forma
I valori del termine sono molteplici nell'uso dantesco: " aspetto esteriore ", " figura di un corpo ", " composizione e struttura di una realtà " e, nella terminologia filosofica, " principio intelligibile del reale ". Poiché il maggior numero di occorrenze, sia nelle opere volgari che latine di D., sono attinenti alla dottrina filosofica, cominceremo l'analisi con l'esposizione delle linee fondamentali di questa dottrina.
La dottrina della forma. - La dottrina della f. ha avuto sistemazione da Aristotele. Nella Metafisica lo Stagirita riconosce in particolare che Platone aveva elaborato la dottrina delle idee (ἰδέα, Metaph. I 6, 987b 8; εἶδος, 987b 15) per spiegare la realtà molteplice, riconducendo gli esseri di ciascuna specie a un proprio principio trascendente di cui essi parteciperebbero (I 9, 990b 4 ss.); ma egli sostiene che gli esseri, gl'individui, sono un sinolo composto di due principi, la materia e la f. (V 4, 1015a 7-11; 24, 1023a 31-32; VII 7, 1033a 24 ss.), che sono le cause intrinseche dell'essere. Del sinolo la f. è principio intelligibile, ciò che conosciuto dall'intelletto è la specie (Anima III 8, 431b 29); alla f., nella definizione, corrisponde la differenza Metaph. VII 12, 1038a 25-26); la materia, invece, è di per sé inconoscibile (10, 1036a 8-9) e ha il compito d'individuare la f.: questa, veramente, non diviene (8, 1034b 8 ss.), giacché ciò che propriamente si genera è il composto.
La f. è definita da Aristotele " prima sostanza di una cosa " (7, 1032b 1-2), " sostanza più della materia " (VII 3, 1029a 29-30), " ciò per cui il sinolo è detto sostanza " (11, 1037a 29-30); ma è definita anche " fine ", perché perfetto è ciò che raggiunge il fine (V 24, 1023a 34), " causa formale " (2, 1013b 22-23) e " atto " (VIII 2, 1043a 28; 3, 1043a 30-31). In tal modo Aristotele, dei due principi della sostanza sensibile (materia e f.), privilegia la f., introducendo in certo senso il platonismo nella sua dottrina del sinolo.
Dopo Aristotele, il neoplatonismo elaborò una dottrina della f., inserita nel quadro dell'emanazione dall'Uno al molteplice: la f. è impassibile e attiva (Plotino Enn. III 6, 4), domina la materia (VI 7, 3). Colui da cui essa deriva è informe (VI 7, 17), essa sola è oggetto di amore: " Se dunque termine di amore non è la materia bensì quel che venne configurato mediante la forma; se la forma nella materia deriva dall'anima; se l'anima è tanto più affascinante quanto più è forma; sé lo Spirito è forma più di quanto lo sia l'anima ed è vieppiù affascinante; per tutto questo occorre tenere ben fermo che la primordiale natura del Bello è informe " (VI 7, 33; cfr. Eriugena De Divisione naturae III 19 [Patrol. Lat. 122, 681 C]: " Divina autem sapientia informis recte dicitur, quia ad nullam formam superiorem se ad formationem suam convertitur; est enim omnium formarum infinitum exemplar "). Nel contesto neoplatonico la funzione della f. viene esaltata più di quanto non avvenisse nella dottrina di Aristotele.
Quanto alla storia del termine, va notato che in Platone occorrono prevalentemente εἶδος e ἰδέα, mentre in Aristotele si trovano εἶδος, μορφή e i loro equivalenti τὸ τί ἧν εἷναι e τί ἐστι; ma ben presto εἶδος diventa dominante, fino a divenire di uso costante nell'Elementatio theologica di Proclo. In latino, i termini greci sono resi sia con forma che con species: cfr. Cicerone Acad. I VIII 30 " hanc illi [Academici] ἰδέαν appellabant, iam a Platone ita nominatam, nos recte speciem possumus dicere ", e " Aristoteles igitur prius species quas paulo ante dixi labefactavit, quas mirifice Plato erat amplexatus, ut in iis quiddam divinum esse diceret "; Tusc. I XXIV 58 " ἰδέαν appellat ille [Plato], nos speciem "; Seneca. Epist. LXV 4 " Tertia [causa est forma, quae unicuique operi imponitur tamquam statuae: nam hanc Aristoteles idos vocat "; Tertulliano Idol, III 32 " εἶδος Graece formam sonat "; Apuleio De Platone I V 190 " Initia rerum tria esse arbitratur Plato: deum et materiam rerumque formas, quas ἰδέας idem vocat ". Ma da Boezio in poi, forma rende usualmente εἶδος greco, nella sua accezione metafisica. (M.-D. Chenu, La théologie au XIIe siècle, p. 146: ma traccia del concorrente species sopravvive nel boeziano specificus che rende εἶδοποιός): In Isag. Porph., ediz. Brandt, I 94 " dicit omnem rem quaecumque est corporea, ex materia et forma constare " e II 267, 3, 13 ss. e, nel senso di causa formale, in II 174 " tertia forma "; ma soprattutto in De Trinitate II (Patrol. Lat. 64, 1250B-C): " in divinis intellectualiter versari oportebit, neque diduci ad imaginationes, sed potius ipsam inspicere formam, quae vere forma nec imago est, et quae esse ipsum est, et ex qua esse est; omne namque esse ex forma est... Nihil... secundum materiam esse dicitur, sed secundum propriam formam " e prosegue, paragonando Dio e le creature: " Sed divina substantia sine materia forma est, atque ideo unum est, et id quod est. Reliqua enim non sunt id quod sunt " (sull'importanza dell'insegnamento di Boezio nel Medioevo, cfr. Chenu, op. cit., pp. 146, 311-312, 374). Di Boezio sono ancora espressioni come " substantialis forma " (In Isag. II 200 " non ex substantiali quadam forma species, sed ex accidentibus venit "), " locutionis forma " (In Periherm., ediz. Meiser, II 5), " nominis forma " (II 56), che, divenute comuni nel Medioevo, ricorrono anche in Dante. Cfr. anche Tomm. Sum. theol. I 15 2 " Idea enim graece, latine forma dicitur "; Verit. III 1c " Ideas latine possumus dicere species vel formas "; e Alb. Magno Metaph. I IV 2, 63b " Idea enim Graece, Latine est forma vel species "; Pietro a Pd XIII (ediz. Vernon, p. 642): " Dicitur enim idea graece, latine forma ".
