Formula 1
Ho scelto le automobili come simbolo di estrema libertà per l'uomo
(Enzo Ferrari)
Il mito della Rossa
di Vincenzo Borgomeo
19 agosto
Michael Schumacher, alla guida della sua Ferrari, taglia per primo il traguardo nel Gran Premio di Ungheria che si corre a Budapest. Con quattro gare di anticipo sulla conclusione del campionato del mondo di Formula 1, giunto alla sua cinquantunesima edizione, il campione tedesco conquista il suo quarto titolo mondiale piloti, mentre la Ferrari si assicura il terzo titolo costruttori consecutivo, l'undicesimo della sua storia. Grande è l'entusiasmo dei tifosi per la replica del doppio successo del 2000.
Il carisma di Enzo Ferrari
"Milano, 21 agosto 1939. Egregio signor Ferrari, vivamente la ringrazio delle cortesie usatemi in occasione della tragica morte di mio figlio, sia durante la mia permanenza a Pescara, sia nel viaggio di ritorno a Milano, nonché della vigile assistenza in tutte le conseguenti procedure inerenti i funerali del mio dilettissimo. Se è vero che la sua morte è dovuta, forse, alla sua grande audacia, le devo affermare che ciò non è avvenuto per orgoglio, o per incoscienza, ma solo per il suo immenso, cocente desiderio di dimostrare a lei, che amava e innalzava sopra tutti, le sue possibilità di trionfatore. "Voglio vincere quest'anno, capisci mamma, voglio vincere per il mio Commenda, solo per lui, per vederlo piangere di gioia, per compensarlo di tutta la fiducia riposta in me". Così mi aveva detto. Purtroppo questo suo grande, bellissimo sogno, non ha potuto avverarsi, ma il suo sacrificio non può essere vano, deve essere bilanciato dai futuri trionfi dell'Alfa-Corse [di cui allora Ferrari era a capo], che è quanto dire il trionfo della di lei operosità. Nuovamente la ringrazio di tutto e la ossequio. La mamma di Aldigretti".
Per capire la Ferrari occorre capire Enzo Ferrari, padre padrone della più incredibile casa automobilistica del mondo. E la lettera che abbiamo riportato, scritta dalla mamma di un suo pilota morto durante un Gran Premio, vale più di mille discorsi per conoscere il carisma di quest'uomo. Chi lavorava con lui era stregato dalla sua personalità.
Di Enzo Ferrari si è scritto di tutto, centinaia di libri, migliaia di articoli. Dicono che dopo Cristoforo Colombo sia l'italiano più famoso del mondo, ma pochi, se non nessuno, lo hanno conosciuto davvero. Per trattare con lui dovevi reggere il suo sguardo di fuoco, rimanere impassibile alle sue battute. Era spietato. Con tutti, soprattutto con sé stesso, anche se il suo lato meno conosciuto era sicuramente quello dell'uomo tenero con i più deboli. Aveva una fitta corrispondenza segreta con gente che gli scriveva dal carcere, aiutava molti dipendenti che si trovavano in difficoltà economiche a causa di problemi di salute dei propri figli, ed è stato generoso, ma sempre in segreto, con diverse associazioni di beneficenza.
Però il carattere del 'duro' emergeva con prepotenza e, non a caso, Ferrari ripeteva sempre che la sfortuna non esiste, e se qualcosa andava storto si addossava la colpa. Ferrari tuttavia era un vincitore e questa autoaccusa, in realtà, se la rivolgeva assai di rado. Probabilmente, se non avesse fatto il costruttore di auto da corsa, e se fosse vissuto in un'altra epoca, sarebbe stato un guerriero come Attila, o meglio come Napoleone, suo grande punto di riferimento. Le corse automobilistiche, d'altra parte, hanno molti elementi in comune con la guerra: il sangue, la glorificazione assoluta dei vincitori, il totale disprezzo dei vinti, la strategia, il coraggio e la necessità di disporre del migliore armamento possibile. E Ferrari, in tutte queste cose, era imbattibile. Attaccava con la velocità del falco e, una volta che aveva sconfitto l'avversario, non si accontentava di invadere i villaggi, ma li saccheggiava, uccideva gli uomini in grado di combattere e rapiva le donne.
Il mito della Ferrari nasce quindi dal suo fondatore. E c'è un altro aneddoto molto importante che aiuta a capire la sua complessa personalità. Una volta Fangio risparmiò la macchina per arrivare secondo e raccogliere punti preziosi per il titolo mondiale. Fu accolto ai box come un traditore. "Non mi aspettavo questo da te. Potevi vincere e non l'hai fatto". Ferrari glielo disse con un tono talmente sprezzante che le parole quasi paterne sembravano fuori luogo in quell'espressione di odio. Fangio lo guardò atterrito: aveva le stimmate alle mani per aver cercato di dominare a 300 km all'ora quel pesante mostro.
Il volante gli aveva completamente aperto una vecchia cicatrice nel palmo e la leva di alluminio del cambio si era conficcata nella carne della mano. Il campione non aprì bocca, pietrificato dalla reazione che Ferrari aveva avuto con altri piloti, rei di aver discusso i suoi ordini. Arrivavano sui campi di gara e la loro macchina non c'era più. "Problemi tecnici" gli dicevano i meccanici e, poi, solo dopo un'estenuante attesa, cominciavano a capire che la macchina non sarebbe arrivata. Mai più.
