FONOLOGIA (v. fonetica, XV, p. 622; App. II, 1, p. 960; III, 1, p. 655)
Studio funzionale della strutturazione fonica del linguaggio, cioè di come i suoni del linguaggio (foni) si organizzano in classi di unità discrete (fonemi), definite con rapporti di somiglianza e di opposizione; nonché studio del rapporto tra il livello fonico e gli altri livelli del linguaggio. I concetti di f. e fonema costituiscono la prima applicazione delle teorie strutturali (F. de Saussure) ad opera degli studiosi del Circolo Linguistico di Praga (N. S. Trubeckoj, R. Jakobson): prima i due termini erano impiegati in un'accezione più generica, indipendentemente da considerazioni funzionali. Sinonimo di f. è fonemática o fonèmica, che traduce il phonemics dei linguisti americani.
Dall'insieme di tutti i suoni producibili dall'uomo solo alcuni entrano a far parte del linguaggio articolato: ogni lingua ne seleziona un sottoinsieme e li raggruppa in classi di fonemi (K. Pike). L'analisi fonologica di una lingua si fonda su regole formulate da Trubeckoj e basate sui princípi della commutazione tra i foni, della loro distribuzione e del loro raggruppamento in "classi naturali", definite da somiglianze fonetiche.
Le regole più importanti sono così formulabili in termini moderni: (1) se due foni, che appaiono nello stesso contesto fonico, possono essere scambiati tra loro senza che ciò provochi un mutamento di significato, sono allofoni liberi ("varianti facoltative") di un unico fonema: per es., in italiano, caro è pronunciato di norma con [r] apicoalveolare, ma una pronuncia con [r] uvulare alla francese non muterebbe il significato della parola, ma indicherebbe solo che il parlante ha una pronuncia snob, difettosa o inconsueta; (2) se due foni, che appaiono nello stesso contesto, non possono essere scambiati tra loro senza che ciò provochi un mutamento del significato della parola o la renda irriconoscibile, sono allofoni ("realizzazioni") di fonemi diversi: per es. in una "coppia minima" come patto e batto, [p] e [b] appaiono nello stesso contesto -atto e se le scambiamo otteniamo due parole diverse: quindi [p] e [b] appartengono in italiano a due fonemi diversi che possono essere trascritti /p/ e /b;/ (la notazione tra parentesi quadre indica trascrizione fonetica; quella fonologica è invece posta tra sbarre); (3) se due foni, che appartengono alla stessa classe naturale, non si presentano mai nello stesso contesto, sono allofoni in distribuzione complementare ("varianti combinatorie") dello stesso fonema: per es. in fiorentino abbiamo due consonanti che appartengono alla classe naturale delle posteriori orali sorde e che appaiono in contesti complementari: [h] in posizione intervocalica, [k] nelle altre posizioni, come negli esempi dico [′di:ho], la casa [la′ha:sa], ma in casa [iη′ka:sa], banca [′baηka]; essi sono perciò allofoni di uno stesso fonema, che si può notare col simbolo arbitrario /k/.
Il sistema fonologico di una lingua può essere suddiviso in serie (secondo i modi di articolazione) e in ordini (secondo il luogo di articolazione) di fonemi, formanti classi naturali, che partecipano a una stessa correlazione di caratteristiche acustiche, articolatorie e percettive, detta tratto inerente (TI): dall'insieme dei TI si dovranno enucleare quelli strettamente indispensabili a distinguere ciascun fonema da tutti gli altri, i tratti distintivi inerenti (TDI). Così in italiano /a/ sarà definibile con TI che ne indichino il carattere di vocale [+vocalico, −consonatico] col massimo grado di apertura [+basso]; saranno invece tratti ridondanti quelli che ci dicono che /a/ è di norma realizzata in italiano come centrale non arrotondata, in quanto non ci servono a distinguere /a/ dagli altri fonemi. Ai TI si aggiungono quelli prosodici (TP) di lunghezza, intensità e altezza.
