Fonti rinnovabili: l’anno del fotovoltaico
La richiesta crescente di energia e il problema della sostenibilità ambientale ci impongono di utilizzare in modo sempre più massiccio le fonti di energia alternativa.
Il loro successo dipenderà dall’efficienza degli impianti, cioè da quanta energia essi saranno in grado di produrre, dalla differenza tra l’energia prodotta e quella spesa per implementarli, ma sarà anche legato ad altri fattori cruciali quali i costi di fabbricazione e la durata nel tempo. La buona notizia è che oggi disponiamo di una risposta potenzialmente efficace, che deriva dall’utilizzo dell’energia del Sole tramite la tecnologia del fotovoltaico. La ricerca negli ultimi anni ha aperto nuove entusiasmanti prospettive in questo campo. Vediamo come.
Il meccanismo alla base del funzionamento di un pannello fotovoltaico è piuttosto semplice: grazie all’assorbimento della radiazione luminosa (fotoni) proveniente dal Sole vengono generati elettroni di conduzione (e quindi una corrente elettrica) in un materiale, per esempio un semiconduttore. La radiazione solare presenta un massimo di intensità a lunghezze d’onda tra 400 e 700 nanometri (un nanometro è un miliardesimo di metro: per un confronto, i comunissimi laser rossi emettono luce a una lunghezza d’onda di 630 nanometri), per cui i materiali impiegati devono avere assorbimenti ottimali in quelle regioni dello spettro della luce.
In linea teorica, ogni singolo fotone che raggiunge il materiale della cella potrebbe produrre un elettrone (efficienza del 100%).
In pratica non è così. L’efficienza dei moduli fotovoltaici attualmente in commercio (il 95% è in silicio, il restante 5% impiega film sottili di telloruro di cadmio o silicio amorfo) raggiunge valori di circa il 10-15%, ma con la possibilità di superare presto il 40% tramite l’impiego di nuovi materiali (per esempio l’arseniuro di gallio e indio impiegato in pannelli di seconda generazione, a costi di produzione, però, troppo elevati). Ma, come si diceva, l’efficienza non è l’unico fattore da tenere presente.
Altri importanti aspetti sono i costi di fabbricazione, nonché la leggerezza, la flessibilità, i tempi di vita degli impianti.
Le novità introdotte negli ultimi anni sono legate alla realizzazione delle celle fotovoltaiche dette di terza generazione, il cui funzionamento si basa sull’impiego di composti organici (molecole, polimeri o celle ibride inorganico-organico).
La possibilità di sostituire parte dei materiali inorganici usati correntemente nelle celle di prima e seconda generazione (il silicio in primis) con composti organici quali molecole e polimeri, facilmente realizzabili con l’impiego della nanotecnologia, leggeri, flessibili e dal costo estremamente contenuto, apre entusiasmanti prospettive.
Per esempio, è già possibile sintetizzare composti organici attivi con bande di assorbimento modulabili al fine di ottimizzare in maniera fine l’assorbimento di luce solare. Nel contempo si studiano celle organiche basate su pigmenti naturali, quali quelli presenti nel succo d’arancia rossa di Sicilia o nella buccia delle melanzane. Certamente, la comprensione dei meccanismi fisici alla base dell’assorbimento e della generazione di elettroni nei sistemi organici e quindi la loro ottimizzazione richiedono ulteriori sforzi (cioè investimenti).
Ma sarebbe senza dubbio lungimirante puntare sulla ricerca di nuove generazioni di fotovoltaico organico, anche per poter avere un giorno tutta la filiera di produzione in Italia, al contrario di quanto avviene oggi con la tecnologia fotovoltaica basata sul silicio, che è quasi interamente appannaggio di multinazionali americane e cinesi. Con il fotovoltaico di terza generazione si presenta dunque all’Italia un’opportunità da sfruttare. Ciò nonostante, anche con la tecnologia attuale le potenzialità del fotovoltaico sono enormi. Per esempio, una piantagione di circa 300 km2 nel Sahara (in proporzione un piccolo quadratino nello sterminato deserto) con pannelli fotovoltaici al silicio potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico di tutto il mondo. Se infine ricoprissimo di pannelli fotovoltaici lo 0,8% del territorio italiano (pari al doppio dei tetti dei capannoni) si potrebbero soddisfare i consumi nazionali di elettricità.