Ferrari era insomma tormentato dalla passione per la vittoria e dall'incubo di non vincere. Questo era il solo scopo della sua vita, e a questo dedicava tutto il suo genio. Il resto, per lui, non aveva significato: non prendeva mai l'ascensore, l'aereo o il treno, non andava mai in vacanza, non viaggiava mai e negli ultimi 40 anni della sua vita non si è allontanato dalla sua piccola isola felice di Modena e Maranello. "I vecchi sono come i mobili antichi - diceva sempre - meno li sposti e più durano".
Questo suo distacco dal resto del mondo ha contribuito non poco a creare l'immagine del mito dell'uomo irraggiungibile, del costruttore di auto invincibili. In fondo, se è vero che per un mito è una tragedia continuare a vivere, allora si capisce perché Enzo Ferrari divenne un mito da vivo: per molti, era come se fosse già morto.
Detto questo, potrebbe sembrare che Enzo Ferrari fosse un pazzo, ma questa sua profonda solitudine il 'Drake' se l'era creata per resistere al dolore e, visto che in qualche modo la cosa funzionava, l'unica soluzione era quella di coltivare il suo splendido isolamento. Suo padre morì quando lui aveva 18 anni, "di una di quelle polmoniti - come scriverà con amarezza Ferrari più tardi - che oggi si curano nel volgere di poche ore". E anche suo fratello Alfredo morì in quell'anno, per una malattia contratta prestando servizio militare volontario. Era appena scoppiata la Prima guerra mondiale e Ferrari a sua volta fu chiamato alle armi. Nel 1956, poi, gli morì a soli 24 anni il figlio Dino, ucciso da un male incurabile. Ferrari meditò perfino il suicidio ma poi si riprese. "Il lavoro era per me - disse - l'unica salvezza, l'ancora cui dovevo aggrapparmi per non perdermi".
Ma non basta. Gli anni in cui Ferrari correva erano anni molto duri, dove la morte era sempre dietro l'angolo. Per capirlo fino in fondo, basta leggere la drammatica lettera scritta dalla moglie di Ascari dopo il tragico incidente di Monza che costò la vita al pilota, due volte campione del mondo per la Ferrari. "Milano, 7 luglio 1955. Caro Ferrari, sono tanto commossa per la sua cara lettera e non so come ringraziarla di tanta gentilezza. Vorrei esserle vicina in questo tristissimo momento, per rievocare fatti e avvenimenti che mi ricordino il mio Alberto. Avremmo tante cose da raccontarci e certamente il mio dolore si placherebbe un poco se potessi parlare apertamente con lei che gli è stato amico fraterno e che gli ha fatto anche un po' da padre in tutti questi anni. Vorrei poterle dire quanto bene le volesse Alberto e quanta ammirazione avesse per lei e come io ne ero un po' gelosa perché mi portava via tanto del suo tempo che io presagivo troppo breve. Vorrei essere sulla vetta di un monte isolato dal resto del mondo e parlare con lei, parlare - per ore ed ore - del mio Alberto. Finora mi sembra un brutto sogno e ancora m'immagino che si avvicini l'ora del suo ritorno da uno dei soliti viaggi in America e che tutto possa ricominciare come prima. Ma se penso che non c'è più speranza per questo ritorno, mi sento impazzire e, se non ci fossero i bambini che hanno bisogno di me, certamente avrei raggiunto il mio Alberto. So che anche lei attraversa un periodo di ansie e pregherò affinché ella possa presto dimenticare questo brutto momento. So pure che queste mie lacrime non le daranno che nuova tristezza e che lei non ne ha bisogno, ma non posso fare a meno di sfogarmi con lei perché so che lei mi comprenderà meglio degli altri. Se passerà a Milano sarò tanto, tanto felice di rivederla, molti auguri e mi permetta un cordiale abbraccio. Sua Mietta Ascari".
Per quanti sforzi si potessero fare era impossibile non avere amicizie nei box, con i piloti delle proprie auto, con le loro famiglie. E a ogni incidente, puntualmente, Ferrari veniva coinvolto nell'evento come un fratello del pilota, come un familiare.
Nasce la leggenda
Da tutto questo dolore nacque la leggenda Ferrari. Dopo la brutta esperienza militare, Ferrari debutta come pilota alla Parma-Berceto, classificandosi quarto nella categoria 3000 e undicesimo in assoluto. Per lui le corse erano tutto: soddisfazione personale, mezzo per riscattarsi, voglia di affermarsi. "Non credo di essermi comportato proprio male, come corridore" diceva spesso. E in effetti aveva ragione: per un pilota debuttante, a quell'epoca, vincere nove gare su 39 disputate, non era un cattivo risultato.
