FONTI
Gli studiosi che all'epoca della Controriforma per primi si dedicarono allo studio dei monumenti cristiani di età tardoantica e medievale erano filologi come Panvinio e Alemanno, giuristi come Baronio o retori come Ugonio, quasi sempre ecclesiastici. Tutti avevano una naturale familiarità con i testi, evidente soprattutto nel fatto che essi tendevano a risolvere le questioni cronologiche e iconografiche sulla scorta delle f. scritte e soltanto raramente tramite un confronto tra vari monumenti. Le f. da loro consultate sono per lo più le stesse che si ritrovano nelle moderne antologie: il Registrum epistolarum di s. Gregorio Magno (590-604); la Vita Gregorii Magni di Giovanni Diacono (873-876); la Descriptio Lateranensis Ecclesiae di Giovanni Diacono Romano e la Descriptio Basilicae Vaticanae di Pietro Mallio, dedicate ad Alessandro III (1159-1181); il Rationale divinorum officiorum di Guglielmo Durando; annali e cronache medievali (per es. gli scritti di Thegan, Reginone di Prüm, Romualdo di Salerno); la Vita Karoli Magni di Eginardo e soprattutto il Lib. Pont. citato dagli antiquari come opera di Anastasio Bibliotecario.La produzione, relativamente limitata, degli antiquari della Controriforma crebbe enormemente grazie alle grandi imprese scientifiche ed editoriali dei Bollandisti, dei Maurini, di Ludovico Antonio Muratori, di raccolte come MGH e Rer. Brit. MAe. SS nei secc. 17°, 18° e 19° (Knowles, 1963). I volumi della PL (1841-1864) - sebbene non abbiano dal punto di vista scientifico un carattere innovativo e si limitino alla ristampa di edizioni già esistenti - ebbero il grande merito di rendere accessibile non soltanto la letteratura patristica in senso proprio, ma anche molti testi medievali. Il vaglio e l'antologizzazione di questa messe di f. diventarono verso la fine del sec. 19° uno dei compiti particolari della medievistica, alla cui origine si pongono i contributi di Schlosser (1891; 1892; 1896), seguiti dalle raccolte di Mortet (1911); Mortet, Deschamps (1929), dagli studi e dalle raccolte di Lehmann-Brockhaus (1935; 1938; 1955-1960).Il decrescere della conoscenza del latino ha condotto negli ultimi cinquant'anni a una nuova ondata di pubblicazioni nelle quali le f. sono apparse in traduzione insieme al testo originale o soltanto in traduzione. Una scelta di f. scritte in traduzione inglese con commento, destinate alle università americane, era stata pubblicata da Holt (1957-1958); le stesse finalità aveva la serie Sources and Documents cui pose mano Janson agli inizi degli anni Sessanta e nella quale compaiono tre volumi sull'arte medievale (Davis-Weyer, 1971; Frisch, 1971; Mango 1972).Riguardo al valore che per gli storici dell'arte rivestono le f. più o meno contemporanee alle opere, si sono osservate le più diverse posizioni: da un lato quella di Schlosser (1891; 1892; 1896), che in esse vedeva un importante strumento per l'interpretazione e la ricostruzione dei monumenti conservati e perduti, dall'altro lo scetticismo di Krautheimer (1929) e il giudizio estremamente negativo formulato da Mango (1972) sulla base della letteratura ecfrastica bizantina. Negli ultimi vent'anni le mutate problematiche - il rapporto testoimmagine, il ruolo di volta in volta giocato dai committenti e dai loro rappresentanti, il contesto cerimoniale degli oggetti d'arte, i metodi di lavoro degli artisti e degli artigiani e l'organizzazione delle botteghe - hanno condotto a una riabilitazione della letteratura artistica. Allo stesso tempo l'interesse si è spostato da quelle testimonianze che erano state messe in particolare risalto nelle raccolte di Schlosser e di Lehmann-Brockhaus - i testi ecfrastici, le vite e le cronache - verso f. che in queste antologie avevano soltanto un ruolo modesto: le iscrizioni, gli inventari, gli scritti di carattere tecnico, i documenti, le guide e le descrizioni di città, le f. liturgiche, dogmatiche e ascetiche.
La descrizione di immagini e di edifici costituiva un genere della letteratura greca e latina che, entrato a far parte della formazione scolastica, era ampiamente noto. Queste descrizioni (Downey, 1959) potevano rimanere isolate, essere inserite in una raccolta, oppure, come 'cammei' letterari, all'interno di lettere (Cassiodoro, Variae, I, 6; IV, 51), cronache e altri scritti.Schlosser (1891; 1892; 1896) riteneva che, attraverso un'analisi scientifica delle descrizioni letterarie, fosse possibile contribuire a una restituzione dei monumenti perduti. A partire dagli studi di Mango (1972) sulle convenzioni ecfrastiche della letteratura mediobizantina si è però diffuso un atteggiamento più scettico, che ha posto in forse l'esistenza degli oggetti dell'ékphrasis e che ha visto nell'enfasi della descrizione un artificio retorico. Un tale artificio d'altra parte ha effetto soltanto nel caso in cui il lettore abbia familiarità con le immagini e le opere d'arte che si avvicinano all'oggetto dell'ékphrasis; ciò significa che anche la più fantasiosa delle digressioni ecfrastiche ha un nucleo di realtà. Teodulfo (Versus contra iudices, vv. 179-202) per es. si rivolgeva a lettori che avevano visto o avuto per le mani vasi d'argento sbalzati; Baldrico di Bourgueil (Carmina) sapeva che alla destinataria della sua opera, una figlia di Guglielmo il Conquistatore, era noto il ricamo di Bayeux (Tilliette, 1984). Anche le descrizioni del ciclo di pitture storiche del palazzo di Ingelheim nel Carmen elegiacum di Ermoldo Nigello - che si basa troppo su Orosio per poter rivendicare una propria esistenza al di fuori della letteratura - illustrano oggetti fittizi, ma possibili. Nei casi in cui l'ékphrasis facesse riferimento a un oggetto esistente, l'autore aveva comunque la possibilità di descrivere tale oggetto in modo personale o ingannevole. Espressioni di questo modo di procedere sono sia l'avversione con cui Valafrido Strabone (808/809-849), nel Tetricus, descrive la statua equestre di Aquisgrana sia le descrizioni che Eddius Stephanus (m. nel 710 ca.; Vita Wilfridi) e il priore Riccardo (1142-1162; History of Hexham) hanno lasciato della chiesa fatta costruire da s. Vilfrido a Hexham, dandone un'immagine di edificio incommensurabile e labirintico.D'altra parte per l'epoca medievale esistono anche eleganti e accurate descrizioni di oggetti reali, quali per es. la brillante caratterizzazione di un manoscritto insulare sul genere del Libro di Kells (Dublino, Trinity College, 58, già A.I.6) di Giraldus Cambrensis (m. nel 1223; Topographia Hibernica, II, 38); le descrizioni di Eadmer (De reliquiis s. Audoeni; Gransden, 1972; 1974, p. 131) e di Gervasio di Canterbury (Tractatus de combustione et reparatione Cantuariensis ecclesiae; Gransden, 1972; 1974, pp. 254-255) delle cattedrali anglosassone e normanna di Canterbury e la descrizione della chiesa di Santiago de Compostela nel Liber V sancti Iacobi (3-19).Nel caso di edifici o oggetti inventati o esotici, descrizioni di palazzi (Lavin, 1962), monumenti funebri, grotte e santuari, l'autore medievale poteva dar libero corso alla propria fantasia visiva. Frankl (1960, pp. 159-205) sottolinea come tali invenzioni architettoniche siano legate alle interpretazioni allegoriche dei singoli elementi, che corrispondono a quelle elaborate da Sicardo di Cremona nel Mitrale (1155 ca.-1215; Ficker, 1889) e da Guglielmo Durando (1230 ca.-1296) nel Rationale divinorum officiorum (Sauer, 1924) per gli edifici ecclesiastici.
I testi autobiografici (a), le lettere (b), le vite (c), così come le cronache monastiche e vescovili (d) si distinguono dagli annali e dalle cronache storiche, poiché, descrivendo da vicino persone, eventi e luoghi, consentono di cogliere nei particolari la preparazione e l'esecuzione di un progetto architettonico. Da tali opere si ricava la maggior parte dei testi raccolti da Schlosser (1891; 1892; 1896); Mortet (1911); Mortet, Deschamps (1929) e Lehmann-Brockhaus (1935; 1938; 1955-1960).a) Se per il Medioevo sono rare le autobiografie, non mancano tuttavia scritti di carattere autobiografico, apologie e resoconti, compresi quelli in cui gli autori fanno riferimento alle loro donazioni e alle attività architettoniche da essi promosse. Tra questi sono innanzitutto da ricordare il De ecclesia Centulensi libellus di Angilberto, tramandato da Ariulfo, la Translatio ss. Marcellini et Petri di Eginardo e gli scritti di Suger sulla ricostruzione di Saint-Denis (Panofsky, 1946).b) Una visione diretta dell'attività artistica è parimenti possibile grazie alle lettere inviate ai committenti o da loro ricevute, come nel caso delle lettere del papa Adriano I (772-795) a Carlo Magno con la richiesta di travi per la copertura di S. Pietro (Codex Carolinus, 78); quella di Eginardo (Ep., 57) con questioni relative alla terminologia di Vitruvio; le lettere che si riferiscono a una crux gemmata, che Adalberone di Reims inviò a Egberto di Treviri (Gerberto di Aurillac, Ep., 104, 106, 126; Lehmann-Brockhaus, 1935, p. 58); alcune lettere del Codex epistolarum Tegernseensium (75, 80-81); la lettera di Enrico III che fa riferimento alla decorazione del trono reale a Westminster (Colvin, 1963, p. 102), e quella di Onorio III al doge Pietro Ziani con la preghiera di permettere ai mosaicisti veneziani di lavorare a S. Paolo f. l. m. a Roma (Matthiae, 1967, p. 337).c) Per quanto riguarda le vite di eminenti donatori e committenti di edifici, particolare significato rivestono quelle biografie provenienti dalla cerchia più vicina al committente, per es. la Vita Oswaldi di autore anonimo, la citata Vita Wilfridi attribuita a Eddius Stephanus, la Vita Karoli Magni di Eginardo, la Vita Benedicti abbatis Anianensis et Indensis di Ardone, la Vita Bernwardi redatta dal suo maestro Tangmaro, la Vita Odilonis - abate di Cluny - di Iotsaldo, così come le biografie dei papi contenute nel Lib. Pont. (Bertolini, 1970), scritte tra il 625 e l'870 e redatte alla morte dei papi con il materiale raccolto durante il loro pontificato.d) Il Lib. Pont. fu nell'Alto Medioevo il modello per l'organizzazione delle cronache vescovili e monastiche (Bautier, 1970; Ganshof, 1970). Esempi di questo genere letterario particolarmente utili dal punto di vista storico-artistico sono il Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Agnello, del sec. 9° (Gonin, 1933; Deichmann, 1958; Lamma, 1960), i Gesta abbatum Fontanellensium e i Gesta pontificum Autissiodorensium (Bouchard, 1979, pp. 5-13). Tra le cronache altomedievali di carattere biografico, la più antica e importante è la Historia abbatum scritta da Beda il Venerabile, il quale, entrato nel 680 all'età di sette anni nel monastero di Wearmouth, fondato soltanto nel 674, ne aveva personalmente conosciuto gli abati; ciò che egli riferisce della loro attività di committenti costituisce quindi una testimonianza di primaria importanza. Agnello, che pose mano alla sua cronaca nell'830 cercando di coprire un periodo di oltre seicento anni, si trovò per la storia più antica della sua città vescovile in una situazione più difficile. Lo stesso vale per le cronache di Saint-Wandrille (Fontanella), iniziate nell'833-840 e di Auxerre (Autissiodorum) nell'873-879. Quest'ultima cronaca venne portata avanti - anche se con interruzioni - secondo la tradizione del Lib. Pont. (Bouchard, 1979, pp. 5-15). Una rinascita della storiografia ecclesiastica di carattere locale si osserva per gli anni anteriori e successivi al 1100 (Bautier, 1970, pp. 814-815, 829; Gransden, 1974, pp. 69, 114-115).Tra gli esempi più significativi vanno menzionati la Chronica monasterii Casinensis, con l'accurata ed esauriente narrazione di Leone di Ostia circa l'attività architettonica promossa da Desiderio di Montecassino, i Gesta abbatum Trudonensium di Rodolfo, così come le cronache di epoca sveva dei monasteri di Zwiefalten e Petershausen (Baden-Württemberg). Cronache locali vennero spesso scritte per difendere il possesso e il prestigio di una fondazione. Gli scritti legati al nome di Giovanni Diacono Romano e di Pietro Mallio sulla chiese di S. Giovanni in Laterano e di S. Pietro devono la loro origine alla concorrenza tra la cattedrale di Roma e la chiesa in cui venivano sepolti i papi.Le più interessanti descrizioni architettoniche del Medioevo si devono ai cronisti della Christ Church Cathedral di Canterbury, dove tra il 1070 e il 1184 fu ricostruito il corpo longitudinale e, per tre volte, il coro. A questo stesso secolo risalgono sia il tentativo di ricostruzione della cattedrale anglosassone redatto da Eadmer, il quale l'aveva vista da bambino, sia la descrizione che Gervasio fa del coro costruito all'epoca di Anselmo, alla vigilia della sua definitiva distruzione. Del tutto singolari sono la precisione e la competenza con cui Gervasio riferisce sulla ricostruzione gotica del coro della Christ Church, alla quale egli aveva forse personalmente preso parte (Gransden, 1974, p. 255).Con analoga autorevolezza scriveva sulle più importanti imprese artistiche della sua epoca Giovanni Villani (1280 ca.1348), cui fu affidato il controllo dell'opera di Andrea Pisano alle porte bronzee per il battistero di Firenze e che aveva preso parte al consiglio sulla costruzione della terza cerchia di mura della città.
