foresta
Nella Commedia, la parola è usata unicamente (Pg XXVIII 2 e 85, XXIX 17) per indicare la f. del Paradiso terrestre, sia pur insieme con selva (la selva antica, Pg XXVIII 23, la selva folta, v. 108, l'alta selva, XXXII 31). La f. della vetta del Purgatorio, con i suoi prati fioriti, è la sede dell'Eden dantesco, anzi s'identifica con esso, dato che ‛ Paradiso ' significa " giardino ", e D. doveva averne attinto la nozione etimologica da Isidoro (Etym. XIV III 2): " Paradisus est locus... cuius vocabulum ex Graeco in Latinum vertitur hortus ".
Naturalmente la fonte prima dell'idea della divina f. è la Scrittura: " Produxitque Dominus Deus de humo omne lignum pulchrum visu et ad vescendum suave " (Gen. 2, 9). Anche Isaia (51, 3) definisce il Paradiso " hortum Domini ". D. tralascia di dire quali alberi vi fossero tra quelli della f., sebbene Ezechiele (31, 3 ss.), che è una delle fonti da cui il poeta derivò non pochi tratti della descrizione del Paradiso terrestre, nomini cedri, abeti e platani. Ma questa indefinitezza nulla toglie alla freschezza del disegno conseguita attraverso i paragoni e l'aggettivazione: " spessa propter frequentiam arborum virentium e viva quia numquam aret " (Benvenuto); e si può aggiungere che i due aggettivi conferiscono il senso di un palpito divino che anima la selva.
Il ricordo virgiliano del bosco dei campi Elisi, " seclusum nemus et virgulta sonantia silvae " (Aen. VI 704), indicato da qualche interprete, è troppo vago per potersi citare come spunto creativo dell'ideazione dantesca, in cui prevalgono decisamente le fonti bibliche. Assai più vicino al testo dantesco un passo ovidiano (Met. V 388-391). Facile la contrapposizione tra la selva per cui si accede all'Inferno e quella dell'Eden, per i numerosi parallelismi voluti dallo stesso poeta.
Il termine compare anche in Fiore CXXI 2 I' sì non ho più cura d'ermitaggi, / né di star in diserti né 'n foresta.