La dottrina della f. giunse a D. tramite quel complesso di elaborazioni che dai padri e da Boezio a Scoto Eriugena, dalle fonti arabe (specialmente avicennistiche) e dal Liber de causis al platonismo del secolo XII, costituirono molteplici adattamenti con la dottrina cristiana della creazione e della comunicazione dell'essere. Esse diedero luogo a un vero e proprio sincretismo, che la dottrina aristotelica (con le traduzioni dei secoli XII e XIII, e presente in modo determinante nei testi di D.) non era riuscita del tutto a chiarire e a ordinare. Perciò la lettura di D., per quanto ci riguarda, va fatta tenendo presente il quadro vario delle influenze dottrinali operanti al suo tempo.
La nozione di f. in Dante. - L'ordinamento del mondo. - In Pd XXXIII 91 La forma universal di questo nodo è l' " idea ", il " modello ideale " dell'universo (v. 87 ciò che per l'universo si squaderna), Dio stesso, giacché D. lo contempla contemplando la stessa essenza divina; in XXIX 22 D. afferma che Dio ha creato direttamente forma e materia, congiunte e purette: le Intelligenze o Angeli (f. pure), la materia, i cieli (f. e materia congiunte). In Cv III VI 5 tutte le Intelligenze conoscono la forma umana in quanto ella è per intenzione regolata ne la divina mente [giacché il Verbo è il luogo delle idee di tutto ciò che è nel mondo, e poiché Dio è semplicissimo, le idee di Dio sono Dio stesso]; e massimamente conoscono quella le Intelligenze motrici, però che sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua: in Dio causa prima le Intelligenze conoscono l'anima umana, f. e atto del corpo; esse conoscono l'anima, inoltre, perché sono cause spezialissime di tutto ciò che si genera. In II IV 5 E volsero [altri, fra cui Platone] che sì come le Intelligenze de li cieli sono generatrici di quelli [cieli], ciascuna del suo, così queste [Intelligenze delle specie delle cose] fossero generatrici de l'altre cose ed essempli, ciascuna de la sua spezie; e chiamale Plato ‛ idee ', che tanto è a dire quanto forme e nature universali.
Le occorrenze di f., forma essemplata, ed essemplo nei due luoghi del Convivio richiamano la terminologia corrente della scolastica. Nel secolo XII si distingueva tra forma-exemplar e forma-exemplum, distinzione ricavata da Seneca (Epist. LVIII 19-21) che con idea designava l'exemplar aeternum e con idos (eidos) la forma ab exemplari sumpta; così in Giovanni di Salisbury (Metal. II 17) dove si precisa anche, secondo l'insegnamento della scuola di Chartres: " Est autem forma nativa originalis exemplum, et quae non in mente Dei consistit, sed rebus creatis inhaeret ". Da una parte, quindi, sta l'idea platonica, trascendente ovvero eternamente presente nel Verbo, ed è detta exemplar; dall'altra, sta la forma derivata dall'idea: essa è detta exemplum, ma anche forma nativa, corrispondente a quei simulacri delle idee, intermedi tra idee e materia, di cui Platone parla in Tim. 50D e 52A, e risente della dottrina stoico-agostiniana delle rationes seminales (cfr. T. Gregory, Platonismo medievale, pp. 112-114). La stessa distinzione nel Vocabolarium di Papia e le Derivationes di Uguccione (per i quali testi, e per altri, cfr. E. Garin, Studi sul platonismo medievale, pp. 53-54). Ma il termine exemplum viene usato nel Medioevo anche per designare l'" idea " o exemplar, il " modello ", la " norma ideale " (cfr. Anselmo Monologion 9 " Nullo namque pacto fieri potest aliquid rationabiliter ab aliquo, nisi in facientis ratione praecedat aliquod rei faciendae quasi exemplum, sive aptius dicitur forma, vel similitudo, aut regula "). Il valore di exemplum è perciò oscillante: ora sta per le idee, ora per le forme derivate dalle idee ubbidendo così, di volta in volta, alla spinta di tradizioni diverse. Alberto Magno riassume molto bene questi temi (Nat. orig. an. I III 4b): " Ex hac autem et huiusmodi consideratione Platonici duas dederunt formarum differentias. Quarum una est ante rem, quae est sicut rei exemplar et paradigma, quae est forma intellectus moventis in natura, quae forma est universaliter et immaterialiter et simpliciter praehabens omnes formarum differentias, quae secundum materiae diversificantur differentias. Diversitas enim materiae causat diversitatem formarum secundum esse materiae, in qua est forma. Et ideo illas quae primae sunt, formas a formatione et virtute formandi vocaverunt; eas autem quae sunt in materia, vocaverunt illarum formarum verarum imagines, sicut est imago sigilli ab anulo in cera, eo quod, sicut inquit Plato, formae, quae sunt in materia, ex separatis intellectus formis sicut ex quodam egrediuntur echmagio [ἐχμαγει̃ον] ", e aggiunge (Phys. II II 2, dopo aver ripreso i temi ora toccati, 121a): " Formae autem inferiores dicuntur multipliciter. Quia forma dicitur species ipsa, quia est causa et exemplum speciei in affectu. Videtur etiam forma, quia in causa formali effectus est similis et exemplatus ex causa: quoniam formalis causa facit id quod fit esse in effectu. Et differunt tamen species et exemplum, sicut differunt essentia absolute accepta, et esse quod est ex diffusione formae in materiam, sicut nos dicimus exemplum lucis esse lumen, quod diffusum est in aere, vel in alio perspicuo: et ideo species et exemplum non sunt separata per subjectum sed per intentiones et rationes eorum tantum ".