Le edizioni pionieristiche delle iscrizioni cristiane di epoca tardoantica e altomedievale risalgono a Le Blant (1856-1865; 1892), De Rossi (1857-1888, II, p. LXII) e Diehl (1925-1931). Gli studi di Duval (1977), Kloos (1977) e Koch (1987) forniscono una visione d'insieme della storia della disciplina e delle iniziative - non ancora portate a termine - volte a raccogliere e pubblicare le iscrizioni medievali e postmedievali in Italia, Germania, Francia, Polonia, Romania e Svizzera.L'uso di decorare edifici, ambienti, monumenti funebri e altre opere con iscrizioni è antico, così come quello di raccogliere tali iscrizioni in antologie. A Walser (1987) si deve una nuova edizione della raccolta di iscrizioni di Einsiedeln; restano tuttavia insostituibili l'edizione che De Rossi (1857-1888, II) fece delle sillogi anteriori al 1500 e la sua dotta introduzione. Per le iscrizioni cristiane ravennati, costituisce una f. importante e affidabile il cronista Agnello (tralasciato da De Rossi, 1857-1888, II, p. LXII).Le iscrizioni non si sono conservate soltanto in situ o in raccolte e antologie. Alcune delle più note e utili dal punto di vista storico-artistico vennero redatte da importanti autori oppure a loro attribuite e - con l'eccezione degli epigrammi di Ambrogio, derivati dalle sillogi (De Rossi, 1857-1888, II, p. 184; Merkle, 1896; Downey, 1959) - tramandate nelle loro opere (De Rossi, 1857-1888, II, pp. XXXVII-XLIII, XLVIII-LIX; Keydell, 1962, p. 562ss.). È questo il caso anche delle iscrizioni di Paolino di Nola, Prudenzio, Elpidio Rustico (Steinmann, 1892, p. 55), Ennodio, Sidonio Apollinare, Aratore e Venanzio Fortunato. Poiché sono rare le testimonianze parallele che attestino la reale esistenza dei cicli figurativi legati a questi tituli - tra le eccezioni vanno menzionati gli epigrammi di Paolino di Nola (De Rossi, 1857-1888, II, pp. 185-192), di Ennodio (ivi, pp. 176-178, 459), di Sidonio Apollinare (ivi, p. 187) e di Aratore (ivi, p. 110) -, l'ipotesi che per alcuni di essi si tratti di una creazione esclusivamente letteraria non sembra del tutto improbabile. Ciò vale anche per i Tituli Historiarum di Prudenzio e per l'Ad ecclesiam Toronicam di Venanzio Fortunato (di parere diverso Pillinger, 1980; Kessler, 1985).Gli epigrammi letterari e le iscrizioni che vengono tramandate nelle sillogi sono nella maggior parte dei casi in versi; numerose erano tuttavia anche quelle in prosa e quelle costituite da citazioni dalla Scrittura e da preghiere. Tra le iscrizioni di carattere storico-artistico vanno innanzitutto menzionate a) quelle riferite agli edifici; b) le iscrizioni degli artisti; c) i tituli.a) Le iscrizioni riferite agli edifici, per lo più iscrizioni dedicatorie, riportano il nome del committente e offrono importanti riferimenti relativi alla datazione e alla destinazione di un monumento. Per quanto riguarda gli edifici, in epoca antica esse venivano generalmente incise con lo scalpello. Iscrizioni dedicatorie incise erano in uso anche in epoca altomedievale e nel pieno Medioevo (Mitchell, 1990).Già nel sec. 4° al posto delle iscrizioni incise si incontravano quelle in mosaico, che nelle chiese compaiono sia presso l'abside, come per es. le iscrizioni di Costantino e Costanzo in S. Pietro (Krautheimer, 1987), sia all'interno della parete d'ingresso, come in S. Sabina (Matthiae, 1967), S. Maria Maggiore (De Rossi, 1857-1888, II, p. 71) e S. Pietro in Vincoli (ivi, p. 110). Sebbene spesso legate a mosaici figurativi, soltanto di rado le iscrizioni musive fanno riferimento all'iconografia di tali rappresentazioni, limitandosi abitualmente a descrivere genericamente la decorazione della chiesa. Le iscrizioni dedicatorie inglesi e dell'Europa continentale, anteriori al 1200, sono state trattate da Higgit (1979). Singolare è inoltre l'attenzione che le iscrizioni dedicatorie delle chiese rivolgono alla partecipazione dei donatori laici (Musset, 1982).b) Nonostante le iscrizioni degli artisti siano rare durante il Medioevo, esse tuttavia non mancarono mai del tutto e si presentano in un'ampia varietà di forme che va dalle semplici citazioni dei nomi sulle lastre pavimentali e sulle tegole (Mitchell, 1990) all'iscrizione di Giovanni Pisano, complessa e originale, sul pulpito della cattedrale di Pisa, di cui si conserva soltanto la trascrizione (Frisch, 1971). La maggiore frequenza, in proporzione, delle firme degli scribi nei manoscritti (Bischoff, 1990, pp. 41-45) dipende certamente dal livello culturale di coloro che prendevano parte all'elaborazione dei manoscritti. Proprio con un più alto grado di alfabetismo si spiega forse anche la maggiore diffusione in Italia di iscrizioni degli artisti (Claussen, 1987; Wander, 1987). I nomi degli artisti non sono tuttavia tramandati nella maggior parte dei casi dalle iscrizioni, ma dai documenti e dalle cronache.c) Contrariamente a quanto avviene per le iscrizioni di consacrazione e degli artisti, quelle relative alle immagini o tituli, che fanno riferimento all'oggetto delle rappresentazioni stesse, sono talvolta di tale precisione da permettere una ricostruzione delle immagini, come nel caso di Santa Croce e di S. Giovanni Evangelista a Ravenna (Deichmann, 1958), talaltra hanno un carattere generico, per es. nelle iscrizioni delle absidi romane di S. Stefano Rotondo, S. Gregorio Magno, S. Celso (De Rossi, 1857-1888, II, pp. 152, 140, 446).Le lettere di Paolino di Nola permettono di osservare il modo di procedere di un ricco e colto committente che nei suoi edifici controllava sia il contenuto delle immagini sia le loro iscrizioni; tutto ciò - che si verificava probabilmente anche nel caso di Ambrogio - non era tuttavia una consuetudine. Pier Damiani ideò un titulus per una rappresentazione già esistente del Miracolo della Pentecoste che egli, nel 1064 o nel 1065, aveva visto nel refettorio di Montecassino (Opusc. XXXIV, 9; PL, CXLV, col. 584; Citarella, Willard, 1983, pp. 29-30). Eccheardo IV preparò per Aribo, vescovo di Magonza (1021-1031), ottocentoquarantuno versi riferiti all'Antico e al Nuovo Testamento perché li scegliesse: "eligantur qui picturis conveniant" (Steinmann, 1892, p. 115). Anche i Tituli Historiarum di Prudenzio possono essere considerati un progetto: la scelta e la successione delle scene rispecchiano a tal punto il pensiero prudenziano che l'invenzione del ciclo non può essere disgiunta dalla versione poetica (Davis-Weyer, 1986).Dalla seconda metà del sec. 11° si giunse, inizialmente per influenza bizantina, a un enorme moltiplicarsi di iscrizioni per immagini, che diminuì soltanto nel 13° secolo. Compaiono non soltanto al di sopra e al di sotto delle immagini, ma anche nelle cornici e sui rotuli rappresentati sulle immagini stesse, dove i testi - spesso citazioni dalle scritture - per una migliore leggibilità vennero ordinati parallelamente alla direzione longitudinale dei rotuli, contrariamente a quanto avveniva negli esempi bizantini. L'apice di questo processo si raggiunse con la Bibbia di Floreffe (Londra, BL, Add. Ms 17737-17738; Cahn, 1982, figg. 154-155, 170-171) e con la croce di Bury St Edmunds (Beckwith, 1972, pp. 92-96). Le indagini di Favreau (1976), Thill (1976) e Ragusa (1980) mostrano come le iscrizioni - così come le immagini e gli oggetti cui esse si riferiscono - siano collegate alla tradizione. Un testo del sec. 12° pubblicato da Wormald (1952) dimostra infine che la creazione iconografica veniva tramandata insieme alle iscrizioni a essa legate.
Di questo gruppo di f. fanno parte: a) gli elenchi dei tesori, le liste dei beni donati o alienati, gli inventari testamentari; b) le descrizioni di architetture in forma di inventario.a) In varie occasioni venivano inventariati i libri, le reliquie e i tesori, per es. in epoca carolingia per le nomine ufficiali oppure per ordine del re o del vescovo, per le visite pastorali o all'avvicendarsi degli abati, dei vescovi o anche dei custodi (Bischoff, 1967, pp. 7-11). Poiché spesso in un'abbazia le mansioni di custode e di bibliotecario erano assunte dalla stessa persona, l'inventario del tesoro e quello della biblioteca venivano effettuati e redatti contemporaneamente, sicché spesso le liste dei tesori vengono segnalate o stampate nei cataloghi delle biblioteche medievali (Becker, 1885; Gottlieb, 1890; Mittelalterliche Bibliothekskataloge, 1918-1933; Derolez, 1966); all'analisi di questo materiale hanno contribuito soprattutto Mely, Bishop (1892-1895), Lesne (1936) e Bischoff (1967). Gli inventari dei tesori papali di età medievale (Hoberg, 1944) sono stati pubblicati da Molinier (1882-1886), le liste del tesoro di S. Pietro da Müntz, Frothingham (1883).In forma di estratti e parafrasi, gli inventari dei tesori venivano spesso riportati nei libri delle tradizioni o citati nelle cronache, così per es. la parafrasi dell'inventario dei tesori di Centula/Saint-Riquier, redatto nell'821 nel Chronicon Centulense di Ariulfo o l'estratto dell'inventario del tesoro di Sint Truiden, dell'870, nei Gesta abbatum Trudonensium di Rodolfo (Bischoff, 1967, pp. 87-88), nonché l'inventario di Farfa (1119), conservato nel Registrum Farfense (McClendon, 1987, pp. 1-5, 137). Gli elenchi dei tesori si conservano talvolta in originale, soprattutto in forma di annotazione in evangeliari e lezionari, spesso anche preziosi, quali per es. l'evangeliario carolingio della scuola di corte (Bruxelles, Bibl. Royale, 18723; Bischoff, 1967, pp. 111-112), l'Evangeliario della badessa Hitda di Meschede (Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibl., 1640; Bischoff, 1967, p. 62) e il Liber viventium Fabariensis (San Gallo, Stiftsarchiv, I; ivi, pp. 74-77).A un genere analogo a quello degli elenchi dei tesori appartengono le liste degli oggetti e dei tessuti preziosi che compaiono nei documenti di donazione, talvolta pervenuti in originale, ma solitamente tramandati in forma di estratto, come veri e propri elenchi di tesori, per es. le ricche liste di donazione di Desiderio vescovo di Auxerre (605 ca.-622) nei Gesta pontificum Autissiodorensium. Le donazioni venivano talvolta inserite nei necrologi e nei libri delle confraternite, per es. il trittico Stefaneschi e la Navicella di Giotto nel necrologioresoconto per Jacopo Gaetano Stefaneschi (Gardner, 1974; Hueck, 1977).Nel Lib. Pont., in corrispondenza delle vite dei papi di epoca altomedievale, compaiono elenchi straordinariamente completi degli oggetti in metalli preziosi e dei tessuti donati (Croquison, 1964); compilati annualmente durante il pontificato, tali elenchi venivano redatti in forma di biografia dopo la morte del papa, ma anche durante il pontificato (Geertman, 1975). Nel caso di Leone III (795-816) mancò la fase di rielaborazione, sicché la sua vita dall'801 all'816 consiste in una serie di liste annuali (Huelsen, 1923); tra queste merita particolare attenzione la ricca lista delle donazioni dell'806-807, nella quale centodiciassette chiese di Roma, in una successione corrispondente alla loro importanza, vengono nominate come destinatarie di doni papali (Huelsen, 1923; Geertman, 1975, pp. 82-129).Anche i testamenti erano talvolta forniti di liste di oggetti d'arte e di preziosi, per es. il testamento di Carlo Magno, citato da Eginardo (Schramm, Mütherich, 1962, p. 91), quello di Eberardo marchese del Friuli (m. nell'865 ca.) e di altri nobili dell'Alto Medioevo (Riché, 1972; Citarella, Willard, 1983, p. 139), il testamento di Bruno di Colonia (953-965; Bischoff, 1967, pp. 123-124) e quello di Francesco Petrarca del 1361, nel quale è citata una tavola di Giotto (Mommsen, 1952). Principi, prelati e abati non contribuirono soltanto alla crescita dei tesori ecclesiastici: in tempi di necessità gli oggetti preziosi dei tesori costituivano infatti l'ultima risorsa da impegnare, fondere o utilizzare come dono diplomatico. Liste di oggetti alienati o distrutti si sono conservate nelle cronache e nei regesti di Montecassino (Citarella, Willard, 1983, pp. 83-101), Petershausen (Bischoff, 1967, pp.146-147) e Farfa (McClendon, 1987, pp. 131-132, 137-138).Sono rari i casi in cui gli inventari e le liste dei tesori forniscono notizie circa l'origine, il luogo di collocazione o la distruzione di un oggetto noto. Tali f. - il cui reale interesse è limitato all'ambito statistico e linguistico - permettono di avere un'idea sia del costituirsi o delle dimensioni dei tesori ecclesiastici di centri piccoli, medi e grandi sia dell'entità delle perdite che, nel caso di oggetti in metallo nobile e di tessuti, è stata, per la natura stessa di tali oggetti, particolarmente alta. Esse introducono poi alla terminologia dell'oreficeria medievale, che spesso si muove oltre i confini del latino scolastico e che, come risulta dai glossari e dai registri degli oggetti (Bischoff, 1967, pp. 154-211), riprende numerosi elementi dalle lingue volgari.Dei primi inventari in volgare fanno parte le liste di donazione di Leofric (m. nel 1072) alla sua cattedrale di Exeter, scritte in antico inglese (Chambers, Förster, 1933), e l'inventario, redatto in tedesco, dei tesori imperiali, risalente al 17 settembre 1246 (Bischoff, 1967, pp. 99-100). Il vocabolario utilizzato per la descrizione dei tessuti preziosi ha spesso una coloritura di greco (Croquison, 1964; Citarella, Willard, 1983, pp. 93-94), segno del grande prestigio goduto dai tessuti di porpora e di seta bizantini.b) La descrizione di città e di edifici assumeva occasionalmente forma di inventari che, con i loro elenchi di torri, porte, mura civiche, palazzi e strade, rimandano ai regionaria romani di età tardoantica, imitando una tipologia antica dell'inventariazione.De Rossi (1857-1888, II, p. 51) ha pubblicato una siffatta descrizione di S. Pietro, nota - a suo parere - a Gregorio di Tours, il quale nell'Historia Francorum (II, 14-17) si servì di un analogo criterio di descrizione per le chiese di Tours e di Clermond-Ferrand.Anche l'importante descrizione di Saint-Denis del 799 è un inventario con l'enumerazione delle grandi e delle piccole colonne, delle lampade e delle porte della chiesa e del monastero, con l'indicazione dei numeri e delle misure della stessa (Bischoff, 1984). A questa tipologia si attengono inoltre la descrizione di Cluny (Liber tramitis aevi Odilonis abbatis), redatta tra il 990 e il 1048, il primo libro dei Mirabilia urbis Romae e l'Iter Romanum di Giovanni Dondi.
