formazione delle parole
La formazione delle parole riguarda l’insieme dei meccanismi e dei procedimenti di cui una lingua si serve per costruire parole (dette più tecnicamente lessemi), e permette quindi il continuo arricchimento del lessico. La formazione di parole nuove si ottiene di norma o tramite l’aggiunta di ➔ affissi a una parola esistente o tramite la combinazione di due parole. Nel primo caso si parla di ➔ derivazione, che avviene principalmente tramite ➔ suffissi o ➔ prefissi, e marginalmente tramite la parasintesi (➔ parasintetici), nel secondo caso di ➔ composizione. Altri processi permettono la formazione di parole: la ➔ conversione è un processo di formazione delle parole che determina lo spostamento di una parola da una parte del discorso all’altra, dando quindi luogo a due lessemi diversi, senza l’aggiunta di affissi derivazionali (gioco nome → giocare verbo, cambiare verbo → cambio nome); la retroformazione (➔ retroformazioni) consiste nella formazione di una parola nuova a partire da una parola già esistente tramite la cancellazione di affissi o di segmenti interpretati come tali (telemisurare da telemisurazione, perquisire da perquisizione).
Altri processi, minori in quanto riguardano un numero limitato di parole o ambiti d’uso ristretti, sono riconducibili a fenomeni di riduzione: accorciamenti (foto da fotografia, moto da motocicletta, tele da televisione, Samp da Sampdoria, zoo da giardino zoologico), ➔ sigle (per es., CD da compact disc, CGIL da Confederazione Generale Italiana del Lavoro, FIAT da Fabbrica Italiana Automobili Torino, RAI da Radio Audizioni Italiane), e le cosiddette ➔ parole macedonia. Queste ultime sono formate dall’unione di parti di parole non coincidenti né con lettere né con sillabe iniziali della sequenza di parole da cui sono tratte (Confindustria da confederazione generale dell’industria italiana, Federcalcio da federazione italiana giuoco calcio, Polfer da polizia ferroviaria, Coldiretti da coltivatori diretti) e sono assimilabili in parte con il fenomeno molto più frequente nella lingua inglese detto blend «mistura» (motel dall’ingl. motor «motore» e fr. hotel, smog dagli ingl. smoke «fumo» e fog «nebbia»). Le sigle e le parole macedonia si differenziano dagli altri processi di formazione delle parole anche per il fatto di essere spesso il risultato di creazioni intenzionali, mentre di norma la formazione delle parole avviene spontaneamente nel corso dell’attività linguistica dei parlanti.
L’arricchimento del lessico di una lingua può avvenire anche tramite processi non morfologici, in primo luogo tramite la ➔ lessicalizzazione di sintagmi (➔ polirematiche, parole):
(a) nominali (ordine del giorno, separato in casa);
(b) aggettivali (fatto in casa, pronto all’uso);
(c) verbali (andare in orbita, prendere all’amo; in questa categoria sono rilevanti in particolare i verbi sintagmatici (andare via, fuori, su, giù; scivolare via; mettere dentro, giù).
Un’altra importante fonte di arricchimento del lessico è poi costituita da meccanismi che non utilizzano materiali interni al sistema linguistico, ma consistono nell’appropriazione di elementi (parole, significati, modelli di costruzione) presi da altre lingue: cioè i ➔ prestiti (kiwi dall’inglese, a sua volta da una voce maori; kimono dal giapponese; computer, mouse dall’inglese) e i ➔ calchi (grattacielo dall’ingl. skyscraper, retroterra dal ted. Hinterland; ➔ forestierismi). Le opere lessicografiche seguono l’evoluzione del lessico di una lingua sia tramite gli aggiornamenti dei dizionari dell’uso con l’inclusione periodica di parole nuove, sia con pubblicazioni dedicate, costituite dai dizionari di neologismi (➔ dizionario; ➔ lessico).
I processi di formazione delle parole hanno come risultato parole morfologicamente complesse, che si distinguono dalle parole prive di struttura derivazionale o compositiva, che possono essere definite parole semplici. Queste ultime sono formate da un solo morfema lessicale e di norma da affissi flessivi, ma non contengono affissi derivazionali (presto, cas-a, bar, giall-o, blu, av-ere, è).
I parlanti hanno in genere una certa consapevolezza della struttura interna delle parole, cioè del contributo alla forma e al significato della parola complessa fornito dalla base lessicale e dagli affissi, dato che sono in grado di riconoscere le relazioni fra basi e derivati e comprendono facilmente il significato di parole nuove formate secondo regole. Hanno anche consapevolezza dell’esistenza di parole nuove dovute alla formazione regolare attraverso processi morfologici. I parlanti hanno dunque una competenza morfologica, che si manifesta nella capacità di distinguere fra parole che rispettano le regole di formazione delle parole (le quali fino a che rimangono allo stato potenziale sono dette parole possibili) e parole impossibili (le quali violano le regole di formazione delle parole: ad es., *ri-tavolo e *bello-zione non sono derivati possibili perché il prefisso ri- non si premette a nomi, e il suffisso -zione non si aggiunge ad aggettivi).
Un principio molto generale che condiziona l’uso effettivo di parole ben formate da un punto di vista morfologico è il blocco. Secondo tale principio, l’entrata in uso di una parola possibile si può avere solo se non esiste già una parola che occupa il posto di quella potenziale. Un esempio può essere quello di una parola come rubatore, che è perfettamente regolare da un punto di vista sia formale sia semantico; infatti può essere formata a partire dal verbo rubare (V), con il significato «persona che abitualmente o per professione V», secondo un modello regolare che dà origine a parole quali giocatore o guidatore derivate da giocare o guidare. Il motivo per cui una parola come rubatore non è entrata nell’uso della lingua è che per esprimere il significato di «persona che ruba» in italiano esiste già la parola ladro, che dunque occupa lo spazio semantico della parola potenziale.
