Forme del sacro
Premessa
Questo secolo inizia con un nuovo spettro che si aggira nel cuore di tutte le società moderne avanzate. Lo spettro del sacro. Le sue forme sarebbero quelle del nuovo fascino dell’occulto, della magia, dei saperi e delle pratiche esoteriche, delle sette e dei movimenti pentecostali. Si possono indicare al riguardo le reti di gruppi iniziatici, di esperienze magico-religiose e di sigle esoteriche, di pratiche new agers che caratterizzerebbero tuttora, o nuovamente, le società della techné di inizio secolo.
Sarebbe in questo modo venuta meno la convinzione generalizzata che il mondo moderno avrebbe scavato un fossato incolmabile con il mondo incantato del sacro, compreso quello che è stato organizzato dalle religioni storiche. Sarebbe svanito anche lo sforzo compiuto dai molti studiosi, ossia dai Religionswissenschaftlern, per istituire scientificamente una essenza unitaria dei diversi fenomeni religiosi, tale da unificare gli uomini del pianeta in una speranza comune (Duque 2007, p. 87).
Il fascino e l’interesse per il sacro restano l’altra faccia della modernità e molti elementi indicano che i rapporti tra scienza e sacro, tra razionalità e mistica, tra saperi visibili e saperi invisibili, tra yin e yang – se-condo la tradizione orientale – permarranno ancora in futuro. È pur vero che questa sorpresa riguarda il Nord del mondo, trasformato da alcuni secoli dal processo inarrestabile della secolarizzazione.
Diverso è attualmente il rapporto con il sacro che intrattiene il Sud del mondo (America Latina, Africa, Estremo Oriente) dove il sacro sopravvive e cresce nelle forme più tradizionali, all’interno dei grandi ‘risvegli’ rappresentati dai tanti pentecostalismi e dai tanti fondamentalismi. L’esplosione demografica al Sud del mondo, presso le popolazioni più povere del pianeta, fino al 2050, non farà che mantenere questa dimensione del sacro. Si dibatte oggi se questo ‘quarto revival’ del protestantesimo pentecostale e carismatico non possa produrre una grande rinascita del sacro soprattutto nel Sud del mondo. Le prime istituzioni che manifestano qualche timore in merito a questa rinascita del sacro immediato ed emozionale sono le stesse religioni storiche, le quali mostrano una grande preoccupazione per l’irrompere di questa forma del ‘sacro non di chiesa’.
Partendo da questa constatazione che gli dei sono fuggiti, ma con essi non il sacro che continua a tramontare e ad albeggiare, si intendono presentare in un primo punto alcuni fattori che hanno fatto pensare alla scomparsa del sacro nelle società moderne avanzate, diminuendo, di conseguenza, l’interesse per lo studio delle nuove forme che esso assume nella modernità. In un secondo punto si vuole presentare la teoria del trasferimento del sacro di Émile Durkheim (1858-1917), particolarmente utile a interpretare la permanenza del sacro nelle società contemporanee. In un terzo punto, infine, si intendono individuare alcune forme del sacro che si presentano oggi nelle forme più significative.
In tutti i tre punti il sacro sarà definito come insieme di credenze, di pratiche, di riti e di valori produttori di senso condivisi da una collettività, ma non organizzati in istituzioni religiose, e tali da separare un insieme di cose sacre da un insieme di cose profane. Si tratta, come si vedrà in seguito, di una definizione funzionale più che sostantiva, ma tale da mantenere il significato originario della parola indoeuropea sacro, cioè separato. La reintroduzione di una definizione di sacro nell’attuale contesto pare utile anche per chiarire una situazione definitoria in cui si confrontano tra loro, a volte confusamente, decine di definizioni riferite ai concetti di sacro, di religione, di spiritualità: religione secolare, politica, civile, invisibile, implicita, diffusa, analogica, metaforica, quotidiana, magico-esoterica, sportiva, e così via, fino a definizioni più recenti quale quella di religione dei consumi. Pare lecito dunque porsi i seguenti quesiti: quante di queste definizioni attengono al sacro più che al religioso? E quale statuto è possibile dare a queste definizioni: metaforico, analogico, metodologico, teorico?
Declino della categoria del sacro nella cultura moderna
La cultura moderna, dopo i suoi autori classici, non ha avuto particolare interesse per lo studio delle forme sociali del sacro. Dopo le teorie classiche degli studiosi della Scuola sociologica francese, quale quella del sacro opposto al profano di Durkheim (Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912), verso le opere di Lucien Lévy-Bruhl, di Rudolf Otto (Das Heilige 1917) o quelle ancora della fase nascente della fenomenologia, il termine sacro non ha avuto grandi campi specifici di ricerca. Del resto la categoria del sacro ebbe grande sviluppo nel periodo in cui gli studiosi della religione erano anche storici, teologi, sociologi, giuristi. Analizzando le bibliografie sulla sociologia europea a partire dagli anni 1950 in poi si rileva una crescente attenzione verso le forme sociali della religione, ma quasi nulla sulle forme sociali del sacro. Si possono indicare tre fattori di questo parziale declino del sacro nella cultura moderna: uno filosofico (il sacro come immediatezza religiosa), uno teologico (la teologia dialettica), e infine uno sociologico (la teoria della secolarizzazione).