Il concetto di TD, formulato dalla scuola di Praga, è stato poi ulteriormente sviluppato da R. Jakobson negli Stati Uniti, mediante una lista di dodici TI e tre TP, che suppone universali. Tali tratti, per influenza della teoria dell'informazione, hanno indici binari: un fonema è definito mediante l'assenza [−] o la presenza [+] di un determinato TD. Le differenze graduali vengono scomposte in serie di opposizioni binarie. Per es., tre vocali come /i, e, a/ non potranno essere distinte dicendo che /i/ è vocale alta (=chiusa, usiamo i tratti di N. Chomsky e non quelli di Jakobson), /e/ lo è un po' meno, /a/ ancor meno; si useranno invece due TI: /i/ [−basso, +alto]; /e/ [−basso, −alto]; /a/ [+basso, −alto]. Di queste sei risposte una è ridondante: l'economia dell'intera descrizione ci farà decidere se conviene eliminare l'informazione [−basso] per /i/ o, alternativamente [−alto] per /a/. I TI di Jakobson sono essenzialmente acustici, basati sull'analisi spettrografica dell'onda sonora: per es. [+acuto] indica un concentrarsi dell'energia sonora nelle frequenze alte, [−acuto] in quelle medie o basse. A ogni caratteristica acustica corrisponderebbero determinati atteggiamenti articolatori: saranno acuti i foni articolati nella zona centrale e anteriore della bocca, non in quella labiale e velare (v. anche binarismo, in questa App.). Il sistema di Jakobson subì molte critiche, perché i TI non erano abbastanza numerosi e spesso si applicavano a caratteristiche troppo difformi; non sono poi tenuti in considerazione i tratti percettivi, il cui studio si basa ora sulle ricerche di sintesi della parola e su test psicolinguistici: l'isomorfismo tra tratti articolatori, acustici e percettivi è tuttora da dimostrare. La percezione è tendenzialmente categoriale: l'ascoltatore suddivide un dato continuum di foni secondo i fonemi presenti nella sua lingua, per cui un fono [æ] sarà percepito come /ε/ da gran parte degl'italiani, come /a/ da un romagnolo o da un inglese. Secondo D. Fry, la percezione avverrebbe non usando singole caratteristiche (TI), ma configurazioni di esse ("indizi").
Fino alla fine degli anni Cinquanta, la lingua era concepita come un sistema di livelli autonomi, il primo dei quali era quello foneticofonologico, su cui poi venivano costruiti gli altri livelli (morfologia, sintassi, lessico), per cui i dati della f. potevano servire per costruire la morfologia, ma non viceversa, ecc. Ma come costruire un sistema fonologico fondato sulla commutazione (mediante coppie minime come/patto~batto/) o una tabulazione della distribuzione dei foni nei vari contesti (Z. S. Harris ne è l'esempio estremo), senza fare appello al significato esplicitamente o implicitamente? La grammatica generativo-trasformazionale, le cui applicazioni fonologiche sono dovute sia a M. Halle che a N. Chomsky stesso, rivela sia le contraddizioni della "fonematica autonoma" per quanto riguarda il rapporto tra significato e forma fonica, sia quelle interne al metodo strutturalista stesso. Per es. le regole (2) e (3) di Trubeckoj sono in contraddizione tra loro in contesti critici: bótte "recipiente" e bòtte "percosse" sono due parole diverse (hanno diverso significato) e quindi /ó/ ed /ò/ sono due fonemi diversi, ma se prendiamo botticella (che il dizionario ci dà come possibile diminutivo sia di bòtta che di bótte, anche se la seconda accezione è la più frequente), in cui abbiamo solo [ó] chiusa, perché in sillaba atona l'opposizione /ó/~/ò/ si neutralizza, diremo che c'è un solo fonema in base a considerazioni fonetiche o che ce ne sono due in base ai due possibili significati? Il rapporto col significato (diretto o implicito che sia) non risulta perciò biunivoco.
La f. generativa è capace invece di spiegare le variazioni che una determinata forma-base (struttura di morfema) subisce nella flessione, nella derivazione o nell'inserimento in un dato contesto. La forma-base soggiacente dev'essere rappresentata in modo tale da generare, mediante l'applicazione di una serie di regole, per lo più ordinate, le più diverse forme concrete assunte dalla radice. Così, per es., in italiano, la e che alterna con ie (come in sied-o/sed-iamo) dovrà essere rappresentata in modo diverso dalle e che rimangono immutate (come in ved-o/ved-iamo). Nel sistema della f. generativa o f. "sistematica" la componente fonologica è del tutto subordinata a quella sintattica: dà una "interpretazione fonica" ai morfemi generati da quest'ultima. Ciò porta a un modello globale della competenza linguistica assai coerente ed economico e permette di eliminare come pseudoproblemi molte delle contraddizioni della f 'autonoma'. La f. sistematica però distrugge completamente la nozione tradizionale di fonema autonomo, sostituito da quella di 'segmento soggiacente' che non è altro che la rappresentazione economica di una serie di corrispondenze morfofonologiche.