La collaborazione di Ferrari con l'Alfa Romeo durò vent'anni, e lo portò a ricoprire incarichi di collaudatore, pilota, collaboratore commerciale e infine direttore del reparto Alfa-Corse fino al novembre 1939. Ferrari insomma aveva l'Alfa nelle vene e la casa milanese non ravvisò mai in quel giovane volenteroso il germe di un futuro, temibile, concorrente, di colui che con le sue macchine avrebbe battuto le auto del Biscione. D'altra parte, bastava analizzare lo scopo stesso della famosa 'Scuderia Ferrari', società sportiva che il 'Drake' fondò a Modena, in viale Trento e Trieste, il 16 novembre 1929 con il principio costitutivo di fare correre i soci. L'idea era semplice e geniale, soprattutto a quel tempo in cui per partecipare alle competizioni non bastava solo un mucchio di soldi, ma occorreva anche disporre di un'organizzazione tecnica non indifferente. Così, diventando soci della Scuderia Ferrari, era molto semplice riuscire a correre con le Alfa Romeo, le macchine migliori dell'epoca. Ferrari comunque si comportava in modo diverso dai suoi direttori, dei quali un giorno avrebbe preso il posto. Non era un ingegnere, non era un inventore, non era un progettista. Era solo un "agitatore di uomini", come lui stesso più volte si definiva.
Poi nel 1933 la Scuderia Ferrari fece un salto di qualità, passando da filiale tecnico-agonistica dell'Alfa Romeo a vero e proprio team indipendente e il Drake, nel 1938, divenne direttore sportivo dell'Alfa-Corse. L'attività agonistica continuò per altri due anni, ma ormai Ferrari voleva spiccare il volo: perfino il ruolo di capo supremo dell'Alfa-Corse gli cominciava a stare stretto. Fu solo a quel punto che all'Alfa si resero conto di quale mostro avevano creato. Ma era ormai troppo tardi. Cercarono di rendergli difficile la vita, impedendogli di costruire automobili che portassero il suo nome, un nome che era troppo legato all'Alfa.
Così il Commendatore fondò, presso la vecchia sede della Scuderia Ferrari, l'Auto Avio Costruzioni Ferrari, e cominciò a produrre macchine utensili. Iniziò una fattiva collaborazione con la Compagnia nazionale aeronautica di Roma, la Piaggio e la RIV, ma il suo pallino rimanevano le macchine. Per questo la minuscola azienda avviò anche lo studio e la progettazione di un vettura sportiva, una due posti scoperta con motore 8 cilindri di 1500 cc, denominata 815, che fu costruita in soli due esemplari e che partecipò anche alla Mille Miglia del 1940. Il seme ormai era stato gettato, ma sembrava che fosse finito sulla roccia. La Seconda guerra mondiale aveva cancellato con un colpo di spugna tutte le competizioni sportive.
Come era proprio del carattere di Ferrari, la malinconia si trasformò ben presto in voglia di rivincita, nella foga di diventare il numero uno nel mondo delle corse, nella rabbia di 'arrivare', di diventare qualcuno. Ferrari non perse tempo: subito dopo la ricostruzione della fabbrica iniziò la progettazione della prima vettura, la 125 Sport, 12 cilindri, 1500 cc, un capolavoro di meccanica e d'immagine, realizzato per gli occhi inesperti dei creditori e delle banche. Sarebbe stato più logico usare per la 125 lo stesso motore della Auto Avio Costruzioni, quel robusto e affidabile 8 cilindri realizzato in modo casereccio dall'unione di due 4 cilindri. Lo schema del motore della 125 era ardito. Infatti, 12 cilindri erano eccessivi per quei miseri 1500 cc. Tutto, in quel propulsore, era piccolo e fragile: le molle delle valvole, appena il motore saliva troppo di giri, si riducevano in mille pezzi. E anche i cuscinetti di biella erano soggetti alle stesse rotture. Ferrari questi problemi li conosceva bene, ma doveva avere un 12 cilindri a tutti i costi.
Così la messa a punto di quell'ardito motore richiese molto tempo. "Diavolo, forse sarebbe meglio tornare a fare macchine rettificatrici oleodinamiche per cuscinetti a sfera" urlava Ferrari ogni tanto nella sala motori, che poi in realtà era l'unica stanza 'tecnologica' di tutta quella specie di baracca che veniva chiamata impropriamente fabbrica. Vi si potevano vedere pareti perfettamente intonacate e verniciate, macchinari di ogni tipo e un bel pavimento nuovo di zecca. Il motivo? Solo lì, di tanto in tanto, entravano i banchieri e i creditori a guardare orgogliosi il 12 cilindri.
L'urlo di Ferrari, però, aveva un fondo di verità: non si riusciva a capire per quale motivo il motore passasse da una potenza di 100 Cv a quella di 75. Un mistero che i meccanici tentavano di risolvere senza tuttavia affrontare il problema base: buttare alle ortiche quel 'fenomenale' 12 cilindri. Per venire a capo dei mille problemi del propulsore, la preparazione del telaio fu un po' trascurata. Con il risultato di lanciare in pista una macchina né migliore né peggiore delle altre, motore a parte.
Finalmente arrivò il giorno del debutto: circuito di Piacenza, 11 maggio 1947. La 125 Sport venne affidata alle sapienti mani di Franco Cortese e si comportò benissimo. All'ultimo giro era addirittura in testa. Poi, c'era da aspettarselo, il 12 cilindri si ruppe e la vittoria sfumò. Cominciarono i guai: un guasto meccanico poteva essere perdonato, ma due no. Da un errore di gioventù si sarebbe passati subito a un difetto cronico e la Ferrari 12 cilindri, da oggetto supertecnologico, sarebbe stata considerata un puro esercizio tecnico assolutamente inaffidabile. Due settimane dopo, infatti, si correva il Gran Premio di Roma, sul circuito di Caracalla. Non si poteva sbagliare. E Ferrari non sbagliò: passava le nottate in quella malefica sala motori, alla tenace ricerca dell'affidabilità del propulsore. Ecco, in questo Ferrari fu davvero rivoluzionario: inventò la messa a punto con ore e ore di lavoro alla vettura, per sperimentare e provare tutto. Una tecnica che nessuno ancora aveva mai usato. E i risultati si videro subito: nonostante la cristalleria a 12 minuscoli cilindri, la 125 Sport vinse il Gran Premio di Roma e il braccio di ferro con le banche e con i creditori, che da quel momento spalancarono a Ferrari le porte del successo.
