Foresta
Secondo l'annuale rapporto della FAO (Food and Agriculture Organization), l'estensione della copertura forestale mondiale ammontava nel 2005 a poco meno di 40 milioni di km2, pari a circa il 30% della superficie totale delle terre emerse. Tale copertura è però ripartita in modo tutt'altro che uniforme: oltre i due terzi si trovano inclusi nei confini di soli dieci Paesi: Brasile, Canada, Russia, Stati Uniti, Australia, Cina, Repubblica Democratica del Congo, India, Indonesia e Perù. Sette Stati sono del tutto privi di f., e in altri 57 esse occupano meno del 10% della superficie complessiva.
Le f. primarie, come vengono definite quelle che non mostrano segni evidenti di attività umane passate o presenti, e nelle quali i processi ecologici non hanno ancora subito alterazioni significative, rappresentano il 36% circa della copertura forestale mondiale. Sono tipicamente rappresentate dalle f. tropicali umide dell'Amazzonia e del bacino del fiume Congo, o dalle f. boreali (Canada, Siberia), e si sono mantenute relativamente integre in quanto poste in zone poco densamente popolate o di difficile accesso. Tuttavia sono proprio le f. tropicali umide quelle più colpite dalla massiccia deforestazione in atto a scala mondiale (6 milioni di ettari all'anno nel quinquennio compreso fra il 2000 e il 2005).
La causa principale della distruzione delle f. tropicali è la loro conversione in terre da coltivare. Specialmente nei Paesi caratterizzati da elevati tassi di crescita demografica, la quantità di terra disponibile per le colture di sussistenza tende a ridursi: le popolazioni rurali cercano quindi di procurarsi nuove terre da coltivare sottraendole alle f. vergini. Anche l'espansione dell'allevamento del bestiame ha comportato la conversione in pascolo di milioni di ettari di f., soprattutto nell'America Latina. Emblematico è il caso dell'Amazzonia, dove nel corso dei decenni Settanta e Ottanta del Novecento i governi brasiliani incentivarono la deforestazione nell'interno del bacino del Rio delle Amazzoni, per ricavarne legname e terre coltivabili in funzione della domanda del mercato interno. Successivamente la distruzione delle f. ha tratto nuovo impulso dalla crescente domanda di carne e di semi oleosi (in particolare la soia) da parte dei consumatori europei e asiatici. I risultati di questa politica possono essere considerati fallimentari, in rapporto agli enormi danni ecologici. A questo proposito si può osservare che è generalmente diffusa la tendenza dei governi dei Paesi in via di sviluppo a sopravvalutare i benefici ricavati dalla deforestazione, e a trascurarne i costi ambientali (erosione del suolo, dissesto idrogeologico, insabbiamento dei corpi idrici e degli invasi artificiali, diminuzione delle precipitazioni, riduzione delle risorse idriche e così via).
All'origine della distruzione delle f. tropicali è anche la forte richiesta, da parte dei Paesi industrializzati, di legno duro tropicale, che ha spinto diversi governi dei Paesi meno sviluppati a sacrificare le proprie f. per procurarsi i mezzi finanziari necessari per far quadrare i loro bilanci o per far fronte all'indebitamento con l'estero. Anche la raccolta della legna da ardere è diventata un importante agente distruttore, soprattutto nelle f. africane aride, dove la densità di popolazione è elevata e il tasso naturale di crescita della vegetazione è molto basso, nonché attorno a certi grandi insediamenti urbani dell'Africa e dell'Asia, dove la concentrazione della domanda provoca una crescente pressione sulle declinanti risorse di vegetazione arborea. Infine, un fattore non trascurabile di degradazione delle risorse forestali, che finora ha dispiegato i suoi effetti soprattutto sulle f. dei Paesi sviluppati della fascia temperata boreale, è l'inquinamento da precipitazioni acide, causato dall'immissione nell'atmosfera di fumi di combustione contenenti sostanze tossiche. Secondo il World Resources Institute, le vite di più di un miliardo di persone sono già periodicamente messe in pericolo da inondazioni e da varie altre forme di dissesto idrogeologico, dalla mancanza di legna da ardere e da produzioni agricole ridotte, fenomeni, questi, che vengono provocati direttamente oppure indirettamente dalla continua degradazione degli ecosistemi forestali.
In complesso la riduzione netta annuale della copertura forestale terrestre è stata, secondo la FAO, di 7,3 milioni di ettari all'anno tra il 2000 e il 2005 (mentre nel decennio precedente era stata alquanto più elevata, di 8,9 milioni di ettari all'anno).
Nel quinquennio 2000-2005 sono state registrate perdite nette in alcuni continenti (Sud America: ca. 4,3 milioni di ettari all'anno; Africa: 4 milioni di ettari), mentre nello stesso periodo di tempo si è verificata una significativa inversione di tendenza nel continente asiatico (dove una perdita netta di ca. 800.000 ettari all'anno nel corso degli anni Novanta del Novecento è stata più che compensata da un recupero annuo di un milione di ettari, principalmente a causa della riforestazione su larga scala attuata in Cina). Anche in Europa le aree boschive manifestano una tendenza all'accrescimento, per effetto della conversione in boschi di terre già destinate all'agricoltura. In Italia la contrazione delle colture agricole ha messo a disposizione per un eventuale rimboschimento una superficie che, secondo alcune stime, ammonterebbe a 2,5 milioni di ettari.
