saluto, formule di
I saluti hanno la funzione pragmatica di mediare il rapporto con l’altro, aprendo e chiudendo diversi tipi di scambi comunicativi con l’uso integrato di più codici (verbale, gestuale, prossemico).
La componente verbale, in particolare, è comunemente costituita da formule di saluto (che Sobrero 1995: 457 propone di chiamare salutemi), importanti non tanto per il significato referenziale che veicolano ma per quello sociale e culturale: buongiorno e buonasera, ad es., non presuppongono la volontà di augurare al destinatario quello che letteralmente significano, cioè di passare una buona giornata o una buona serata, bensì quella di condurre l’interazione secondo le regole vigenti nella nostra comunità (➔ convenevoli; ➔ cortesia, linguaggio della), in cui il mancato saluto di persone che si conoscono è tuttora considerato un’offesa. Nelle interazioni le formule di saluto si presentano tipicamente in «coppie adiacenti», il cui primo elemento in genere condiziona la scelta del secondo, che spesso si realizza infatti come risposta-eco:
(1)
A – ciao
B – ciao
(2)
A – buona sera
B – buona sera
La tendenza al saluto come mera routine sociale, o addirittura come tic, si accentua con l’ampliarsi delle reti comunicative in cui i parlanti sono coinvolti (Sobrero 1995).
La gamma delle formule di saluto in italiano è molto ampia, essendovi confluiti nel tempo elementi di diversa origine, tra i quali solo alcuni si sono poi affermati durevolmente.
Un caso significativo è, ad es., quello di ciao, dal veneziano s-ciao «schiavo»: originato evidentemente da un saluto cerimonioso («schiavo vostro») e avendo avuto a lungo una diffusione solo settentrionale, ciao è poi diventato la formula di saluto confidenziale per eccellenza, diffusa non solo in tutt’Italia ma addirittura esportata all’estero come fortunatissimo italianismo (➔ italianismi). Non a caso, per la sua stessa ampia diffusione, se ne riconoscono oggi diverse varianti marcate diatopicamente o diastraticamente (s-ciao, ciau, cià, cià-ciao). Destino diverso quello di addio, tra le più antiche formule di congedo, ancora nell’Ottocento comune nel significare, come nota Serianni (1989: 375), «un distacco affettuoso e confidenziale». Questa formula ha cambiato significato e oggi nell’uso corrente «contrassegna una separazione avvertita come definitiva, dolorosa o polemica» (ibid.).
Nella scelta delle formule di saluto disponibili in italiano entrano in gioco almeno quattro importanti fattori socio-situazionali:
(a) il momento della giornata;
(b) le variabili sociodemografiche che riguardano i parlanti e i loro rapporti (età, sesso, ruolo);
(c) la posizione del saluto nell’interazione (approccio, commiato, saluto di passaggio);
(d) la natura del saluto, secondo che si tratti di un saluto individuale o di gruppo.
Quanto al fattore (a), il parlante dovrà, ad es., scegliere tra buongiorno, buon pomeriggio (solo in talune zone) o buonasera; riguardo a (b), e in conformità con la scelta del pronome allocutivo tu, voi o lei (➔ allocutivi, pronomi; cfr. Renzi 1995), tra buongiorno o ciao; quanto a (c), tra buondì, arrivederci, di nuovo; rispetto a (d), infine, tra vi saluto o arrivederla.
Tali scelte, già complicate dall’intrecciarsi delle diverse variabili, sono tutt’altro che scontate in un paese come l’Italia, culturalmente stratificato e soggetto negli ultimi decenni a profonde trasformazioni e scambi. Il parametro (a), in particolare, non è interpretabile in modo univoco a causa della varia maniera di scandire la giornata nelle diverse parti del paese: ad es., quello che nell’Italia settentrionale è il pomeriggio in Sardegna è la sera. Il parametro (b) è oggi messo in discussione dall’allentarsi della rigidità dei rapporti interpersonali e dall’affermarsi di forme prima inedite di confidenza (di colleganza, di solidarietà), che hanno enormemente ampliato la sfera di utilizzabilità del tu e dunque quella delle formule di saluto meno formali. Anche le variabili (c) e (d) sembrano d’altra parte aver perso rilevanza in una comunicazione sempre più condizionata dalla molteplicità e frequenza dei contatti oltre che dal ritmo rapido con cui essi si svolgono.