In D., f.-essemplare è sempre l'idea: cfr. Mn III XIV 3 Forma autem Ecclesiae nichil aliud est quam vita Christi, tam in dictis quam in factis comprehensa: vita enim ipsius ydea fuit et exemplar militantis Ecclesiae... Unde... in Johanne formam suae vitae relinquens " Exemplum " inquit " dedi vobis, ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis " (cfr. Ioann. 13, 15; Chenu, op. cit., p. 374, ricorda che f. nel senso di " modello normativo ", " regola ", occorre già in I Petr. 5, 3 " forma [τύπος] facti gregis ex animo "). Così, in Pd XXVIII 55-56 udir convienmi ancor come l'essemplo / e l'essemplare non vanno d'un modo, essemplare, che è l'unica occorrenza nelle opere in volgare di D., ha il valore ora precisato, mentre essemplo vale " specie nativa ", " principio formale " del mondo sensibile. Così intende il Buti, ma il Nardi (Tutto il frutto ricolto, p. 315 n.) dà al primo termine il valore di " copia ", " cosa esemplata ", e al secondo quello di " originale ", " regola ". In Cv II IV 5 sopra riportato, essempli sta per le altre cose, appunto, o f. del mondo sensibile, generate da quelle Intelligenze che Platone chiama idee; ma il Busnelli intende " esemplari tipici a cui le specie delle cose sono conformi ", e il luogo dantesco andrebbe letto: le Intelligenze generano le cose e gli essempli di esse. In Cv III VI 5, anche già riportato, essemplo (" regola ") sta per l'Intelligenza e forma essemplata (" regolata ") per la singola anima umana: cfr. Pd XVIII 111 da lui [Dio] si rammenta / quella virtù ch'è forma per li nidi, dove f. è il principio formativo e generativo (virtù) degli esseri sulla terra, e prende norma da Dio; ha quindi il valore di f. nativa, exemplum. L'equivalenza f.-natura di Cv II IV 5, poi, è chiarita da Mn III XIV 2 natura Ecclesiae forma est Ecclesiae: nam, quamvis natura dicatur de materia et forma, per prius tamen dicitur de forma, ut ostensum est in Naturali auditu (cfr. Aristotele Phys. II 1, 193b 18 " Forma itaque est natura ").
In Cv II V 13, D. afferma che i movitori del cielo di Venere (qui i Troni, in Pd VIII 34 i Principati), naturati de l'amore del Santo Spirito, fanno la loro operazione, connaturale ad essi, cioè lo movimento di quello cielo, pieno d'amore, dal quale prende la forma del detto cielo uno ardore virtuoso per lo quale le anime di qua giuso s'accendono ad amore, secondo la loro disposizione: f. del cielo è il cielo stesso, organo della virtù specifica delle Intelligenze motrici, che consiste nell'infondere amore nelle anime che la ricevono conforme alla loro disposizione. Ancora al § 18 La forma nobilissima del cielo, che ha in sé principio di questa natura passiva, gira, toccata da vertù motrice che questo intende: il contesto è quello della discussione di II Voi che 'ntendendo; f. vale, per estensione, " natura propria " del cielo, o " cielo " stesso, la cui f. è naturalmente disposta a esser mossa dalla virtù delle Intelligenze. In II III 15, a proposito della velocità delle varie parti di un cielo a seconda dell'ampiezza del cerchio descritto da ciascuna, D. scrive: quanto lo cielo più è presso al cerchio equatore tanto è più nobile per comparazione a li suoi [poli], però che ha più movimento e più attualitade e più vita e più forma, e più tocca di quello che è sopra sé, dove f. può valere " perfezione ", " essere ", ma è da intendere in una con i termini con i quali è in congiunzione.