Il sacro come immediatezza
Il primo fattore ha preso avvio con la filosofia di G.W. Friedrich Hegel (1770-1831), la quale ha combattuto tutte le forme dell’immediatezza religiosa. L’immediato era la cattiva infinità; immediato era il magro sentimento dell’assoluto, perché l’immediato è anche il capestro, l’assoggettamento. L’immediatezza del sacro conduce all’accesso sentimentale ed emotivo al mistero. Soltanto il congedo dal sacro è la condizione per l’emancipazione umana. Criticando il sacro come «sentimento di dipendenza» secondo la definizione di Ernst Schleiermacher, Hegel scriveva che il sacro, inteso in questa valenza immediatistica e di dipendenza assoluta, rappresentava il capestro della storia e al contempo legittimava tutte le dominazioni, le sofferenze e le ingiustizie. In Friedrich Hölderlin (1770-1843) si ritrova lo stesso commento espresso non filosoficamente, ma poeticamente: «L’immediato, inteso in senso stretto, è impossibile sia per i mortali che per gli immortali; il dio deve distinguere secondo la sua natura mondi diversi, perché i doni celesti, data la loro indole, devono essere sacri, incontaminati, puri. Anche l’uomo in quanto essere conoscente, deve a sua volta distinguere mondi diversi, giacché la conoscenza è possibile solo mediante la opposizione. Per questo l’immediato, inteso a rigore, è impossibile sia per i mortali che per gli immortali» (Duque 2007, p. 107).
Nel rapporto tra mortali e immortali vige piuttosto la legge della mediatezza, dell’incontro e della separazione, del rapporto indefinito perché insieme possibile e impossibile. Si ritrovano qui le reminiscenze kantiane secondo le quali il sacro è lo stadio a cui regredisce ogni religione quando non fa più appello alla ragione: il sacro quindi come irrazionalità, imposizione, fanatismo. Di qui l’appello kantiano per una liberazione da una religione puramente cultuale in favore di una religione morale. Da questo inizio ha preso avvio una tradizione filosofica conseguente che oggi ancora si ritrova nelle trattazioni che considerano le forme del sacro perlopiù quali patologie o derive irrazionalistiche del religioso, anziché quali specifiche forme sociali dotate di propria identità e autonomia.
Di recente, valutazioni del sacro come indeterminatezza e immediatezza dalle quali le religioni hanno preso le distanze si possono ritrovare in filosofi quali Italo Mancini, Félix Duque e Umberto Galimberti. Secondo Mancini (1925-1993), il sacro come «ispessimento ontologico» e come assoggettamento ha avuto la responsabilità di legittimare sofferenze e dominazioni. Il sacro ha la prerogativa di giustificare gli abissi, gli Abgründe, di non avere un fondo; per questo la ragione hegeliana e le altre forme di ragioni storiche hanno fatto bene a liberarci dalle catene del sacro. Sempre secondo Mancini il processo di secolarizzazione non è avvenuto lavorando all’interno del sacro, quanto piuttosto lavorando per liberarci dal sacro. Per Duque (n. 1943), il solo modo per poter evitare la devastazione del mondo a opera del sacro è la separazione dell’uomo da Dio. Soltanto così l’uomo sentirà la mancanza di Dio come un aiuto; sentirà il dolore della sua mortalità, del suo essere strappato da Dio. «Solo attraverso la costanza di tale solitudine (contrapposta al dimorare hegeliano e paolino del Dio in noi), può essere presentita anche la gioia per l’apparizione futura del Dio. La massima tristezza e il massimo piacere sono qui uniti. Ma il dolore è prima» (Duque 2007, p. 112). Secondo Galimberti (n. 1942), il sacro, che l’uomo della techné riteneva di aver confinato nella sua preistoria, torna a farsi minaccioso. E per giunta tutto avviene a nostra insaputa, senza che noi lo possiamo riconoscere, perché del sacro abbiamo perso non solamente l’origine, ma anche la traccia che segnava il limite oltre il quale era prudente non avventurarsi. A ciò contribuisce anche la debolezza della religione contemporanea la quale, come sistema di regole e di riti, ha sempre avuto la funzione di tenere a bada sia la follia e la violenza sia il sacro. «La religione, delimitando e circoscrivendo l’area del sacro, e tenendola ad un tempo separata dalla comunità degli uomini e accessibile attraverso ritualità codificate, ha posto le condizioni perché gli uomini potessero edificare il cosmo della ragione, il solo che essi possono abitare, senza rimuovere l’abisso del caos» (Galimberti 2000, p. 29).