La pubblicazione della letteratura tecnica di età medievale e tardoantica iniziò nel sec. 18° con il saggio di Lessing (1774) sul De diversis artibus di Teofilo. Il vero impulso alla pubblicazione delle antiche raccolte di ricette non lo diedero tuttavia gli storici e gli antiquari, ma i pittori romantici del sec. 19° interessati alle tecniche dell'Antichità (Eastlake, 1847); anche la fondamentale pubblicazione di Merrifield (1849) sulla letteratura tecnica del Medioevo fu intrapresa su commissione della Royal Acad. of Painting.Più recenti studi sulla letteratura tecnica (Bischoff, 1952-1953; 1971; Meyvart, 1975; Halleux, Meyvart, 1988) hanno permesso di ricostruire un quadro di questo genere di fonti. La più antica raccolta di ricette medievali è la Mappae clavicula, tradotta dal greco prima dell'800, probabilmente in Italia, in un misto di latino e greco (Svennung, 1941-1945). A quest'epoca la raccolta conteneva ricette per tutte le possibili necessità, per la produzione di oro e di leghe in oro, per la crisografia, per la colorazione con porpora, per la preparazione del vetro, del mosaico e dei pigmenti, così come per la produzione di polvere pirica e di macchine belliche. Mentre Bischoff (1971) riteneva che tutte le ricette tradotte dal greco appartenessero a un antico patrimonio tardoellenistico, Halleux e Meyvart (1988) hanno dimostrato come il nucleo principale della raccolta contenesse soltanto le ricette relative all'oro, alle leghe in oro e alla crisografia e che, sia prima sia dopo la sua traduzione in latino, il testo fosse arricchito da numerose aggiunte. Delle ricette inserite in seguito alla traduzione latina fanno parte excerpta da Palladio (Bischoff, 1971, p. 272), ricette in cui si utilizzano termini arabi e inglesi, nonché un gruppo di indicazioni straordinariamente precise per miniatori e pittori, le quali furono aggiunte all'antica raccolta nei secc. 11° e 12° (Roosen Runge, 1967).Indicazioni analoghe si aggiunsero, forse soltanto dopo il 1200, al De coloribus et artibus Romanorum di Eraclio, pubblicato da Richards (1940) nella sua forma originaria risalente al sec. 11°, che consiste in una serie di ricette in versi seguita da altre in prosa; un'immagine analoga si ha dalle versioni più recenti del trattato, nelle quali d'altro canto risulta aumentata, per aggiunte successive, la parte in prosa, mentre forse già nel sec. 11° si perse l'uso di versificare le ricette. Nelle prescrizioni in versi scarseggiano i dettagli tecnici, sostituiti da citazioni di Plinio, lodi al re e al senato di Roma per il loro mecenatismo. Ciò fa ritenere che l'autore non scrivesse per esperti, ma per potenziali committenti.Mentre la parte in prosa del trattato di Eraclio e il trattato latino della Mappae clavicula offrono singole ricette e singole notizie per tutte le possibili operazioni tecniche e artistiche secondo un tipo di redazione che ricorda le opere di consultazione, il più significativo scrittore tecnico del Medioevo, Teofilo (Hawthorne, Smith, 1963), introdusse in Occidente, intorno al 1100, un tipo di letteratura tecnica del tutto nuova e dagli orientamenti didattici. Non vi si ritrovano singole notizie, ma la descrizione dei processi di lavorazione, che rende gradualmente familiari al lettore la creazione concreta della bottega, gli strumenti necessari e i procedimenti che conducono alla realizzazione di oggetti che nel trattato vengono descritti con precisione. La moderna ricerca è tornata, contrariamente a quanto affermato da Degering (1928), all'identificazione di Teofilo con l'orafo Roger di Helmarshausen, già avanzata da Ilg (1873).Il terzo libro del trattato di Teofilo sulla lavorazione del metallo - i primi due sono dedicati alla pittura e alla pittura su vetro - descrive processi legati alle tecniche utilizzate da Roger sia nei due altari portatili di Paderborn (Erzbischöfliches-Diözesanmus. und Domschatzkammer) sia nella coperta di manoscritto conservata a Treviri (Domschatz; Hawthorne, Smith, 1963). Nei capitoli tecnici del trattato si parla di tractus subtiles, espressione che fa riferimento all'elegante tracciato di linee con cui - con una punta o con un sottilissimo pennello - sono tratteggiate le figure in un'ultima fase di lavoro; si tratta di un elemento tipico dello stile italo-bizantino di cui Roger-Teofilo si serviva in maniera brillante per le sue opere (Davis-Weyer, 1994); in altre parole Teofilo scriveva in un momento in cui in tutta Europa le consuetudini di bottega si stavano trasformando in uno stile sovraregionale. Forse ciò chiarisce il carattere radicale del suo trattato: la posizione di Teofilo è in un certo qual modo analoga a quella di Cennino Cennini, il cui Libro dell'arte documenta i processi tecnici propri di un altro significativo mutamento stilistico. D'altra parte però Teofilo è egli stesso un protagonista del nuovo stile, mentre Cennini descrive le tecniche dell'epoca di Giotto, del quale egli è un attardato seguace.Numerosi trattati, in genere più brevi e spesso dipendenti da quello di Teofilo, dalla Mappae clavicula e dalle aggiunte in prosa apportate al trattato di Eraclio, sono stati pubblicati da Merrifield (1849), Thompson (1926), Thompson, Hamilton, (1933), Silvestre (1954) ed Edgerton (1963). Tra questi particolare attenzione meritano il trattato altamente specializzato del De clarea (Thompson, 1932-1933; Straub, 1964) e la Tabula de vocabulis sinonimis et equivocis colorum di Alcherio (Tosatti Soldano, 1983).È singolare che i trattati siano dedicati per la maggior parte dei casi alla pittura e alla produzione artistica di piccoli oggetti, mentre le indicazioni tecniche relative all'architettura e alla scultura monumentale sono molto rare o mancano del tutto. Queste lacune vengono in parte integrate dal codice di Villard de Honnecourt (Hahnloser, 1935) e dai pareri per le cattedrali di Chartres, Gerona e Milano (Frankl, 1960, pp. 35-54, app., pp. 4-6; Frisch, 1971, pp. 59-61, 143-157); i trattati di architettura di età tardogotica sono stati analizzati da Frankl (1960, pp. 144-156).Gli scultori medievali tentarono, tramite excerpta (Wirth, 1967) e parafrasi, di mantenersi fedeli alla teoria delle proporzioni di Vitruvio: un testo tedesco redatto intorno alla metà del sec. 15°, nel quale un intagliatore dà indicazioni sulle proporzioni del corpo umano, conferma il protrarsi di questa tradizione presso gli scultori tardogotici (Bischoff, 1984, pp. 233-236).
I documenti, tramandati come carte singole o trascritti in cartulari, costituiscono delle f. privilegiate di valore probante quasi assoluto. Gli elementi interessanti dal punto di vista storico-artistico sono purtroppo rari e in genere si ritrovano per caso o vengono portati alla luce dalla ricerca locale, come avviene per importanti documenti quali il contratto per la Madonna Rucellai di Duccio (Fineschi, 1790), attribuita a Cimabue fin da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 40), oppure il documento di Paderborn del vescovo Enrico di Werl del 15 agosto 1100, che ha reso possibile l'identificazione di Roger di Helmarshausen con Teofilo (Fuchs, 1916).La situazione cambia quando ci si trova di fronte a più precisi sistemi di registrazione delle spese; ciò vale innanzitutto in Inghilterra per le imprese architettoniche promosse dalla corona. Mentre le scritture della cancelleria (Writs) danno notizie sull'avvio di tali imprese architettoniche e sui mezzi necessari alla loro realizzazione, quelle dello Scacchiere (Pipe Rolls) permettono di osservare in che modo venissero gestite e controllate le spese. Nonostante questo sistema di registrazione delle uscite fosse in uso già dal 1129-1130, la serie dei Pipe Rolls conservati iniziò soltanto dopo il 1155 (Colvin, 1963, I, p. 51ss.). Di particolare interesse sono i documenti del periodo medio e tardo del regno di Enrico III (1254-1289), per lo più riguardanti Westminster (Colvin, 1971), che mostrano come un importante committente di architettura amante delle arti potesse assicurarsi, aggirando il sistema vigente dei contratti e della registrazione delle spese, un'influenza determinante sugli edifici e sulle imprese decorative, anche per l'uso di sostituire i funzionari locali, cui tradizionalmente erano affidati gli edifici pubblici, con suoi propri architetti e funzionari (Kent Lancaster, 1972).Nell'Europa continentale, una documentazione altrettanto precoce e completa si ha soltanto per gli edifici commissionati da Carlo d'Angiò (Sthamer, 1912-1926), mentre da Schubring (1988) è stata pubblicata una breve serie di documenti relativa agli edifici di Federico II a Foligno. A Harding (1989) si deve l'analisi della documentazione relativa alla facciata e alle finestre del coro del duomo di Orvieto.Per la Francia, i documenti pubblicati da Dehaisnes (1886, II) relativi alla costruzione e alla decorazione della certosa di Champmol e al monumento funebre di Filippo l'Ardito (Digione, Mus. des Beaux-Arts) permettono di conoscere l'attività artistica presso la corte dei duchi di Borgogna.Tra le f. d'archivio che presentano interesse per la storia dell'arte vanno citati anche gli statuti con i quali i Comuni regolavano la costruzione dei nuovi edifici e quindi la forma delle città: quelli di Firenze e Siena sono stati studiati da Rocchigiani (1958), Pampaloni (1973) e Bowsky (1981, pp. 294-298). Gli statuti delle associazioni dei muratori sono stati studiati in generale da Frankl (1960, pp. 110-158); quelli di Roma da Cartsonetti-Venditelli (1993).
Le numerose guide di epoca medievale, soprattutto quelle relative alla Terra Santa, a Roma, a Santiago de Compostela e a Costantinopoli, assumono importanza dal punto di vista storico-artistico per gli excursus di carattere ecfrastico e per la ricostruzione dei monumenti perduti. Innanzitutto sono da ricordare la descrizione del Sinai a opera di Eteria (Itinerarium Aetheriae, II, 1-V, 8) e quella di Roma e delle antichità romane compilata da magister Gregorio (De mirabilibus urbis Romae). Dei tentativi di ricostruzione effettuati con l'aiuto dei resoconti dei pellegrini, la maggior parte riguarda le chiese costantiniane di Gerusalemme. Di particolare interesse sono i racconti anteriori alla distruzione della basilica costantiniana (1009), per es. quelli del pellegrino di Bordeaux (Itinerarium Burdigalense), di Eteria e di Adamnano (De locis sanctis). D'altra parte le ricostruzioni del complesso costantiniano del Golgota, basate su questi o su analoghi testi, sono state soltanto in parte confermate dagli scavi recenti (Corbo, 1981-1982).Nel panorama molto più ricco della letteratura crociata (Wilkinson, 1988) vanno menzionate la relazione dell'abate russo Daniil, scritta in antico slavo, così come quelle di Giovanni di Würzburg (Descriptio Terrae Sanctae) e di Teodorico (Libellus de locis sanctis), per la descrizione dei mosaici bizantini della Rotonda dell'Anastasi e perché riportano numerose iscrizioni. I pellegrini che si recavano a Gerusalemme passavano spesso per Costantinopoli senza tuttavia prestare grande attenzione alla città e ai suoi monumenti. Al contrario, presentano grande interesse a questo proposito gli appunti dei diplomatici occidentali, quali le descrizioni delle cerimonie imperiali nell'Antapódosis (V, 5-10) di Liutprando da Cremona (Mango, 1972, pp. 209-210) e le annotazioni di Ruy González Clavijo sulle chiese di Costantinopoli, tra cui di particolare interesse - oltre alle descrizioni pubblicate da Mango (1972, pp. 217-220) - sono quelle riguardanti il monastero di S. Giovanni di Studios e della sua chiesa. Tra le testimonianze dirette della conquista e del saccheggio della città da parte dei crociati, quella più accurata è costituita dall'opera di Robert de Clari (La conquête de Constantinople).Mentre la letteratura topografica su Roma, la silloge di Einsiedeln, le raccolte di iscrizioni, così come i Mirabilia urbis Romae e le guide da essi dipendenti (Valentini Zucchetti, 1946) si limitano alla città e ai suoi immediati dintorni, i resoconti relativi a Gerusalemme scritti dai pellegrini e a loro destinati informano spesso accuratamente i lettori sulla lunghezza e sui pericoli del viaggio. Secondo tale modello venne scritta, tra il 1137 e il 1173, la Guide du pélerin de Saint-Jacques de Compostelle, nota anche come Liber V sancti Iacobi, con la descrizione della chiesa - che per la precisione ricorda quelle di Eadmer e Gervasio per la cattedrale di Canterbury - della quale vengono resi noti gli architetti.Non appartiene al genere delle guide un altro gruppo di testi topografici che deve la propria origine a motivi campanilistici e tesse le lodi della propria città; un panorama di questo genere letterario è fornito da Hyde (1966), mentre le descrizioni di Firenze, nelle quali la città viene acclamata come una seconda Roma, sono analizzate da Davis (1988).
Nonostante l'interesse degli studiosi nei confronti della liturgia delle cattedrali e delle comunità monastiche abbia un'antica tradizione (Martène, 1690; 1736-1738), l'attenzione prestata dagli storici dell'arte a questi testi è di data relativamente recente (Delaporte, 1953, pp. 1-2; Kroos, 1976, pp. 105-106). L'interesse dei testi liturgici consiste nel fatto che essi permettono di osservare come venissero utilizzati casse, libri preziosi e paramenti, nonché la funzione e il costituirsi degli edifici ecclesiastici. A differenza degli ordines delle cattedrali (a), i testi liturgici dei monasteri e delle comunità religiose sono tramandati nel contesto delle normative che regolavano la vita monastica. Analoghi a queste consuetudines (b) sono gli statuta dei Cistercensi. Si conservano inoltre occasionali descrizioni di solenni cerimonie da parte di testimoni diretti (c), le quali restituiscono un'immagine - sebbene non sempre precisa nei particolari - delle reazioni e delle aspettative dei contemporanei.a) Il più antico ordo romano descrive il servizio papale delle stazioni del sec. 7° (Andrieu, 1931-1961, II, pp. 76-77; Klauser, 1979, pp. 60-68). Gli ordinamenti liturgici per le chiese romane e in particolare per S. Pietro sono stati pubblicati da Fabre, Duchesne (1905-1952), Andrieu (1931-1961; 1938-1941), Valentini, Zucchetti (1946), Elze (1960), Vogel, Elze (1963-1972). Alla loro analisi dal punto di vista storico-artistico hanno contribuito Andrieu (1931-1961), Mathews (1962) e Blaauw (1987).Sebbene la liturgia di Roma fosse sottoposta in epoca altomedievale a influssi franchi e ottoniani, essa costituì un modello per altri aspetti, come mostra una lista delle chiese di Metz pubblicata da Klauser (1930; 1979, pp. 79-81, 212), che testimonia come in questa sede vescovile poco dopo la metà del sec. 8° si sia tentato di introdurre la liturgia romana delle stazioni. Le rubricae della cattedrale di Firenze, inedite, attestano nella città, strettamente legata alla riforma del papato, l'uso, durante il sec. 12°, della liturgia delle stazioni secondo il modello romano (Davis, 1988, pp. 37-40).Tra gli altri, sono stati pubblicati ordines per Milano, Salisbury (Rich Jones, 1883, I, pp. 1-185), Laon, Chartres, Reims, Bamberga (Breviarium Eberhardi cantoris) e Treviri.Il ricco ordo della cattedrale di Metz, che venne utilizzato tra il 1105 e il 1246, andato perduto nel 1944, è noto soltanto grazie agli estratti di Prost (1885). Per l'analisi storico-artistica di queste f., il modello è costituito dall'opera di Kroos (1976), che ha preso in esame gli ordinari inediti di Bamberga e Magdeburgo.b) Mentre degli ordines delle cattedrali sono apparse singole edizioni, le consuetudines dei monasteri e degli ordini monastici fanno parte di raccolte. Tra le consuetudines, gli storici dell'arte hanno particolare familiarità con l'Institutio di Angilberto, della quale si è tenuto conto per la ricostruzione di Centula/Saint-Riquier, e con le consuetudines di Farfa-Cluny (Liber tramitis aevi Odilonis abbatis), che descrivono una complessa liturgia peripatetica, scandita a Cluny da frequenti rintocchi di campane. Con tali prescrizioni McClendon (1987, pp. 100-102) ha posto in relazione la posizione delle torri campanarie che a Farfa e altrove si trovano in prossimità del coro. La predilezione dei Cluniacensi per le processioni - durante le quali venivano trasportati scrigni e preziosi reliquiari - e per il suono delle campane è stata sempre, dal sec. 12°, contrapposta ai severi statuti dei Cistercensi (Holdsworth, 1986, pp. 40-55).c) Tra le descrizioni di tipo non liturgico delle cerimonie medievali, particolare interesse rivestono le relazioni di viaggio, per es. quella di Eteria sulla liturgia di Gerusalemme e le annotazioni di un pellegrino franco a Roma sulla liturgia papale della settimana santa (De Rossi, 1857-1888, II, pp. 34-35; Andrieu, 1931-1961, III, pp. 265-273). A ciò si aggiungono testi come la relazione dell'incoronazione di Edgardo nella Vita Oswaldi (Rer. Brit. MAe. SS, LXXI, 1, pp. 436-438; Schramm, 1937, pp. 19-22) e quelli relativi a incoronazioni imperiali (Diemand, 1894) e papali (Schimmelpfennig, 1973), per es. il resoconto di Robert de Clari dell'incoronazione di Baldovino I di Gerusalemme (Elze, 1982). A questo genere appartiene infine anche la relazione di Suger sulla consacrazione del coro di Saint-Denis (Panofsky, 1946).
