Formazione continua
(v. professionale, formazione, App. V, iv, p. 286)
Con l'espressione formazione continua si fa qui riferimento al fenomeno spiegato dall'insieme di teorie, strategie, politiche e modelli organizzativi che tendono a interpretare, dirigere e gestire i processi formativi individuali e collettivi lungo tutto il corso dell'esistenza. L'oggetto della f. c. va oltre i confini del sistema scolastico e della formazione professionale. Esso include, infatti, l'insieme dei momenti formativi connessi specificamente al lavoro e all'aggiornamento professionale e altresì quelli rivolti più in generale agli interessi culturali degli adulti. L'espressione è stata introdotta solamente negli ultimi decenni del 20° secolo e la sua diffusione in Europa è legata in primo luogo al fatto che l'Unione Europea l'ha inserita, a partire dal 1994, tra gli obiettivi finanziati dal Fondo sociale europeo. Tale adozione, essendo ufficialmente volta ad "agevolare l'adattamento dei lavoratori e delle lavoratrici ai mutamenti industriali e alle evoluzioni dei sistemi di produzione", ha portato a identificare l'espressione formazione continua con la formazione dei lavoratori dipendenti. L'uso che qui viene proposto è, però, più ampio e prossimo al concetto di lifelong learning, o, meglio, di educazione permanente.
La formazione in senso moderno, come processo organizzato e intenzionale che interessa tutto il corso dell'esistenza di sempre più ampi strati di popolazione, diviene una realtà con l'avvento della società industriale. È così che in Norvegia i primi provvedimenti statali in favore dell'educazione degli adulti vedono la luce nella prima metà del 18° secolo. Nel Regno Unito, già nel 1816 viene pubblicato da Th. Pole il primo libro sulla storia delle scuole per adulti e nel 1851, a opera di J.H. Hudson, il primo sulla storia dell'adult education, una prassi che già era stata esportata oltreoceano ben prima dell'indipendenza degli Stati Uniti, dove trova una traduzione legislativa fin dal periodo elisabettiano. In Spagna, così come in altri paesi dell'Europa mediterranea, bisognerà attendere il 19° secolo per registrare le prime manifestazioni.
Fin dalle origini, quella che solo più tardi sarà chiamata formazione continua si afferma nelle realtà a più intenso sviluppo industriale. Essa nasce sotto due spinte parallele: da una parte, l'interesse della borghesia industriale a disporre di forza lavoro capace di prendere parte a un'attività produttiva in costante evoluzione; dall'altra, l'interesse delle classi lavoratrici a orientare le nuove condizioni e possibilità formative indotte dal processo produttivo anche ai fini della propria emancipazione e del superamento della divisione sociale del lavoro. A queste si accompagna una terza direttrice di sviluppo, animata dalle classi sociali emergenti, coagulatesi attorno al processo di costruzione dei nuovi Stati e tendenti a ricorrere alla formazione quale strumento di unificazione nazionale e di rafforzamento del ruolo dei ceti dirigenti.
A cavallo tra il 18° e il 19° secolo, in tutti i paesi dell'Europa industrializzata questa esigenza si tradurrà nella propagazione di scuole e centri di formazione professionale per adulti o giovani lavoratori (dai Corsi rivoluzionari promossi a Parigi per operai armieri formatori nell'anno ii sotto la Convenzione montagnarda, alle Scuole agricole promosse dal marchese Cosimo Ridolfi nei primi decenni dell'Ottocento, ai corsi serali e domenicali per donne lavoratrici nel Massachusetts promossi dall'impresa tessile Lowell & Waltham a partire dal 1820, alle Scuole in impresa della grande azienda bellica tedesca Krupp), oltre che nella diffusione di forme di mutualità e solidarietà educativa (praticate in Italia, come in altri paesi europei, attraverso le Società di mutuo soccorso o le Camere del lavoro: non a caso quella fiorentina era chiamata 'L'intellettuale') e nella nascita di organismi e attività di educazione popolare ispirate, come in Danimarca e in tutti i paesi nordici, ai principi della folkeoplysning ("illuminazione del popolo") definiti dal vescovo protestante N.F.S. Grundtvig e dai suoi discepoli. Con il finire del 19° secolo e i primi decenni del 20° l'intervento pubblico si affaccia prima in forme indirette e poi attraverso la gestione diretta anche nel campo della formazione lungo tutto il corso dell'esistenza. Gli interventi sono volti principalmente al controllo e alla gestione di attività di formazione scolastica e professionale per giovani e adulti.