Dalla 125 si passò subito alla più grande 166, per la quale tutti i problemi furono risolti alla radice progettando per il motore componenti più grossi e robusti. I successi non si fecero attendere, dando inizio al lungo pellegrinaggio verso le vetture di Modena. Da allora Ferrari ha colto sui circuiti e sulle strade di tutto il mondo quelle affermazioni sportive che hanno creato la leggenda.
Quando si parla di vittorie, molti si aggrappano ai numeri, sia pure impressionanti, dei successi ottenuti da Ferrari durante il periodo della sua conduzione (dal 1947 al 1988): oltre 5000 vittorie sportive e la conquista di 25 titoli mondiali. Ma i numeri sono numeri, e i trionfi sono trionfi. Per questa ragione è meglio ricordare Ferrari come l'uomo che ha conquistato 9 titoli Mondiali Piloti di Formula 1, 14 Campionati Mondiali Marche, 2 Campionati del Mondo e 6 Coppe Internazionali Costruttori di F1.
E ancora si possono elencare 9 successi alla 24 Ore di Le Mans, 8 alla Mille Miglia, 7 alla Targa Florio e poco meno di 100 vittorie in Gran Premi di F1.
I clienti Ferrari
Il mito Ferrari non potrebbe esistere senza Enzo Ferrari, che si può considerare un vero pioniere delle sponsorizzazioni, dal momento che riuscì, caso unico al mondo per tanti anni, a guadagnare soldi con le corse. "Una delle prime volte che incontrai Valletta - ricorda Ferrari - questi mi rivolse una domanda curiosa: "Ferrari, mi dicono che lei riesce a fare le corse d'auto e a guadagnare dei soldi, mentre noi, FIAT, ci siamo stancati per le eccessive spese che esse comportano". Gli spiegai che quelle scritte che avevo sui camion della mia scuderia erano dei fornitori che sovvenzionavano la mia attività. A quei tempi non si chiamavano ancora sponsor. E aggiunsi che dalla Shell, ad esempio, prendevo 120 mila lire al mese. Valletta rimase scioccato". Oggi in Formula 1 gli sponsor sono alla portata di tutti, ma nessuna scuderia riesce a organizzarli e a gestirli con tanta maestria.
Ma cosa succede di un'azienda quando se ne impadronisce il mito? Di tutto. Nel vero senso della parola. Al punto che comprare una Ferrari, per i clienti più ricchi e famosi, fino agli anni Ottanta era un po' come scegliere un vestito di alta sartoria, curato anche nei minimi dettagli. Così, mentre gli acquirenti 'normali' si accontentavano di scegliere il colore e il rivestimento degli interni, re, regine e miliardari di ogni genere si facevano realizzare macchine con carrozzerie e accessori personali. Ma anche il concetto di ferrarista normale è relativo. Chi nel 1960, per es., comprava una Ferrari era già un miliardario: in Italia circolavano solo 1.976.188 macchine, con una densità di appena 1 auto per 21 abitanti (contro i 30 milioni di vetture circolanti, pari a una densità di 1 auto ogni 2 abitanti, di oggi), e solo il 28% degli italiani usava una vettura per i propri spostamenti. La Ferrari di conseguenza si rivolgeva a una nicchia di mercato molto ristretta, a una clientela che oggi, tanto per fare un paragone attraverso gli anni, viaggerebbe con l'aereo privato. Da Maranello, infatti, nel 1960 uscirono dalla fabbrica solo 306 macchine, mentre ancora nel 1970 si producevano appena 928 auto.
Come sempre, c'era chi non si accontentava di una semplice Ferrari di serie. E Pininfarina in prima persona era chiamato a rispondere alle esigenze più singolari di principi, attori famosi e capitani d'industria. Anche il Commendatore veniva spesso bersagliato da richieste piuttosto strampalate, che tuttavia accontentava quasi sempre e che faceva di tutto per soddisfare. Nacquero così la macchina personale di Gianni Agnelli con tre sedili anteriori e la guida centrale, quella specie di siluro lunghissimo con i fari a scomparsa realizzato per Ingrid Bergman e mille altre meraviglie. Ovviamente, il mito Ferrari ebbe un suo culmine che coincise con la scomparsa del Drake. Cosa che scatenò ancor più la follia dei maniaci. Altro che collezionisti, altro che amanti delle macchine. Tutto ciò che era Ferrari, e che aveva a che fare con lui, era di valore, era 'storico'. Si scatenarono le aste: una GTO venne battuta all'incanto per 12 miliardi di lire e le Ferrari, di qualsiasi epoca, vedevano le proprie quotazioni salire alle stelle. Perfino quelle ancora in produzione venivano vendute a prezzi a volte doppi rispetto a quelli (già da capogiro) del listino. Basta fare un esempio. La famosa F40, all'epoca in vendita all'esorbitante cifra di 400 milioni, sul mercato 'nero' era quotata 1,5-2 miliardi di lire.