Alcuni autori hanno però proposto di reintegrare nella f. generativa il concetto di fonema 'autonomo', quando ciò sia necessario per spiegare certi processi (S. A. Schane, D. A. Johns) o l'inserimento nella descrizione dei prestiti (J. Trumper), i quali di solito non partecipano a tutte le regole che avevano cominciato a operare prima della mutuazione: per essi non è perciò possibile postulare, ai soli fini dell'uniformità descrittiva, una struttura soggiacente irreale e perciò l'inserimento in un'unica f. di classi di parole diverse equivale alla reintroduzione della nozione di opposizione funzionale. Per es. in inglese le regole che valgono per le parole germaniche sono parzialmente diverse da quelle che valgono per le parole romanze; così occorrono regole assai complesse e del tutto implausibili psicologicamente per dare una forma soggiacente unica a parole come père e paternel in francese (come fa Schane), per formulare la quale si fa ricorso a un'improbabile competenza del parlante - non necessariamente esperto di latino e di protoindoeuropeo - che collegherebbe le due forme con processi morfofonologici, anziché semantici, come il buon senso vuole. La f. generativa aveva recuperato nelle sue prospettive lo studio del mutamento fonologico diacronico (sviluppato tra gli strutturalisti soprattutto da A. Martinet), fornendo suoi modelli del mutamento (P. Kiparsky, R. King): queste e altre applicazioni postulano spesso processi meccanici e innaturali e sempre categorici. La f. 'naturale' (D. Stampe, T. Vennemann) propone invece una revisione della f. generativa formulando teorie dei 'processi naturali'; anche a scapito della semplicità descrittiva. La sociolinguistica richiede poi che la descrizione fonologica sia capace d'incorporare i fenomeni di variabilità linguistica e postula l'uso di regole variabili (W. Labov). Ambedue gl'indirizzi s'incontrano con le più recenti istanze della fonetica sperimentale (P. Ladefoged) nel portare all'abbandono del concetto strutturalista e generativista di tratto binario, a favore di tratti scalari (multinari), non solo in fonetica, ma anche in fonologia.
Bibl.: La storia della f. è trattata in ogni buon manuale di storia della linguistica recente; più specifico è E. Fischer-Jorgensen, Trends in phonological theory, A historical introduction, Copenaghen 1975. Classici della f. strutturale sono: L. Bloomfield, Language, New York 1933, capp. V-VIII (trad. it. Milano 1974); N. S. Trubeckoj, Grundzüge der Phonologie, Praga 1939 (trad. it. Torino 1971; fondato soprattutto sul metodo della commutazione); K. L. Pike, Phonetics, Ann Arbor 1943; id., Phonemics, ibid., 1947; Z. S. Harris, Structural linguistics, Chicago 1951 (apice del metodo distribuzionalista); R. Jakobson, G. Fant, M. Halle, Preliminaries to speech analysis, Cambridge (Mass.) 1952 (fondamentale per il concetto di TD). In italiano: Ž. Muljačič, Fonologia generale, Bologna 1973. Opere di f. generativa: M. Halle, The sound pattern of Russian, L'Aia 1959; N. Chomsky, M. Halle, The sound pattern of English, New York 1968; R. P. Botha, Methodological aspects of transformational generative phonology, L'Aia 1971; S. A. Schane, Generative Phonology, Englewood Cliffs 1973. In italiano si può far ricorso alla traduzione (Roma 1975), di R. T. Harms, An introduction to phonological theory, Englewood Cliffs 1968, con un'introduzione e aggiornamento di M. Gnerre. Per la f. diacronica strutturalista: A. Martinet, Economie des changements phonétiques, Berna 1955 (trad. it. Torino 1968); per quella generativista: R. King, Historical linguistics and generative grammar, Englewood Cliffs 1969 (trad. it. Bologna 1973). Per gli sviluppi più recenti: W. Labov, M. Yaeger, R. Steiner, A quantitative study of sound change in progress, Philadelphia 1972; Papers from the parasession on natural phonology, a c. di A. Bruck, R. A. Fox, M. W. La Galy, Chicago Linguistic Society 1974; P. Ladefoged, A course in phonetics, New York 1975.