L'esplosione delle due guerre mondiali per un verso ha effetti stagnanti rispetto allo sviluppo delle pratiche e delle politiche della formazione, accentuati dall'affermarsi di governi autoritari. È però proprio negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale, nel 1919, che per la prima volta l'espressione lifelong education trova la propria consacrazione in un documento ufficiale del governo della Gran Bretagna. Appena un anno prima anche nella legislazione della nascente Unione Sovietica vengono affermati il fine di "garantire ai lavoratori l'effettivo accesso al sapere" e il compito di "assicurare agli operai e ai contadini poveri un'istruzione completa, universale e gratuita".
Ma l'idea moderna del concetto che viene identificato con l'espressione formazione continua ha, nell'Europa occidentale degli anni Trenta, un suo cruciale momento di messa a punto teorico-pratica nell'esperienza storica del Fronte popolare in Francia. Fu all'interno di quel movimento politico di opposizione al nazifascismo che si incontrarono intellettuali e lavoratori e che, nel segno dell'éducation populaire, alla prassi della trasmissione di contenuti e valori culturali predeterminati si contrappose un'idea di 'allenamento mentale' attraverso cui rafforzare la 'muscolatura mentale' dei lavoratori per porli in condizione di rispondere alle 'idee ricevute'. Questi sono i presupposti che permettono il passaggio a un'idea di éducation permanente, avanzata da P. Arents e P. Lengrand negli anni Cinquanta, totalmente affrancata da ipotesi di 'cultura continuata' o di 'scuola permanente' e direttamente connessa invece alla nostra definizione iniziale.
A partire dagli anni Sessanta, il campo della formazione entra in una fase di incessante crescita e diviene un'arena di costante confronto di interessi diversi. Il modello focalizzato sulla scuola come momento essenziale della formazione del soggetto e concentrato in un'unica fase della vita entra in crisi. Inoltre, l'esplosione della domanda di formazione, espressa tanto dagli individui quanto da un sistema economico sempre più fondato sul contenuto di conoscenze dei prodotti, provoca l'avvio di un processo intenso di riforme e di nuovi interventi politici volti a costruire nuove condizioni per la formazione e nuovi sistemi. Governi, imprenditori, sindacati e movimenti sociali guardano alla formazione per i suoi intrecci con le politiche economiche, del lavoro, sociali, della salute ecc. Movimenti sociali e sindacati avanzano a livello mondiale nuove rivendicazioni sul terreno specificamente educativo. In tutti i paesi il diritto di accesso all'educazione e alla cultura diviene un motivo comune di riflessione e di proposte innovative.
Nel 1974, dall'Ufficio internazionale del lavoro viene approvata la Convenzione nr. 140 che tende a introdurre su scala mondiale il diritto dei lavoratori dipendenti a liberare il tempo per la formazione attraverso permessi di studio retribuiti. Da quegli anni in poi si fa sempre più intensa l'azione dei governi, particolarmente di quelli dei paesi più industrializzati. Già prima della rivolta studentesca di Berkeley e del 1968, il presidente degli Stati Uniti L.B. Johnson diede vita a un grande programma promosso dal governo federale per l'aggiornamento professionale e l'educazione di base degli adulti. Sarà poi la Svezia, su iniziativa dello stesso primo ministro O. Palme, che per prima cercherà di mettere in atto, a partire dal 1968, un sistema di 'educazione ricorrente', al fine di rendere possibili, su larga scala, i rientri in formazione. Nonostante le difficoltà, la crisi delle politiche fiscali e dello stato sociale, tale azione è proseguita negli anni Ottanta e Novanta e non solo nell'Europa del Nord, ma in tutti i paesi sviluppati del mondo come gli Stati Uniti, l'Australia o il Canada. In Giappone l'intervento ha indubbiamente assunto toni più decisi che altrove, dal momento che, a partire dal 1990, è stata messa in atto una riforma dell'intero sistema formativo in un'ottica di lifelong learning fondato sull'integrazione delle diverse opportunità formative prevalentemente a carattere non scolastico.
Momento culminante di fine secolo è la v Conferenza mondiale sull'educazione degli adulti promossa dall'UNESCO nel luglio 1997. È in questa occasione che per la prima volta si affaccia la proposta di universalizzazione del diritto individuale alla formazione, ovvero di "assumere come obiettivo per il prossimo secolo l'affermazione del diritto minimo universale di un'ora al giorno per tutti e in tutte le parti del mondo, un'ora che ciascuno può dedicare, liberamente, senza priorità imposte da nessuno degli agenti, alla cura del proprio sviluppo intellettuale e della propria socialità".