La teologia dialettica
Il secondo fattore che ha determinato minor interesse per la categoria del sacro, dall’inizio del 20° sec., è rappresentato dalla cosiddetta teologia dialettica il cui più noto esponente fu Karl Barth (1886-1968). Considerando il sacro come residuo religioso, la teologia dialettica, e tutta la teologia che da essa ha preso avvio, ha avuto buon gioco a distinguere la religione dal sacro e a fare del sacro la cattiva teologia. In primo luogo, per questi teologi tra Ottocento e Novecento il messaggio evangelico ha riscattato la fede dal sacro, poiché ha conferito all’uomo religioso la dignità della ricerca, mentre nel sacro la domanda dell’uomo viene semplicemente soppressa dalla risposta. Ma, inoltre, in questa presa di congedo dal sacro, la teologia dialettica ha considerato l’emancipazione umana come il legame con la storia dove si muovono grandi masse di vita religiosa. Sono queste enormi masse di esperienze religiose che la teologia deve capire, interpretare e mettere nel dovuto risalto. Qui il sacro diventa irrilevante, poiché entrano in gioco il kerygma e la fede. In questa visione c’è una particolare confluenza tra il pensiero laico e quello cristiano, tanto che la teologia dialettica ha rappresentato un capitolo affascinante della cultura religiosa del secolo scorso. Secondo la teologia dialettica, il Dio monoteistico ebraico e cristiano ha valenza umana e politica, poiché libera dagli assoluti terreni che bloccano gli uomini con l’imposizione di tabù e sacrifici. Il cristianesimo stesso, da un lato ha contribuito alla dissoluzione del sacro, dall’altro è stato una ragione di secolarizzazione dell’Occidente. La tesi della liberazione dal sacro attraverso la secolarizzazione e quale effetto del messaggio cristiano si può trovare con particolare evidenza in tutta l’opera del teologo tedesco Friedrich Gogarten (1887-1967).
Il cristianesimo ha redento gli uomini dalla presenza del sacro: sia di quello ierofanico sia di quello delle immagini. Si apre il campo del profano. Tra le componenti significative della teologia dialettica c’è quella della sofferenza che legherebbe l’uomo e Dio in uno stesso destino: finché l’uomo non sarà liberato dalla sofferenza, anche Dio non ne sarà liberato. Di qui, come si è detto, la preferenza della teologia dialettica nel legarsi alla storia dell’impegno e delle lotte dove si trovano le grandi masse della vita religiosa. Si può considerare quale ultima fase di questa tradizione teologica novecentesca l’insieme di ricerche esegetiche della lettura materialistica dei Vangeli. Dal 1968 in poi si sono moltiplicati i modelli e le pratiche di interpretazione dei testi biblici tramite le categorie marxiane di modi di produzione, coscienza e scontro di classe, istanze economiche, politiche e ideologiche, pratiche sociali.
La cultura positivistica
Il terzo fattore è dipendente, da un lato, dagli interessi positivistici dell’inizio della cultura contemporanea e, dall’altro, dalla prevalenza che in essa hanno avuto i modelli strutturalisti. È sufficiente notare che solo nell’area delle credenze e dei comportamenti religiosi gli studiosi non hanno applicato le teorie della scelta razionale e della supply side. Solo di recente l’approccio irrazionalista è stato sostituito da altri modelli mutuati dalla psicologia, dalla microeconomia e da altre scienze. È chiaro però che non si entra qui nel merito della veridicità o falsità di quanto si riferisce al sacro (credenze, comportamenti, istituzioni ecc.), ma si pone solo il problema di capire i processi socioculturali che il sacro produce. La cultura moderna non ha avuto grande interesse per il sacro ed è stata sempre più interessata a screditarlo piuttosto che a descriverlo e interpretarlo. In realtà, questo terzo fattore è strettamente riferito alla assunzione prioritaria della teoria del disincantamento/secolarizzazione di Max Weber (1864-1920), anziché della teoria del trasferimento del sacro di Durkheim.
Il trasferimento del sacro
Nella visione di Durkheim ogni società ha le sue forme religiose; esse mutano e si trasferiscono da una società all’altra. Questa è la teoria della metamorfosi del sacro. Per Durkheim il sacro non attiene a una relazione con un essere divino, reale e trascendente, ma è un insieme simbolico di funzioni in cui le figure e le cose sacre danno senso alla vita individuale e collettiva di quanti le riconoscono. Nello sviluppo storico si assiste, quindi, soltanto a un continuo trasferimento del sacro.
Per Durkheim le cose sacre sono quelle protette e isolate dalle interdizioni; le cose profane sono invece quelle a cui si riferiscono queste interdizioni, e che debbono restare a distanza dalle prime. Le credenze religiose sono rappresentazioni che esprimono la natura delle cose sacre e i rapporti che queste hanno tra loro e con le cose profane. I riti sono infine regole di condotta che prescrivono il modo in cui l’uomo deve comportarsi con le cose sacre. Una religione è un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre, cioè separate e interdette, le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono.