In Cv III VII 5 la bontà di Dio è ricevuta altrimenti da le sustanze separate, cioè da li Angeli, che sono sanza grossezza di materia, quasi diafani per la purità de la loro forma, e altrimenti da l'anima umana, che è f. di un corpo, mentre gli angeli sono f. pure (cfr. Pd XXIX 33 puro atto). In Cv III VII 6 (ne l'ordine intellettuale de l'universo si sale e discende per gradi quasi continui da la infima forma a l'altissima [e da l'altissima] a la infima) D. afferma una gerarchia di f. e quindi di esseri (cfr. A.O. Lovejoy, La grande catena dell'essere, pp. 73 ss.). Il richiamo alla dottrina neoplatonica della scala degli esseri è evidente, anche alla luce del ‛ discorrimento ' della bontà di Dio alle cose tutte, ricevuta diversamente non solo da un livello all'altro dell'essere (gradi generali) ma anche da individuo a individuo (gradi singulari) di Cv III VII 3-6, ed è confortata da III II 4 Ciascuna forma sustanziale procede da la sua prima cagione, la quale è Iddio, sì come nel libro Di Cagioni è scritto, e non ricevono diversitade per quella, che è semplicissima, ma per le secondarie cagioni (per cui v. CAGIONE, e B. Nardi, Citazioni dantesche del " Liber de causis ", pp. 106-108); D. prosegue (§§ 5-6): Onde, con ciò sia cosa che ciascuno effetto ritegna de la natura de la sua cagione... ciascuna forma ha da essere de la divina natura in alcun modo... E quanto la forma è più nobile, tanto più di questa natura tiene; onde l'anima umana, che è forma nobilissima di queste che sotto lo cielo sono generate, più riceve de la natura divina che alcun'altra. Allo stesso contesto è da riportare Ep XIII 21, dove si afferma che la bontà divina ricevuta dalle Intelligenze è partecipata da queste agli esseri inferiori e si conclude con la citazione della proposizione 9 (10), n. 92 del Liber de causis: " Omnis intelligentia plena est formis " (cfr. Proclo Elementatio theologica prop. 177), mentre nel contesto della nobiltà dell'anima, variante da individuo a individuo, è da leggere VE I XII 4: Federico di Svevia e Manfredi, suo figlio, hanno agito in conformità alla loro natura nobilitatem et rectitudinem suae formae pandentes.
L'anima umana. - Sappiamo già come, secondo D., l'anima sia conosciuta dalle Intelligenze motrici e quale fondamento abbia la dignità dell'anima. In Cv IV XXI 3 Pittagora volse che tutte [le anime] fossero d'una nobilitade, non solamente le umane, ma con le umane quelle de li animali bruti e de le piante e le forme de le minere; e disse che tutta la differenza è de le corpora e de le forme: per Pitagora, le anime, da quella del cielo a quella dei minerali, sono della stessa natura, e quindi della stessa dignità, e operano diversamente a seconda del corpo che animano; le differenze sorgono dal rapporto tra corpo e anima (è de le corpora e de le forme; cfr. Alb. Magno Nat. orig. an. II VIII 31b-32a; Intellect. I I 5, 483b " dicit Pythagoras, omnes animas esse intellectuales, et omnia corpora esse animata: nec motus sensus vel intellectus posse exsequi inquit animam in quibusdam ob materiae gravitatem ": cfr. Busnelli-Vandelli, in Convivio, II, appendice IX, pp. 391-392, e B. Nardi, Raffronto fra alcuni luoghi di Alberto Magno e D., pp. 67-69).
Che l'anima sia f. del corpo è affermato esplicitamente in Cv III VI 12 la sua forma, cioè la sua anima, e inoltre If XXVII 73 Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe (è l'anima di Guido di Montefeltro che parla); Pg IX 58 Sordel rimase e l'altre genti forme, e XVIII 49 Ogne forma sustanzïal, che setta / è da matera ed è con lei unita; Pd IV 54 [Timeo] Dice che l'alma a la sua stella riede, / credendo quella quindi esser decisa / quando natura per forma la diede (per quest'ultimo luogo, cfr. B. Nardi, Raffronto fra alcuni luoghi, cit., pp. 69-70).
Quanto all'unità dell'anima, cfr. Cv III VIII 1 Intra li effetti de la divina sapienzia l'uomo è mirabilissimo, considerato come in una forma la divina virtute tre nature congiunse, e come sottilmente armoniato conviene esser lo corpo suo, a cotal forma essendo organizzato per tutte quasi sue vertudi. Per che, per la molta concordia che 'ntra tanti organi conviene a bene rispondersi, pochi perfetti uomini in tanto numero sono: nell'anima dell'uomo Dio ha congiunto tre nature, quella delle piante, degli animali e dell'essere razionale. Poiché il corpo, ‛ organato ' per servire le virtù di una f. così complessa, ha bisogno per questo di un'armonia o rispondenza tra le parti (che difficilmente si realizza) pochi uomini sono perfetti: non per deficienza dell'anima, dunque, ma del corpo.
La lezione di Cv III III 5 è controversa: Li uomini hanno loro proprio amore alle perfette e oneste cose. E però che l'uomo, avvegna che una sola sostanza sia tutta [sua] forma, per la sua nobilitade ha in sé natura di tutte queste cose, tutti questi amori puote avere e tutti li ha; questa la lezione Busnelli-Vandelli che ne discutono a lungo (ad loc. e nell'appendice I, vol. I, pp. 451-457). Il problema è quello d'intendere il rapporto tra i termini sustanza e forma. È dottrina aristotelica che l'uomo sia sostanza in quanto sinolo d'anima e corpo e non in quanto f. soltanto - e ciò sottolinea bene il Busnelli. Ma egli continua: " Di che consegue che l'anima intellettiva, secondo il concetto dantesco, contiene con la natura di corpo semplice e misto anche la forma corporeitatis; e che quindi D. ammette nell'uomo l'unità non solo dell'anima, ma della forma ". Di diverso avviso è il Nardi, che ritiene la lezione critica della '21 (E però che l'uomo, avvegna che una sola sustanza sia, tuttavia [la] forma, per la sua nobilitade, ecc.) e afferma: " Ora, secondo la lezione critica, l'uomo, non l'anima, benché sia una sola sostanza, pure ha in sé, per la sua perfezione, la forma e la natura degli esseri inferiori ad esso. Il qual concetto è comune ai sostenitori della pluralità delle forme, quanto ai sostenitori dell'unità " (L'origine dell'anima umana secondo D., p. 36 n.). Altrove (Il tomismo di D., p. 359), il Nardi richiama alla necessità di raffrontare il passo con Cv IV XXI e con Pg XXV, e cita Alberto Magno (Nat. orig. an. I VI 14b): " Amplius iam patet qualiter, inter omnes naturales formas, anima intellectualis verius forma est; eo quod in se colligit omnes alias formas sicut potestates, quae sunt esse, vivere, sentire, movere secundum locum et intelligere. Et cum istae sint bonitates nobilissimas, a prima causa ad perfectiones rerum naturalium fluentes, constat ipsam nobilissimam esse, quae omnes istas non sparsim, sed unitive colligit ad esse intellectuale ". In Meditantur sua stercora 62a aveva precisato: " Unica sì è l'anima, e questa è forma del corpo; ma che l'unica anima umana sia unica forma sostanziale del corpo, D. non asserisce e non nega in nessun luogo ".