Le correnti di pensiero
Rispetto alla definizione degli scopi della f. c., la ricca varietà di approcci può essere ricondotta all'interno di due principali paradigmi: il neoliberale e il critico-radicale. Nell'approccio neoliberale la f. c. è considerata per la sua funzione complementare rispetto a fini predeterminati: far condividere alla gente credenze e valori comuni e assicurare al sistema produttivo la disponibilità di capitale umano adeguatamente formato. Il contesto, dunque, è dato per accettato e la f. c. è pensata per porre gli individui in condizione di contribuire e partecipare al progresso. La formazione è vista come un processo formativo eminentemente individuale. Non a caso essa viene identificata con l'apprendimento (learning), inteso come un fenomeno innanzitutto di natura psicologica. In questo modo non vengono presi in considerazione l'organizzazione dell'azione che crea le condizioni di apprendere e gli elementi del contesto che debbono essere rimossi affinché la formazione, libera e per tutti, sia possibile. Nell'approccio neoliberale il riferimento al contesto educativo è sfumato (come, per es., in M.S. Knowles) anche in ragione del concetto di eguaglianza educativa che lo caratterizza. L'eguaglianza delle opportunità è considerata condizione di partenza comune a tutti, connessa alle istituzioni famiglia e scuola. Successivamente, l'educazione ha il compito di dare a ciascuno il posto che più merita nella società. Serve a tal fine un sistema di sanzioni e premi che crea ineguaglianze considerate inevitabili. Il risultato è responsabilità del singolo.
Con l'approccio critico-radicale la f. c. tende a collegarsi all'insieme degli aspetti economici, politici, sociali, culturali che fanno parte della vita individuale e collettiva. La formazione è identificata con le strategie e le dinamiche liberatorie che conducono al controllo e alla gestione sociale dei processi formativi. La funzione specifica, la ragion d'essere della f. c. è identificata con il processo formativo e l'azione che porta gli 'agenti umani' a trasformare le condizioni sociali che ostacolano il loro sviluppo intellettuale. Alcuni autori sia europei sia nord-americani, ispirandosi ad A. Gramsci e a P. Freire, giungono a identificare la f. c. con l''educazione contro-egemonica', ovvero con l'azione che, contemporaneamente, produce cambiamenti strutturali e crea negli stessi soggetti agenti nuovi valori, aspettative, identità e solidarietà. L'attenzione verso la dimensione interattiva e trasformativa dei processi formativi e verso i compiti egemonici si completa con la sottolineatura della dimensione collettiva delle dinamiche. Da qui la considerazione della f. c. come parte integrante dell'azione dei movimenti sociali di ogni tipo (lavoratori, donne, anziani, indigeni ecc.).
Le teorie sul processo formativo in età adulta
L'esigenza di definire una teoria rispetto al processo formativo nelle diverse età della vita, e specificamente nell'età adulta, accomuna l'insieme degli approcci filosofici alla formazione continua. Lo sforzo di dare conferme scientifiche alla possibilità di formarsi lungo il corso di tutta l'esistenza inizia nei primi decenni del 20° secolo con gli studi di E.L. Thorndike negli Stati Uniti e di L.S. Vygockij nell'Unione Sovietica. I primi sono prevalentemente centrati sul funzionamento dell'intelletto nell'adulthood (maturità), mentre i secondi tendono a cogliere il nesso tra sviluppo individuale e cultura. Su tale nesso, peraltro, si fonda l'approccio della scuola deweyana che, in particolare attraverso l'opera di E. Lindeman, identifica la vita con l'educazione ("l'insieme della vita è apprendimento, per questo l'educazione non può avere un termine") e definisce l'educazione come un fenomeno collettivo e sociale. I successivi sviluppi delle scienze fisiologiche e neurologiche (sulla neuroplasticità del cervello e sulla modificabilità della struttura e della fisiologia dei neuroni) porteranno definitive conferme sul continuo sviluppo della capacità di apprendere nel corso dell'età adulta e sui fattori di deficit derivanti dalle condizioni fisiologiche e sociali del soggetto, cui si oppongono gli effetti compensatori dell'esperienza accumulata durante la vita.
