fondo pensione
Istituzione finanziaria che raccoglie contributi versati da lavoratori dipendenti (e a loro favore da datori di lavoro) e autonomi nel corso della vita attiva e li investe in attività finanziarie o reali ammesse dalla legge, dai regolamenti o dai rispettivi statuti, al fine di fornire ai partecipanti un trattamento pensionistico sostitutivo, integrativo o aggiuntivo di quello garantito dalla previdenza pubblica. A tutela dei partecipanti i f. p. sono caratterizzati da autonomia e garanzia rispetto a pretese di terzi sul proprio patrimonio, simili a quelle dei fondi comuni di investimento (➔). Distinzioni dottrinali fra i f. p. sono basate sulle modalità di determinazione delle prestazioni: defined-contribution (➔) o defined-benefit (➔), su quelle di finanziamento; a ripartizione (➔ ripartizione, sistema pensionistico a) o a capitalizzazione (➔ capitalizzazione, sistema pensionistico a), sui requisiti di adesione; riservata (a dipendenti di aziende o di settore o a lavoratori autonomi o a iscritti ad albi professionali o a residenti in un territorio) o ad accesso libero.
Il frutto dell’investimento dei contributi versati nell’arco della vita lavorativa si traduce, per ogni aderente, nel montante pensionistico individuale. Al termine della vita lavorativa esso viene trasformato totalmente o (a scelta del soggetto ma con limiti ben precisi) parzialmente in rendita pensionistica su basi attuariali; l’eventuale differenza è riscossa in un’unica soluzione per sopperire a esigenze di liquidità. In tal modo le prestazioni sono commisurate sia all’entità dei versamenti effettuati sia al rendimento degli investimenti operati dal fondo.
Sono f. che seguono invece un’altra impostazione. Essi garantiscono un livello di prestazione calcolato come funzione di alcune variabili chiave: il livello medio del reddito del soggetto nell’arco della parte terminale (più o meno lunga) della vita lavorativa, il numero di anni di contribuzione (anzianità contributiva), l’età al momento del pensionamento. I contributi (più precisamente il tasso di contribuzione sul reddito) da versare periodicamente diventano invece una variabile dipendente, determinata come aliquota che garantisce l’equilibrio economico attuariale di lungo periodo del fondo. Tale equilibrio dipende a sua volta da una serie di variabili demografiche ed economiche di difficile previsione, soprattutto nel lungo periodo.
A differenza di altre istituzioni di gestione del risparmio, i f. p. sono soggetti a una regolamentazione stringente delle condizioni di uscita (limitata al decesso, alla definitiva conclusione della vita lavorativa per maturazione del diritto pensionistico, alla variazione di posizione lavorativa). Questa ultima condizione conferisce al f. p. il carattere di investitore istituzionale (➔) con orizzonte di lungo periodo, esente dal rischio di improvvise ondate di disinvestimenti. In Italia, per favorire la competizione fra f., il vincolo di uscita è attenuato dalla possibilità di trasferimento ad altro f. p., esercitabile purché siano trascorsi almeno 3 anni dalla precedente adesione (5 se si tratta di prima adesione). Si definisce vesting (➔) la maturazione incondizionata del diritto al trattamento pensionistico indipendentemente dalla prosecuzione di attività lavorativa presso la medesima azienda cui un f. p. fa capo.
In alcuni Paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Paesi Bassi, Svizzera ecc.) i f. p. hanno esercitato e continuano a esercitare un ruolo da protagonisti nel funzionamento dei mercati finanziari; meno rilevante è la loro presenza in Italia, dove la previdenza pubblica sosteneva ancora all’inizio degli anni 2010, pur in presenza di radicali riforme avviate a partire dagli anni 1990, larga parte delle prestazioni pensionistiche. A tale proposito, un eloquente indicatore è il rapporto fra valore dell’attivo accantonato dai f. p. e Prodotto Interno Lordo (PIL) di un Paese. Secondo un rapporto COVIP (➔), alla fine del 2010 esso era pari al 136% nei Paesi Bassi, 111% in Svizzera, 82% in Australia, 80% in Gran Bretagna, 76% in Finlandia, 67% negli Stati Uniti, 25% in Giappone e pari solo al 4,1% in Italia. La descrizione del sistema pensionistico italiano e il ruolo in esso rivestito dai f. p. non è semplice, per la presenza di una molteplicità di enti e di un coacervo di regole soggette a frequenti modifiche normative o regolamentari. I f. p. si possono dividere in due grandi blocchi: quelli che erogano esclusivamente prestazioni pensionistiche integrative o complementari (➔ pensione complementare) e quelli che gestiscono in regime sostitutivo la previdenza obbligatoria (e solo eventualmente in via accessoria anche la previdenza complementare).
Il d. legisl. 509/1994 ha trasformato le 13 casse professionali preesistenti, relative a lavoratori iscritti a ordini professionali (forense, dei dottori commercialisti, degli architetti e ingegneri, dei notai ecc.) e due fondi speciali in gestione separata (INPGI ed ENPALS) in associazioni e fondazioni privatistiche; la l. 103/1996 ha inoltre dato vita ad altre 5 nuove casse professionali (psicologi, infermieri, biologi ecc) vincolandole al regime contributivo. La l. 252/2005 ha introdotto anche per queste casse professionali la distinzione fra trattamenti obbligatori e integrativi. Il timore del verificarsi di possibili sbilanci causato dal deterioramento del rapporto attivi-pensionati ha indotto il governo Monti a emanare il d.l. 201/2011, che vincolava le casse al rispetto dell’equilibrio economico (fra entrate per contributi e rendimento del patrimonio accumulato e uscite per prestazioni) valutato in un arco temporale di ben 50 anni. È stato anche deciso che le casse non in grado di garantire tale equilibrio sarebbero state forzate al passaggio immediato al contributivo pro-rata con l’imposizione ai pensionati di un contributo di solidarietà dell’1% nel 2013-14.