Un'accezione più complessa di f. è quella di Cv II VIII 6 Si come la natura umana trasmuta, ne la forma umana, la sua conservazione di padre in figlio... non può in esso padre perpetualmente [ta]l suo effetto conservare: qui vale natura specifica, specie umana, sinolo d'anima e corpo, che è l'effetto che non si conserva in eterno (aggiunge D.: Dico ‛ effetto ', in quanto l'anima col corpo, congiunti, sono effetto di quella). F. " specie " vale in Fiore XL 5 per continuar la forma umana / sì vuol ch'uon si diletti.
Illustrando l'origine dell'anima-f., D. in Cv IV XXI 5 spiega origine e natura dell'intelletto possibile: esso viene da Dio, si unisce all'anima e potenzialmente in sé adduce tutte le forme universali, secondo che sono nel suo produttore, e tanto meno quanto più dilungato da la prima Intelligenza è: l'intelletto reca in sé tutte le f. universali in potenza, quali sono in Dio; nell'intelletto esse sono tanto più pure quanto più pura è l'anima, giacché la disposizione di essa dipende, oltre che dall'influenza dei cieli, dalla maggiore o minore contaminazione col corpo (cfr. B. Nardi, La conoscenza umana, pp. 175-191). L'intelletto possibile è lo spirito novo, di vertù repleto, di Pg XXV 72 (cfr. anche Mn I III 9 Potentia enim intellectiva, de qua loquor, non solum est ad formas universales aut speties). Risulta da questi passi che la potenza dell'intelletto, che in sé adduce, che è repleto, non è pura potenza, ma potenza attiva, ricca dei germi di tutte le conoscenze, ciò che permette a D. di non far mai ricorso all'intelletto attivo per dar conto della conoscenza.
Materia e forma. - In Cv II XIII 17 oggetto della scienza naturale è il corpo mobile, i principi del quale sono tre: materia, privazione e forma (cfr. Aristotele Metaph. XII 2, 1070b 18-19); il sinolo è sempre costituito di materia e f., giacché la materia-sostrato è ordinata alla f., la privazione è opposta alla f. e intermedia tra le due è la materia, affetta ora da una f. e priva di tutte le altre, ora privata di essa (cfr. Metaph. X 4, 1055b 3 ss., in part. 11 ss.); in XIV 10 la materia delle cose corruttibili in natura si muta di forma in forma; e di queste tratta la Fisica. Che la materia individui la f. è affermato in Mn I XV 7 Nam virtus volitiva potentia quaedam est, sed speties boni apprehensi forma est eius: quae quidem forma, quemadmodum et aliae, una in se, multiplicatur secundum multiplicationem materiae recipientis, ut anima et numerus et aliae formae compositioni contingentes: la speties boni è l'intenzione del bene che informa (forma est) la volontà; per l'espressione formae compositioni contingentes, cfr. I XI 4, più oltre.
Più complessa la dottrina della f. in Quaestio 45-48, dove (§ 45) si afferma che la natura mira a che omnes formae, quae sunt in potentia materiae primae, reducantur in actum, et secundum rationem speciei sint in actu; ut materia prima secundum suam totalitatem sit sub omni forma materiali, licet secundum partem sit sub omni privatione opposita, praeter unam: la materia nella sua totalità è attuata in ogni momento da tutte le possibili f. materiali, anche se, considerata in ciascuna sua parte, è priva di tutte le f. salvo una, quella ivi realizzata. Continua la Quaestio: Nam cum omnes formae, quae sunt in potentia materiae, ydealiter sint in actu in Motore caeli, ut dicit Comentator in De substantia orbis, si omnes istae formae non essent semper in actu, Motor caeli deficeret ab integritate diffusionis suae bonitatis, quod non est dicendum (§ 46). Nella materia le f. sono in potenza, in Dio sono in atto; ma Dio diffonde continuamente la sua bontà e quindi è sempre causalmente attivo: perciò, ancora una volta, tutte le f. sono sempre in atto nel senso precisato. Il richiamo ad Averroè (Metaph. XII, comm. 18) induce a pensare che nei due paragrafi, come altrove (cfr. Mn I III 8-9), vi siano tracce di dottrine averroistiche: come nella Monarchia l'unità politica del genere umano è dimostrata da D. sulla base della riconosciuta finalità comune della specie verso la perfezione irraggiungibile dal singolo, così qui si afferma che tutta la natura creata o è realizzata (ha in atto la f) o è in via di realizzazione (cfr. B. Nardi, Il concetto dell'impero nello svolgimento del pensiero dantesco, pp. 233-242; Il tomismo di D. e il P. Busnelli, pp. 344-348; ma vanno tenute presenti le osservazioni di É. Gilson sul valore della presenza in D. di un certo averroismo, in D. et la philosophie, pp. 298-300). Infine, la Quaestio (§ 47) precisa che omnes formae materiales generabilium et corruptibilium, praeter formas elementorum, richiedono materiam et subiectum mixtum et complexionatum, ad quod tamquam ad finem ordinata sunt elementa in quantum elementa qui si distinguono le f. materiali di ciò che si genera e si corrompe, gl'individui, e le f. degli elementi (cfr. Pg XVIII 29 come 'l foco movesi in altura / per la sua forma ch'è nata a salire); le une e le altre sono tratte dalla materia, che le contiene in potenza, dalla causalità dei cieli; ma le prime richiedono che gli elementi siano già formati e ‛ complessionati ' (cfr. Alb. Magno Nat. orig. an. I III 6b, dove sono elencati tre generi di f. materiali). Il trarre le forme dalla potenza della materia va inteso, secondo il Nardi, nel senso che le f., poste in atto iniziale - come formae inchoatae e rationes seminales - da Dio nella materia nell'atto della creazione, sono condotte alla loro piena realizzazione (Meditantur sua stercora 58).