In ogni società, la religione è ciò che produce una distanza rispetto alle cose ordinarie (profane) e alla vita quotidiana. Secondo Durkheim l’idea di società è l’anima della religione. Per questo il sacro è il sentimento collettivo che una società ispira ai suoi membri. In questa funzione di rinsaldamento dei vincoli sociali la religione non può scomparire in una società, ma si trasforma in almeno tre tipi di sacro: tradizionale, elementare, moderno. Quest’ultimo è quello che corrisponde alle strutture mentali e materiali della società scientifica, urbana, tecnologica.
Anche oggi, le forme del sacro si ripropongono non solo con residui del passato o con rinnovamento di forme precedenti, ma anche in forme congeniali con la modernità. Ma qualunque forma il sacro assuma, rimangono però sempre eguali le tre funzioni elementari che esso assolve.
Una prima funzione è di fare uscire l’uomo dall’incoerenza e dal disordine esistenziale e sociale, ordinando, per es., il mondo secondo le cose profane e le cose sacre. Con il sacro si produce un quadro cognitivo d’interpretazione per tutte le cose. Il sacro è l’ordine del mondo; in esso le mie azioni sono ordinate in un insieme di segni che permettono ogni volta di attribuire loro un senso. Una seconda funzione è quella ordinatrice dei tempi, delle feste, dei riti: il sacro è un tempo tra i tempi. Una terza funzione del sacro è di integrare l’individuo nel gruppo, costituendone la prossimità, il legame organico, il reticolo mistico dell’unità. Un gruppo forte e coeso richiede passioni, doveri riconosciuti da tutti, legittimazione della violenza e della guerra in certe condizioni e forme, riconoscimento di una dimensione trascendente. È il sacro come matrice di ogni vita sociale o, come dice Durkheim, matrice del ‘divino sociale’, cioè della forza di aggregazione, che è alla base di una qualsiasi società, associazione e comportamento collettivo.
Nell’attuale mutazione tecnologica e culturale senza precedenti, in quali forme l’uomo moderno continua a vivere parte della sfera simbolica in forme emotive, immediate, simboliche, collettive, cioè sacre?
Forme del sacro postsecolare
«Quando gli dei abbandonano il mondo e le religioni cessano di significare la loro alterità, è il mondo stesso che comincia ad apparirci altro, a rivelare una profondità immaginativa che diventa l’oggetto di una ricerca speciale, dotata del suo fine in se stessa e che rimanda soltanto a se stessa. Il fatto è, semplicemente, che l’apprensione immaginativa del reale che costituiva il supporto antropologico dell’attività religiosa si mette a funzionare per conto suo, indipendente dagli antichi contenuti che la canalizzavano» (M. Gauchet, Le désenchantement du monde. Une histoire politique de la religion, 1985; trad. it. 1992, p. 297).
Oggi, dove si trasferiscono le forme del sacro tradizionale? Si trasferiscono in forme che definiamo postsecolari, poiché postsecolare è l’epoca presente che le determina. Epoca postsecolare non già nel senso che processi di secolarizzazione non siano più presenti, ma nel senso, invece, che essi per un qualche concatenamento di circostanze hanno fatto sì che proprio sul terreno del disincantamento e della secolarizzazione si siano manifestati fenomeni culturali nuovi per le connessioni tra il mondo secolarizzato e la religione. L’effetto secolarizzazione non ha svuotato la religione delle sue esperienze religiose, ma ne ha trasformato le connessioni con la diversità di un mondo secolarizzato. È in questa fase successiva e concomitante al processo di secolarizzazione e in cui l’individuo ha pieni poteri su sé stesso, che il sacro tradizionale si muta in forme soggettive, esperienziali, indipendenti sia da contenuti dogmatici definiti sia da confini di religioni storiche. È la condizione antropologica che Weber chiamerebbe ‘sentimento d’inaudita solitudine interiore del singolo individuo’, connessa al grande processo storico-religioso di disincantamento del mondo, un processo che ebbe inizio con la profezia ebraica antica e che, in unione con il pensiero scientifico greco, rigettò come superstizione ed empietà tutti i mezzi magici di ricerca della salvezza. Il sacro postsecolare è l’insieme delle disposizioni ed emozioni spirituali del sacro opposte al profano, oltre che l’insieme dei comportamenti e delle forme sociali che le esprimono e si formano come esito o risposta alla secolarizzazione.
