FONDUKISTAN (Funduk-i stān)
Villaggio afghano nella bassa valle del Ghorband, distretto omonimo, regione antica del Kapisha. Si trova un po' a N della carovaniera che scavalca l'Hindu-Kush collegando l'India alla Battriana ed all'Asia Centrale, a 120 km da Kābul verso Bāmiyān.
Sulla cima di una montagnola conica dominante la valle sorgeva un monastero buddista, scavato dalla Délégation Archéologique Française in Afghanistan nel 1937 (J. Carl). Il complesso è datato al VII e VIII sec. da monete sassanidi di Chosroe II (627), sicuramente sigillate sotto il gruppo della "coppia principesca"; i confronti con l'arte indiana (Ajanta) lo confermano.
Del monastero fanno parte sale di riunione, celle per i monaci, ed un santuario. Questo consta di una sala quadrata coperta a botte; sulle pareti corre un motivo di archi su pilastrini corinzi, inquadranti nicchie prolonde, in cui erano collocati gruppi plastici. Al centro sorge l'unico stūpa, contenente le reliquie.
La tecnica usata nella modellazione delle statue e negli intonaci (terra impastata con paglia tritata, o con lana di montone, o con crine) si trova in Afghanistan nelle regioni a N di Kābul, ed è la tecnica caratteristica della produzione d'Asia Centrale. A Shotorak e Paitava è ancora accompagnata dalla produzione gandharica in scisto, che scompare del tutto a F. e Bāmiyān (v.). È assente anche l'altra tecnica gandharica dello stucco (Taxila, Hadda).
A F. è documentato l'ormai quasi assoluto prevalere dell'arte indiana, che in quest'epoca si va diffondendo col buddismo lungo le carovaniere della seta fino al Giappone (età Nara), e che a F., come a Bāmiyān, si innesta sulle estreme sopravvivenze dell'arte classico-buddista, già fortemente iranizzata durante il dominio sassanide (v. gandhāra, arte del; indiana, arte).
Una estrema leziosità manierata, che cerca ritmi fluidi, morbide attitudini e forme aggraziate, ispirata all'India Gupta, accanto al persistere di una plastica coloristica di ricordo ellenistico gandharico, e a piatte forme iranizzanti, costituisce l'ambiente stilistico di F., che rappresenta quindi l'estrema propaggine nel tempo dell'arte gandharica.
La decorazione costituisce un complesso organico, anche se eseguita in vari decenni: è lontana dal casuale affastellamento di statue dei monasteri gandharici più antichi, ma rivela un gusto scenografico assai sofisticato e "rococò", che sembra collegarsi a precedenti d'Asia Centrale (gruppo da Tumshuq a Parigi, Museo Guimet). Nelle zone lasciate libere dal motivo plastico di arcate e pilastri gli intonaci sono coperti da pitture, sulla fronte e sulle pareti interne delle nicchie.
Le figure plastiche, già dipinte e dorate, sono per la massima parte ispirate ad un gusto indiano tardo- o post-gupta, e pāla. Tipica è la proporzione de i corpi femminili, estremamente sottili alla vita, esplodenti nelle fiorenti carnosità del seno e delle anche, atteggiati in pose morbide e sensuali che sono rette da ritmi vivamente sinuosi; caratteristici i volti animati da un intenso sorridere allusivo, l'ornata preziosità nel gestire delle mani. Torna quasi in ogni nicchia un aggruppamento di tre figure a tutto tondo, una centrale maggiore, cui le due laterali si rivolgono con; movimento tortile: l'assieme ricorda i ritmi ellenistici del gruppo del Laocoonte.
Figura di destra d'uno di tali gruppi è il Devata (alt. 0,72), che accanto ad un fondamentale gusto indiano mostra anch'esso tracce di una concezione plastico-coloristica ellenistica, già così viva nell'arte dello stucco di Taxila e Hadda.
La scenografica decorazione era completata da altre figure a tutto tondo, sorgenti a mezzo corpo da drappi. o velari, applicate al muro tutt'attorno. Da un bacino emergono due figure di re nāga, uomini-serpenti; nascendo dall'acqua, uno stelo sale fra essi e sboccia in alto in due fiori di loto, ciascuno dei quali reca un Buddha seduto in meditazione.
Nella "coppia principesca" l'influsso indiano, chiaro nella figura femminile, si giustappone allo stile iranizzante di quella maschile. La pur complessa positura del personaggio si ricompone in una immobile cifra frontale; le superfici estremamente semplificate e piatte, definite da nitidi contorni, la decorazione dipinta, vistosa, ma araldicamente astratta, ricordano la stilizzazione aulica dell'arte sassanide. Sassanide è il costume, come il simbolismo di alcuni dettagli (numero dei cuscini) che racchiudono precisi valori; indiano è l'abbigliamento della principessa. Un affresco rappresentante un Bodhisattva è strettamente connesso all'arte di Ajanta (v.).
Totalmente iranico e confrontabile con la produzione irano-buddista di Bāmiyan è l'affresco con gli dèi del Sole e della Luna; anche dettagli iconografici altrove ignoti (il diadema a triplice crescente lunare) si ntrovano a Bamiyan. Composizione in superficie, figure frontali realizzate per giustapposizione di: zone a colorazione piatta, ne costituiscono lo stile.
I richiami assai interessanti a opere tibetane o del Turkestan si spiegano con la identità della fonte artistica indiana.
Bibl.: J. Hackin, in Revue des Arts Asiatiques, XII-I; B. Rowland, The Art and Architecture of India2, Harmondsworth 1956; D. Barret, Sculptures of the Shāhi Period, in Oriental Art, 1957, III-2; J. Hackin, Mém. Délégat. Archéolog. Franc. en Afghanistan, VIII, 1959, pp. 49-58; B. Gray-J. B. Vincent, Buddhist Cave-Painting at Tun-huang, Londra 1959, p. 37.