Contemporaneamente, la costruzione di modelli teorici specifici ha bisogno dell'apporto della ricerca che fondi su basi scientifiche il superamento di un approccio meramente trasmissivo alla formazione. Da questo punto di vista, lo sviluppo dell'insieme delle scienze dell'uomo offre contributi basilari. Oltre all'antropologia e alla sociologia, un contributo particolare viene dalla psicologia. Fondandosi sui risultati della ricerca di altre discipline, si sviluppano tentativi di sistematizzazione teorica costruiti sulla specificità del processo formativo nell'età adulta. Pur non senza rischi di eccessiva semplificazione, i principali orientamenti teorici possono essere ridotti a due: le teorie tendenti a spiegare i processi di apprendimento in funzione della struttura interna della persona e dell'individuo adulto, in quanto studente, e le teorie tendenti a spiegare il processo formativo nella sua complessità individuale e collettiva, ovvero le teorie critiche.
Le teorie sull'apprendimento adulto si sono alimentate innanzitutto della ricerca psicologica. La psicologia umanista (A.H. Mazlow, C.R. Rogers) è quella su cui si fonda la costruzione del modello 'andragogico' proposto da Knowles. Questo tentativo di sistematizzazione muove dal presupposto che tutti gli esseri umani, in ragione della loro struttura psicologica, sono 'determinati' ad autorealizzarsi e a sviluppare incessantemente il loro potenziale. L'apprendimento adulto è così concepito come un processo di 'facilitazione' tendente a offrire un supporto alle capacità di autodirezione e di autosviluppo che gli individui naturalmente possiedono. Su questa base, Knowles ha elaborato una serie di tecnologie formative per assicurare una corretta negoziazione tra docente e allievo degli obiettivi della formazione, della gestione metodologica e della valutazione della formazione.
Le teorie critiche tendono a un approccio interdisciplinare. Esse muovono dal riconoscimento del carattere anche negativo dell'educazione intesa come il prodotto delle dinamiche storiche, dei rapporti di potere educativo e delle interrelazioni tra le dimensioni micro e macro, tra individuo e sistema sociale. La f. c. viene letta in termini di processo formativo, che si sviluppa nel tempo, appunto, e che "corrisponde, nel suo svolgersi, al processo di apprendimento inteso non soltanto nella sua valenza individuale, ma anche in quella culturale e sociale" (Orefice 1978, p. 57). La formazione si identifica con l'azione del soggetto individuale e collettivo, ovvero del soggetto storico, volto a trasformare se stesso e il contesto sociale che lo ha determinato e a rimuovere le cause che hanno generato il bisogno di formazione. Ciò è espresso con particolare determinazione nella teoria della coscientizzazione di Freire. La coscientizzazione è il frutto della combinazione di azione e riflessione realizzata in condizioni di libertà e autonomia di apprendimento. In Freire la dimensione trasformativa dell'apprendimento è concepita come il mezzo per realizzare una società che rispetti la dignità e la libertà dell'uomo. Azione formativa e "protagonismo di chi è portavoce sulla sua pelle del problema da risolvere scientificamente" (Orefice 1991, p. 148) trovano una loro combinazione nell'assunzione della 'ricerca partecipativa', in quanto sistema di produzione delle conoscenze praticato dall'uomo nelle battaglie quotidiane per la sopravvivenza. Si tratta di un approccio alla produzione del sapere che recupera e affina le capacità dell'individuo nel condurre le sue stesse ricerche; favorisce l'appropriazione di conoscenze prodotte dal sistema dominante; sviluppa le conoscenze necessarie per il proprio processo di emancipazione; pone l'individuo in condizione di liberarsi dal dominio e dall'egemonia delle élites (Tandom 1989, pp. 10-11). Caratteri analoghi possono essere attribuiti alla 'biografia educativa', in cui lo sforzo personale per esplicitare la propria storia di vita educativa è estremamente coscientizzante e implicante. Questo esercizio contribuisce a creare l'autoformazione nello stesso tempo in cui la fa conoscere (Pineau 1980; Demetrio 1996). Nelle teorie critiche l'oggetto della f. c. non è costituito dai contenuti dell'apprendimento, ma dall'esercizio della capacità di controllo sociale organizzato sulle valenze educative che agiscono nel lavoro e nella vita quotidiana (De Sanctis 1975). Nella stessa direzione va il contributo di J. Mezirow nel momento in cui propone la teoria della prospettiva trasformativa. Mezirow sostiene che ogni essere umano funziona all'interno di un sistema di significati, di complesse e dinamiche strutture di credenze, teorie e assunzioni psicoculturali. Questo sistema di significati funziona come un filtro attraverso cui l'esperienza personale è mediata e interpretata. Mentre queste strutture organizzano la nostra esperienza e la rendono coerente, in qualche misura distorcono e limitano la percezione attraverso ciò che Mezirow chiama "habits of expectation" (Mezirow et al. 1990, p. 2) da esse prodotte. I cambiamenti nelle strutture di significati possono verificarsi a condizione che si realizzi la riflessione critica. Questa garantisce che i significati prospettati per l'assunzione da parte del soggetto siano identificati, criticamente valutati e riformulati al fine di permettere lo sviluppo di una più inclusiva e permeabile prospettiva di pensiero. Il processo della prospettiva trasformativa è visto da Mezirow come il processo centrale dello sviluppo dell'adulto (Mezirow et al. 1991, p. 155). E il fine dell'approccio trasformativo è indicato nella conquista del modo attraverso cui noi possiamo controllare la nostra esperienza piuttosto che essere controllati da essa (Mezirow et al. 1990, p. 375).
