FONDI PENSIONE
I f. p. svolgono una funzione previdenziale complementare alla previdenza pubblica, in forma sostitutiva (nel caso di categorie non coperte dalla previdenza pubblica stessa), in forma integrativa (nel caso di prestazioni in qualche modo collegate a quelle previdenziali obbligatorie), o in forma semplicemente aggiuntiva. I f. p. si distinguono da altri strumenti di previdenza complementare per essere entità collettive, con patrimonio distinto o comunque con vincolo di destinazione e forma istituzionale definita.
In Italia, la Costituzione (art. 38, 5° comma) afferma che l'assistenza privata è libera. Esistono, inoltre, norme che disciplinano, in particolare, le "forme di previdenza" (art. 2123 codice civile) e i "fondi speciali per la previdenza e l'assistenza" (art. 2117 c. c.). Sul piano tributario il T. U. delle imposte sui redditi (d. P. R. 22 dicembre 1986 n. 917) ha ribadito, tra l'altro, l'esclusione dalla formazione del reddito dipendente dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore a favore di enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale o previdenziale. La mancanza di una regolamentazione organica ha spinto, negli anni più recenti, il ministero del Lavoro e della Previdenza sociale a predisporre alcuni disegni di legge in materia di trattamenti pensionistici complementari (cfr. per es. il d. d. l. del 7 dicembre 1988).
Sebbene alcune tra le principali aziende italiane, come ENI, Montedison, IBM, Olivetti, RAI, la Banca d'Italia e le maggiori banche abbiano propri f. p., la previdenza complementare è molto meno sviluppata nel nostro paese rispetto agli Stati Uniti, al Giappone o al Regno Unito. Ciò può essere spiegato dal trattamento favorevole dei redditi da capitale nel nostro paese e dall'ampiezza della copertura della previdenza obbligatoria per i lavoratori dipendenti (fino all'80% dell'ultima retribuzione per chi ha 40 anni di anzianità, con un massimale che è stato elevato dall'art. 21 della legge finanziaria del 1988).
Una misura dell'importanza della previdenza complementare nei diversi paesi può essere data dal risparmio destinato annualmente dalle famiglie alle assicurazioni sulla vita e ai f. p. in rapporto al prodotto interno lordo: negli anni Ottanta questo dato poteva essere valutato in media intorno al 4,5% nel Regno Unito, al 3,5% negli USA, al 3% in Giappone, al 2% nella Germania federale, all'1% in Italia. Un altro dato significativo è costituito dal totale degli accantonamenti nel f. p. e nelle assicurazioni vita in rapporto al totale delle attività finanziarie detenute dalle famiglie, il cui valore, a metà degli anni Ottanta, era pari al 42% nel Regno Unito e al 20% negli USA.
Le principali tipologie istituzionali dei f.p. sono tre: f. aziendali, f. di categoria, programmi individuali di risparmio previdenziale.
I f. aziendali e quelli di categoria nascono, in genere, in forza di contratti collettivi, ma possono anche derivare da atti unilaterali delle imprese. Sono alimentati dai contributi dei datori di lavoro, oppure dei lavoratori, o ancora, nella maggior parte dei casi, di entrambi. Questi f. sono generalmente dotati di organi istituzionali, corrispondenti alla necessità di disporre di un ufficio distinto dal datore o dai datori di lavoro, e dall'esistenza di un patrimonio separato, la cui destinazione è vincolata alla finalità previdenziale.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno avuto molta fortuna, a partire dalla metà degli anni Settanta, i piani individuali di risparmio previdenziale che godono di incentivi analoghi a quelli collettivi, ma che fanno del tutto a meno di soluzioni organizzative. Questa forma alternativa ha il vantaggio, in paesi i cui cittadini hanno una cultura finanziaria matura, di una grande agilità. Gli svantaggi possono attenere all'efficienza delle gestioni, alla mancanza di vincoli solidaristici, alle garanzie, a forme di ''miopia'' dell'investitore individuale. Questioni che vengono discusse qui di seguito, affrontando il problema delle diverse tipologie gestionali dei fondi.
I piani previdenziali possono essere a prestazione predeterminata o a contribuzione predeterminata. Nel primo caso viene definito un livello pensionistico prestabilito, in relazione per es. alle retribuzioni del periodo immediatamente precedente il pensionamento o ad altri parametri. Si tratta, in questo caso, di calibrare le contribuzioni in modo tale da poter raggiungere gli obiettivi desiderati. Attuari e analisti finanziari svolgono, di regola su base annuale, i necessari calcoli. Può talvolta accadere che l'andamento dei mercati finanziari imponga drastici cambiamenti di rotta. Così, nel corso degli anni Ottanta, la forte crescita delle quotazioni di borsa ha permesso alla maggior parte dei f. p. americani e inglesi di accumulare importanti surplus. Questi hanno consentito di concedere ''vacanze distributive'' (pension holidays) agli iscritti, anche in seguito a precise disposizioni tributarie, o hanno spinto, in altri casi, a rivedere le formule previdenziali stesse.
Nel caso dei f. a contribuzione predeterminata viene invece semplicemente definito il livello degli accantonamenti che devono essere effettuati. La prestazione finale dipenderà poi dall'ammontare totale degli accantonamenti e dall'efficienza della gestione finanziaria.
Nel caso di f. a prestazione predeterminata sono possibili due sistemi di finanziamento: a) a capitalizzazione (si accantonano sistematicamente le riserve matematiche necessarie per far fronte agli oneri futuri, così come sono stati contabilizzati dagli attuari e dagli analisti finanziari); b) a ripartizione (le contribuzioni si calcolano, di anno in anno, in modo da coprire le prestazioni). Esistono anche sistemi misti. Naturalmente, nel caso di f. a contribuzione predeterminata, il sistema è necessariamente quello della capitalizzazione.