La polemica sull'arte basata su fondamenti di ordine religioso da un lato era rivolta - con argomentazioni di carattere ascetico e sociale - contro gli edifici ecclesiastici e il lusso degli arredi (a), dall'altro adduceva argomenti di carattere psicologico e filosofico contro il ruolo delle immagini negli edifici ecclesiastici (b). I difensori delle immagini e della ricchezza degli edifici potevano sostenere le loro ragioni sottolineando la funzione didattica delle immagini e appoggiandosi a una lunga tradizione ecclesiastica (c).a) S. Girolamo mette in guardia i suoi ricchi amici dal costruire chiese sontuose. Tra gli esempi più significativi sono le lettere da lui scritte a Nepoziano, Paolino di Nola e Demetriade (Ep., 52, 58, 130). Nelle ultime due, Girolamo sostiene che le elemosine sono più gradite a Dio di quanto lo siano le chiese riccamente decorate, mentre nella lettera 58 cita come esempio la ricca decorazione del Tempio ebraico, accusando i fondatori di chiese sontuose di atteggiamenti analoghi a quelli dei giudei.Nella lettera a Demetriade egli introduce però un doppio criterio. Nonostante affermi che i buoni cristiani farebbero meglio a costruire le loro chiese piuttosto che tenere per sé le proprie ricchezze, per Demetriade, che sarebbe diventata monaca, valevano altre regole: ella era infatti obbligata al mantenimento della comunità monastica e dei poveri. Tali argomentazioni vennero riprese dalle riforme monastiche del Medioevo (Rudolph, 1990, pp. 84-97). Nell'818 Ludovico il Pio, amico del riformatore Benedetto di Aniane, citava l'Ep. 58 di Girolamo in un'esortazione a Egilo di Fulda (Candido di Fulda, Vita Eigilis abbatis Fuldensis) e nel 1224-1225 Bernardo di Chiaravalle riprendeva i tre punti principali delle argomentazioni di Girolamo nell'Apologia ad Guillelmum abbatem (XII, 28-30), nei passi contro il lusso degli edifici (Rudolph, 1990, p. 227ss.): egli contrappone all'oro delle chiese la miseria dei poveri, esige un più alto livello ascetico nei monaci e riconduce il lusso delle chiese agli antichi riti degli ebrei. Le invettive di Bernardo, brillanti e accortamente elaborate (Rudolph, 1990, pp. 202-231), ebbero ampia eco (Talbot, 1986, pp. 60-64; Rudolph, 1990, p. 172ss.), tra gli altri presso Etelredo di Rievaulx (1110 ca.-1167) e Pietro Cantore (m. nel 1197); quest'ultimo, testimone diretto della nuova costruzione di Notre-Dame, paragonava le cattedrali del suo tempo alla torre di Babele.b) L'avversione per le immagini, fondata sostanzialmente sul Decalogo e sostenuta da Tertulliano (De idolatria, 3-8), diede luogo nel corso del sec. 4° a una più moderata polemica sulla funzione religiosa delle immagini, che si indirizzava contro la pittura, già disprezzata da Vitruvio (De architectura, VII, V, 4), giacché essa può rappresentare qualcosa che "non è, che non è mai stato e che non può essere". In questa polemica si situa il giudizio di s. Agostino sulle immagini romane nelle quali i ss. Pietro e Paolo sono rappresentati ai lati di Cristo, sebbene Paolo sia stato chiamato soltanto dopo la morte del Messia (De consensu Evangelistarum, I, 10). Nei Soliloquia (II, 10) Agostino opera una distinzione tra l'accattivante capacità favolistica delle immagini e la falsità illusionistica insita in esse, che egli contrappone alla verità univoca e semplice che si deve perseguire. Entrambe le argomentazioni furono riprese tra il 791 e il 794 nei Libri Carolini, una reazione critica dei Franchi al secondo concilio di Nicea. Gli autori, in primo luogo Teodulfo di Orléans (Freeman, 1957; 1963), giungono ugualmente alla conclusione che le immagini, per la loro falsità illusionistica (I, 2) e la loro inaffidabilità (III, 13), non sono adatte a trasmettere la verità; esse inoltre non sono idonee a riprodurre ciò che viene espresso con le parole (III, 13), non hanno alcuna funzione religiosa e il loro fine è quello di decorare o di ricordare i fatti del passato (III, 6). Questa posizione viene condivisa dai sinodi franchi del 794 e dell'825 tenuti a Francoforte e a Parigi (MGH, Conc., II, 2, 1908, pp. 110-192, 463ss.; Boshof, 1969, pp. 139-158). Costituisce un'eccezione l'opera di Claudio di Torino, conservata solo in excerpta (Epistola ad Theodomirum abbatem), in cui è chiara la posizione iconoclastica per il rifiuto non solo delle immagini, ma anche dei santi, del culto delle reliquie e quindi dei pellegrinaggi (Boshof, 1969, p. 145ss.).c) Mentre Girolamo aveva espresso le proprie rigorose opinioni soltanto in epistole dal carattere privato, sicché non si ebbe mai una pubblica contrapposizione, nel caso di Bernardo si giunse a una vera e propria reazione (Talbot, 1986, pp. 62-63) e a una polemica della quale fornisce un'idea - per quanto espressa da un partigiano di Bernardo - Idung di Prüfening nel Dialogus duorum monachorum (Huygens, 1972; Bredero, 1981). Tra gli autori del Medioevo maturo che, al contrario di Girolamo e Bernardo, guardarono al tempio e al tabernacolo come al modello di riferimento per la preziosità e la ricca decorazione delle chiese, vanno menzionati Ruperto di Deutz (In Exodum, IV, 44), Teofilo (Prol., III) e Suger. La difesa delle immagini ebbe inizio in Occidente con Paolino di Nola (Carm., 27) il quale ne sottolinea il ruolo didattico. La formulazione classica di questa posizione si ritrova nelle lettere di Gregorio Magno a Sereno (Registrum epistolarum, IX, 280; XI, 13). In epoca altomedievale le opere in difesa delle immagini vennero redatte soprattutto durante la controversia iconoclastica. Alcune si indirizzarono contro gli imperatori iconoclasti (lettere apocrife di Gregorio II a Leone III); altre vennero scritte per convincere gli iconoclasti della posizione contraria (lettera di Gregorio II, ora attribuita a Zaccaria, ai Patriarchi di Costantinopoli; Gouillard, 1968; Stein, 1980, pp. 89-137) oppure a sostegno degli imperatori e degli ecclesiastici ortodossi (lettere di Adriano I a Tarasio e agli imperatori Costantino e Irene). Più integro è stato tramandato il c.d. Hadrianum (ca. 791), una difesa del secondo concilio di Nicea, indirizzata da Adriano I a Carlo Magno. Le opere di Dungalo (Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias), di Giona di Orléans (De cultu imaginum) e l'anonimo trattato attribuito ad Agobardo di Lione (De picturis et imaginibus; Boshof, 1969) dovevano ricondurre il furioso iconoclasta Claudio di Torino all'ortodossia. Tra queste opere, le più interessanti dal punto di vista storico-artistico sono le lettere di Adriano I; sebbene i papi del sec. 8° rifiutassero un riconoscimento ufficiale del concilio del 692, il pontefice cita in tutte e tre le lettere l'ottantaduesimo canone di questo concilio, che proibisce la rappresentazione di Cristo-agnello. Nell'epistola a Carlo Magno, Adriano I inserisce una versione interpolata della lettera di Gregorio Magno a Sereno (Registrum epistolarum, IX, 147), che attribuisce a Gregorio, in modo anacronistico, la teoria bizantina della venerazione dei prototipi tramite quella delle immagini. La lettera permette d'altra parte di avere un'idea delle pitture e dei mosaici commissionati dal papa a partire dal 4° secolo. Tra le varie apologie medievali contra Iudaeos (Blumenkranz, 1963) godette di credito l'argomentazione scolastica di Gilberto Crispino.Memoranda.
Paleografi e altri specialisti hanno tratto dai manoscritti - soprattutto negli ultimi cinquant'anni - un numero di notizie e appunti sparsi che nel loro insieme costituiscono spigolature della letteratura artistica. In parte si tratta di excerpta da raccolte di carattere tecnico, in particolare dalla Mappae clavicula (Johnson, 1935; 1937). Una parafrasi di Vitruvio, relativa alle proporzioni dell'uomo, è stata pubblicata da Wirth (1967). Sebbene tali excerpta non offrano alcuna nuova informazione, vale la pena citare la loro esistenza. La trascrizione di singole ricette tradisce uno specifico interesse e indica un atteggiamento pratico che, specie per quanto riguarda la Mappae clavicula, è stato messo in discussione. Altre f. offrono indicazioni tecniche non altrimenti documentabili, per es. due testi del sec. 9° (Bischoff, 1984, pp. 219-223) sulla produzione del vetro e del mosaico.Brevi testi con diversi appunti di carattere iconografico relativi alla raffigurazione degli apostoli, dei quattro grandi profeti, dei tre Magi e di altri santi sono stati pubblicati sia da Wilmart (1930, p. 76) sia da Bischoff (1954, p. 222; 1967; 1984, pp. 224-225).In altre raccolte di appunti lo scrittore tenta di restituire l'aspetto di un oggetto inconsueto o dal valore artistico eccezionale. In questo genere di testi, immuni da aspirazioni ecfrastiche, rientrano le annotazioni del sec. 9° - chiaramente redatte in fretta - contenute in un codice conservato a San Gallo (Stiftsbibl., 48), nelle quali vengono descritte l'organizzazione e l'iconografia di un evangeliario greco (Mütherich, 1987).Un analogo testo del sec. 12°, il cui autore presenta un attento confronto tra due salteri miniati, è stato pubblicato da Wormald (1952), mentre Bischoff (1984, pp. 226-232) ha decifrato una nota quasi illeggibile di Ademaro di Chabannes, nella quale questi cercava di descrivere accuratamente una rappresentazione del Cristo crocifisso, forse un avorio bizantino del gruppo Romanos (Davis-Weyer, 1994). Tra questo genere di testi, il più significativo dal punto di vista storico-artistico è quello della descrizione di Saint-Denis - risalente al 779, copiata nell'830 in un manoscritto di Saint-Denis - che appare dipendente da quella che Gregorio di Tours (Bischoff, 1984, pp. 212-218) fece della basilica di Saint-Martin. Entrambe le descrizioni seguono uno schema da inventario di origine tardoantica.
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Iscrizioni. - Paolino di Nola, Epistolae, a cura di W. Hartel, in CSEL, XXIX, 1894; Prudenzio, Tituli Historiarum, a cura di J. Bergmann, ivi, LXI, 1926, pp. 433-446: 446; Elpidio Rustico, Carmina in historiam Testamenti Veteris et Novi, in PL, LXII, coll. 543-546; Ennodio, Opera omnia, a cura di G. Hartel, in CSEL, VI, 1882; Sidonio Apollinare, Letters, a cura di W. Anderson (The Loeb Classical Library), 2 voll., Cambridge (MA)-London 1936; Aratore, De actibus Apostolorum, a cura di A.P. Kinley, in CSEL, LXXII, 1951; Venanzio Fortunato, Opera poetica, a cura di F. Leo, B. Krusch, in MGH. Auct. ant., IV, 1-2, 1881-1885; Eccheardo IV, Versus ad picturas domus domini Mogontine, in Liber benedictionum Ekkeharts IV, a cura di J. Egli (Mitteilungen zur vaterländischen Geschichte 31), Sankt Gallen 1909, p. 316ss.; Pier Damiani, Opera omnia, in PL, CXLV.
Inventari. - Gregorio di Tours, Historia Francorum, a cura di O.M. Dalton, Oxford 1927, pp. 63-65; Ariulfo, Chronique de l'abbaye de Saint-Riquier (cit.), pp. 86-88; Rodolfo, Gesta abbatum Trudonensium (cit.), pp. 213-317: 230-231; Liber tramitis aevi Odilonis abbatis, a cura di P. Dinter, in Corpus consuetudinum monasticarum, X, Siegburg 1980; Mirabilia urbis Romae, in R. Valentini, G. Zucchetti, Codice topografico (cit.), III, 1946, pp. 3-65; Giovanni Dondi, Iter Romanum, a cura di G.B. de Rossi, in ICUR, II, 2, 1888, pp. 329-334; Gesta pontificum Autissiodorensium (cit.), I, pp. 334-337.
Letteratura tecnica. - Vitruvio, De architectura, a cura di F. Granger (The Loeb Classical Library), 2 voll., London 1933; Mappae Clavicula, a cura di H. Hedfors, in Compositiones ad tingenda musiva, Uppsala 1932; Eraclio, De coloribus et artibus Romanorum, a cura di A. Ilg, Wien 1873 (18882); Teofilo, De diversis artibus, a cura di W.C.R. Dodwell, London e altrove 1961 (rist. anast. Oxford 1986); The De clarea of the so-called Anonymus Bernensis, a cura di D.V. Thompson, Technical Studies 1-2, 1932-1933, pp. 8-19, 69-81; Der Traktat "De Clarea" in der Bürgerbibliothek Bern. Eine Anleitung für Buchmalerei aus dem Hochmittelalter, a cura di R.E. Straub, Schweizerisches Institut für Kunstwissenschaft, 1964, pp. 89-114; Il Libro dell'arte, a cura di D.V. Thompson, 2 voll., New Haven-Oxford-London 1932-1933; Cennino Cennini, Il Libro dell'arte, a cura di F. Brunello, L. Magagnato, Vicenza 1971; G.E. Lessing, Vom Alter der Oelmalerei aus dem Theophilus Presbyter, Braunschweig 1774.
Itinerari, guide e descrizioni di città. - Itinerarium Burdigalense, a cura di P. Geyer, O. Cuntz, in Corpus Christianorum Lat., CLXXV, 1965, pp. 1-26; Itinerarium Egeriae, a cura di E. Franceschini, R. Weber, ivi, pp. 27-90; Egérie. Journal de voyage, a cura di P. Maraval, in SC, CCXCVI, 1982; Adamnano, De locis sanctis, a cura di D. Meehan (Scriptores Latini Hiberniae, 3), III, Dublin 1958; Sylloge Einsiedlensis, a cura di G.B. de Rossi, in ICUR, II, 1, 1888, pp. 9-35; Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom (Codex Einsidlensis 326), a cura di G. Walser, Historia 53, 1987; Liutprando da Cremona, Antapodosis, a cura di J. Becker, Hannover-Leipzig 1915, pp. 154-158; Daniil abate, Wallfahrtsbericht, a cura di K.D. Seemann (Slawische Propyläen, 36), München 1970; Liber V sancti Iacobi (cit.); Giovanni di Würzburg, Descriptio Terrae Sanctae, in Itinera Hierosolymitana Crucesignatorum, a cura di S. De Sandoli (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Maior, 24), II, Jerusalem 1980, pp. 225-295; Teodorico, Libellus de locis sanctis, a cura di M.L. Bulst, W. Bulst (Editiones Heidelbergenses, 18), Heidelberg 1976; Gregorius magister, Narracio de mirabilibus urbis Romae, a cura di R.B.C. Huygens (Textus minores, 52), Leiden 1970, pp. 20, 181-293; Chronica de origine civitatis (Florentiae), in O. Hartwig, Quellen und Forschungen zur ältesten Geschichte der Stadt Florenz, I, Marburg a. d. L. 1875, pp. 37-65; Robert de Clari, La conquête de Constantinople, a cura di P. Lauer, Paris 1924; Giovanni Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, 3 voll., Roma-Parma 1990-1991; Ruy Gonzàlez Clavijo, Embajada a Tamorlán, a cura di F. Lopez Estrada, Madrid 1943; Mirabilia urbis Romae, in R. Valentini, G. Zucchetti, Codice topografico (cit.), III, 1946, pp. 3-65.