Le strategie
La prospettiva di una formazione lungo tutto il corso dell'esistenza diviene oggetto di strategie e di pianificazioni nel momento in cui gli Stati accrescono il loro ruolo politico e finanziario per garantire una risposta alla crescente domanda di formazione emergente dalla società e dal mondo della produzione. Un impulso decisivo viene dall'incorporazione della f. c. tra i fattori basilari della produzione. Con gli ultimi decenni del 20° sec. si fa strada una nuova teoria della crescita economica, secondo cui le funzioni della produzione in senso lato tengono conto non solo del capitale e del lavoro, ma anche della conoscenza, specie di quella scientifica e tecnologica. Fornire forza lavoro qualificata e creare una disponibilità ad accettare i rapidi cambiamenti sono le funzioni di base che si affidano alla f. c. e di cui si cerca di misurare gli effetti, possibilmente attraverso il sistema dei prezzi (Vaizey 1962).
Iniziano, così, a essere delineati modelli teorici per la gestione della formazione come funzione della produzione. Un primo orientamento muove appunto dalla considerazione degli esseri umani come fattore di produzione e considera la f. c. quale strumento per la loro gestione in termini di 'risorse umane' (S. Correa).
Appartengono a questo orientamento tre modelli teorici. Il primo è costituito dalla teoria del filtro, in cui l'educazione, più che come fattore determinante la crescita economica, è considerata per le sue funzioni di selezione della forza lavoro; sarà poi l'attività professionale e, quindi, il livello di produttività mostrato sul lavoro a determinare l'entità dei benefici individuali (il salario) e i profitti prodotti per il sistema produttivo. Il secondo modello è quello della teoria del job matching, ovvero dell'adeguamento al posto di lavoro, che attribuisce alla f. c. il compito di favorire l'incontro tra lavoratore dotato delle abilità necessarie e posto di lavoro che richiede l'uso di tali abilità. Entrambe queste teorie escludono e considerano in termini di 'eccesso di formazione' il possesso da parte dei lavoratori di conoscenze non utilizzabili nel luogo di lavoro. Infine, la teoria del capitale umano, è quella in cui la f. c. è concepita come un 'investimento' che contribuisce a determinare le caratteristiche di un lavoratore e quindi la sua produttività e, di conseguenza, il suo salario, considerato come ricompensa, oltre che del lavoro prestato, anche dei precedenti investimenti in formazione.