Celle stampate su carta, plastica o tessuti
Ricercatori del MIT di Boston hanno messo a punto un’innovativa tecnica che permette di stampare celle fotovoltaiche basate su composti organici sulle più svariate superfici: ne dà conto un articolo apparso sulla rivista Advanced Materials (onlinelibrary.wiley.com) nel mese di luglio 2011. In effetti il foglio di carta sembra essere proprio uno di quelli utilizzati nelle nostre comunissime stampanti: la sequenza di rettangoli colorati che decora la carta non fa certo pensare a celle fotovoltaiche perfettamente funzionanti, quali in effetti sono. Normalmente le celle fotosensibili presenti nei pannelli fotovoltaici tradizionali vengono stampate su un supporto di vetro con un processo che richiede elevate temperature. La tecnica utilizzata a Boston sfrutta invece un procedimento di stampa basato sulla deposizione di vapori in un ambiente privo d’aria posto a temperature relativamente basse (120 °C).
Quest’ultimo fattore rende possibile stampare le celle su superfici quali carta, tessuti o plastica (che ovviamente non sopporterebbero le elevate temperature richieste dalla tecnica tradizionale) ottenendo dei pannelli flessibili e leggerissimi. Oltre tutto sono dispositivi che evidenziano un’elevata resistenza all’usura. L’innovazione sicuramente interesserà gli stilisti della moda: elettrificare abiti e accessori (per esempio borse) potrà dar luogo a impensabili applicazioni che solo i creativi sapranno immaginare. Leggerezza e flessibilità sono i punti di forza di questa tecnologia perché implicano una conseguente drastica riduzione dei costi di installazione dei pannelli fotovoltaici. A smorzare gli entusiasmi rimane però il fattore legato al rendimento del dispositivo, che allo stato attuale è ancora molto basso, aggirandosi attorno all’1%: i ricercatori del MIT si dicono però ottimisti perché ritengono sia possibile aumentarlo considerevolmente grazie all’ottimizzazione dei materiali.
Nel 2010 boom del fotovoltaico in Europa e nel resto del mondo
Nel 2010, la crescita del mercato relativo alle tecnologie fotovoltaiche a livello mondiale è stata impressionante. Secondo il rapporto annuale redatto da EPIA, l’Associazione europea dell’industria fotovoltaica, nel corso del 2010 si è avuta una potenza installata di 16 GW, valore che rappresenta quasi il doppio rispetto al risultato conseguito nel 2009: la capacità totale installata ha dunque raggiunto il livello dei 39 GW, oltre il 70% in più del 2009.
Nel 2010, la sola Europa ha aggiunto 13 GW di nuova capacità fotovoltaica installata, portando la propria capacità cumulativa a oltre 28 GW, con una produzione di energia che equivale al consumo di energia elettrica di circa 10 milioni di famiglie. Un dato che conferma da un lato il peso crescente del fotovoltaico tra le varie forme di produzione di energia elettrica in Europa, dall’altro la leadership indiscussa del Vecchio Continente per questa fonte di energia, in quanto sul suo territorio si concentra la stragrande maggioranza delle installazioni fotovoltaiche. Mentre la Germania mantiene la sua leadership per il secondo anno consecutivo con 6,5 GW di nuove installazioni, il mercato del fotovoltaico in Italia è cresciuto, conquistando il secondo posto con 1,9 GW di nuova potenza. Nel resto d’Europa la Repubblica Ceca ha registrato una considerevole espansione del mercato con 1,3 GW, seguono la Francia (0,5 GW), la Spagna (0,38 GW), il Belgio (0,2 GW) e la Grecia (0,15 GW). Fuori dall’Europa i paesi con il maggior numero di nuove installazioni nel 2010 sono stati il Giappone (1 GW), gli Stati Uniti (0,8 GW) e la Cina (0,4 GW).
