FORMA URBIS
. Con questo nome si suole indicare la grande iconografia marmorea di Roma antica giunta a noi in un gruppo di poche centinaia di frammenti, il cui complesso non rappresenta che una piccola parte dell'intera pianta dell'Urbe.
Il luogo di originaria esposizione, e quindi di prevalente avvenuto e ancor sperato ricupero dei frammenti della pianta, fu la parete postica dell'edificio - risalente, secondo recentissime ricerche, almeno ai tempi augustei - compreso tra il Foro Romano e il Forum Pacis, e da Felice IV (526-530) trasformato in chiesa dei Ss. Cosma e Damiano. Ricostruito o restaurato in gran parte all'epoca dei Flavî, detto edificio, da alcuni ritenuto il tempio degli Dei Penati, fu adibito a sede dell'ufficio catastale e prescelto per l'apposizione, sul lato prospiciente il Forum Pacis, della grande planimetria che compendiò il lavoro di riordinamento della città compiuto sotto Vespasiano, dal 74 d. C. in poi. Riordinamento catastale e delineazione planimetrica trovavano i loro precedenti nel riordinamento dell'Urbe compiuto da Augusto, e nelle delineazioni eseguite da Agrippa (I, p. 974) e molto probabilmente esposte nella Porticus Vipsania.
Ma la Forma, di cui possediamo i frammenti, non si riferisce se non in parte all'edizione dei Flavî; il più appartiene a una nuova edizione compiuta sotto Settimio Severo, dopo il 203, data d'inaugurazione del Settizonio raffigurato nella pianta, e prima della morte dell'imperatore (211). La nuova edizione fu resa necessaria dal grave danno derivato alla pianta dall'incendio del 191 d. C., che distrusse quasi totalmente il Forum Pacis, e certo danneggiò grandemente l'edificio del catasto urbano, detto, almeno dal tempo dei Severi, Templum Sacrae Urbis.
Ma oltre che un restauro, la nuova edizione rappresentò anche un aggiornamento della pianta e un mutamento di criterio per quanto riguardava l'orientamento. Nell'edizione dei Flavi, questo era da SO. a NE. secondo l'antica tradizione, determinata dalla divisione regionale serviana e nuovamente sancita nell'ordine progressivo delle regioni augustee, di cui la prima (Porta Capena) corrispondeva alla più meridionale. Il nuovo orientamento fu invece nettamente da S. a N., prendendo come punto centrale di riferimento l'asse maggiore del Circo Massimo il quale, con la Via Appia e il Settizonio, costituì il punto fondamentale della pianta. Il nuovo orientamento è attestato principalmente dai frammenti della delineazione del Circo Massimo, la cui didascalia, in grandi lettere, è disposta verticalmente lungo l'asse maggiore; tale disposizione delle didascalie si ripete per tutti i monumenti il cui asse si trovi parallelo a quello fondamentale dell'orientamento. Le altre didascalie sono orizzontali o oblique, in modo da esser facilmente lette da chi consultasse la pianta dalla piazza del Forum Pacis.
La pianta occupava una superficie di mq. 360 (m. 18 di lunghezza per m. 20 di altezza), ed era divisa in 140 lastre marmoree, disposte in fasce alternate secondo l'altezza o la larghezza di ogni lastra, corrispondenti in media la prima da m. 1,70 a m. 2, la seconda da m. 0,80 a m.1, e imperniate mediante arpioni di bronzo, i cui fori esistenti sulla parete hanno permesso di riconoscere il numero e l'ampiezza delle lastre. I monumenti vennero delineati su una scala media di1:250 circa.
Non si conoscono le vicende del monumento nel più antico Medioevo. I primi frammenti furono scoperti in occasione di restauri alla chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, ordinati da Pio IV all'architetto Giovanni Antonio Dosio tra il 1559 e il 1565, nell'orticello di Torquato Conti, duca di Poli, compreso tra la parete postica di S. Cosma e la via Alessandrina, la via in Miranda e la basilica di Costantino. Sembra che allora alcune lastre si trovassero ancora affisse alla parete. I frammenti ricuperati furono temporaneamente esposti per cura di Onofrio Panvinio, e riprodotti in disegno in 11 tavole da Fulvio Orsini nel suo codice Vaticano 3439 (ff. 13-23). I disegni orsiniani riproducono solo 92 pezzi; altri furono delineati nel Cod. Barb. XLIX, 32 (ff. 45-48) e da Stefano Du Pérac nel Cod. Par. 389. Dopo la morte del Panvinio gli originali, custoditi a Palazzo Farnese, andarono dimenticati e in parte perduti; furono riesumati da mons. Bianchini nel 1704, e trasportati prima in Vaticano, poi nel Museo Capitolino nel 1742, assai diminuiti e manomessi. Però G.B. Bellori nel 1673 aveva già pubblicato 169 frammenti, tra cui i 92 dell'Orsini; a questa seguirono le altre edizioni ricalcate sulla prima, e cioè quelle del 1682, 1693, 1697, 1699, 1732, 1764. Nel primo ventennio del sec. XIX, l'architetto A. de Romanis fece una riduzione all'8° dal vero. La migliore edizione è tuttora quella di H. Jordan, Forma Urbis Romae, Regionum XIII (Berlino 1874), in 35 tavole e commento. Ma già nel 1888 furono ritrovati 14 frammenti inseriti come materiale in un muro presso il Palazzo Farnese; nel 1899 altri 451 frammenti si rinvennero similmente in una casa già dei Farnese in via Giulia, e nello stesso anno nel Foro si rinvenne il frammento raffigurante il tempio dei Castori. Nel 1867 un tentativo di scavo di A. Castellani nell'orto dei Ss. Cosma e Damiano fruttò i frammenti importantissimi riferibili alla Porticus Liviae. I principali frammenti sicuramente identificati, ma non compresi nell'edizione del Jordan perché posteriormente scoperti, sono quelli relativi alle Terme di Traiano; alle arcuazioni dell'acquedotto claudio-neroniano; al Circo Massimo; a una Statio Cohort. Vigilum; al Ludus Magnus; al Tempio di Marte Ultore; ai templi del Foro Olitorio, al Teatro di Balbo; all'Iseo Campense; al Trigarium; alle Terme di Agrippa, ecc., tutti illustrati da R. Lanciani, che identificò molti monumenti raffigurati nella Forma, e tra essi due dei quattro templi dell'"area sacra" del Largo Argentina, confermata dalla scoperta dell'area medesima. La pianta è ora nell'Antiquarmm di Roma.
Bibl.: A. Trendelenburg, in Annali Istit. (1872), pp. 66-95; Ch. Hülsen, in Römische Mittheil. (1889), pagina 228; id., in Bullett. archeol. comun. (1893), pp. 119-143.