Questi modelli sono stati considerati 'economicisti' (Coraggio 1996), deboli dal punto di vista epistemologico, dal momento che elaborano teorie che interessano la dimensione macroeconomica considerandola come somma dell'insieme delle dimensioni micro, e inadeguati a spiegare i fattori economici dell'evoluzione delle stesse strutture formative (Vinokur 1976, pp. 313-14). Per questo a esse vengono opposte teorie alternative che vedono la f. c. in funzione della sua capacità di favorire il superamento della divisione sociale del lavoro. In proposito, le due posizioni estreme possono essere così individuate: la prima si basa sulle teorie sovrastrutturali, che considerano il superamento della divisione sociale del lavoro come il prerequisito essenziale affinché una vera f. c. possa essere realizzata. Infatti, in un regime capitalistico, la f. c. - come la scuola - è destinata a provvedere alla produzione di forza lavoro qualificata, alla trasmissione dei valori del sistema e alla riproduzione delle gerarchie sociali, oltre che dei rapporti di produzione (Vinokur 1976, p. 288). La seconda poggia sulla teoria della globalità produttiva, proposta da F. M. De Sanctis, secondo cui la formazione deve essere infatti considerata come parte integrante della globalità produttiva. Il lavoratore, nel momento in cui consuma un prodotto educativo o culturale, non fa che compiere un 'sopra-sopra-lavoro', ovvero una quantità di lavoro supplementare al sopra-lavoro che già è stato incorporato nel plusvalore. Anche se non si tratta di lavoro produttivo in senso propriamente economico, esso è tuttavia "funzionale al plus valore nella misura in cui sviluppa e perpetua la "razza degli operai"" (De Sanctis 1975, p. 148). Ciò accade non in senso unico. È nel momento del consumo che il prodotto diventa tale e che il pubblico dà al prodotto la sua ultima rifinitura. Laddove il pubblico riesce a gestire i propri modi di consumo e a orientarli al di fuori degli schemi predisposti e "nella prefigurazione di una nuova formazione socio-economica [...] il nuovo produttore sarà, in potenza, il pubblico stesso" (p. 153), che avrà così utilizzato il consumo educativo e culturale per "sviluppare la propria capacità di autodeterminazione" (p. 154).
I diversi modelli teorici esposti hanno visto la loro traduzione in quattro principali direzioni strategiche volte a orientare gli indirizzi e le politiche nel campo della f. c.: a) l'educazione ricorrente, presentata dall'OCSE nel 1973 come la strategia capace più di altre di dare concretezza alla formazione continua. Il modello è caratterizzato dalla pianificazione di misure e dalla costruzione di sistemi capaci di assicurare a tutti i cittadini possibilità di rientro in formazione lungo tutto il corso dell'esistenza, in alternanza, quindi, con periodi di lavoro; b) l'eguaglianza delle opportunità educative, che considera la f. c. come un diritto di tutti i cittadini, lavoratori e non, e che è caratterizzata dalla rivendicazione del diritto di accesso a tutte le opportunità esistenti, non solo all'educazione formale, ma a ogni tipo di servizio e infrastruttura per la formazione (dalle biblioteche ai musei, alle banche dati ecc.); c) il lifelong learning, proposto anch'esso dall'OCSE nel 1990 e tendente a sostituire altre ipotesi strategiche (la lifelong education, la società dell'educazione, la comunità educante). Con il lifelong learning si pone l'accento più sull'apprendimento che sulla formazione e, quindi, si tende a porre in rilievo il ruolo dell'individuo e la sua responsabilità nel costruire i propri percorsi formativi. Sul piano istituzionale, la strategia si caratterizza per il riconoscimento del ruolo educativo di ogni tipo di organizzazione e per la riduzione di importanza attribuita al sistema scolastico; d) l'educazione permanente, una proposta avanzata verso la metà del 20° secolo, che si caratterizza per la scelta di un approccio egualitario non limitato alla rivendicazione dell'accesso a tutte le opportunità esistenti, ma comprendente il diritto di produrre l'inesistente, l'inimmaginabile. Si tratta di una strategia che fa perno sulla formazione del soggetto collettivo capace di controllare e dirigere il processo di trasformazione individuale e collettivo necessario alla realizzazione di una prospettiva di educazione permanente. In tal senso, questo approccio strategico si attua attraverso la formazione di una società con una capacità di iniziativa diffusa e attraverso lo sviluppo della vita sociale organizzata in senso solidaristico.
Le politiche
Con l'esplosione della domanda di formazione, negli ultimi decenni del 20° secolo, il compito delle politiche si fa più complesso. La f. c. non può essere ridotta a un servizio offerto dalle istituzioni pubbliche - anche perché queste difficilmente sarebbero in condizione di rispondere a una domanda di formazione lungo il corso di tutta l'esistenza per i milioni di cittadini governati - né ai beni educativi proposti da un mercato dell'educazione in costante espansione. Il mantenimento di un ruolo da parte delle istituzioni pubbliche dipende, in questa fase, dalla capacità degli Stati di dirigere le dinamiche di attuazione delle strategie formative, piuttosto che gestire direttamente le attività formative stesse.