Testi liturgici. - Liber tramitis aevi Odilonis abbatis, a cura di P. Dinter, in Corpus consuetudinum monasticarum, X, Siegburg 1980; Beroldo, Calendarium et ordines ecclesiae Ambrosianae Mediolanensis, a cura di M. Magistretti, Milano 1894; Breviarium Eberhardi Cantoris, a cura di E.K. Farrenkopf (Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen, 50), Münster 1969; E. Martène, De antiquis monachorum ritibus libri quinque, Antwerpen 1690; id., De antiquis ecclesiae ritibus libri tres, 4 voll., Antwerpen 1736-1738.
Testi dogmatici e ascetici. - Tertulliano, De idolatria, a cura di A. Reifferscheid, G. Wissowa, in Corpus Christianorum Lat., II, 1954, pp. 1102-1107; Paolino di Nola, Carmina, a cura di W. Hartel, in CSEL, XXX, 1894, p. 288; Agostino, Soliloquia, a cura di W. Hörmann, ivi, LXXXIX, pp. 68-69; id., De consensu Evangelistarum, in PL, XXXIV, col. 1049; Girolamo, Epistolae, a cura di I. Hilbert, ivi, LIV, 1910, pp. 431-433, 436-437; LVI, 1918, pp. 193-195; Gregorio Magno, Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald, L.M. Hartmann, in MGH. Epist., I, 2, 1891, pp. 166, 269ss.; Epistolae Hadriani I Papae, a cura di E. Dümmler, K. Hampe, ivi, V, 1, 1898, pp. 3-57; Libri Carolini, a cura di H. Bastgen, in MGH. LL, II, Suppl., 1924, pp. 13, 151-153; Candido di Fulda, Vita Eigilis abbatis Fuldensis, a cura di G. Waitz, in MGH. SS, XV, 1, 1887, pp. 227-228; Claudio di Torino, Epistola ad Theodomirum abbatem, a cura di E. Dümmler, in MGH. Epist., IV, 1895, pp. 610-613; Agobardo di Lione, De picturis et imaginibus, a cura di L. van Acker, in Corpus Christianorum, LII, 1981, pp. 149-181; Dungalo, Responsio contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, in PL, CV, coll. 463-530; Giona di Orléans, De cultu imaginum, ivi, CVI, coll. 305-388; Gilberto Crispino, Disputatio Iudei et Christiani, in The Works of Gilbert Crispin, a cura di A.S. Abulafia, G.E. Evans, Oxford 1986, pp. 153-161; Bernardo di Chiaravalle, Apologia ad Guillelmum Abbatem, in id., Opera, III, Tractatus et opuscula, a cura di J. Leclercq, H.M. Rochais, Roma 1963, pp. 61-108; R.B.C. Huygens, Le moine Idung et ses deux ouvrages : ''Argumentum super quatuor questionibus'' et ''Dialogus duorum monachorum'', SM, s. III, 13, 1972, pp. 291-470; Ruperto di Deutz, De Sancta Trinitate et operibus eius, X, in Exodum, a cura di H. Haacke, in Corpus Christianorum, XXII, 1972, pp. 582-802.
Letteratura critica. - J. von Schlosser, Beiträge zur Kunstgeschichte aus den Schriftquellen des frühen Mittelalters, Wien 1891; id., Schriftquellen zur Geschichte der karolingischen Kunst, Wien 1892 (18962); id., Quellenbuch zur Kunstgeschichte des abendländischen Mittelalters, Wien 1896; V. Mortet, Recueil de textes relatifs à l'histoire de l'architecture et à la condition des architectes en France au Moyen Age, I, XIe-XIIe siècles, Paris 1911; R. Krautheimer, Die Anfänge der Kunstgeschichtsschreibung in Italien, RKw 50, 1929, pp. 49-63 (rist. in id., Ausgewählte Aufsätze zur europäischen Kunstgeschichte, Köln 1988, p. 277ss.); V. Mortet, P. Deschamps, Recueil de textes relatifs à l'histoire de l'architecture et à la condition des architectes en France au Moyen Age, II, XIIe-XIIIe siècles, Paris 1929; O. Lehmann-Brockhaus, Die Kunst des X. Jahrhunderts im Lichte der Schriftquellen, Strassburg 1935; id., Schriftquellen zur Kunstgeschichte des 11. und 12. Jahrhunderts für Deutschland, Lothringen und Italien, 2 voll., Berlin 1938; id., Lateinische Schriftquellen zur Kunst in England, Wales und Schottland vom Jahre 901 bis zum Jahre 1307, 5 voll., München 1955-1960; E.G. Holt, A Documentary History of Art, 2 voll., Garden City (NY) 1957-1958; D. Knowles, Great Historical Enterprises, London-Edinburgh 1963; C. Davis-Weyer, Early Medieval Art 300-1150 (Sources and Documents), Englewood Cliffs (NJ) 1971 (19862); T. Frisch, Gothic Art 1140-1450 (Sources and Documents), Englewood Cliffs (NJ) 1971 (19862); C. Mango, The Art of the Byzantine Empire 312-1453 (Sources and Documents), Englewood Cliffs (NJ) 1972; I. Herklotz, Historia Sacra und mittelalterliche Kunst während der zweiten Hälfte des 16. Jahrhunderts in Rom, in Baronio e l'arte, "Atti del Convegno internazionale di studi, Sora 1984", Sora 1985, pp. 21-74.
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Itinerari, guide e descrizioni di città. - J.K. Hyde, Medieval Descriptions of Cities, Bulletin of the John Rylands Library 41, 1966, pp. 306-340; C. Mango, The Art of the Byzantine Empire 312-1453 (cit.), 1972; Itineraria Hierosolymitana Crucesignatorum, a cura di S. de Sandoli (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Maior, 24), 4 voll., Jerusalem 1978-1984; J. Wilkinson, Egeria's Travels to the Holy Land, Jerusalem-Warminster 1981; J. Richard, Les récits de voyages et de pèlerinages (Typologie des sources du moyen age occidental, 38), Turnhout 1981; V.C. Corbo, Il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Aspetti archeologici dalle origini al periodo crociato (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Maior, 29), 3 voll., Jerusalem 1981-1982; P. Maraval, Lieux saints et pèlerinages d'Orient: histoire et géographie des origines à la conquête arabe, Paris 1985; C.T. Davis, Topographical and Historical Propaganda in Early Florentine Chronicles and in Villani, Medioevo e Rinascimento 11, 1988, pp. 33-51; J. Wilkinson, Jerusalem Pilgrimage 1099-1185, London 1988; J.G. Davies, Pilgrimage and Crusade Literature, in Journeys toward God, a cura di B.N. Sargent-Baur, Medieval Institute Publication 30, 1992, pp. 1-30.
Testi liturgici. - G.B. De Rossi, Inscriptiones christianae (cit.), 1857-1888; Vetus registrum Sarisberiense alias dictum Registrum s. Osmundi episcopi, a cura di W.H. Rich Jones, in Rer. Brit. MAe. SS, LXXVIII, 1, 1883, pp. 1-185; A. Prost, La cathédrale de Metz, Mémoires de la Société d'archéologie et d'histoire de la Moselle 16, 1885, pp. 314-371; A. Diemand, Das Zeremoniell der Kaiserkrönungen von Otto I. bis Friedrich II., München 1894; U. Chevalier, Ordinaires de l'église cathédral de Laon XIIe et XIIIe siècles, Paris-Louvain 1897; id., Sacramentaire et martyrologe de l'abbaye de S. Rémy. Martyrologe, calendrier, ordinaire et prosaire de la métropole de Reims VIIIe-XIIIe siècles, Paris 1900, p. 92ss.; P. Fabre, L. Duchesne, Le ''Liber censuum'' de l'église romaine, 3 voll., Paris 1905-1952; T. Klauser, Eine Stationsliste der Metzer Kirche aus dem 8. Jahrhundert, Ephemerides liturgicae, n.s., 4, 1930, pp. 162-193; M. Andrieu, Les "Ordines Romani" du haut Moyen Age (Spicilegium sacrum Lovaniense. Etudes et documents, 2, 23-24, 28-29), 5 voll., Louvain 1931-1961; id., La chapelle de Saint Grégoire dans l'ancienne basilique Vaticane, RivAC 11, 1936, pp. 61-64; P.E. Schramm, A History of the English Coronation, Oxford 1937; M. Andrieu, Le pontifical romain au Moyen-Age (Studi e testi, 86-88, 99), 4 voll., Città del Vaticano 1938-1941; E. Panofsky, Abbot Suger (cit.), 1946; R. Valentini, G. Zucchetti, Codice topografico (cit.), III, 1946, pp. 195-266; Y. Delaporte, L'ordinaire Chartrain du XIIIe siècle, Mémoires de la Société archéologique d'Eure-et-Loir 19, 1953; T.F. Mathews, An Early Roman Chancel Arrangement and its Liturgical Functions, RivAC 38, 1962, pp. 73-95; Le Pontifical Romano-Germanique du dixième siècle. Le texte, a cura di C. Vogel, R. Elze (Studi e testi, 226-227, 269), 2 voll., Città del Vaticano 1963-1972; A. Kurzeja, Der älteste Liber ordinarius der Trierer Domkirche, Münster 1970; B. Schimmelpfennig, Die Zeremonienbücher der römischen Kurie im Mittelalter, Tübingen 1973; R. Kroos, Liturgische Quellen zum Bamberger Dom, ZKg 39, 1976, pp. 105-146; T. Klauser, A Short History of Western Liturgy, Oxford 1979; R. Elze, Päpste-Kaiser-Könige und die mittelalterliche Herrschaftssymbolik, London 1982; C. Holdsworth, The Chronology and Character of Early Cistercian Legislation on Art and Architecture, in Cistercian Art and Architecture in the British Isles, a cura di C. Norton, D. Park, Cambridge 1986, pp. 40-55; S. de Blaauw, Cultus et decor. Liturgie en architectur in laatantiek en middeleeuws Rome. Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri [La liturgia nell'architettura del tardo antico e Medioevo a Roma], Delft 1987; G.B. McClendon, The Imperial (cit.), 1987; C.T. Davis, Topographical (cit.), 1988.
Testi dogmatici e ascetici. - MGH. Conc., II, 1-2, a cura di A. Werminghoff, 1904-1908; R.C. Goldschmidt, Paulinus' Churches at Nola. Text, Translations and Commentary, Amsterdam 1940; A. Freeman, Theodulph of Orléans and the Libri Carolini, Speculum 32, 1957, pp. 665-705; B. Blumenkranz, Les auteurs chrétiens latins du moyen âge sur les juifs et le judaïsme, Paris-den Haag 1963; A. Freeman, Further Studies in the Libri Carolini. I-II, Speculum 40, 1963, pp. 203-289; J. Gouillard, Aux origines de l'iconoclasme, le témoignage de Grégoire II, Travaux et mémoires 3, 1968, pp. 234-305; E. Boshof, Erzbischof Agobard von Lyon, Leben und Werk, Köln-Wien 1969; A. Freeman, Further Studies in the ''Libri Carolini''. III. The Marginal Notes in Vaticanus latinus 7207, Speculum 45, 1971, pp. 597-612; R.B.C. Huygens, Le moine Idung et ses deux ouvrages: "Argumentum super quatuor questionibus" et "Dialogus duorum monachorum", SM, s.III, 13, 1972, pp. 291-470; D. Stein, Der Beginn des byzantinischen Bilderstreites, Miscellanea Byzantina Monacensia 25, 1980, pp. 89-137; A.H. Bredero, Le ''Dialogus duorum monachorum'', SM, s. III, 22, 1981, pp. 501-585; C.H. Talbot, The Cistercian Attitude towards Art: the Literary Evidence, in Cistercian Art and Architecture in the British Isles, a cura di C. Norton, D. Park, Cambridge 1986, pp. 56-64; C. Norton, Table of Cistercian Legislation, ivi, pp. 315-393; C. Rudolph, The ''Things of Greater Importance'': Bernard of Clairvaux's Apologia and the Medieval Attitude toward Art, Philadelphia 1990.