L'estensione complessiva delle aree interessate da rimboschimento, in via di graduale aumento, è stata valutata dalla FAO nel 2005 in 140 milioni di ettari (3,8% del totale della copertura forestale mondiale). Il rimboschimento può essere praticato perseguendo finalità produttive (principalmente per ottenere legname e fibre) o protettive (per la difesa del territorio e la conservazione delle acque, per evitare il pericolo di valanghe, per controllare la desertificazione, per stabilizzare le dune sabbiose e per proteggere le zone costiere, per la conservazione della biodiversità). La silvicoltura a fini produttivi può indubbiamente contribuire a soddisfare il crescente fabbisogno di materie prime legnose per usi industriali. Così, per es., il 16% delle fibre di legno vergine utilizzate per la produzione di pasta da cellulosa richiesta dall'industria cartaria mondiale proveniva nel 2005 da monocolture di alberi a crescita rapida (eucalipti, pini). Le monocolture arboree non hanno però alcuna equivalenza ecologica con le f., e dovrebbero essere confinate in aree marginali e degradate da recuperare. Tuttavia si va diffondendo la tendenza a convertire le f. in coltivazioni intensive (in Indonesia, nel giro di pochi anni, 1,4 milioni di ettari di f. sono stati convertiti in monocolture arboree intensive).
Tra le conseguenze particolarmente rilevanti della deforestazione si possono citare i possibili cambiamenti del clima a scala planetaria. È stato calcolato che la biomassa contenuta nei soprassuoli delle f. tropicali umide ammonta mediamente a 175 t di carbonio per ettaro. L'abbattimento delle f. è nella maggior parte dei casi seguito da incendi, appiccati per liberare il terreno e renderlo adatto a usi agricoli. Ne consegue che la maggior parte del carbonio immagazzinato dalle f. che sono assoggettate a tagli finisce nell'atmosfera sotto forma di anidride carbonica, nonché di piccole percentuali tanto di metano quanto di monossido di carbonio.
Con la distruzione delle f. si riduce inoltre l'attività fotosintetica a scala planetaria, con conseguente riduzione dell'assorbimento di anidride carbonica, e minore produzione di ossigeno. In complesso si stima che la distruzione e la degradazione delle f. provochi ogni anno l'immissione nell'atmosfera di quasi 2 miliardi di t di carbonio. Considerando che le emissioni di anidride carbonica legate ad attività umane ammontano complessivamente a 7,5 miliardi di t di carbonio, si può valutare in che misura la deforestazione contribuisce ad alterare il bilancio globale del carbonio, e a esacerbare il problema dell'aumento dell'effetto serra e del conseguente riscaldamento globale.
Di fondamentale importanza appare quindi l'adozione di strategie che consentano di salvaguardare il più possibile la capacità delle f. di 'sequestrare' carbonio, specialmente nei Paesi tropicali, le cui f. svolgono un'attività fotosintetica particolarmente efficace. Il Protocollo di Kyoto, integrato nel 1997 nella Convenzione quadro dell'ONU sul cambiamento del clima ed entrato in vigore nel 2005, prevede un meccanismo di sviluppo 'pulito', specificamente designato per coinvolgere i Paesi in via di sviluppo in progetti che hanno ricadute positive sul clima, facendo leva essenzialmente su progetti di forestazione e di riforestazione. Di un Piano d'azione per il periodo successivo al 2012, data di scadenza del Protocollo di Kyoto, sono state gettate le basi in occasione della Conferenza di Montreal (2005) dell'ONU sul cambiamento del clima. In quel consesso è stata ribadita l'urgenza di incentivi finanziari e di altre misure strategiche per salvaguardare lo stock di carbonio immagazzinato nelle foreste.
Un ulteriore motivo che consiglia di salvaguardare il più possibile l'integrità delle f. tropicali è la loro elevata 'diversità', ossia la presenza in spazi circoscritti di un'enorme varietà di specie viventi: così, per es., un solo ettaro di giungla malese può contare più di 800 specie di piante legnose, più o meno quante ce ne sono in tutta l'America Settentrionale. La protezione di questi ecosistemi, nei quali specie vegetali e animali vivono in complessi rapporti di interdipendenza, è indispensabile per evitare che vadano perdute specie viventi il cui materiale genetico potrebbe in futuro rivelarsi prezioso per gli agronomi, e le cui possibilità di applicazione in campo medico sono ancora in gran parte da scoprire. Proprio in vista di questi obiettivi si sta diffondendo la pratica della remissione del debito estero ad alcuni Paesi in via di sviluppo, in cambio del loro impegno a salvaguardare il proprio patrimonio naturale. La prima iniziativa del genere è stata presa nel 1987 da un'organizzazione conservazionista internazionale che si è assunta, a costo ridotto, il debito estero della Bolivia, e lo ha abbonato in cambio della promessa, da parte del governo boliviano, di finanziare ed espandere una riserva naturale nell'ambito del proprio territorio. Successivamente altri accordi di questo tipo sono stati perfezionati con Costa Rica, Ecuador, Madagascar e Filippine, per lo più a opera di organizzazioni volontarie, ma anche per iniziativa di governi nazionali (Svezia, Paesi Bassi).
In conclusione, è prevedibile che l'umanità continuerà ad abusare del patrimonio forestale mondiale anche in futuro, se non altro per il progressivo aumento della pressione demografica. Finché dureranno, le f. tropicali continueranno a fornire terra coltivabile, combustibile e ricoveri alle popolazioni più sfavorite che vivono al loro interno o ai loro margini. Altre popolazioni, meno bisognose, si adopereranno per promuovere un uso più razionale degli spazi forestali e per preservarli il più a lungo possibile. Il destino di questa risorsa così importante dell'umanità dipenderà dal delicato equilibrio dinamico che si stabilirà tra queste due tendenze contrastanti.
bibliografia
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