Il nuovo corso comporta una politica della f. c. che si articola su tre indirizzi complementari: a) la politica dell'offerta, centrata su misure e interventi volti ad assicurare l'esistenza di opportunità educative e di una forma di organizzazione sistemica. Tale obiettivo è perseguito attraverso misure volte a favorire: 1) lo sviluppo del 'terziario della formazione', ovvero degli agenti educativi (pubblici, privati a fine di lucro, associativi); 2) la creazione di infrastrutture (centri, reti telematiche ecc.) e di servizi di base (informazione, consulenza, orientamento, formazione degli operatori ecc.) per operatori e pubblico della f. c.; 3) la promozione di forme di coordinamento fra sistemi e agenti (attraverso forme comuni di certificazione, la creazione di passerelle, la realizzazione di modalità integrate e democratiche di programmazione territoriale delle attività); 4) la trasformazione in senso educativo dell'insieme delle organizzazioni (dall'ambiente alla fabbrica, all'ospedale, alla biblioteca) e la loro democratizzazione in funzione di un'eguaglianza delle possibilità di accesso e delle modalità di gestione; b) la politica della domanda, centrata su misure e interventi rivolti agli individui e tendenti ad assicurare loro la possibilità 'soggettiva' di accesso alla f. c. e di esercizio di un ruolo di controllo e di direzione dei processi formativi personali e collettivi. Tale politica si attua attraverso tre indirizzi principali: 1) il riconoscimento del diritto individuale all'accesso alla f. c. espresso nelle nuove politiche dei tempi e dei costi di tale formazione. Ciò si traduce nella modifica, anche per legge, dei tempi di vita e di lavoro al fine di rendere possibile l'accesso alla formazione (realizzato, per es., nel lavoro, attraverso l'introduzione dei permessi di studio retribuiti e attraverso forme di rotazione del lavoro, oppure nella vita quotidiana attraverso la riduzione dei 'tempi non funzionali' dei servizi, che condizionano in particolare la vita delle donne). Per quanto riguarda i costi, ciò si è tradotto nelle politiche di finanziamento diretto (borse, buoni ecc.) o indiretto (deducibilità fiscale ecc.) delle spese di partecipazione; 2) la difesa del consumatore di prodotti educativi, aperta con l'introduzione di norme che assicurano la presenza di alcuni standard minimi di qualità; 3) le politiche attive dell'educazione, tendenti allo sviluppo di una capacità di iniziativa diffusa attraverso la promozione di forme di autogestione delle attività educative (il modello nordico dei 'circoli di studio' ne è un esempio), dei processi formativi in generale (l'incentivazione di forme associative con finalità anche di studio e di formazione), delle infrastrutture e dei servizi pubblici e privati; c) la politica di espressione della domanda, che ha per oggetto la determinazione del 'clima educativo generale', derivante dalle condizioni di vita e di lavoro della popolazione. Si tratta di una politica che tende a intervenire sulla dimensione educativa della vita familiare, dell'assistenza sanitaria, della vita cittadina, dei rapporti di lavoro, della politica finanziaria ecc., ovvero sulla dimensione educativa di ogni aspetto e momento dell'esistenza e che ha il potere di favorire o inibire l'autoidentificazione dei lavoratori, o più in generale, dei cittadini, in quanto pubblico della formazione.
Il sistema
Il campo di intervento, di norma, viene articolato in quattro aree principali, distinte a seconda del loro carattere: a) formale, ovvero legato al conseguimento di diplomi e attestati; b) non formale, corrispondente alle attività educative organizzate, ma non tendenti a una certificazione; c) informale, individuabile nei processi educativi non organizzati né strutturati, gestiti a livello sia individuale che sociale; d) accidentale, connesso ai processi educativi che si liberano negli incontri accidentali con prodotti educativi e culturali nella vita quotidiana, nel lavoro o nel tempo libero.
Queste categorie, formalizzate dall'UNESCO nel 1970, ma già precedentemente in uso in campo sia scientifico (da J. Dewey in poi) sia politico (la World Bank, per es.), se aiutano a classificare la complessità dei processi formativi, hanno però mostrato i loro limiti nel momento in cui la f. c. ha iniziato a fare riferimento alla nuova classificazione dei saperi (del filosofo francese M. Serres, per es.) e al concetto di competenze trasversali. I nuovi approcci epistemologici si sono ben combinati con un orientamento tipico del lifelong learning e volto alla legittimazione e certificazione di ogni tipo di sapere e alla riduzione di peso dell'educazione formale. In questo nuovo contesto, ciò che viene messo in risalto è l'integrazione fra i diversi campi piuttosto che la separazione. Di conseguenza, la descrizione del sistema che ne assicura la messa in atto deve piuttosto far riferimento agli elementi portanti dell'organizzazione della f. c. (servizi, infrastrutture, agenzie, attività, misure legislative e amministrative). Inoltre, essa necessariamente si limita all'impianto specializzato, solidificatosi nel corso della dinamica storica, che supporta l'insieme delle diverse modalità di formazione organizzata.