A tutt'oggi, comunque, quello che si cerca di non dimenticare è lo spirito delle Rosse originali, quelle nate e volute fortemente da Enzo Ferrari. A Maranello adesso hanno addirittura codificato le caratteristiche essenziali che deve avere una Ferrari doc: una meccanica che trova le sue prestazioni straordinarie nell'esperienza costante delle competizioni; una linea che scaturisce da questa meccanica: essenziale, efficace, la cui bellezza è sempre conseguenza della funzione; un'emozione unica che nasce dal piacere di raggiungere, guidando, limiti normalmente inaccessibili.
I tempi nel mondo dell'auto sono al giorno d'oggi profondamente cambiati rispetto all'epoca in cui Ferrari iniziò la sua avventura. E le stesse presentazioni di modelli hanno acquisito un ritmo frenetico, che fino a poco tempo fa non sarebbe stato neanche lontanamente pensabile: ogni anno mediamente vengono presentate al grande pubblico 80 novità assolute, sfornate da 1035 case automobilistiche diverse, provenienti da 34 paesi. Ma, forse, il simbolo più significativo delle trasformazioni intercorse è stata, nel 1993, la consegna ufficiale di una Ferrari al primo cliente cinese, avvenuta addirittura al Tempio del Cielo a Pechino. Qui, in uno dei monumenti più celebri della capitale, dove l'imperatore si recava a rendere omaggio agli dei affinché propiziassero un buon raccolto, davanti a una folla da finale di coppa del mondo si è svolta la cerimonia della consegna ufficiale di una 348 Ts a Li Xiaohua, titolare di una società mista con Hong Kong che opera nel settore immobiliare. La voglia Ferrari, insomma, non conosce limiti: il simbolo del capitalismo può viaggiare spedito anche in piazza Tienanmen.
repertorio
Le gare automobilistiche
L'associazione che presiede alle sorti dell'automobilismo è la FIA (Fédération internationale de l'automobile). In Italia, le attività sportive automobilistiche sono promosse e organizzate, per conto della FIA, dall'ACI (Automobile club d'Italia).
Le gare automobilistiche si suddividono principalmente in due grandi specialità: gare di velocità, che si svolgono su circuiti stradali chiusi al traffico o in autodromi, e gare di regolarità, che impongono ai concorrenti di compiere un dato itinerario, con punti di passaggio obbligati e a medie di velocità prestabilite per ogni tratto.
Le gare di velocità su circuiti stradali di lunga percorrenza, come per es. la Mille Miglia, sono state quasi completamente abolite a causa della loro pericolosità e dell'intralcio al traffico, mentre vengono tuttora impiegati alcuni circuiti stradali di non grande lunghezza, come quello delle Madonie in Sicilia per la Targa Florio e quello del Mugello per il circuito di Firenze. Numerose sono invece le gare in autodromi per vetture sia di formula sia di serie, su circuiti che nel tempo sono diventati sempre più sicuri per i piloti e per il pubblico.
Le gare di regolarità, poco seguite per il basso agonismo e la scarsa spettacolarità, si svolgono tuttavia con una certa frequenza. I rallies, che presentano caratteristiche intermedie tra le gare di velocità e quelle di regolarità, con lunghezza e difficoltà variabili da gara a gara, hanno una notevole importanza grazie al prestigio derivante alle marche vincitrici.
Le autovetture partecipanti alle varie gare sportive sono classificate in vetture di formula, vetture prototipo e vetture di serie, secondo i criteri di omologazione e classificazione stabiliti dalla Commissione sportiva internazionale (CSI), che presiede all'organizzazione delle gare automobilistiche nel mondo. Le vetture di formula hanno i seguenti requisiti: monoposto, mancanza di parafanghi, limitazioni di massa, di cilindrata, di carburante e di alimentazione. Le vetture prototipo sono a due posti e a ruote coperte, e sono soggette a limitazione di quantità e qualità di carburante; come quelle di formula, non hanno imposizioni circa il numero di esemplari prodotti. Le vetture di serie sono suddivise in vetture turismo di serie, turismo, gran turismo e sport, in base al numero di esemplari annui prodotti. Sia le vetture prototipo sia quelle di serie vengono poi raggruppate in base alla cilindrata.
Numerosi sono i campionati di velocità a livello sia nazionale sia internazionale che si svolgono ogni anno, suddivisi per le varie classi di autovetture, ognuna delle quali registra il primato di velocità ottenuto, e articolati su diverse gare: il campionato del mondo conduttori, i trofei internazionali dei costruttori, il trofeo d'Europa della montagna e così via.
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Breve storia dello sport automobilistico
Le origini
La prima corsa automobilistica fu indetta il 20 aprile 1887 dal giornalista francese Fossier sul percorso Neuilly-Versailles e ritorno: vi partecipò un solo concorrente, il meccanico G. Bouton, che impiegò un'ora e quattordici minuti a coprire, con un triciclo a vapore, i 32 km del percorso.
La prima vera gara su strada risale al 22 luglio 1894, sul percorso Parigi-Rouen, di 126 km; delle 102 vetture iscritte, moltissime furono eliminate nel corso di una prova preliminare (50 km da percorrersi in 4 ore) e soltanto 19 (alcune con motore a vapore, altre con motore a benzina e altre ancora con motore ad aria compressa) presero parte alla gara vera e propria: la maggiore velocità media (18,6 km/h) fu raggiunta da un veicolo a vapore De Dion-Bouton.