Queste nuove ‘disposizioni spirituali’ e questi nuovi interessi per il sacro – che chiamiamo postsecolari – si caratterizzano per il loro senso dell’agire rivolto a ricomporre quanto la secolarizzazione frammenta e divide tra politica e religione, tra modernità e tradizione, tra Chiesa e Stato e, in conclusione, tra razionalità e trascendenza. Si tratta di una molteplicità di situazioni coinvolgenti la morale e l’etica (manipolazioni genetiche, sessualità, malattia, ambiente, diversità etniche), il sociale (prevalenza dell’ego individualistico ed egoistico), il politico (separazione tra morale e politica), l’economico (autonomia degli interessi materiali, consumistici). Fenomeni postsecolari sono le domande e i bisogni che si formano quando la moralità dell’agire non sembra automaticamente derivabile dalla razionalità: domande di spiritualità e bisogni di eticità, rivalutazione delle esperienze del sacro, rinascita di religiosità che vanno dalle forme diffuse a quelle magiche. Nella funzione generale del sacro postsecolare si trova la ricomposizione tra realtà che la secolarizzazione aveva diviso: il civile dall’ecclesiale, il profano dal sacro, il pratico dal funzionale, l’innovativo dal tradizionale, il feriale dal festivo, il religioso pubblico dal religioso privato.
In modo esemplificativo, si elencano di seguito quattro aree in cui le forme del sacro postsecolare hanno presenze significative: negli happenings di massa, nella rappresentazione del Sé, nell’esoterismo, nella natura.
Happenings di massa
Il primo contesto del sacro postsecolare si individua nella dimensione emozionale ed estetica che caratterizza i grandi eventi collettivi nelle società contemporanee. Si è detto che ciò che fu il ‘politico’ per la modernità, l’estetica e l’emozione in quanto nuova etica lo saranno per il postmoderno. È questa etica dell’estetica e dell’emozione che fonderà la società dei prossimi anni. La realizzazione del Sé o del mondo non si fa più nella semplice azione economica, ma in forme definibili surplus d’essere: grandi ritrovi, affollamenti di ogni genere, trances multiple, fusioni sportive, eccitazioni musicali, effervescenze culturali e religiose. In ognuno di questi fenomeni c’è una sorta di partecipazione totale all’insolito, a una globalità che sorpassa i singoli e per questo ha consonanze con il regno del sacro. Ritorna così la dimensione numinosa che affascina e inquieta e che la modernità credeva di avere scacciato. Sono nuovi elementi di neo-romanticismo o di nuova filosofia della vita in una società che si considera essa stessa costituita più che da eventi, da avventi, o meglio da ‘eventi-avventi’.
Le forme del sacro postsecolare sono messe in scena in molte situazioni musicali, politiche, sportive, religiose con stili di vita alla ricerca di emozioni multiformi, eventi che celebrano miti, riti di antiche tradizioni e valori collettivi, culti di personalità di star di vario tipo. Numerosi ricercatori hanno già condotto le loro ricerche su concerti musicali di massa, su grandi eventi sportivi, su happenings celebrativi, illustrandone le analogie con i rituali religiosi. In tutte queste forme sociali si coinvolgono le dimensioni fondamentali dell’esistenza: la solidarietà con il proprio gruppo e l’identificazione con un simbolo; la lotta e la vittoria; l’opposizione a un nemico; la vita e la morte simbolica. L’organizzazione delle sequenze, dei rituali e del senso delle emozioni richiama una configurazione mitica e simbolica del mondo quotidiano e di ciò che lo supera, degli idoli e della fede in loro. Nel linguaggio e nel comportamento dei fans per i loro idoli abbondano elementi linguistici e di immagini tali da consentire di riscontrare nel ‘culto dei divi’ analogie con rituali religiosi. A proposito di questi fenomeni Edgar Morin (n. 1961) aveva già parlato negli anni Sessanta di una ‘religione di sostituzione’.
Anche nel campo della politica alcuni studiosi hanno analizzato le liturgie politiche e le religioni civili delle società contemporanee; altri autori hanno individuato processi di sacralizzazione, notando che è proprio la ricerca religiosa di una società perfetta ad aver favorito varie forme di sacralizzazione della sfera politica. I due studiosi maggiormente noti sono Raymond Aron (1905-1983) con le sue ‘religioni secolari’ e Jean-Pierre Sironneau (n. 1930) con le sue ‘religioni politiche’.
Aron nel 1944 scriveva: «Il socialismo è una religione nella misura in cui è una antireligione. Se pretende di negare l’aldilà, esso riporta sulla terra alcune delle esperienze che solo le credenze trascendenti avevano il potere di risvegliare. Propongo di chiamare ‘religioni secolari’ le dottrine che prendono il posto nelle anime dei nostri contemporanei di una fede svanita, per creare nel futuro un ordine sociale e la salute dell’umanità. […] Il religioso non è solo adorare una divinità, ma anche il metter tutte le risorse del suo spirito, le sottomissioni della sua volontà e gli ardori del fanatismo a servizio di una causa o di un essere divenuto lo scopo e il fine dei suoi sentimenti e delle sue azioni» (Raymond Aron, 1905-1983. Histoire et politique, 1985, p. 370).
