augurio, Formule di
, Le forme di augurio ricorrono in D. soprattutto nella Commedia e sono in gran parte in relazione col dialogo fra i viandanti e le anime dell'aldilà. Si tratta generalmente della ‛ captatio benevolentiae ', attraverso la quale il poeta o Virgilio inducono le anime a parlare, o viceversa. Più frequenti nell'Inferno e meno numerose nel Purgatorio, mancano totalmente nel Paradiso, dove sono in realtà inconcepibili, se è vero che le anime ardono di carità e non è necessario né possibile augurar loro un bene maggiore, né D. potrebbe far mai qualcosa per loro. La formula quasi costante che rende l'augurio è quella col ‛ se ' seguito dal congiuntivo; talora essa viene rafforzata dall'esclamazione ‛ deh '.
In If X ricorrono due espressioni augurative parallele di Farinata a D. (E se tu mai nel dolce mondo regge, v. 82), e di D. a Farinata (Deh, se riposi mai vostra semenza, v. 94). La seconda espressione è un vero e proprio augurio, in relazione al dolore di Farinata per l'esilio cui ancora son costretti i suoi discendenti, ciò che lo angustia più delle pene infernali. La prima invece non s'intende bene, in quanto Farinata sapeva che D. doveva tornare nel mondo; è forse, nella forma augurativa, espressione di cortese compiacimento per quel ritorno. E da notare che nell'Inferno l'augurio delle anime a D. si limita alla felicità della vita terrena e alla fama : Se lungamente l'anima conduca / le membra tue... / e se la fama tua dopo te luca (XVI 64-66), se 'l nome tuo nel mondo Legna fronte (XXVII 57). Nel Purgatorio l'augurio è sempre di ordine spirituale, sia che alluda alla salita del monte (Deh, se quel disio / si compia che ti tragge a l'alto monte, V 85-86), sia che si riferisca all'ultima ascesa del poeta, nelle eloquenti parole di Corrado Malaspina (Se la lucerna che ti mena in alto / truovi nel tuo arbitrio tanta cera / quant'è mestiere infimo al sommo smalto, VIII 112-114), o in genere al risultato del viaggio (se tanto labore in bene assommi, XXI 112).
L'augurio del poeta alle anime, che nel Purgatorio riguarda ovviamente l'esito felice dell'espiazione (Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi, XI 37; se tosto grazia resolva le schiume, XIII 88), nell'Inferno, a parte il passo citato del canto X, s'incontra una volta in un senso fortemente ironico : se l'unghia ti basti / etternalmente a cotesto lavoro (If XXIX 89). Più pietoso l'augurio di Virgilio a Pier delle Vigne (Se l'om ti faccia / liberamente ciò che 'l tuo dir priega, XIII 85), e tuttavia legato all'astuzia con cui il maestro cerca di far parlare ancora il dannato.
Diverso è il caso in cui il poeta rivolge l'augurio a sé stesso, sia nella famosa apostrofe a Virgilio (vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore, If 183), dove esso si risolve in un elogio del maestro, al quale va tutto il merito di quella speranza, sia quando il poeta interrompe il racconto per esprimere, attraverso l'augurio di rivedere l'angelo del Purgatorio, il disagio della sua condizione terrena : cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia, / un lume, Pg II 16). Talora la stessa formula augurativa equivale a un giuramento (s'elle [le note della Commedia] non sien di lunga grazia vòte, If XVI 129), o a uno scongiuro, come in un'apostrofe accorata al lettore : Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto, XX 19). Una formula augurativa particolarmente ricca di sfumature è quella di If XXVI 11 (Così foss'ei, da che pur esser dee!), dove l'imprecazione e la maledizione si smorzano in una singolare speranza, quella che la punizione di Firenze non giunga quando al poeta sarà difficile sopportarne il dolore.