La prima corsa italiana si svolse il 28 maggio 1895 sui 115 km del percorso Torino-Asti-Torino e fu vinta da una Daimler. Nel 1897 fu disputata la corsa Arona-Stresa, di 35 km, e l'anno successivo si tenne la Torino-Alessandria, che fu la prima gara ad avere un certo successo. Nel 1899 nasceva la FIAT, che iniziò subito a prendere parte alle competizioni e già nel 1902 si affermò anche in campo internazionale. Nel 1901 fu disputato il primo Giro automobilistico d'Italia al quale presero parte 41 vetture su un percorso di 1733 km che, partendo da Torino, toccava Livorno, Roma, Siena, Padova, Brescia e si concludeva a Milano. Nel 1906 si svolse la prima Targa Florio, vinta da A. Cagno su Itala alla media oraria di 46,830 km/h.
La nascita delle formule di corsa
Nel 1906, pur continuando a esistere le formule libere che non ponevano alcun limite, ebbero inizio le formule di corsa che, per la prima volta da quando aveva preso piede lo sport automobilistico, disciplinavano e regolamentavano le varie caratteristiche delle vetture partecipanti. Queste vennero suddivise in categorie, in base a precisi limiti di cilindrata, di consumo, di massa, di alesaggio. A ciascuna formula corrispondeva un suo campionato.
Negli anni le formule di corsa vennero abbondantemente modificate, limitando e poi rialzando il valore della massa, nonché variando la formula dell'alesaggio e poi alzando il consumo oppure riducendolo a favore della cilindrata. Fino al 1925 fu in vigore la limitazione della cilindrata massima a 2000 cm3, con la quale l'industria italiana, prima per merito della FIAT, poi, dal 1924, con l'Alfa Romeo che aveva realizzato il famoso modello P2, affermò nettamente la propria superiorità in competizioni internazionali.
Nel 1931 si tornò alla formula cosiddetta libera che non imponeva restrizioni di sorta né alla massa né alla cilindrata. L'Italia riuscì a riconfermare la sua supremazia nelle corse soprattutto grazie all'Alfa Romeo, che aveva costruito la P3 monoposto, ma anche grazie alla Maserati con la sua vettura con motore a 16 cilindri. La P3 aveva un motore a 8 cilindri con compressore, la cui cilindrata, inizialmente di 2650 cm3, venne in seguito portata a 3200, con accrescimento della potenza da 140 a 190 kW; la massa della vettura era di 730 kg e la velocità massima di 250 km/h.
Nel 1934, con l'entrata in vigore della formula con limite di massa (750 kg senza le gomme), che però non limitava la cilindrata, la Mercedes e l'Auto Union si presentarono alle corse con l'innovazione delle sospensioni indipendenti e delle strutture alleggerite grazie all'impiego di materiali così resistenti da potervi montare, pur rientrando nel limite, motori di cilindrata superiore a 6000 cm3 con potenza di oltre 350 kW e velocità massima sui 350 km/h. In quegli anni, le varie case automobilistiche - l'Alfa Romeo, la Maserati, la Mercedes (che con la M 163 era riuscita a costruire la vettura più efficiente e più completa), l'Auto Union (che aveva prodotto una vettura originale nel disegno ma poco felice nella ripartizione delle masse) - erano già in costante competizione allo scopo di battere primati di velocità e proporre i modelli più innovativi ed efficaci di vetture.
La Formula 1 e il suo Gran Premio
Nel 1946 l'attività sportiva automobilistica, che si era interrotta durante la guerra, riprese e la FIA decise di adottare, per il periodo 1946-53, la cosiddetta Formula 1 (F1), che ammetteva le macchine di 1500 cm3 con compressore o le macchine di 4500 cm3 senza compressore. Cominciò il campionato del mondo di Formula 1, appannaggio della FIA, che consisteva in un certo numero di gare di Gran Premio, scadenzate secondo il calendario ufficiale della Formula 1. Dal 1958 al titolo mondiale 'piloti' fu affiancato quello 'costruttori'.
La prima gara di Formula 1 del neocampionato mondiale fu disputata il 13 maggio 1950 a Silverstone, un paese a nord-ovest di Londra, il cui ex aeroporto di guerra era stato riconvertito in autodromo, con un notevole lavoro sulle piste in cemento, che vennero tutte collegate fra loro. L'Alfa Romeo scese in campo con una vettura di 1500 cm3 che, benché costruita nel 1938, mostrò la sua netta supremazia in tutti i circuiti d'Europa vincendo 31 corse su 34, malgrado la concorrenza delle Maserati a 4 cilindri con compressore, delle Talbot 4500 cm3 e delle Ferrari 1500 cm3. Con questa vettura (il mitico modello 158) nel 1950 l'Alfa Romeo vinse il campionato del mondo piloti con G. Farina, allora quarantacinquenne.
Nel 1951, proprio a Silverstone, la Ferrari conquistò con J. F. Gonzales la prima vittoria della sua storia, ma l'Alfa Romeo, con la stessa macchina dell'anno precedente, divenuta intanto modello 159, vinse il titolo mondiale con J.M. Fangio. Fu solo durante il suo ultimo anno di attività che questa storica macchina dell'Alfa Romeo trovò una seria avversaria appunto nella Ferrari, motore di 4500 cm3 senza compressore.