Per Sironneau alcune ideologie politiche moderne che hanno inteso realizzare in questo mondo delle società perfette non hanno fatto altro che aspirare, in modo diverso, a un futuro millenarista. In questo senso i due movimenti recenti più noti sono il nazionalsocialismo e il comunismo leninista. In essi la dimensione politica e quella religiosa appaiono isomorfe quanto a valori, simboli, rituali e a strutture regolatrici di militanze. In tutte queste forme del sacro postsecolare nella sfera politica, c’è anche lo Stato a organizzare la simbolica sociale con le sue istituzioni, i cui rappresentanti hanno la missione di intervenire in tutte le sfere della vita sociale con forme che, anche là dove non sono del tutto estranee a quelle tradizionali, hanno però legittimazione e presentano modalità nuove.
Nei consumi l’esuberanza dell’agire, la ricerca di emozioni e del loro legame con la festa e la ritualità dei luoghi in cui avvengono configurano, secondo alcuni ricercatori, una loro dimensione sacra (Ritzer 1999). Sono gli stessi consumi come esperienza a rappresentare delle tracce del sacro postmoderno. Sono gli stili di vita vissuti nella ricerca emozionale, nel marketing esperienziale che coinvolge i sensi, il cuore, la mente. Si ritrova in questa etica dei consumi una versatilità affettiva e sociale che indica noncuranza per gli effetti delle proprie azioni e irrilevanza per il futuro. Questa tensione del ‘vivere al presente’ ha molti tratti contrastanti con la concezione economica dell’esistenza, che ha avuto il suo riferimento principale nella ‘economia della salvezza’ propria del cristianesimo. Il consumo come esperienza indica che, al di là della fruizione merceologica, hanno importanza i luoghi del consumo in cui fare esperienze sorprendenti e spettacolari e in cui mettersi in scena. Si riproducono in questo contesto di marketing esperienziale nuovi stili personali e collettivi, e una vera e propria religione dei consumi con le sue cattedrali, i suoi riti e le sue nuove istituzioni (cioè i mercati) che la riproducono. Una ricerca condotta dagli studenti del corso di Sociologia dei processi culturali dell’Università di Torino (anno accademico 2006-2007) tra i clienti di un grande outlet italiano ha dato modo di rilevare aspetti significativi. Tra le migliaia di persone vi erano decine di famiglie intere. Alla domanda: «Che cosa avete acquistato?», non mancava chi rispondeva: «Due maglie». Pare chiaro che per molti la visita all’outlet non è stata una grande occasione di acquisti, ma una esperienza, una forma di aggregazione, una fonte di emozioni. Per questo gli outlet sono già stati definiti le nuove cattedrali della religione dei consumi.
Rappresentazione del Sé
Consideriamo in primo luogo la tensione alla realizzazione del Sé attraverso la trasformazione della coscienza. Realizzarsi è prendere coscienza della propria essenza divina e della propria unità organica con l’universo e con gli altri. Questo itinerario spirituale si compie quando l’individuo passa dal suo potenziale sottosviluppo alla crescita personale e da qui alla trasformazione spirituale. In questa prospettiva tipi-camente new agers la crescita del potenziale del Sé si colloca nel più generale processo di evoluzione dell’umanità e della materia. Niente nell’universo potrà resistere a questo «ardore cumulativo dell’anima collettiva. Noi siamo i figli, seppure inconsapevoli, di questa trasformazione. Qualcosa sta avvenendo nella struttura generale dello Spirito. È un’altra specie di vita che sta iniziando». I sostenitori di questo pensiero new agers ripetono: «L’uomo usa solo il dieci per cento della propria mente. Realizzate il vostro io, usate il vostro potenziale creativo, liberate l’immaginazione, espandete la vostra coscienza, pensate positivo». «Noi siamo Dio»: questo slogan di Shirley MacLaine, l’attrice diventata uno dei personaggi più noti di questa nuova spiritualità new ager, rappresenta bene la visione di molti individui.
In questo ottimismo per la realizzazione del Sé e l’espansione della coscienza, la perfezione spirituale non consiste più nel perfezionamento etico, né nel compimento della volontà divina, ma nel prendere sempre più coscienza del proprio posto nell’universo e del proprio Sé divino che trascende e unisce tra loro tutte le forme personali. La coscienza di sé diventa la fonte unica delle motivazioni morali. Questa coscienza transpersonale o cosmica, luogo di unione tra l’umano e il divino, va quindi ben oltre l’arricchimento psicologico dell’individuo nella conoscenza delle proprie emozioni, dei propri sentimenti e comportamenti ripetitivi. Le discipline della meditazione (buddismo, zen, yoga, misticismo cristiano, meditazione trascendentale, sufismo, cabala) sarebbero tutte tecniche per la realizzazione del Sé. In quest’avventura spirituale, in cui tutto è interiore e di ordine psichico, non vi è più un’unica autorità, né un’unica verità e rivelazione. Il sapere religioso è senza dottrina e senza dogmatica. Di qui l’interesse eclettico per i percorsi spirituali più diversi tra l’Oriente e l’Occidente, il passato e il presente. In campo psicologico questo atteggiamento conduce a una elevata sensibilità emotiva e volitiva nel valorizzare la propria esistenza con molteplici tecniche di ampliamento della coscienza e di autorealizzazione. In campo spirituale tutto ciò conduce a una religiosità nella quale la regola è che ‘ognuno trovi la propria via’. Questo soggettivismo in campo religioso ripropone una religiosità ispirata a molteplici religioni e nella quale confluiscono credenze, simboli e pratiche secondo le preferenze di ciascuno, ma non organizzate in istituzioni. Nasce così una religione personale che il sociologo Robert N. Bellah (n. 1927) ha definito sheilaismo, dal nome di una donna, Sheila Larson, che creò una forma personale di pratica religiosa: ci sarebbero tante religioni quanti sono gli abitanti del pianeta (v. R.N. Bellah, R. Madsen, W.M. Sullivan et al., Habits of the heart. Individualism and commitment in American life, 1985).