Memoranda. - A. Wilmart, Effigies des apôtres vers le début du Moyen Age, Revue bénédictine 42, 1930, pp. 1-76; R.P. Johnson, Some Manuscripts of the Mappae clavicula, Speculum 10, 1935, pp. 72-81; id., Some Continental Manuscripts of the Mappae clavicula, ivi, 12, 1937, pp. 84-103; F. Wormald, A Medieval Description of two Illuminated Psalters, Scriptorium 6, 1952, pp. 18-25; B. Bischoff, Wendepunkte in der Geschichte der lateinischen Exegese im Frühmittelalter, Sacris Erudiri 6, 1954, pp. 189-276 (rist. in id., Mittelalterliche Studien, I, Stuttgart 1966, pp. 234-235); K.A. Wirth, Bemerkungen zum Nachleben (cit.), 1967; B. Bischoff, Zur mittelalterlichen Dramatik und Ikonographie, in id., Mittelalterliche Studien, II, Stuttgart 1967, pp. 167-168; id., Farbrezepte, in Anecdota Novissima (cit.), 1984, pp. 219-220; id., Ein Mosaikrezept, ivi, p. 221; id., Zur Ikonographie der vier grossen Propheten, pp. 224-225; id., Anleitung zur Herstellung eines Crucifixus, ivi, pp. 226-232; F. Mütherich, Das Verzeichnis eines griechischen Bilderzyklus in dem St. Galler Codex 48, DOP 46, 1987, pp. 415-423; C. Davis-Weyer, Speaking of Art in the Early Middle Ages (cit.), 1994, II, pp. 955-991.C. Davis-Weyer
Il mondo bizantino non produsse, in materia artistica, opere paragonabili al Libro dell'arte di Cennino Cennini o ai Commentari di Lorenzo Ghiberti; l'unico trattatello di carattere generale, l'Ermeneutica della pittura di Dionisio da Furnà, sebbene basato su diverse f. più antiche, risale solo al 18° secolo. Per l'epoca medievale gli studiosi dell'arte bizantina devono quindi rivolgersi a testi di vario genere, quali opuscoli teologici, trattati polemici, lettere, sermoni, scritti storici, vite di santi, resoconti di viaggiatori ed ekphráseis.Le f. di gran lunga più importanti sono le deliberazioni prese nel corso della controversia iconoclastica (726-843), che riassumono la quasi totalità degli scritti precedenti sull'arte fornendo nuovi fondamenti teologici e teoretici per la successiva produzione artistica.Se si esaminano gli sporadici riferimenti sia a favore sia contro l'arte nella letteratura cristiana antica, argomenti di un certo peso in favore delle immagini cominciano a emergere nel corso del sec. 6°, in epoca giustinianea, quando venne assegnato all'arte un ruolo ufficiale e si tentò di differenziare il cristianesimo dalla tradizione ebraica, prevalentemente aniconica. Sebbene tali testi non delineino una posizione ufficiale o comunque coerente sull'arte, essi di fatto introducono molti degli assunti destinati in seguito a divenire argomenti centrali: la funzione pedagogica dell'arte, il ruolo delle icone e dei sostegni materiali alla spiritualità cristiana e il nesso fra arte e incarnazione di Cristo.Nilo di Ancira detto il Sinaita (m. nel 430 ca.) nella lettera al prefetto Olimpiodoro (Ep., IV, 61; PG, LXXIX, coll. 577-580) e Ipazio di Efeso (m. nel 537-538) nella sua risposta a Giuliano di Atramizio (Thümmel, 1992, p. 320ss.) sostengono che le raffigurazioni narrative su scala monumentale sono consentite per l'istruzione degli hói pollói; la Vita sancti Spiridonis del sec. 7° (La légende de S. Spyridon, 1953, p. 90) va ancora oltre citando le pitture di una chiesa come prova dell'attendibilità delle narrazioni scritte. Anche gli imperatori iconoclasti Michele II (820-829) e Teofilo (829-842) nella lettera a Ludovico il Pio accettarono l'utilità pedagogica dell'arte (MGH. Conc., II, 2, 1908, p. 478ss.). Questi testi provano l'esistenza, nel mondo bizantino, della pratica di decorare le chiese con immagini a carattere narrativo, confermata anche nella Vita sancti Pancratii del sec. 8° (Mango, 1972, p. 137ss.), nella quale vengono descritti libri di modelli contenenti la storia per immagini dell'Antico e del Nuovo Testamento, destinati a essere utilizzati nelle nuove fondazioni in Sicilia.Al sec. 6° risalgono le ekphráseis di Procopio di Gaza e gli scritti del suo allievo Coricio, il quale applicava le regole della retorica classica alla descrizione di decorazioni di chiese. Le Parastáseis sýntomoi chronikái del sec. 8° descrivono la città di Costantinopoli, con speciale attenzione alle sculture antiche.Unitamente a un concreto interesse per l'arte, nel sec. 6° comparvero nei testi le menzioni di icone acheropite e di altre immagini miracolose. L'icona di Cristo di Kamuliana venne citata per la prima volta intorno alla metà del sec. 6° (Dobschütz, 1899, pp. 123-124) e alla fine del secolo il sacro mandilio era diventato il palladio di Edessa; nel secolo successivo sia Teodoro Sincello nel sermone sull'assedio di Costantinopoli, del 626 (Belting, 1990, pp. 550-552), sia Giorgio Pisida nel De expeditione Persica (ivi, pp. 552-553) riconducono la protezione di Costantinopoli alla sua immagine acheropita. Nelle biografie dei ss. Cosma e Damiano, Simeone Stilita il Giovane, Giovanni IV il Digiunatore, Eutichio, Maria Egiziaca e Teodoro il Siceota, le icone operano miracoli più terreni, risanando per es. gli infermi.Una vera e propria difesa delle immagini cristiane emerge nei trattati polemici del sec. 7°, per es. in quello di Leonzio di Napoli (Thümmel, 1992, p. 340ss.), nelle Questiones ad Antiochum ducem (ivi, p. 354ss.), nei trattati di Giovanni di Tessalonica (ivi, p. 327ss.), di Anastasio Sinaita (ivi, pp. 356-361), di Stefano di Bosra (Die Schriften von Johannes von Damaskos, 1969-1981, III, p. 174) e nell'anonimo testo dei Trofei di Damasco (Thümmel, 1992, p. 362ss.). In risposta a una confutazione basata su diverse prescrizioni bibliche (Es. 20, 4; Dt. 4, 15-19; Sal. 115 [113 B], 2-8; Rm. 1, 23-25; 1 Pt. 4, 3-4), essi giustificano la venerazione delle rappresentazioni materiali con tre argomenti principali: affermando che non è la materia a essere venerata, ma ciò che attraverso di essa viene rappresentato; citando gli oggetti sacri autorizzati dall'Antico Testamento (per es. l'arca dell'alleanza e i suoi cherubini, il serpente di bronzo, il bastone di Aronne, il Tempio di Salomone) per provare come la proibizione mosaica non debba essere presa alla lettera; sostenendo infine che, se il Dio invisibile non può essere raffigurato, ciò è possibile e anzi necessario per il Figlio incarnato. Anastasio Sinaita nel suo Hodegós giunse a impiegare immagini della Crocifissione, della Deposizione nel sepolcro e dell'Anastasi quali prove materiali contro le eresie della fine del 7° secolo. L'unico editto ufficiale relativo alle immagini prima della crisi iconoclastica deve essere visto in questo contesto. Promulgato come canone LXXXII del concilio quinisesto del 692 (secondo concilio Trullano), esso autorizza la rappresentazione di Cristo in forma umana anziché simbolica, riconducendo quest'ultima forma al giudaismo (Thümmel, 1992, p. 374).Già prima della controversia iconoclastica alcune di queste argomentazioni erano state inserite in sistematiche difese delle immagini, per es. in un trattatello di Vertanes Kertogh e in alcune lettere del patriarca Germano (715-730; Thümmel, 1992, pp. 368, 370); ma solo attraverso il dibattito suscitato dall'iconoclastia ufficiale le opinioni e gli scritti delle epoche precedenti trovarono un'organica sistemazione. La natura degli attacchi alle immagini da parte degli iconoclasti può essere ricostruita in larga misura solo sulla base di quello che riportano i fautori del culto delle immagini; queste argomentazioni sono pervenute principalmente sotto tre forme: gli atti dei concili ecclesiastici convocati nel corso della crisi e gli altri pronunciamenti ufficiali, le vite e le storie di santi e i trattati teologici.Le argomentazioni contrarie alle immagini avanzate dall'imperatore Costantino V Copronimo (741-775) nelle sue Péuseis sono state tramandate solo attraverso citazioni frammentarie da parte dei suoi oppositori (Ostrogorsky, 1929, pp. 8-11), ma le decisioni assunte al concilio convocato nel 754 nel palazzo di Hieria lasciano capire come esse fossero ben note (Gero, 1977). L'anonima Oratio adversus Constantinum Cabalinum, del 765-787 (PG, XCV, coll. 309-344), e gli atti del concilio di Nicea, riunitosi nel 787 per restaurare la legittimità del culto delle immagini, costituiscono le f. d'informazione più ricche (Mansi, XII-XIII). Nel corso del concilio vennero letti passaggi significativi delle risoluzioni precedenti in favore dell'arte. Lo Hóros messo a punto dal secondo concilio iconoclastico dell'815 è in larga misura conosciuto attraverso la sua confutazione nella Detectio et eversio di Niceforo (Alexander, 1953). La stessa storia della crisi iconoclastica è fornita, oltre che dal patriarca Niceforo (758-828; Breviarium), da Teofane (ca. 752-818; Chronographia), da Giorgio Monaco (sec. 9°; Chronicon), da Giuseppe Genesio (sec. 10°; Regum libri quattuor), da Teofane Continuato (sec. 10°; Chronographia) e da autori di epoca successiva che si basarono su questi testi. Va infine aggiunta la Vita sancti Stephani iunioris (806; PG, C, coll. 1069-1180) di Stefano Diacono, che contiene preziose informazioni sull'arte durante il regno di Costantino V Copronimo.Le f. più importanti per la comprensione della storia dell'arte bizantina sono i trattati teologici scritti durante la controversia iconoclastica, tra i più antichi dei quali vanno annoverati il De haeresibus et Synodis di Germano e il Contra imaginum calumniatores orationes tres di Giovanni Damasceno. Quest'ultima opera - redatta nel 727-728 come risposta ai primi atteggiamenti iconoclastici e primo trattato bizantino incentrato esclusivamente e sistematicamente sulle immagini - comprende tra l'altro florilegi di testi più antichi che trattano delle immagini allo scopo di documentare la loro esistenza nella prima età cristiana, di distinguere tra archetipo e prototipo e di sottolineare il contrasto tra venerazione spirituale e venerazione materiale; un punto quest'ultimo oggetto di particolare attenzione. Al pari dell'anonimo Nuthesía ghérontos perí tón haghíon eikónon, della metà del sec. 8°, Giovanni Damasceno si basava pressoché interamente su passi delle Scritture e dei Padri della Chiesa; egli integrò però le diverse f. in un'argomentazione che poneva la questione delle immagini all'interno di una solida struttura teologica, come accade anche nella sua Expositio fidei (PG, XCIV, coll. 789-1228; Die Schfriften von Johannes von Damaskos, 1969-1981, II). Poco dopo l'800 Teodoro Abū Qurra scrisse in arabo un trattatello sulle immagini basato sui testi di Giovanni Damasceno. A seguito dei concili di Hieria (754) e di Nicea (787), alle difese teologiche delle immagini venne dato un più complesso fondamento filosofico: il patriarca Niceforo scrisse l'Apologeticus minor (PG, C, coll. 833-850), tre Antirrhetici (ivi, coll. 205-233), il Contra Eusebium et Epiphanidem (Spicilegium Solesmense, 1852-1858, I, pp. 371-503; IV, pp. 292-380), l'Adversus iconomachos (ivi, IV, pp. 233-291), la Refutatio et eversio (Alexander, 1953) e altre opere che riconducono alla questione delle immagini; a Teodoro Studita (759-826) si devono tre Antirrhetici (PG, XCIX, coll. 327-436) e alcune lettere in cui la teologia dell'immagine è sostenuta da basi aristoteliche. Facendo perno sulla superiorità della vista e sull'anteriorità dell'esperienza visiva, sia Niceforo sia Teodoro affermano che le icone sono uguali e forse perfino superiori alle Scritture.La restaurazione delle immagini nel primo giorno di Quaresima dell'843 venne commemorata in un canone dal patriarca Metodio e per mezzo di una solennità annuale, il cui synodikón, insieme con aggiunte successive, espone la posizione ortodossa a proposito delle icone (Gouillard, 1967). Ancora nell'861, nell'869-870 e 879-880, l'iconoclastia fu oggetto di concili ecclesiastici nel corso dei quali le immagini vennero nuovamente considerate equipollenti alla Scrittura (Mansi, XIV-XVI). Il dibattito continuò fino al sec. 10°, ma - eccezion fatta per un breve episodio riguardante Leone di Calcedonia durante il regno di Alessio I (1081-1118), che condusse comunque a una riaffermazione delle posizioni ortodosse (Glavinas, 1972) - le definizioni promulgate nel corso della controversia non vennero più messe in discussione; il trattatello di Giovanni Italo (sec. 11°) Perí eikónon è poco più che una parafrasi di Giovanni Damasceno (Clucas, 1981). Nel Dialogus contra haereses, attraverso la sua reazione alle raffigurazioni occidentali, Simeone di Tessalonica (m. nel 1429) fornisce una visione indiretta della concezione bizantina delle immagini nel sec. 15° (PG, CLV, col. 33ss.).Sorprendentemente i trattati liturgici offrono poche informazioni in materia artistica; i più utili si rivelano il Commentario sulla liturgia divina di Nicola Cabasilas del 1396 e il Perí tú haghíu naú di Simeone di Tessalonica (PG, CLV, col. 305ss.). Per l'epoca posticonoclastica, informazioni sull'arte possono essere desunte soprattutto da testi narrativi (in particolare le vite dei santi), da sermoni e da ekphráseis. La traslazione a Costantinopoli del famoso mandilio di Edessa fornì lo spunto per una Narratio redatta nel 945 e attribuita all'imperatore Costantino VII; fondendo alcune f. precedenti, questo testo decrive l'acquisizione e l'accoglienza della preziosa immaginereliquia (PG, CXIII, col. 423ss.). Il testo anonimo che continua la Chronographia di Teofane (detto appunto Teofane Continuato) descrive avvenimenti e opere del sec. 9° e degli inizi del 10°; per il periodo successivo si ritrovano notizie in Michele Psello (1018-1096), Costantino Manasse (sec. 12°), Niceta Coniate (m. nel 1213) e Nicola Mesarite (secc. 12°-13°). Psello per es. narra di come l'imperatrice Zoe prevedesse il futuro osservando i cambiamenti di colore di un'icona rappresentante Cristo (Chronographia, VI, 66).Tra i testi agiografici, la vita di Tarasio, opera di Ignazio Diacono (PG, XCVIII, col. 1385ss.), redatta immediatamente dopo la fine dell'iconoclastia, e le vite di Atanasio Atonita del sec. 11° e di Nicone Matanoeite del sec. 11° o 12° sono ricche di particolari sui possibili usi dell'arte e sul potere miracoloso delle icone (Kazhdan, Maguire, 1991).Il genere letterario dell'ékphrasis continuò a essere popolare dopo la fine dell'iconoclastia. Nel suo trattato Antichità della storia della Chiesa del sec. 9°, Ulpio descrive le caratteristiche fisiche dei personaggi dell'Antico Testamento e dei santi cristiani basandosi sulle pitture monumentali (Chatzidakis, 1938); in un sermone pronunciato in occasione della ridedicazione dell'abside della Santa Sofia di Costantinopoli nell'867, il patriarca Fozio (Hom., XVII) delineò, attraverso la descrizione del nuovo mosaico, la teoria posticonoclastica dell'immagine (Mango, 1972, pp. 187-190). Nel secolo successivo Costantino Rodio descrisse la chiesa dei Ss. Apostoli e altri monumenti di Costantinopoli (Legrand, 1896); inoltre la cronaca in versi di Costantino Manasse comprende varie ekphráseis. Sulla linea di questa tradizione si inseriscono Filagato, un predicatore dell'Italia meridionale attivo nel corso del sec. 12°, e Nicola Mesarite, le cui descrizioni della chiesa dei Ss. Apostoli, della chiesa della Vergine del Faro e di altri monumenti di Costantinopoli costituiscono un importante esempio del tardo 12° secolo. Una nuova disposizione nei confronti delle immagini - delle quali vengono sottolineate la vivezza spirituale e l'interazione con lo spettatore, esaltandone l'originalità artistica - emerge da un sermone di Michele Psello contenente un'ékphrasis su un'icona della crocifissione (Gautier, 1991).La poesia liturgica, in cui possono essere compresi anche gli epigrammi iscritti su oggetti liturgici (Nunn, 1986), pone l'accento sul significato degli oggetti. Una raccolta di epigrammi, compilata nel sec. 10°, fu arricchita da Massimo Planude intorno al 1300 (Anthologia Graeca) e nel sec. 14° il poeta di corte Manuele File (1275-1345 ca.), che compose epigrammi per icone e miniature, descriveva numerosi oggetti d'arte, utilizzandoli come punto di partenza per meditazioni spirituali.Dopo la fine dell'iconoclastia continuò la tradizione della letteratura di viaggio. I Pátria del sec. 10° derivano in parte dalle precedenti Parastáseis sýntomoi chronikái; nell'ultimo periodo anche le corrispondenze epistolari, per es. le lettere di Manuele Chrisolora (1350-1415; PG, CLVI, col. 24ss.) contengono descrizioni dell'arte della capitale bizantina. Particolarmente ricca è la letteratura di viaggio russa (Majeska, 1984).Anche i documenti ufficiali riportano informazioni sull'arte. I più importanti tra questi sono gli inventari (brevia) allegati ai testamenti e ai documenti concernenti l'amministrazione dei monasteri (typiká). Il Libro degli Eparchi è una collazione, probabilmente compilata nel sec. 10°, delle normative che regolamentavano l'attività degli artigiani costantinopolitani.