F. e atto sono sinonimi per D.: Cv IV XI 4 con ciò sia cosa che l'oro, le margherite e li campi perfettamente forma e atto abbiano in loro essere.
Seguendo la tradizione medievale, D. distingue tra f. sostanziale e f. accidentale: quella dà l'essere specifico, costituisce la sostanza; questa è l'accidente. Oltre a Pg XVIII 49 ( forma sustanzial), cfr. Mn III XI 5 Homo enim est id quod est per formam substantialem, per quam sortitur spetiem et genus, et per quam reponitur sub praedicamento substantiae; pater vero est id quod est per formam accidentalem, quae est relatio per quam sortitur spetiem quandam et genus, et reponitur sub genere ‛ ad aliquid ' sive relationis... cum nulla forma accidentalis per se subsistat absque ypostasi substantiae (per il passo, cfr. B. Nardi, Il tomismo di D., pp. 362-363).
Alla dottrina della f. accidentale attiene il passo di Mn I XI 4 Sunt enim huiusmodi formae quaedam compositioni contingentes, et consistentes simplici et invariabili essentia, ut Magister Sex Principiorum recte ait. Le f. di cui parla D. sono qualità come iustitia e albedo, ciascuna delle quali, de se et in propria natura considerata (o in suo abstracto considerata), non è suscettibile di magis et minus (§ 3); ma si aggiunge nel prosieguo del § 4: recipiunt tamen magis et minus huiusmodi qualitates ex parte subiectorum quibus concernuntur. I problemi qui posti sono due, uno dottrinale, l'altro testuale. Il primo è quello de intentione et remissione formarum, come comunemente si diceva, cioè dell'acquisizione e accrescimento, e della diminuzione o perdita, di una forma. Aristotele (Cat. 5, 3b 33-4a 9) afferma che le sostanze non sono soggette a un più o meno: ogni uomo è tale perché dell'uomo possiede tutta la sostanza. Lo stesso Aristotele (ibid 8, 8b 25-38 e 10b 26-11a 4) ammette però per alcune qualità in un sostrato (o per i soggetti aventi qualità: qualia) un più o un meno: fra queste sono incluse ‛ giustizia ' (‛ giusto ') e ‛ bianchezza ' (‛ bianco '), le quali in sé stesse non sono suscettibili di valutazione quantitativa. A Boezio si deve la terminologia usuale con cui si designa il problema (In Isag. Porpoh. II 253 " Quae uero secundum accidens differentiae sunt inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel coloratum aliquo modo, et intentionem suscipiunt et remissionem "; intentio [grafia medievale intensio] traduce ἐπίδοσις, ma suoi equivalenti sono incrementum e additio: cfr. B. Nardi, Saggio di commento alla Monarchia, pp. 9-10). La discussione sulla intensio e remissio della f. trasse impulso nel Medioevo da Pietro Lombardo Liber sententiarum I XVII 1 " Utrum Spiritus sanctus augeatur in homine vel minus vel magis habeatur vel detur et an detur habenti et non habenti ". Così entrò nella teologia morale. Poi, sviluppatosi l'interesse per la filosofia della natura e in particolare l'esigenza di valutare quantitativamente i fenomeni delle alterazioni e delle modificazioni sostanziali e di stabilire il ‛ momento ' dell'inizio e della fine della generazione e della corruzione, l'indagine investì ogni tipo di forma, accidentale o sostanziale che fosse (cfr. A. Maier, Das Problem der intensiven Grösse in der Scholastik). Il Nardi (L'origine dell'anima umana secondo D., pp. 22-23) molto opportunamente ricorda che un tale problema sta al fondo della dottrina dantesca dell'anima, concepita come sviluppantesi dalla potenza del seme. D. conosce il problema, anche se lo ricorda solo per quel che riguarda le f. accidentali. Il passo del Liber sex principiorum cui il poeta si riferisce è il paragrafo con cui comincia il testo (I I 35): " Forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens ".