Intanto, già dal 1949, e fino al 1953, per decisione della FIA, vennero create accanto alla Formula 1 due altre formule di gara: la Formula 2 (F2), che ammetteva le macchine con motori di 500 cm3 con compressore o di 2000 cm3 senza compressore, e la Formula 3 (F3), che ammetteva soltanto le macchine con motori di 500 cm3 di cilindrata senza compressore. Le competizioni di F2 videro la netta prevalenza della Ferrari con retrotreno tipo De Dion cui si opposero, nella fase finale della formula, le Maserati e talvolta la francese Gordini. La Ferrari, prima con un motore a 12 cilindri a V e poi con uno a 4 cilindri in linea, e la Maserati (6 cilindri in linea) ottennero risultati pressoché simili con potenze prossime ai 135 kW a 7000 giri l'una e a 8000 l'altra. Dal 1954, e fino al 1960, rimase in vigore una nuova Formula 1 (motori di 2500 cm3 senza compressore o motori di 750 cm con compressore). Nel 1961, e fino al 1965, fu adottata un'ulteriore versione con limite di cilindrata di 1500 cm3, massa minima della vettura 450 kg, motore non sovralimentato, carburanti commerciali (diventati obbligatori dal 1957). A partire dal 1966 la F1 prescriveva autovetture con motore di 3000 cm3 senza compressore e di 1500 cm3 con compressore; carburante commerciale; massa massima di 500 kg (olio e acqua, ma non carburante compresi). Negli anni successivi furono via via apportate modifiche alle vetture e ai motori con continui aggiornamenti dei regolamenti della Formula 1. Nel 1968, per es., la necessità di ottenere forti carichi verticali, per aumentare l'adesione al suolo, faceva nascere i profili alari rovesciati, gli alettoni, la cui disordinata utilizzazione fu presto regolamentata al fine di evitare incidenti.
Il motore turbo
Per quanto riguarda l'evoluzione dei motori, il progressivo ma lento abbandono del motore aspirato, cioè non sovralimentato, in favore del motore turbocompresso è stato l'elemento caratterizzante del campionato di Formula 1 nel periodo 1980-88. Già dal 1977 il motore sovralimentato con turbocompressore a gas di scarico (motore turbo), che era stato introdotto dalla Renault e successivamente adottato da altri costruttori, aveva avuto grande successo. All'inizio della stagione 1981 venne impiegato anche dalla Ferrari (6 cilindri a V di 120°), raggiungendo ben presto risultati quanto mai convincenti sul piano della potenza, della coppia e dell'affidabilità, come confermarono le vittorie ottenute da G. Villeneuve nei Gran Premi di Monaco e di Spagna. Alla fine dello stesso anno il motore turbo aveva disputato complessivamente quindici gare vincendone cinque.
Nel 1982, il campionato mondiale piloti vedeva due nuovi motori turbo a 4 cilindri in linea (BMW e Hart), di cui venivano equipaggiate rispettivamente le Brabham BT 50 e le Toleman TG 81, ma il primo posto veniva conquistato dalla Williams, con una monoposto munita di motore a 8 cilindri Ford-Cosworth, pilotata dal finlandese K. Rosberg, mentre D. Pironi con la Ferrari turbo era secondo con due vittorie e due secondi posti. Se Pironi non avesse avuto un incidente nelle prove del Gran Premio di Germania, le cui conseguenze misero fine alla sua attività di pilota, probabilmente sarebbe stata la Ferrari a vincere il campionato di quell'anno. L'impresa riuscì invece l'anno successivo alla Brabham BT 52 turbo BMW di N. Piquet. L'inversione di tendenza era ormai chiara: dodici vittorie erano state conseguite da parte di vetture munite di motore turbo su quindici gare del campionato mondiale.
Nel 1984 il motore turbo diventava padrone assoluto del campo, conquistando il primo posto in ciascuno dei Gran Premi della stagione; dodici vittorie furono appannaggio delle McLaren MP 4/2 con motore Tag Porsche turbo a 6 cilindri a V, che avevano esordito nel Gran Premio d'Olanda 1983. La superiorità delle McLaren fu tale che i suoi due piloti, N. Lauda e A. Prost, terminarono la stagione (primo e secondo classificato) soltanto con mezzo punto di differenza, cosa mai accaduta prima nel campionato mondiale piloti.
Mentre negli anni del motore aspirato, che aveva trovato la massima espressione nel V 8 Ford-Cosworth, con le sue 155 vittorie, non si erano registrati progressi sostanziali in termini di potenza, con il turbo si raggiunsero rapidamente livelli elevatissimi, per cui la FISA (Fédération internationale du sport automobile) introdusse, dal 1° gennaio 1984, norme volte a regolamentare l'ascesa delle potenze limitando a 220 litri la capacità massima del serbatoio del carburante, che venne poi ulteriormente ridotta a 195 litri nel 1986 e a 150 litri nel 1988. Fra tutti i motori turbo, fu il 6 cilindri a V dell'Honda ad avere il successo maggiore. Nel 1985, questo motore, montato sulla Williams di K. Rosberg e N. Mansell, vinse quattro corse su sedici; nel 1986 e nel 1987, con i piloti Piquet e Mansell se ne aggiudicava nove su sedici; nel 1988, montato sulle McLaren, il motore Honda dominava la stagione vincendo quindici Gran Premi su sedici, di cui otto a opera di A. Senna e sette con Prost.