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L'esame delle f. della storia dell'arte islamica, pur non essendo fatto recente negli studi, risulta ancora oggi complementare all'indagine delle opere che quell'arte costituiscono. La presenza non significativa di f. espressamente dedicate ai fenomeni artistici rappresenta un ostacolo oggettivo. Lo sforzo degli studiosi viene perciò destinato allo studio di elementi utili desumibili dall'immenso corpus testuale delle varie letterature islamiche, principalmente l'araba, la persiana e la turca.Alcune raccolte di edizioni possono facilitare l'indagine (Bibliotheca geographorum Arabicorum, 1870-1894; Gibb Memorial Series, 1905-1927; Gibb Memorial Series. New Series, 1921 ss.); si dispone inoltre di opere enciclopediche (Enc. Islam, 1913-1938, Enc. Islam2, 1960 ss.; Islam Ansiklopedisi, 1950-1974; Enc. Iran., 1985ss.; Handbuch der Orientalistik, 1955-1994), di repertori generali e dei testi manoscritti (Pearson, 1958; Storey, 1927-1977), di trattazioni di natura storico-letteraria (Brockelmann, 1898-1902; 1937-1942; Gabrieli, 1967; Sezgin, 1967-1984; Pagliaro, Bausani, 1968; Rypka, 19682; Bombaci, 1969; Ṣafā, 1991-1992⁹) che possono fornire i dati bibliografici necessari all'approccio con i testi.Le f. manoscritte solo sporadicamente sono state descritte e catalogate con indicazioni funzionali agli studi storico-artistici; lo stesso dicasi del materiale di archivio, anche se, in tempi recenti, diversi studi hanno affrontato i documenti dei waqf ('fondazioni pie'), con risultati sorprendenti (Rogers, 1976-1977; David, 1982; Pascual, 1983; Tate, 1990). Tuttavia l'accesso limitato a questo tipo di fondi e la quasi totale assenza di edizioni sistematiche dei testi rendono ancora ardua un'indagine complessiva dei materiali esistenti. Quanto al materiale epigrafico, diversamente dall'epigrafia occidentale, quella islamica offre minore ricchezza di contenuti; tuttavia le indicazioni che essa fornisce svolgono un ruolo importante nella considerazione della cronologia e della committenza artistica. Gli studi epigrafici hanno origini remote e sono strettamente legati alla nascita stessa della storia dell'arte islamica; di recente essi hanno avuto un notevole rilancio (v. Epigrafe).
Fonti geografiche. - Scarse sono le nozioni geografiche, limitate spesso alla toponomastica, della letteratura araba protoislamica e omayyade. Solo nel periodo abbaside (750-1258) si ebbe una maturazione della disciplina: l'assoggettamento definitivo di terre come l'Iran, il Sind e l'Egitto permise agli Arabi di acquisire una mole notevole di notizie e soprattutto di integrarle con quelle desunte dall'esperienza diretta, permettendo così di elaborare un cospicuo materiale scientifico sulle aree di dominazione islamica nel Medioevo. Se il termine jughrāfīyā ('geografia') non compare prima delle Rasā'īl Īkhwān al- ṣafā (Le epistole dei fratelli della purità) del sec. 10° (Bausani, 1978, pp. 51-56), già nel corso del sec. 9° la geografia veniva trattata come qaṭ 'al-arḍ ('ripartizione della Terra') o come ṣūrat al-arḍ ('raffigurazione della Terra'). È in questo secolo che vennero scritte le prime grandi opere di geografia universale, che derivavano dalla necessità di instaurare una rete postale regolare e perciò di studiare il sistema viario delle varie province dell'impero abbaside. Al-Kindī (m. nell'874) scrisse per i califfi al-Ma'mūn (813-817) e al-Mu' taṣim (833-842) il perduto Ma'mūr min al-arḍ (Le parti abitate della Terra). Vari suoi discepoli, tra i quali spiccano Ibn Khurdādhbih (m. nell'855) e Aḥmad al-Sarakhsī (m. nell'899), composero nel corso del sec. 9° opere improntate alla descrizione dei sistemi viari del califfato e intitolate Masālik wa'l-mamālik (Le nazioni e le vie), titolo questo che sarebbe tornato in diversi testi del secolo successivo (Miquel, 1973). Poco più giovane di Ibn Khurdādhbih è Ya'qūbī (m. nel 900 ca.), autore del Kitāb al-buldān (Il libro dei paesi), che del suo contemporaneo riprese l'intento classificatorio, fondendolo tuttavia a un maggiore senso della storia; per altro Ya'qūbī scrisse un trattato storico, Ta'rīkh (Storia), che costituisce anch'esso una delle f. più importanti nella storia del califfato abbaside delle origini.Nel corso del sec. 10° la scuola di Balkhī (m. nel 934) riprese il dettato di al-Kindī. Vero e proprio iniziatore della cartografia islamica, Balkhī, con il suo ṣuwar al-iqlīm (Raffigurazione dei climi), produsse il primo atlante commentato del mondo islamico. I suoi epigoni - principalmente Iṣṭakhrī (m. nel 951), Ibn Ḥawqal (m. nel 977) e Muqaddasī (m. dopo il 988) - descrissero ampiamente la mamlakat al-Islām ('nazione islamica') che iniziava allora il suo progressivo processo di disgregazione: al di là delle informazioni topografiche (Le Strange, 19302), queste f. consentono a tutt'oggi un'indagine del mondo abbaside precedente l'invasione mongola. Esse forniscono soprattutto notizie notevoli sulle città più importanti: la Baghdad circolare di al-Manṣūr, rasa al suolo dai Mongoli, e la Samarra abbaside, oggi grande area archeologica.Sebbene quasi sempre i primi testi fossero scritti in arabo, molti geografi furono di origine iranica, specialmente tra il 9° e il 10° secolo. Un caso emblematico è costituito dalla personalità enciclopedica di Ibn Rusta (m. nel 903), che, vissuto a Isfahan, offre una testimonianza diretta di questa città nel suo al-A'lāq al-nafīsa (Gli oggetti preziosi), mentre ammette egli stesso di essersi rifatto ad altre f. per descrivere il resto del mondo. Persiano è anche Ibn Faqīh di Hamadan (fine del sec. 9°-inizi del 10°), autore di un Kitāb al-buldān (Il libro dei paesi) in cui sono descritte le regioni del califfato, seppure in modo meno puntuale dell'omonimo trattato di Ya'qūbī, del secolo precedente. Nel corso del sec. 10° venne comunque redatta una delle prime trattazioni geografiche in lingua persiana, l'anonimo Ḥudūd al-'ālam (I confini del mondo), che, oltre a importanti informazioni sulle province iraniche orientali dell'impero, fornisce un numero consistente di notizie sui movimenti commerciali e sulla produzione materiale delle regioni trattate. La geografia non manca di interessare l'attività di scienziati come Khwārizmī (m. nell'850 ca.), autore di un Ṣūrat al-arḍ sopravvissuto solo in forma incompleta.Il sec. 10° è anche caratterizzato da trattazioni geografiche incorporate in testi enciclopedici. È il caso certamente dei Murūj al-dhahab (Le praterie d'oro) di Mas'ūdī (m. nel 956), scienziato noto in Occidente come l'Erodoto arabo: delle regioni che visitò egli fornì ampie descrizioni, arricchendo le nozioni acquisite da opere altrui con quelle derivate dall'esperienza diretta. I Murūj al-dhahab sono caratterizzati da una trattazione non sistematica dei soggetti, con un erratico spostamento da un tema all'altro. È il caso della descrizione della costruzione della Grande moschea di Damasco, di cui l'autore offre, in parti diverse dell'opera, informazioni importanti, rilevando tra l'altro dati epigrafici e notizie sulla sua costruzione. Un'altra personalità enciclopedica, spesso paragonata a Mas'ūdī, il poligrafo al-Bīrūnī (m. nel 1050), offre con la sua Ta'rīkh al-Hind (Storia dell'India) una delle prime testimonianze medievali su questa regione.Al periodo abbaside risalgono diversi resoconti di viaggiatori musulmani. Spesso meno attendibili delle trattazioni scientifiche, i loro testi possono incorporare elementi di sapore mitologico e fantastico. Inoltre non è infrequente che le descrizioni di viaggio siano in realtà raccolte di testimonianze diverse radunate da un compilatore: è il caso dell'Akhbār al-Ṣīn wa'l-Hind (Notizie della Cina e dell'India) attribuito al mercante Sulaymān, originario di Sīrāf, importante città sul golfo Persico. Completamente improntato al favoloso è il racconto del mercante persiano Buzurg b. Shahriyār, che intorno al 985 scrisse un 'Ajā'ib al-Hind (Le meraviglie dell'India). Ben diverso è il discorso per le relazioni di viaggio diplomatiche, come quella di Ibn Faḍlān, che nel 921 compì per conto del califfo al-Muqtadir (908-932) una missione nelle terre settentrionali dell'impero, riportando importanti informazioni sulle popolazioni turche e slave che vi abitavano.Con la fine del c.d. periodo classico dell'Islam medievale si assiste a una sostanziale decadenza degli studi geografici. Non mancano però importanti eccezioni: l'andaluso al-Bakrī (m. nel 1094) sviluppò la precedente tradizione di repertori e dizionari geografici. Nel suo Mamālik wa'l-masālik (Le nazioni e le vie), offre tra l'altro un quadro dettagliato della penisola iberica e del Maghreb con particolare attenzione al dato topografico. Ad alcune parti della sua opera si rifece Idrīsī, autore più celebrato in Occidente che nell'Oriente islamico, dove fu spesso visto come un rinnegato. Idrīsī concluse nel 1154 per Ruggero II il suo Nuzhat al-mushtāq fī'khtirāq al-āfāq (Il piacere di colui che desidera attraversare gli orizzonti): al di là del dato topografico di estrema rilevanza, l'opera costituisce una summa di trattati precedenti, raccolti molto probabilmente per ordine del sovrano normanno. Nel corso del sec. 13° i testi di al-Bakrī e Idrīsī costituirono la base di varie trattazioni, tra le quali quella del magrebino Ḥimyārī, autore del Kitāb al-rawḍ al-mi'ṭār (Libro dell'aiuola odorosa). Il periodo postclassico del califfato abbaside è anche caratterizzato da numerose relazioni di viaggio. Di estremo interesse è il persiano Safarnāma (Libro di viaggio) di Nāṣir-i Khusraw (metà del sec. 11°), f. primaria sui domini fatimidi che l'autore visitò. La sua formazione religiosa sciita e lo stile realistico della descrizione conferiscono alla sua testimonianza grande originalità e ne fanno un esempio difficilmente eguagliato per chiarezza.L'invasione mongola culminata con la presa di Baghdad nel 1258 portò a trasformazioni considerevoli nella produzione letteraria e scientifica. Predominano negli studi geografici i dizionari e le trattazioni enciclopediche, di cui i trattati di Yāqūt (m. nel 1229) costituiscono un'anticipazione. Un esempio della nuova tradizione è certamente nel sec. 13° l'opera di Qazwīnī (m. nel 1283), autore di due enciclopedie assai importanti per la mole di informazioni che forniscono, anche se raramente di prima mano: l'Āthār al-bilād (I monumenti dei paesi) e l''Ajā'ib al-makhlūqāt (Le meraviglie del creato). Nel corso del Trecento la Siria divenne un centro importante di studio della geografia; il principe Abū'l-Fiḍā', che può essere considerato l'ultimo grande geografo del Medioevo musulmano, offrì un ulteriore compendio con il suo Taqwīm al-buldān (Ricognizione dei paesi).Con il granadino Ibn Jubayr (1145-1217), i libri di viaggio subirono un'evoluzione: la sua Riḥla (Viaggio), infatti, non introduce novità particolari rispetto a quanto già era stato detto dai geografi classici, ma l'uso dell'elemento memorialistico e la minuta descrizione dei luoghi visitati fanno di questa f. un oggetto di studio primario. Di estremo interesse sono la sua descrizione della Grande moschea di Damasco, delle antiche metropoli di Siria, Palestina e Iraq, e soprattutto quella della Sicilia musulmana, dove l'autore sbarcò nel 1184 registrando nel corso di due mesi informazioni considerevoli sul regno normanno. L'apoteosi del genere della riḥla fu poi raggiunta da Ibn Baṭṭūṭa (m. nel 1369), viaggiatore originario di Tangeri. Nella sua monumentale Riḥla (Viaggio) questi descrive il mondo conosciuto dall'Africa settentrionale alla Cina. L'inserimento di aneddoti e la disinvoltura stilistica permettono di andare anche al di là della dettagliata descrizione dei siti e di acquisire dati antropologici e storici significativi. Sono stati sollevati alcuni dubbi sull'autenticità della relazione là dove essa affronta regioni estranee al mondo islamico, come la terra dei Bulghar (regione del Volga), in cui sembrerebbe attingere a f. precedenti, ma nel complesso essa appare molto attendibile, non mancando di offrire notizie anche sul mondo non musulmano, come quelle su Costantinopoli, che l'autore visitò nel 1333.I testi geografici e le relazioni di viaggio prodotte dopo il Quattrocento costituiscono anch'essi una f. notevole per lo studio del Medioevo islamico. La tradizione geografica classica prosegue in varie relazioni di viaggio ottomane, come quella di Maṭrākçi Naṣūḥ al-Silāḥi, che è giunta corredata di un prezioso apparato iconografico, e soprattutto quella di Evliya Çelebi, uno dei maggiori viaggiatori di tutta la storia islamica, che nelle seimila pagine del suo Seyahatnâme (Libro di viaggi), del 1611, offre una vivida descrizione del mondo islamico, non priva di curiosità archeologiche. Per la necessità di fronteggiare le potenze europee sui mari, nacque una letteratura marinara che permettesse alle flotte di contrastare quell'ascesa. Rilevante è in tal senso il contributo di di Ibn Majīd (m. nel 1436) e più tardi dell'ottomano Piri Reis (m. nel 1544) autore di celebrati portolani (XIV-XVIII Yüzyıl Portolan, 1994).