L'altro problema riguarda il testo. Gl'interpreti più recenti discutono circa l'opportunità o meno di congiungere huiusmodi a formae quaedam. Il Vinay (ad l.) suggerisce di leggere: " Sunt enim [haec formae, in quantum] huiusmodi, formae quaedam ecc. ", e sottolinea che qui D. considera le qualità in astratto, al di fuori di qualsivoglia compositio. Il Minio Paluello (Magister Sex principiorum, p. 123 n.) condivide la separazione dei due termini, ma non la lettura proposta dal Vinay: " Dante non ha ancora né detto né sottinteso che ‛ iustitia ' e ‛ albedo ' siano forme; lo dice ora: ‛ Infatti cose di tal fatta sono forme ecc. ' ". Il Nardi, che inquadrando il passo nel più generale problema trattato ricorda l'esposizione che ne fa l'anonimo Maestro nel C. 8 del Liber, traduce senz'altro: " Ché vi sono alcune forme di tal natura, le quali, pur trovandosi in un composto, in sé consistono in una semplice e invariabile essenza, come a buon diritto afferma il Maestro dei Sei Principi " (Saggio di commento, p. 11). Ma il Vinay e il Nardi concordano nel ritenere che il ricorso all'autorità serve a D. solo per affermare che le f., in sé, non in quanto in un composto, sono invariabili.
D. fa un uso notevole della correlazione materia (o, più generalmente, subietto) -f.: Vn XX 7, VE II V 7, Cv II I 10 (quattro volte), III XI 13 (due volte), XIII 10, XIV 1, If XXV 101; così, in rapporto all'azione, in Mn II V 25 occorre l'espressione elemosinae forma, principio informativo (e normativo) dell'azione. In Mn I VI 3 D. afferma che la f. di ordine ( forma ordinis) è principio di ogni stato, e a maggior ragione si realizza con la monarchia universale, rispetto alla totalità degl'individui, cum sit ordo melior sive forma ordinis, essendo la monarchia universale un ordine migliore, cioè una superiore f. d'ordine: qui f. è usato analogicamente e, come ricorda il Vinay (ad l.), Alberto Magno ritiene tale uso illecito, o per lo meno forzato (Phys. II II 2, 122a " Abusive... dicitur forma ordinatio multorum ad unum quod est sicut movens, sicut dux forma exercitus "). Più pertinente il rapporto f.-ordine in Pd I 104 ordine... è forma / che l'universo a Dio fa simigliante (cfr. Mn II VI 4 sic natura si solam formam universalem divinae similitudinis in universo intenderet).
In Ep XIII 18 Sex igitur sunt quae in principio cuiusque doctrinalis operis inquirenda sunt, videlicet subiectum, agens, forma, finis, libri titulus et genus philosophiae, f. vale " causa formale " (i primi quattro dei sei elementi elencati sono le quattro cause aristoteliche); al § 26 (Forma vero est duplex: forma tractatus et forma tractandi.
Forma tractatus est triplex... Forma sive modus tractandi est poeticus, fictivus, descriptivus) essa si specifica sia in rapporto all'ordine e alla distribuzione della Commedia (cantica, canto, rima: forma tractatus), sia in rapporto al metodo proprio che la disciplina segue nello svolgere la trattazione in conformità all'oggetto ( forma tractandi); cfr. anche §§ 35-36 (tre volte) e 42-43. I riferimenti qui offerti vanno inquadrati nella pratica medievale dell'" accessus ad auctores " valido per ogni disciplina, come ha mostrato il Nardi (Osservazioni sul medievale " accessus ad auctores "); il Curtius (D. und das lateinische Mittelalter, pp. 163 ss.) ha rilevato che la fonte di questo accessus sono i grammatici della tarda latinità e Boezio (In Isag. I 4 " Sex omnino, inquam, magistri in omni expositione praelibant "). A questo stesso uso vanno riportate anche le occorrenze di Vn VI 2 sotto forma di serventese, e di Quaestio 3 placuit... formam totius disputationis calamo designare. In Mn II VI 4 forma finalis nell'arte è la " causa formale e finale " insieme, giacché la f. è il ‛ fine ' cui si tende con mezzi opportuni; così anche nel passo di Pd I 127 come forma non s'accorda / molte fïate a l'intenzion de l'arte: la f., il risultato non corrisponde a ciò che l'artista si è prefisso; in Mn II II 3, D. precisa che, quando l'artefice è perfetto e gli strumenti ottimi, si contingat peccatum in forma artis, materiae tantum imputandum est.
Per Cv II VII 3 le cose deono essere denominate da l'ultima nobilitate de la sua forma, cfr. Aristotele Anima II 4, 416b 23 e Tommaso Sum. theol. I 115 2.
Altre accezioni dell'uso filosofico. - In Cv IV X 5 ‛ defettiva forma ', o vero differenza: f. vale qui " differenza specifica " in quanto essa specifica, determina l'indeterminatezza del genere; qui è detta defettiva perché non comprende ogni formalitade, tutto quel che attiene alla f., di ciò che viene definito, cioè la nobiltà.
F. nel senso di ‛ specie ' è di uso ciceroniano: (cfr. Top. III 13 " forma enim a genere, quoad suum nomen retinet, numquam seiungitur ", e 14 " A forma generis, quam interdum, quo planius accipiatur, partem licet nominare, hoc modo... Genus enim est uxor; eius duae formae, una matrumfamilias... altera earum, quae tantummodo uxores habentur "; v. anche Quintiliano Inst. V X 61-63 " Illud quod differens vocant, cum genere in speciem diducto species ipsa discernitur. Animal genus, mortale species, terrenum vel bipes differens; nondum enim proprium est, sed iam differt a marino vel quadripede: quod non tam ad argumentum pertinet quam ad diligentem finitionis comprensionem. Cicero genus et speciem, quam eandem formam vocat, a finitione diducitur... Divisione autem adiuvari finitionem docet, eamque differre a partitione, quod haec sit totius in partes, illa generis in formas. Partes incertas esse, ut ‛ quibus constet respublica ', formas certas, ut ‛ quot sit species rerum publicarum ' ". Si ricordi che i Topica di Cicerone erano molto diffusi nel Medioevo, e che lo stesso Cicerone è ricordato da D., insieme con Boezio, come suo iniziatore alla filosofia (Cv II XV 1).