I servizi per la f. c. costituiscono un campo di recente sviluppo connesso alle nuove politiche. La riduzione del ruolo di gestione diretta di attività da parte degli organismi pubblici ha portato ad accentuare l'importanza della creazione di una serie di servizi di base rivolti al pubblico (quali, per es., i servizi di informazione, orientamento, consulenza, motivazione), alle imprese (analisi dei bisogni formativi d'impresa, creazione d'impresa, successione d'impresa ecc.), agli organismi specializzati (documentazione, formazione degli operatori, valutazione delle esperienze di formazione, ispezione, consulenza finanziaria e organizzativa, controllo di qualità).
Le infrastrutture educative e culturali (biblioteche, teatri, banche dati, musei ecc.) sono oggetto di una dinamica che le sta conducendo a svolgere un ruolo non solo di conservazione, ma anche di f. c. dell'insieme degli strati di popolazione. Tale dinamica si sviluppa su quattro livelli: la modifica delle modalità di fruizione dei prodotti (si pensi alle forme di distribuzione stellare del libro attivate da varie biblioteche italiane ecc.); la cooperazione con altre agenzie (tra biblioteca e fabbrica, tra museo e ospedale ecc.); la riforma in senso educativo dei meccanismi interni di funzionamento (orari di apertura, criteri di acquisizione delle opere, competenze del personale, istituzione di unità didattiche interne ecc.); il sostegno a forme di espressione e di produzione artistica da parte del pubblico (rapporto autori e pubblico, disponibilità di strumenti per l'espressione ecc.).
Le agenzie operanti nel settore si sono enormemente sviluppate in qualità e quantità. La tipologia degli organismi varia da paese a paese. Così, se la realtà dei paesi scandinavi si può dire sia caratterizzata dai centri residenziali di educazione degli adulti e dai circoli di studio, negli Stati Uniti sono invece i colleges, le università, i Community colleges, i Cooperative extension services, le Forze armate, le organizzazioni religiose e le imprese che caratterizzano il panorama formativo di fine secolo. In Europa, tenendo conto delle funzioni, si distinguono sei tipi di agenzie: a) con funzioni di pianificazione e di programmazione; b) con funzioni federative; c) volte ad assicurare servizi generali di base; d) specializzate (secondo i tipi di pubblico interessato, le aree di intervento, le tematiche privilegiate e gli obiettivi perseguiti); e) polifunzionali; f) non specializzate.
Le attività si sviluppano in tutti i campi dello scibile, attraverso un'infinita varietà di metodi (dai corsi agli stages, alle ricerche partecipative, ai gruppi di lavoro, ai laboratori ecc.), rispetto ai problemi che riguardano l'intero arco della vita (dall'autoimprenditorialità alla preparazione alla fine della vita). A partire da una tipologia proposta da K. Abrahamsson potremmo suddividere il campo nelle seguenti aree concernenti le attività formative rivolte a: a) il compimento dell'obbligo scolastico; b) il rientro nella formazione scolastica (dalla scuola secondaria a quella post-secondaria e universitaria); c) il rafforzamento dell'impiegabilità dei soggetti; d) lo sviluppo delle competenze generali, attraverso l'alternanza rispetto al lavoro sia retribuito sia non retribuito; e) l'aggiornamento in servizio; f) la trasformazione in senso educativo di ogni tipo di organizzazione; g) l'autoformazione; h) lo sviluppo della società civile in generale.
Le misure legislative e gestionali determinano le regole di funzionamento del sistema, contribuiscono a determinare le regole distributive per l'accesso alla formazione e il ruolo dei diversi soggetti nella gestione del processo formativo e rispetto all'utilizzazione dei benefici della formazione. La crisi dello stato sociale non ha avuto alcun effetto sulla produzione legislativa, che anzi ha avuto una crescita progressiva in tutto il mondo a partire dal 1970. Si è altresì arricchito il campo degli strumenti di governo e ci si è orientati verso i 'documenti programmatici', i 'piani di indirizzo' che più delle leggi consentono una più frequente possibilità di aggiornamento.
bibliografia
E.C. Lindeman, The meaning of adult education, New York 1926.
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