Nel valutare la validità di soluzioni pensionistiche alternative occorre bilanciare le esigenze di tipo equitativo con quelle di tipo efficientistico. Per alcuni aspetti i piani a prestazione predeterminata possono contemperarle entrambe: le prestazioni possono contenere quei criteri solidaristici ritenuti necessari da molte legislazioni, quale la nostra; d'altra parte, il fatto che una buona gestione delle riserve consenta di minimizzare il livello necessario di contribuzione costituisce un pungolo all'efficienza. Ma è anche vero che i f. a prestazione predeterminata sono più complessi e hanno costi di gestione maggiori di quelli a contribuzione predeterminata. Questi ultimi appaiono inoltre più consoni a un mondo a elevata mobilità del lavoro, in cui ognuno può spostarsi insieme alle somme capitalizzate in un piano previdenziale.
I f. p., in quanto parte di un sistema previdenziale, hanno alcune caratteristiche di bene pubblico. La regolamentazione pubblica serve a garantire l'applicazione di principi di equità e di efficienza, nonché a controbilanciare la miopia degli individui che potrebbero sottovalutare le loro esigenze future di reddito a vantaggio di quelle immediate. A livello di singoli f. p. esiste solitamente un Consiglio di amministrazione od organo equivalente, responsabile sia della definizione delle linee guida degli investimenti, sia dell'approvazione, a consuntivo, dei risultati conseguiti. Nei f. p. di maggiori dimensioni tali organi sono solitamente affiancati da strutture tecniche incaricate di certificare non solo i bilanci, ma anche la qualità della gestione e la rispondenza ai criteri attuariali prestabiliti. I controlli si svolgono pertanto sia a livello di legislazione generale e della sua applicazione (un ruolo al riguardo viene generalmente svolto dai ministeri del Lavoro) sia a livello degli organi amministrativi dei singoli fondi.
L'esistenza dei f. p. pone infine varie questioni concernenti l'equilibrio macroeconomico e l'equilibrio del sistema finanziario. Negli USA e nel Regno Unito, a metà degli anni Ottanta, i f. p. detenevano rispettivamente il 25% e il 30% del totale delle azioni in circolazione, oltre a una quota rilevante delle obbligazioni. Essi hanno quindi svolto un ruolo chiave nei mercati finanziari, e ciò spiega l'interesse per la valutazione degli effetti economici del loro sviluppo e della loro presenza.
In sintesi si possono menzionare le seguenti problematiche aperte sia dal punto di vista del dibattito teorico che da quello delle verifiche empiriche.
I f. p. incentivano la formazione del risparmio? Tanto più è generoso un sistema di previdenza pubblica, tanto meno i singoli individui dovrebbero essere incentivati a risparmiare per far fronte alle incertezze della vecchiaia. Sistemi in cui, coeteris paribus, la previdenza complementare affianca la previdenza pubblica dovrebbero pertanto incentivare la formazione del risparmio. Ma esistono anche fattori che agiscono in senso contrario: l'anticipo dell'età di pensionamento, che deriva dall'esistenza di sistemi previdenziali pubblici, può essere un incentivo a risparmiare di più; inoltre, gli incentivi fiscali alla previdenza privata creano esigenze di finanziamento del settore pubblico che possono avere un effetto depressivo sul risparmio netto.
I f. p. contribuiscono alla crescita economica? Il fatto che essi siano propensi a investire sul mercato dei capitali, canalizzando attività finanziarie verso i mercati obbligazionari e azionari, caratteristici degli investimenti a lungo termine, può avere un effetto positivo sul livello dei tassi d'interesse a lungo termine e sul finanziamento del capitale di rischio delle imprese. Possibili controtendenze sono costituite dagli effetti di sostituzione degli investimenti dei f. p., o da politiche d'investimento eccessivamente conservatrici dei gestori.
Circa gli effetti sul sistema finanziario, si può notare che la presenza dei f. p. sui mercati finanziari contribuisce ad aumentare il volume delle transazioni e quindi a renderli più liquidi. Inoltre, poiché i gestori tendono ad avvalersi di analisti finanziari professionali, vi è una spinta a una maggiore efficienza. È anche vero che la concentrazione di importanti pacchetti azionari nelle mani di pochi grandi investitori ha potuto facilitare le scalate e altri movimenti speculativi potenzialmente destabilizzanti. Non risulta però che la volatilità dei mercati sia cresciuta insieme alla presenza dei f. pensione.
Qualcuno ritiene, inoltre, che i gestori dei f. p., dovendo rispondere del loro operato su di un orizzonte di breve termine, finiscano col ricercare investimenti con ritorni immediati (short termism) premiando società con obiettivi speculativi piuttosto che quelle impegnate in progetti a lungo termine. Gli stessi tendono a ritenere che il canale bancario sia più idoneo dei mercati azionari per il finanziamento della crescita economica. Ma i f. p. possono mobilitare per operazioni speculative solo una percentuale minima dei loro importanti portafogli; inoltre, negli USA e nel Regno Unito i f. p. sono stati determinanti nel cosiddetto venture capital (finanziamento di nuove imprese, generalmente in campi innovativi), favorendo grandemente il decollo e lo sviluppo dell'industria elettronica e di quella delle biotecnologie.
L'importanza assunta dai f. p. nel possesso dei titoli di alcune importanti società (per es. la General Motors) ha spinto alcuni responsabili di f. p. a rivedere il tradizionale atteggiamento di non ingerenza nelle società di cui sono azionisti. È possibile che in futuro i f. p. pretendano accurate verifiche della professionalità dei dirigenti delle società in cui investono e una periodica valutazione dei risultati conseguiti.
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