Fonti storiche. - Il termine arabo ta'rīkh, che significa sia 'data' sia 'era', non compare nella letteratura preislamica né in quella coranica. Risulta anche estraneo alle raccolte di ḥadīth ('tradizioni') che, seppur sostanzialmente in modo indiretto, costituiscono le prime f. storiche significative del Medioevo islamico: già Ibn Isḥāq (m. nel 768) in epoca omayyade forniva un esempio di questo genere storiografico incentrato sulla vita del Profeta; nei secoli successivi diversi compilatori, come Ibn Hishām e al-Bukhārī (sec. 9°), perpetuarono la tradizione portandola a una sempre maggiore specializzazione.A parte questo tipo di storiografia, esisteva già una letteratura storica praticata dagli Arabi preislamici e protoislamici: in essa predominavano le compilazioni genealogiche e le descrizioni di eventi bellici. Da quest'ultimo tipo di testi deriva probabilmente anche la trattatistica destinata alla descrizione delle conquiste e all'impianto dell'amministrazione musulmana nei territori occupati. Tale genere raggiunse la maturità nel sec. 9° grazie all'opera di Balādhurī (m. nell'892), autore del Futūḥ al-buldān (Le conquiste dei paesi), in cui tra l'altro è riportata un'importante, e finora unica, notizia sui primi conî islamici.Solo il contatto con le grandi tradizioni sasanide e bizantina, maturato in epoca abbaside, favorì lo sviluppo di una concezione storica nuova, principalmente grazie alla rinascita dell'annalistica. Risulta controversa l'origine di questo tipo di storiografia, della quale è possibile individuare un precedente nella tradizione iranica già di epoca achemenide e poi continuata e consolidata in opere come il Khvadāynāmag (Libro dei re) sasanide. Quest'opera, tradotta in arabo da Ibn Muqaffa' nel corso del sec. 8°, avrebbe poi ispirato lo Shāhnāma (Libro dei re) di Firdawsī (m. nel 1021). Anche sul versante bizantino, del resto, non mancarono esempi di annalistica.A questi modelli di storia generale si rifecero certamente il già citato Ya'qūbī e Dīnawarī (m. nell'895) nelle loro storie del mondo, che percorrevano le epoche attraverso la storia biblica e quella dei re di Persia per approdare al periodo islamico. L'iranico arabografo Ṭabarī (m. nel 923) fu il massimo rappresentante di questo tipo di storiografia: egli, pur non abbandonando totalmente il metodo tradizionale dei primi storici arabi - tra l'altro fu autore di un'importante esegesi del Corano -, nel suo Ta'rīkh al-rusūl wa'l-mulūk (Storia dei profeti e dei re) propose un nuovo modello che influenzò la letteratura storica successiva. Se ne ritrova l'impronta in autori del sec. 11° come Tha'ālibī, che nel suo Ghurār akhbār al-mulūk wa siyarihim (Il cuore delle storie e delle vite dei re) ripropose intere trattazioni del suo predecessore. Lo stesso fece nel secolo successivo Ibn al-Jawzī (m. nel 1200), autore di diversi trattati storici. La traduzione persiana dell'opera di Ṭabarī, eseguita da Bal'amī per il sovrano samanide Manṣūr I b. Nūḥ già nel corso del sec. 10°, costituisce certamente uno dei primi monumenti della letteratura neopersiana.Tra i secc. 13° e 14° le storie universali si arricchirono di due importanti trattazioni. La prima è costituita dal Kāmil al-tawārīkh (Somma delle storie) di Ibn al-Athīr (m. nel 1233), vissuto in Mesopotamia durante il periodo ayyubide. Questa f., pur ricalcando nella parte più antica il dettato tabariano, costituisce una miniera di informazioni sia per l'epoca dell'autore e sia per i tre secoli precedenti. Di non secondaria importanza sono le descrizioni della vicenda crociata, di cui Ibn al-Athīr fu testimone oculare. La seconda storia universale, redatta questa volta in lingua persiana, è opera di Rashīd al-Dīn Faḍlu'llāh, che scrisse nel 1312 il suo Jamī 'al-tawārīkh (Raccolta delle storie) per il sovrano ilkhanide Öljeytü. Oltre a costituire una preziosa replica alle ampollose storie ufficiali - che proprio in quest'epoca cominciavano a caratterizzare la prosa persiana, come il Ta'rīkh-i Jihāngushā (Storia del conquistatore del mondo) di Juvaynī (m. nel 1283) -, essa conobbe una notevole tradizione manoscritta, spesso corredata da un apparato illustrativo che di per sé costituisce una delle f. più importanti su tutto il periodo mongolo.Ultimo grande storico universale dell'Islam medievale fu Ibn Khaldūn (m. nel 1406), la cui celebre Muqaddima (Prolegomeni) - insieme al meno famoso Kitāb al-'ibar (Libro degli esempi) - costituisce certamente un fatto a sé stante nella storiografia musulmana: l'acume dell'informazione sociologica e la teoria della storia formulata con parametri del tutto nuovi possono essere avvicinati all'odierno pensiero occidentale. Nella terza e ultima parte della Muqaddima, certamente la più interessante come f., l'autore magrebino fornisce una preziosa storia dei Berberi e dell'Africa settentrionale.
Fonti locali. - I primi storici musulmani lamentarono spesso l'assenza e la sporadicità della storiografia regionale, che sembra sorgere dichiaratamente solo nel sec. 11°, quando Māfarrukhī, nel redigere il suo Maḥāsin Iṣbahān (Le bellezze di Isfahan), dichiara nella premessa che l'incentivo alla redazione del testo è stato l'amore per la sua città. Caratteristica nelle storie locali è la divulgazione di tradizioni storiografiche autoctone, come in Ibn al-Azraq (m. nel 1154), autore di una storia di Mayyāfariqīn (od. Silvan, in Turchia orientale), che attinge a f. cristiane (Rosenthal, 1952, pp. 150-152).Diverse sono le storie di Baghdad, come quella iniziata da Aḥmad b. Abī Ṭāhir Ṭayfur (m. nell'893) e proseguita dal figlio 'Ubaydallāh (m. nel 926), o quella molto celebre redatta da al-Khaṭīb (m. nel 1071), che costituisce una f. primaria per la storia della città abbaside.In Egitto la storiografia locale ebbe un incremento notevole con al-Musabbiḥī (m. nel 1030) e Ibn Muyassar (m. nel 1278). Non mancano descrizioni enciclopediche come la Nihāyat (Conclusione) di al-Nuwayrī (m. nel 1333), incentrata sulla storia d'Egitto dagli Abbasidi ai Mamelucchi. In essa tra l'altro l'autore non mancò di riprodurre anche documenti dei waqf. Tra i più importanti monumenti della storiografia egiziana riveste però un ruolo determinante il Khiṭāṭ (Distretti) di al-Maqrīzī, topografo e antiquario (m. nel 1442). Insieme al Kitāb al-sulūk (Libro delle istituzioni), trattato generale di storia egiziana sotto gli Ayyubidi e i Mamelucchi, il Khiṭāṭ offre una testimonianza di inestimabile valore non solo per le notizie storiche e topografiche che riporta, ma anche per quelle archeologiche. Più tardi Ibn Taghrībirdī (m. nel 1469) nel suo Nujūm al-zāhira (Le stelle fulgenti) avrebbe fornito la più ampia storia dell'Egitto medievale dalla conquista araba al 1453.Diverse sono anche le descrizioni di Gerusalemme, spesso venate di connotazioni religiose per via del culto legato all'area sacra dello Ḥaram al-Sharīf, che dal sec. 11° in poi acquistò sempre maggiore importanza nel pensiero religioso musulmano, come attesta la letteratura dei faḍā'il al-Quds (Excellentiae Ierosolymitanae; Sivan, 1967; 1971). Quanto alla Siria, le storie redatte prima sotto gli Ayyubidi e poi sotto i Mamelucchi sono state oggetto di approfondite ricerche, da quella generale su Siria e Mesopotamia di Ibn Shaddād (m. nel 1285), a quelle di Ibn al-Qalānisī e di Ibn 'Asākir su Damasco, composte nella seconda metà del sec. 12° (Eliséeff, 1956). Le città sante della Mecca e di Medina furono oggetto di particolare interesse, per es. nell'opera molto antica di al-Azrāqī (sec. 7°), plagiata da quella di al-Fākihī (m. nell'885). Questi testi si possono ricollegare alla letteratura c.d. delle ziyārat, ossia dedicata alla descrizione dei luoghi di culto musulmani: Harawī (m. nel 1214), che descrisse i principali santuari islamici, e Nu'aymī (m. nel 1250), che tracciò una storia delle maggiori madrase dell'Islam, ne sono gli esempi più significativi. Lo Yemen fu anch'esso oggetto di trattazioni particolareggiate (al-Ḥajrī, 1984).Quanto alle terre non arabe, la necessità di legittimare la propria identità nazionale costituì certamente un veicolo notevole nella redazione di storie locali. È il caso principalmente dell'Iran, dove questo genere ebbe una considerevole fioritura con il distaccarsi progressivo di queste province dal cuore dell'impero abbaside. Diverse sono le storie di Isfahan, come quella già citata di Māfarrukhī e quella di Ḥamza Iṣfahānī (m. nel 961), autore anche di una storia universale. Molto studiata è stata la storia di Bukhara del sec. 10° di Narshakhī, a cui può essere accostata tipologicamente quella di Qumm, redatta nel sec. 11° da Ḥasan b. Muḥammad al-Qummī. Poco noto è Gardīzī (metà del sec. 11°), che sotto i Ghaznavidi scrisse un trattato in cui affrontò tra l'altro la storia del Khorasan dalle origini al suo tempo, fornendo molte importanti notizie sulle popolazioni turche dell'altopiano iranico. Alla metà del sec. 12° risale la monumentale storia di Bayhaq di 'Alī b. Zayd Bayhaqī, che costituisce anche una delle f. più importanti sulla dinastia ghaznavide (Bertotti, 1991). Diverse e importanti sono le f. storiche relative a città andate completamente distrutte per l'invasione mongola, come Nishapur e Marv (Barthold, 19282). Non può infine non essere menzionata la storia del Tabaristan, composta nel sec. 13° da Ibn Isfandiyār.Le f. sulla Spagna musulmana, redatte frequentemente insieme alla storia dell'Africa settentrionale, sono state spesso studiate (Dozy, 18813; Lévi-Provençal, 1950-1953). Tra i vari autori spicca Ibn al-Faraḍī (m. nel 1013), che scrisse una storia dei sapienti di Spagna, ordinati alfabeticamente, con numerosi aneddoti e notizie sulle loro città di appartenenza.Numerose sono le f. sui domini selgiuqidi di Anatolia, a cominciare dal monumentale trattato di Ibn Bībī (sec. 13°), f. notevole anche per le informazioni sul regno bizantino di Trebisonda e sugli Armeni in Cilicia, sino all'opera storica di 'Ārifi, che tra la fine del sec. 13° e gli inizi del 14° scrisse il Manākib al- 'Ārifīn (Le eminenze sapienti).Particolarmente importante per la storia dell'arte islamica risulta il Müsâmeret ül-Ahbar (L'intrattenimento delle notizie), di Aqsarāyī (sec. 13°-14°), redatto in epoca mongola.
Altre fonti. - Rientrano tra le f. anche molte opere scientifiche, in considerazione del legame che intercorre tra esse e le principali tecniche artistiche; inoltre molti di questi testi fornirono l'occasione per illustrare manoscritti con miniature di grande pregio, come è il caso del celebre Kitāb fī ma'rifat al-ḥiyal al-handasiyya (Libro della conoscenza delle apparecchiature meccaniche ingegnose) di al-Jazarī (fine sec. 12°), redatto presso la corte artuqide, o di numerose trattazioni astronomiche, tra le quali il Ṣuwar al-kawākib al-thābita (Descrizione delle stelle fisse) di al-Ṣūfī (m. nel 986), più volte illustrato in codici medievali (Ettinghausen, 1960, pp. 51-53, 130-131, 183-185).Sono state esaminate dal punto di vista artistico numerose f. tecniche sulla lavorazione dei metalli (Lombard, 1974; Allan, 1979; Melikian-Chirvani, 1982): è il caso del trattato di al-Bīrūnī, intitolato Kitāb al-jamāhir fī ma'rifat al-jawāhir (Summa della conoscenza delle gemme) del sec. 11°, e del più tardo Tansūkhnāma (Libro di mirabilia) di Nāṣir al-Dīn Ṭūsī (m. nel 1274). Importante è anche la trattatistica destinata alla fabbricazione di oggetti specifici, come le armi nell'opera di Ṭarsūsī del sec. 11° (Cahen, 1947-1948).Anche le specifiche trattazioni sulla produzione di stoffe e tessuti sono state oggetto di studi: dalla pubblicazione di un'importante raccolta di lettere egiziane su papiro del sec. 9° conservate a Parigi (Louvre; Raġib, 1985), all'indagine complessiva delle f. relative all'attività dei ṭirāz (officine tessili palatine e private) compiuta da Serjeant (1942-1951) e da Lombard (1978). Scarse e meno indagate sono le f. sulla produzione di tappeti, nota soprattutto per i dati ricavati dall'esame della pittura occidentale (Erdmann, 1955; Yetkin, 1981); tra le poche f. sulla produzione ceramica va ricordato il trattato trecentesco di Abū'l-Qāsim.Un discorso a sé stante richiede il materiale manoscritto: mentre esistono numerose biografie di calligrafi, tra i più importanti Ibn Muqla e Ibn al-Bawwāb (Piemontese, 1980; Orsatti, 1990), e anche la storia della legatura gode di una discreta letteratura (Islamic Bindings, 1981), assai più sporadiche o frammentarie sono le f. relative alla miniatura, almeno per quanto concerne il Medioevo.Perduto il trattato sui pittori redatto dal già citato Maqrīzī (Arnold, 19652, pp. 20, 138), le prime notizie sulla pittura islamica medievale derivano da brani di trattazioni dedicate ad altri soggetti, come il Chahār maqala (I quattro discorsi) di Niẓāmi Arūżī (m. post 1156), dove si parla di una bottega di ritrattisti operante per il sovrano ghaznavide Maḥmūd (988-1030), o da testi poetici, come una lirica del poeta laureato Mutanabbī dedicata al sovrano Hamdanide di Aleppo Sayf al-Dawla (945-967), che descrive dettagliatamente una pittura in una tenda (Horovitz, 1910). La prima compilazione interessante, per quanto concerne le biografie dei miniatori musulmani, risale solo al 1544, quando Dūst Muḥammad scrisse in lingua persiana lo Ḥālāt-i Hunarvarān (Biografie degli artisti), nel quale viene affrontata una storia della pittura, dalle mitiche origini sino all'epoca dell'autore; molto importanti sono le informazioni fornite sugli artisti operanti nel periodo del sovrano ilkhanide Abū Sa'īd (1317-1334).Particolarmente interessanti per quanto riguarda la produzione artistica sono le f. relative alla produzione artigiana. Costituisce strumento di studio, per la verità ancora marginalmente investigato, il materiale relativo alla letteratura della ḥisba, dedicata al mantenimento dell'ordine pubblico nei mercati e caratterizzata da normative dettagliate sul controllo della produzione artigiana, come quella di Ibn Ukhūwwa (m. nel 1329; Lévi-Provençal, 1934). A questo tipo di letteratura possono essere accostate alcune parti di trattati oniromantici, come quello di Ibn Sīrīn (m. nel 728), in cui vengono descritte le arti e i mestieri per il loro valore nell'interpretazione dei sogni.Quanto alle f. letterarie, da esse attraverso la descrizione di edifici mitologici si possono ricavare indicazioni importanti (Rubiera y Mata, 1990). È il caso per es. della costruzione del mitico palazzo del Khavarnaq nelle Haft Paykar (Le sette principesse) di Nizāmī di Ganja (m. nel 1204) - al quale è collegata una fiorente tradizione letteraria (Basset, 1906; Bernardini, 1992) - e anche di tutta la tradizione islamica relativa alla fondazione di città ed edifici storici, come quella di Santa Sofia di Costantinopoli, sulla quale venne poi imbastita una vera e propria teoria del potere in epoca ottomana (Yerasimos, 1990).Rimangono poco studiate peraltro molte f. letterarie relative all'iconografia: le stesse miniature pubblicate non sono quasi mai collegate all'analisi del testo cui fanno riferimento. Tuttavia diversi studi recenti si sono concentrati sulla collazione sistematica di f. letterarie relative all'iconografia di un singolo soggetto. Ne sono esempi rilevanti il tema della caccia di Bahrām Gūr in compagnia della sua schiava preferita (Fontana, 1986) o quello della 'barca reale' (Melikian-Chirvani, 1991). Anche le miniature di uno o più manoscritti relativi a un'intera tradizione letteraria possono essere commentate in base al dato testuale a esse relativo (Piemontese, 1984; Grube, 1991), permettendo così di fornire un quadro iconografico generale dei testi più celebrati nel ricco repertorio delle letterature islamiche.Devono essere prese in considerazione infine altre opere che costituiscono f. per la storia dell'arte islamica, a cominciare dalle biografie raccolte in indici (fihrist) o in scritti memorialistici (tadhkira), spesso non limitati all'esclusiva considerazione della vita dei personaggi trattati. In questo tipo di letteratura biografica, di cui il Fihrist (Indice) di Ibn al-Nadīm (m. nel 995) costituisce il più antico esemplare notevole, la menzione di artisti o fatti artistici è rara. Essi semmai costituiscono strumenti di grande importanza per quanto concerne la committenza, offrendo spesso indicazioni dettagliate sulle persone più importanti di un dato periodo. A questo tipo di testi si deve accostare anche un patrimonio generico di opere letterarie che permette di affrontare un determinato periodo attraverso spaccati dei contesti culturali o più in generale sociali. Un esempio di tali trattazioni è certamente costituito dall'opera letteraria del poligrafo Jāḥiẓ (m. nell'869), che offre un quadro molto importante della prima società abbaside (Pellat, 1953). Lo studio ragionato di altre opere medievali ha portato a risultati notevoli, come il lavoro di Grabar (1970) sulle Maqāmāt (Assise) o la raccolta di Thackston (1990) delle f. relative al periodo timuride.
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