Auto più sicure
Nel periodo compreso tra il 1980 e il 1988 le auto da corsa subirono vari importanti mutamenti, in conseguenza della particolare attenzione riservata dai costruttori alla sicurezza. Da questo punto di vista fu determinante l'abolizione delle paratie laterali, le 'minigonne', che erano state introdotte per sfruttare al meglio la depressione tra vettura e suolo, ma che si erano poi rivelate insicure; altrettanto importante fu l'imposizione del fondo della carrozzeria piatto, al fine di annullare o ridurre il cosiddetto 'effetto suolo', cioè l'aderenza creata dalla vicinanza con l'asfalto.
Fra le norme di sicurezza, di particolare interesse risultava l'obbligo di prevedere, già in fase progettuale, una 'cellula di sopravvivenza' del pilota; la prova d'urto (crash-test) per la parte anteriore del telaio e la collocazione della pedaliera dietro l'asse anteriore avevano lo stesso fine.
Per quanto riguarda gli pneumatici, per i quali si era manifestata la necessità di raggiungere aree di contatto con il suolo sempre maggiori e relativamente poco variabili con il tempo, diveniva generalizzato l'impiego di quelli radiali, determinato dai notevoli carichi aerodinamici e dalle elevatissime coppie motrici. Anche lo studio su basi scientifiche, e non più empiriche, della struttura del telaio e l'impiego di materiali compositi nella costruzione della carrozzeria hanno rappresentato elementi tali da mutare profondamente l'essenza delle vetture da corsa.
Il ritorno al motore aspirato
Accogliendo le richieste dei costruttori minori a fronte dei costi crescenti dei motori turbo, il 1° gennaio 1989 la FIA ha stabilito che l'unico motore utilizzabile in gare di F1 è quello aspirato, di 3500 cm3 di cilindrata massima. Si è così voluto anche frenare la corsa alle potenze.
Il campionato del mondo del 1989, animato dal confronto tra le McLaren-Honda guidate da Prost e Senna e le Ferrari di Mansell e G. Berger, vide la supremazia delle prime con la conquista del titolo mondiale da parte di Prost. Il successo della McLaren-Honda fu replicato l'anno dopo e ancora nel 1991 con Senna (Prost era passato alla Ferrari). Nel 1992 il titolo mondiale è andato a Mansell, alla guida di una monoposto Wiliams con motore Renault dieci cilindri a V. Nel 1993 la F1 ha conseguito nuovi traguardi tecnici, al punto che, in alcuni casi, l'elettronica ha sostituito l'azione dell'uomo, come per es. per le sospensioni 'attive', azionate da dispositivi idraulici gestiti da un computer. Queste soluzioni e altre, come il controllo elettronico delle funzioni del motore, hanno consentito alla Williams di conquistare il quarto titolo mondiale, con Prost.
L'incidenza dell'elettronica sul ruolo del pilota è stata ridotta, a partire dal 1994, da una nuova serie di modifiche regolamentari, varate dalla FIA anche al fine di ridurre le prestazioni delle vetture. Ciononostante, il campionato 1994 - che si chiuse con la vittoria di M. Schumacher su Benetton-Ford e con quella della Williams nel titolo costruttori - fu uno dei più tragici mai registrati, con gli incidenti mortali di R. Ratzenberger e di A. Senna, rispettivamente il sabato e la domenica del Gran Premio di San Marino a Imola.
Dal 1995 la F1 è tornata al motore 3 litri e ha introdotto il fondo scalinato obbligatorio per ridurre l''effetto suolo', e quindi l'efficienza aerodinamica complessiva, e limitare la velocità in curva. Ulteriori restrizioni sono state imposte nel 1998: carreggiata massima ristretta da 2 a 1,8 m, uso di pneumatici scanalati per ridurre a terra l'impronta della gomma. È inoltre prevista l'introduzione di crash-test più severi per i telai.
Dopo la replica del successo di Schumacher su Benetton-Ford (la casa automobilistica si assicurò anche il titolo costruttori) nel 1995, nei due anni successivi il campionato è stato dominato dalla Williams-Renault: il titolo piloti nel 1996 è andato all'inglese D. Hill e nel 1997 al canadese J. Villeneuve. Si registrava intanto il ritorno alla competitività della Ferrari, passata dal tradizionale 12 cilindri a V a un inedito motore 10 cilindri a V e guidata da Schumacher: nel 1996 la Ferrari vinse tre Gran Premi, nel 1997 cinque; in quell'anno a Schumacher fu tolto il secondo posto in classifica generale per una manovra scorretta ai danni di Villeneuve nel corso dell'ultima gara.
Il campionato del mondo 1998 ha visto il successo del finlandese M. Hakkinen su McLaren-Mercedes. Nel 1999, al termine di una stagione tutta giocata sulla rivalità McLaren-Ferrari, il titolo piloti è ritornato a Hakkinen, ma la Ferrari ha conquistato il titolo costruttori. Nel 2000 la casa di Maranello si è aggiudicata sia il mondiale piloti, con Schumacher, sia quello costruttori, doppio successo replicato nel 2001.