Esoterismo
Questa terza forma si costituisce dalla nuova nostalgia per quanto è ‘altro’ dalla condizione quotidiana. I diversi ‘orienti’ mitici che hanno fatto intrusione nella postmodernità alludono all’aldilà, a potenze impersonali e ineluttabili, sia che si tratti di filosofie o tradizioni colte, sia che si tratti di pratiche e saperi popolari, di culti di possessione africani o afrobrasiliani o di pratiche astrologiche o postsecolari. Le forme del sacro magico ed esoterico rappresentano una delle modalità più appariscenti di alcuni individui che si confrontano oggi con l’aldilà. Il sacro esoterico postsecolare, per le sue forme e motivazioni, rappresenta il sistema colto e laico di quella stessa istanza che è alla base del sistema popolare della magia. Esso infatti si costituisce attorno all’istanza della ricerca come svelamento dell’aldilà delle cose, della conoscenza come intuizione mistica e infine dell’aspirazione a una nuova padronanza della scienza per il benessere personale e collettivo. Di qui i tanti gruppi e movimenti, le pratiche, gli interessi nonché il supporto del sistema mass-mediatico.
È vero però che accanto a tale esoterismo postsecolare, permane e si sviluppa ancora il sacro magico con le sue paure degli spiriti, delle fatture e con le relative pratiche di rassicurazione. Il fascino delle realtà fiabesche e della magia è presente sempre più nel mondo dell’editoria, dei mass media e in alcuni specifici settori.
Natura
La sacralizzazione della natura si differenzia dalle consuete esperienze ecologiche perché si realizza come rottura con il progetto della modernità, edificato sul disincanto della natura e su di un radicale antropocentrismo. La sacralizzazione della natura intende ritrovare antichi legami di unione con la natura e vivere in armonia con l’universo e le sue creature. Si ritrovano tracce di questo sacro postsecolare nella visione dell’unicità della vita sulla Terra, nelle pratiche non violente, nel riconoscimento dei diritti di tutti gli esseri viventi. In tutte queste visioni della natura, si ritrova, da un lato, l’esaltazione ottimistica della scienza, come fu già all’inizio del Rinascimento, con un’analoga tensione al movimento e al superamento dei limiti e delle frontiere; dall’altro, si ritrova una visione scettica verso tutti i paradigmi scientifici, quasi che si attuasse una ricomposizione tra scienza e religione proprio nel campo dove maggiore era stato il sopravvanzamento della sfera cognitiva (razionalità, sapere strumentale) su quella dell’irrazionale.
Le forme sociali più note di tale processo di sacralizzazione sono quelle della deep ecology (ecologia profonda) e dell’ecologia transpersonale. L’ecologia profonda considera necessario il riconoscimento delle seguenti premesse etiche: l’unicità della vita sulla Terra, la non violenza e il mutualismo dei rapporti sociali, la giustizia e il rispetto dei diritti di tutti gli esseri viventi. L’ecologia profonda ritiene necessaria una nuova base filosofica e religiosa per superare la separazione tra Io, Natura e Mondo. L’autore più noto è stato il filosofo norvegese Arne Naess (n. 1912), per il quale la natura è manifestazione di una energia cosmica in continuo divenire che anima anche l’uomo. Quando il concetto dello spirito umano è inteso in questo senso, come il modo di coscienza in cui l’individuo si sente connesso al cosmo nella sua totalità, diventa chiaro che la consapevolezza ecologica è veramente spirituale.
Dagli anni Novanta, la deep ecology ha fatto un passo in avanti incontrando la psicologia transpersonale e divenendo ecologia transpersonale. Attraverso il rapporto con la natura si attua l’identificazione ultima con il Sé universale. Le nozioni centrali di questa rappresentazione del mondo sono le seguenti: unità del mondo vivente e parentela tra tutte le specie; unità della biosfera e interdipendenza degli elementi che la costituiscono; importanza della diversità nel mondo vivente tra le diverse specie e tra gli individui in ogni specie. Ogni new ager si sente investito della responsabilità di preservare questo equilibrio e di fare crescere questa coscienza della natura.