Le interazioni fra le parole possibili e il lessico attestato sono manifestate anche dalle estensioni e iper-regolarizzazioni del lessico prodotte dai bambini nativi o da parlanti stranieri durante il processo di apprendimento di una lingua (scrivante o speditore per mittente di una lettera), e dalle creazioni ridondanti rispetto a parole già in uso (guidante per guidatore, chiudicatena per lucchetto). La conoscenza matura di una lingua determina il primato del lessico corrente su quello potenziale.
La formazione di parole è condizionata da una serie di restrizioni che riguardano i diversi livelli di analisi linguistica, e che determinano le possibilità di impiego dei diversi affissi per la formazione di parole nuove. La più importante è il cosiddetto dominio della regola di formazione, cioè l’insieme delle basi potenziali a cui un determinato suffisso o prefisso può aggiungersi. Solitamente si fa riferimento alle basi potenziali indicando la parte del discorso di appartenenza: si parla quindi ad es. di suffissi deverbali o di prefissi nominali. Recenti studi (Plag 2004) hanno dimostrato che l’individuazione della base attraverso la parte del discorso di appartenenza è un’indicazione approssimativa del funzionamento delle regole di formazione delle parole. Ci sono casi in cui un affisso seleziona solo alcuni fra i membri di una parte del discorso, altri in cui si può individuare una parte del discorso prevalente, ma non unica. Ad es., Scalise (1994) mostra che il suffisso -iera, usato per indicare oggetti che servono a contenere quanto indicato dal nome di base (cartucciera), non può aggiungersi a nomi astratti (*libertiera, *bellezziera) né a nomi designanti esseri umani (*giornalistiera, *autistiera), ma può aggiungersi a nomi designanti entità animate (uccelliera) e a nomi concreti anche non numerabili (zuccheriera). Le restrizioni d’uso, come pure la produttività del suffisso, sono confermate da neologismi come camomilliera, risottiera, cuscussiera, infusiera, pappagalliera. Montermini (2001) ha mostrato che i derivati aggettivali con il suffisso -oso sono formati in grandissima maggioranza a partire da basi nominali (amoroso, capriccioso, peloso, pidocchioso), ma che ci sono derivati perfettamente regolari e comuni formati a partire da verbi (appiccicoso, pensoso, scivoloso) e anche da aggettivi (serioso).
In relazione alle considerazioni precedenti, si può dunque ipotizzare che ciò che accomuna le basi potenziali di una regola di formazione delle parole sia la condivisione di tratti semantici (o se si vuole sintattico-semantici, nel caso, ad es., della transitività dei verbi), i quali solo in modo grossolano possono essere riflessi nella categorizzazione in parti del discorso. Un esempio di tale approccio è costituito dall’individuazione del dominio di applicazione del suffisso -aggine, che (secondo Rainer 1989) consiste di lessemi che indicano qualità umane negative: le basi possibili sono quindi in primo luogo aggettivi di polarità negativa (astrusaggine, balordaggine, beceraggine, goffaggine, lungaggine), e in secondo luogo anche nomi usati per indicare qualità negative (asinaggine, cialtronaggine, gufaggine, guittaggine, porcaggine, scimmiaggine); ma non aggettivi indicanti qualità positive (*altaggine, *buonaggine, *bellaggine, *generosaggine).
Tra le restrizioni di natura fonologica, vi è per es., l’impossibilità per il prefisso s- di premettersi a basi che cominciano in vocale (per es., *sagevole, *silludere, *sonesto, *sunire): in questi contesti si usa il prefisso dis- (disagevole, disilludere, disonesto, disunire). Altre restrizioni fonologiche riguardano la tendenza a evitare l’aggiunta di un suffisso a basi terminanti con sequenze omofone o foneticamente simili (prete → pretino, non *pretetto).
Le restrizioni morfologiche riguardano la disponibilità di un affisso ad essere aggiunto a parole già derivate con un determinato affisso; ad es., i due suffissi sostanzialmente sinonimi che formano nomi di azione, -mento e -zione (➔ azione, nomi di) si comportano in maniera diversa in relazione alle basi: circa il 90% dei verbi derivati con il suffisso -izzare costituisce la base per ulteriori derivazioni con il suffisso -zione (memorizzazione, valorizzazione), ma sono attestati anche derivati con -mento (acutizzamento, indirizzamento), mentre i verbi derivati con -eggiare prediligono la suffissazione con -mento (corteggiamento, ondeggiamento), ma impediscono quella con -zione.
Montermini, Fabio (2001), The unitary base hypothesis and the semantics of word-formation rules, in First international workshop on generative approaches to the lexicon (April 26-28, 2001, Geneva), edited by P. Bouillon & K. Kanzaki, Genève, École de Traduction et d’interprétation, pp. 26-28.
Plag, Ingo (2004), Syntactic category information and the semantics of derivational morphological rules, «Folia linguistica» 38, 3-4, pp. 193-225.
Rainer, Franz (1989), I nomi di qualità nell’italiano contemporaneo, Wien, Braumüller.
Scalise, Sergio (1994), Morfologia, Bologna, il Mulino.