono né commissioni di ingresso, né commissioni di uscita.La commissione di gestione (ed eventuali commissioni aggiuntive di performance) è percepita dalla società di gestione e commisurata ad una percentuale del valore del patrimonio, definita dal regolamento. Il valore della quota è calcolato al netto di questa commissione, che è peraltro indicata nel prospetto.
Sul fondo e quindi sul risparmiatore gravano ancora i costi di transazione, cioè i costi relativi alle singole transazioni. Anche questi costi sono impliciti, perché imputati prima del calcolo del valore delle quote. Così come sono impliciti (e questo rappresenta una differenza sostanziale rispetto a quanto avviene negli altri paesi) gli oneri fiscali e in particolare l'imposta sui capital gains. In Italia, l'imposizione fiscale grava infatti direttamente sul fondo che assume la veste di sostituto di imposta.Solo dopo aver tenuto conto di tutti questi aspetti è possibile un confronto omogeneo tra fondi comuni, e soprattutto il confronto tra il risultato ottenuto da ciascuno di essi e il benchmark di riferimento.
Lo sviluppo degli investitori istituzionali e dei fondi comuni in particolare ha posto numerosi, importanti problemi economici, tra i quali vanno ricordati almeno i seguenti.
In primo luogo, gli investitori istituzionali che operano con professionalità, grazie alle loro dimensioni, possono meglio fronteggiare i costi dell'informazione che caratterizzano il sistema finanziario. Vi è quindi un vantaggio per l'investitore che delega le scelte di investimento e per il sistema economico nel suo complesso. La letteratura economica e la ricerca empirica mettono in evidenza che la presenza di investitori professionali sui mercati finanziari aumenta il contenuto informativo del sistema dei prezzi. In altri termini, i prezzi delle attività finanziarie riflettono più prontamente l'informazione disponibile in ogni momento e rilevante per l'andamento futuro dei prezzi stessi. Esiste cioè una correlazione diretta fra dimensione del settore degli investitori istituzionali e dimensioni ed efficienza dei mercati finanziari (v. OECD, 1998).Un altro tema largamente dibattuto è se i fondi siano in grado di 'battere' il mercato, cioè di dare un rendimento superiore a quello del mercato di riferimento, al netto delle spese sopportate dall'investitore. Senza entrare nel merito dei numerosi problemi teorici e pratici, si può dire che la maggioranza della ricerca empirica (per l'Italia v. Cesari e Panetta, 1998) giunge alle conclusioni che esistono extra-rendimenti positivi, anche se una parte notevole è assorbita dai costi non inclusi nel calcolo della performance.Un altro problema fondamentale riguarda l'esercizio dei diritti di voto. I fondi comuni hanno progressivamente modificato la loro posizione da quella di passive shareholders, che esprimono la loro posizione semplicemente vendendo le azioni, a quella di active shareholders, che prendono posizione sulle scelte strategiche delle società, intervengono alle assemblee, contribuiscono alla nomina di consiglieri di amministrazione, esprimono pubblicamente e anche in maniera decisa posizioni sulla corporate governance delle società quotate. Di fatto, la stessa regolamentazione delle società quotate (e in particolare il Testo Unico della Finanza) ha disegnato un assetto in cui risulta evidente lo spostamento della considerazione legislativa dalla tutela del piccolo azionista all'investitore istituzionale (v. Vella, 1998).
Nel confronto europeo, l'industria italiana dei fondi comuni è terza per dimensioni, dopo Lussemburgo e Francia. In effetti, lo sviluppo è avvenuto soprattutto nell'ultimo decennio, e in particolare da quando, con il rientro dell'inflazione e il risanamento finanziario, sono venute meno le condizioni che avevano determinato tassi eccezionalmente elevati per il debito pubblico italiano.Alla fine del 1994, i fondi comuni italiani rappresentavano ancora la sesta industria in Europa per fondi amministrati, con una quota pari al 6,8 per cento del patrimonio complessivo dei paesi dell'attuale area dell'euro. Sono stati gli anni dell'ortodossia finanziaria che hanno segnato lo sviluppo dei fondi comuni e con essi del mercato finanziario italiano. La tab. III riporta i dati essenziali per l'Italia e la tab. IV quelli relativi ai principali paesi europei.
Association for Investment Management and Research, AIMR Performance Presentation Standards Handbook, Charlottesville 1996.
Banca d'Italia, Assemblea generale ordinaria dei partecipanti, Roma, vari anni.
Cammarano, G., Commento a L. Piatti e N. Susi, Struttura dell'industria, assetti proprietari e profili di informativa: un'analisi dei fondi comuni di investimento italiani, in Ricerche sull'industria dei servizi mobiliari in Italia, "Quaderni di finanza CONSOB", n. 21, 1997.
Cesari, R., Panetta, F., Style, fees and performance of Italian equity funds, in "Banca d'Italia. Temi di discussione del Servizio Studi", n. 325, 1998.
Costi, R., Il mercato mobiliare italiano, Torino 2000.
Fortune, P., Mutual funds. Part I. Reshaping the American financial system, in "Federal reserve bank of Boston, New England economic review", luglio-agosto 1997.
OECD, Institutional investors in the new financial market, Paris 1998
Onado, M., Il risparmio gestito in Italia. Caratteristiche generali e problemi di regolamentazione, in "Quaderni di finanza CONSOB", n. 21, 1997.
Piatti, L., Susi, N., Struttura dell'industria, assetti proprietari e profili di informativa: un'analisi dei fondi comuni di investimento italiani, in Ricerche sull'industria dei servizi mobiliari in Italia, "Quaderni di finanza CONSOB", n. 22, 1997.
Vella, F., Attivismo degli investitori istituzionali e riforma del diritto societario, in "Banca impresa società", dicembre 1998.