Di recente, gli scritti che hanno maggiormente contribuito alla formazione di questo paradigma della sacralità della natura sono stati quelli dello scienziato e inventore inglese James Ephraim Lovelock (n. 1919). Soprattutto in Gaia. A new look at life on Earth (1979; trad. it. Nuove idee sull’ecologia, 1981) e in The ages of Gaia. A biography of our living Earth (1988; trad. it., 1991) lo scrittore inglese ha trattato della Terra come sistema vivente, capace di autoregolarsi. La Terra è un immenso organismo vivente che non rimane passivo di fronte a ciò che lo minaccia. È chiamata Gaia con riferimento alla dea della cosmogonia greca: la Madre Terra. «Pensare alla Terra come a qualcosa di vivo dà l’impressione, specialmente nelle belle giornate e nei posti giusti, che l’intero pianeta celebri un rito. Essere sulla Terra ci dà una sensazione di pace: la stessa che si prova nell’assistenza alle cerimonie religiose quando siamo nella disposizione giusta per parteciparvi» (The ages of Gaia, 1988; trad. it., 1991, p. 207).
Quando Lovelock scrisse il primo libro su Gaia, non avrebbe mai immaginato che il suo testo venisse letto come un’opera quasi religiosa. Per l’autore si trattava di un problema scientifico; ma non c’è dubbio che molti lettori l’abbiano pensata diversamente. Gaia, che nella Grecia antica, come già detto, era la dea della Terra, rappresenta oggi la più originale cultura olistica planetaria. Secondo Lovelock, si può vedere in tutta la gamma della materia sulla Terra, dalla balena al virus, una sola entità vivente, capace di adattare l’atmosfera del pianeta ai suoi bisogni e dotata di poteri superiori a quelli delle sue componenti. Cosicché, se distruggiamo anche uno solo di questi esseri viventi, distruggiamo una parte di noi stessi, poiché anche noi siamo una parte di Gaia. Essere ecologisti significa non tanto preoccuparsi del pianeta, ma pensare come una parte del pianeta; pensare come Gaia, essere Gaia. Gaia, la dea madre, la Terra vivente, materna e femminile. Ogni sua profanazione è un sacrilegio. Alla trascendenza di Dio Padre, si sostituisce l’immanenza di Gaia Madre. Una manifestazione spettacolare dell’ipotesi Gaia quale organismo vivo e intelligente è la stabilità del clima terrestre, che non è mai stato sfavorevole alla vita. Lo scienziato britannico di fronte a questa capacità di autoregolazione della Terra si chiede se non ci si trovi realmente dinanzi a un essere vivente, a una biosfera in equilibrio. È quanto aveva già scritto lo studioso gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) sostenendo che con la comparsa dell’uomo il nostro pianeta ha dato vita allo Spirito ed è diventato una noosfera (The human phenomenon, 1999, trad. ingl.).
Esperimenti concreti di questa visione di ‘ecologia profonda’ si sono avuti in varie parti del mondo. Il più noto è quello della comunità di Findhorn in Scozia, i cui membri decisero di collaborare fin dall’inizio con gli spiriti della natura (dévas). Seguendo la voce dei dévas la comunità di Findhorn applicò nuove regole di agricoltura biologica e sviluppò una mistica del rispetto e dell’amore per tutti gli esseri della natura. Ma altre comunità e gruppi come quello di Findhorn sono sorti anche in altre nazioni. In Italia è tuttora presente e in espansione la città-stato di Damanhur in Valchiusella (Berzano 2000).
Nuovi interrogativi
Dopo il superamento della previsione dell’inarrestabile processo di secolarizzazione che ha rappresentato un ostacolo a comprendere la religiosità contemporanea e le sue forme di sacro, pare nuovamente un compito suggestivo ricercare le forme del sacro postsecolare. Quali le forme del sacro quando questo non discende solo più dalle religioni storiche? Quali le forme del sacro in presenza di una religiosità degli individui autonoma e libera? Quali le trasformazioni del sacro in questa epoca in cui prevale l’assenza o la relativa assenza delle religioni istituite?
I campi di ricerca, discendenti da questi nuovi interessi, sono in parte quelli già indicati: il sentimento di grande solitudine interiore del singolo individuo che vive nell’epoca postsecolare; nuovi bisogni e disposizioni spirituali nella nostalgia di altri mondi, quali quelli orientali, nel perfezionamento del Sé, nella centralità dell’esperienza nei consumi, negli sport estremi; nuove forme del sacro all’interno delle istituzioni religiose etnicamente fondate quali quelle pentecostali; aspetti di sacro/religione civile presenti in vari nuovi movimenti sociali e, secondo alcuni, anche nei fenomeni autonomistici.
In tutte le forme il dato è che tra sacro e profano i confini non sono però fissi e di conseguenza le frontiere rimangono sempre mobili; ciò che è sacro in una situazione può diventare profano in altre società in rapida mutazione.
Bibliografia
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