In logica, ‛ f. di un argomento ' (forma argumenti), in particolare di un sillogismo, è la struttura dell'argomento stesso, cioè la corretta disposizione dei termini in rapporto alla quantità e alla qualità delle proposizioni che compongono l'argomento; materia invece sono i termini stessi che occorrono nell'argomento. In questo senso D. parla di ‛ forma sillogistica ' in Mn III IV 5, VIII 3; ‛ forma argumenti ' (opposto a ‛ materia argumenti ') in II X 9 (argumentum... licet... de sua forma... teneat) e III IV 4; formam arguendi in Ep XIII 73; ‛ peccare in forma ', ossia non rispettare la corretta struttura dell'argomento, in Mn III IV 21, V 3; cfr. anche forma locutionis (VE I VI sei volte).
Con esplicito riferimento ad Aristotele, f. ricorre nel senso di " figura " in Quaestio 4 figura sive forma e voco hic ‛ formam ' illam quam Phylosophus ponit in quarta specie qualitatis in Praedicamentis (cfr. Cat. 8, 10a 11 ss., transl. Boethii: " Quartum vero genus qualitatis est forma et circa aliquid constans figura; ad haec quoque rectitudo vel curvitas ") e ancora in 17, 50 e 83 (due volte).
Al di fuori di un preciso contesto dottrinale, f. occorre con molti valori, ad alcuni dei quali non è estranea però una traccia della dottrina filosofica su esposta, sedimentata nel linguaggio comune grazie al lungo uso dotto; Pd XX 23 come suono al collo de la cetra / prende sua forma, cioè suo essere (Buti); XXIV 128 la forma ... del pronto creder mio è l'" essenza ", la " sostanza " della fede di D., ma anche la ‛ regola ' (che è la forma fidei, per cui cfr. Chenu, op. cit., p. 374): segue infatti l'enunciazione delle verità fondamentali del simbolo. Nel senso di " qualità ", " tipo " in generale, f. si trova in Pg X 109 Non attender la forma del martìre. In espressioni avverbiali, f. ha valore in rapporto al contesto ‛ in f. di ', " in qualità di ": Pg V 28 e due di loro, in forma di messaggi; " simile a ": Pd XXX 61 e vidi lume in forma di rivera, XXXI 1 In forma... di candida rosa; " sotto f. di ", cioè " concretizzatosi in ": XX 29 per lo suo becco in forma di parole (cfr. Quaestio 83 in forma aquae, in forma vaporis); in questa forma, " così ", " come segue ": If XXVI 78, Cv I II 2, V 3; in forma, nel senso di " in modo ", " in maniera ": Vn XIX 11 47 Color di perle ha quasi, in forma quale, " nel modo quale conviene ", ecc. (cfr. in Rime, ediz. Barbi-Maggini, p. 75, alcuni esempi tratti dagli scrittori del tempo); nel senso di " in aspetto ": VIII 6 10 ch'io 'l vidi lamentare in forma vera, in f. reale, in " aspetto " di vera persona (così Barbi-Maggini, cit., p. 38) e analogamente in Rime LVIII 5 Tu, Violetta, in forma più che umana, in " aspetto " trasumanato. Infine, sempre con valore avverbiale, Pg VI 54 ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.
Nel senso di " figura visibile " e " aspetto ", " corpo " o " parvenza corporale ": Rime dubbie XXIX 22 Amore è piacer di forma dato per natura; Cv I III 5 forseché per alcuna fama in altra forma m'aveano imaginato; If XXX 41 falsificando sé in altrui forma (Ovidio Met. X 439 [Mirra] " nomine mentito, veros exponit amores "); Pg XVII 19 De l'empiezza di lei [Progne] che mutò forma; XXV 95 così l'aere vicin quivi si mette / e in quella forma ch'è in lui suggelta / virtüalmente l'alma che ristette (v. FORMATIVO), e 99 segue lo spirto sua forma novella; XXIX 97 A descriver lor [dei quattro animali] forme più non spargo / rime, lettor. Per analogia, si può accostare a questo gruppo di occorrenze Pd XXXI 52 La forma generai di paradiso / già tutta mïo sguardo avea compresa: l'" ordine e la composizione " del Paradiso nel suo insieme, abbracciato in uno sguardo. In Rime CII 65 la novità che per tua forma luce, il poeta apostrofa la canzone; f. perciò è quella della canzone sopra esaminata: ma questa è personificata e f. vale, insieme, f. visibile.
Nel senso di f. visiva, cioè " specie sensibile " che nell'atto del vedere è presente nell'organo della vista, f. occorre in Cv II IX 5 sì come quello che mira riceve la forma ne la pupilla per retta linea, così per quella medesima linea la sua forma se ne va in quello ch'ello mira; III IX 7 Queste cose visibili, sì le proprie come le comuni in quanto sono visibili, vengono dentro a l'occhio - non dico le cose, ma le forme loro - per lo mezzo diafano, non realmente ma intenzionalmente, sì quasi come in vetro trasparente, e ancora 8 (due volte) e 9 (due volte).
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