In un altro studio, pubblicato nel febbraio 2011 sempre da EPIA e da Greenpeace International (‘Solar Generation 6’), si stima che attualmente il fotovoltaico muova tra i 35 e i 40 miliardi di euro in investimenti, con una previsione di crescita a 70 miliardi nei prossimi quattro anni, sulla base della spinta provocata dalla diminuzione dei prezzi dei pannelli, che è stata del 40% dal 2005 e dovrebbe scendere di un altro 40% entro il 2015. Il rapporto prevede anche che nel mondo l’attuale produzione elettrica ricavata dal solare cresca dal suo livello odierno di 36 GW a quasi 180 GW nell’arco di cinque anni, soprattutto per l’influsso dei paesi dell’Unione Europea che quadruplicheranno la loro potenza attuale raggiungendo, per la stessa data, i 100 GW.
Questi progressi faranno risparmiare ogni anno 1,4 miliardi di tonnellate di CO2 nel mondo, di cui 220 milioni nell’Unione Europea. Sul versante dell’occupazione, infine, l’industria del solare fotovoltaico impiega già 300.000 dipendenti e potrebbe utilizzarne più di 600.000 nel 2015.
Pannelli solari che funzionano al buio
Un’invenzione che a prima vista ha dell’inverosimile: la possibilità di superare uno dei più grossi limiti della tecnologia fotovoltaica, quello della produzione di energia elettrica nelle ore notturne. L’idea che sta alla base dell’innovazione, messa a punto dal fisico statunitense Steven Novack, dell’Idaho National Laboratory del dipartimento americano dell’Energia, è semplice. Di notte il terreno riemette il calore accumulato durante il giorno sotto forma di radiazione infrarossa: se il cielo è sereno tale radiazione viene dispersa nello spazio, mentre nel caso di copertura nuvolosa essa viene riflessa nuovamente verso la superficie terrestre. Novack ha pensato di catturare questa radiazione infrarossa e di convertirla in energia elettrica. Per realizzare tale risultato ha messo da parte le comuni celle fotovoltaiche in silicio, che producono energia catturando fotoni della radiazione visibile e rilasciando elettroni, e ha creato delle microscopiche antenne che entrano in risonanza generando corrente alternata quando vengono colpite dalla radiazione infrarossa. Si tratta però di una corrente ad altissima frequenza, che per poter essere utilizzata deve essere stabilizzata e raddrizzata, cioè trasformata in corrente continua, grazie a speciali diodi sviluppati indipendentemente dall’Università del Colorado e da quella di Manchester. Oltre ai diodi speciali, il problema sta nel produrre antenne delle dimensioni della radiazione infrarossa: alcune centinaia di nanometri (ovvero miliardesimi di metro). Al momento il gruppo di ricerca di Novack ha creato nanoantenne capaci di operare solo nell’infrarosso lontano, ma ritiene possibile realizzare nanoantenne in grado di lavorare anche nello spettro infrarosso medio e vicino. Attorno a questo progetto c’è una grande attesa, anche perché i test effettuati finora hanno dimostrato che le celle di Novack hanno un’efficienza maggiore del 46% rispetto al 25% delle tradizionali celle fotovoltaiche in silicio. Inoltre le celle all’infrarosso, non richiedendo un’esposizione e un’inclinazione specifica, dovrebbero presentare meno problemi di installazione e utilizzo.
I paesi che investono di più
Nella rilevazione periodica effettuata da Ernst &Young relativa agli indici di capacità attrattiva degli investimenti nel campo del fotovoltaico, si registra nel primo trimestre 2011 la situazione rappresentata in tabella. In questa particolare classifica dei paesi più impegnati nel campo del fotovoltaico, gli indici variano da 0 a 100 in ragione di una complessa serie di parametri che tengono conto non solo degli investimenti pubblici e privati nel settore, ma anche dei provvedimenti legislativi attuati dai diversi governi per incentivare questo tipo di fonte energetica. Rispetto alla rilevazione del trimestre precedente l’Italia arretra, passando dalla terza posizione alla quinta, con una flessione dell’indice che passa da 68 a 64, proprio in ragione dell’entrata in vigore del Quarto conto energia, meno remunerativo per chi installa un nuovo impianto fotovoltaico rispetto ai precedenti tre: secondo le stime degli analisti della Ernst &Young questo comporterà nel nostro paese un certo rallentamento nella crescita del fotovoltaico.