È probabile che proprio il sommarsi di questi fattori abbia favorito l’attuale evidente semplificazione del sistema dei saluti, per la quale si sono accantonate le formule troppo marcate (ad es. gli eccessivamente cerimoniosi ossequi e riverisco) e affermate formule più neutre e polivalenti. Emblematica in tal senso sembra l’attuale dilagante fortuna di salve, saluto di antica origine e dalla tradizione addirittura aulica, affermatosi nell’uso moderno come formula generica, capace di annullare i problemi di scelta rispetto ai parametri visti sopra (Berruto & Berretta 1977: 136), riconosciuta però fino a pochi anni orsono adatta soprattutto a scambi informali e simmetrici. Attualmente invece, in particolare nell’uso dei giovani, salve è promosso a saluto anche formale e utilizzabile in rapporti asimmetrici, ad es. da parte di uno studente verso un professore (Canobbio 2003).
Va anche osservato che alcune delle tradizionali formule dialettali di saluto diffuse localmente (arvezze/arvedse, cerea, sani, mandi, hoè, salutamu, caru) non sono del tutto scomparse dall’uso, neppure dove le interazioni si svolgono ormai normalmente in italiano, ma sembrano avervi acquisito una particolare valenza identitaria e/o ludico-espressiva, ad es. nella comunicazione giovanile (➔ giovanile, linguaggio). Ad ampliare il repertorio potenziale di formule di saluto alla disponibilità del parlante nel frattempo si sono anche affermate, ancora una volta soprattutto sulla spinta del costume comunicativo delle giovani generazioni, saluti appartenenti a lingue straniere, come ad es. bye-bye e (h)ola. Altri, appartenenti alla paragergalità giovanile (ad es. bella), sono limitati a un uso generazionalmente marcato.
Oltre che negli incontri faccia a faccia, formule di saluto sono impiegate anche in altri tipi di scambi comunicativi. In quelli telefonici tradizionalmente esse seguono e/o accompagnano le prime fasi di ‘riconoscimento’:
(3) Pronto? Buonasera, sono Mario Rossi
E poi chiudono di norma la comunicazione:
(4) Allora a domani. Ciao ciao ciao
L’ultimo es. mostra, tra l’altro, come ciao sembri aver perso, soprattutto quando deve chiudere un’interazione, un po’ della sua efficacia pragmatica, dal momento che tende infatti spesso ad essere ripetuto più volte, sia nelle interazioni faccia-a-faccia sia, appunto, in quelle telefoniche.
Nella comunicazione epistolare (➔ lettere e epistolografia), in cui le formule di saluto erano tradizionalmente elementi di chiusura imprescindibili, esse sono scelte, in rapporto alla formalità del messaggio e al grado di confidenza con il destinatario, in un repertorio che va da un estremo di formalità e di ritualità (distinti saluti, sentiti ossequi) a un estremo di familiarità (bacioni) e di libertà espressiva (salutissimi, baciotti, bacio bacio, smack, ciauuuu).
La pratica del saluto rimane molto importante anche nelle nuove forme di comunicazione mediate dalla tecnologia (chat lines, sms, e-mail; ➔ posta elettronica, lingua della), nelle quali l’assenza di saluti è considerata generalmente una violazione alle regole del galateo di Internet (la cosiddetta netiquette; ➔ Internet, lingua di). A seconda del mezzo, si conserva in queste sedi un legame più o meno stretto con lo stile comunicativo conversazionale o, nel caso della posta elettronica, con quello epistolare tradizionale.
Per quanto riguarda gli scambi in IRC (Internet relay chat), Pistolesi (2004: 73-74) sottolinea l’importanza dei saluti iniziali e finali notando che anzi spesso uno scambio si esaurisce nella coppia saluti-saluti, come nel seguente es.:
(5)
[Ud] ‹BieSseA› ciao udineee
‹FeDeRiCo› ciao BieSseA
‹BieSseA› ciao federico
Pistolesi (2004: 71) segnala inoltre la particolare forma re (abbreviazione per re-hi), impiegato (diffusamente nei primi tempi di affermazione della pratica delle chat e oggi più di rado) in caso di rientri ravvicinati sul canale che non richiedono saluti di tipo più enfatico.
I messaggi e-mail, come già osservato, tendono in generale ad adeguarsi di più allo stile epistolare, ad es. per quanto riguarda la presenza fissa di formule di saluto finali (come nota Pistolesi 2004: 172). Esse vengono però spesso utilizzate anche in apertura, in conformità dunque più alla prassi delle interazioni orali che di quelle scritte; si vedano ad es. i seguenti messaggi e-mail (reali):
(6) Buongiorno. Solo per dirle che vengo martedì al suo ricevimento per concordare il programma. Cordialmente.
(7) Salve prof! Perdono perdono perdono per la relazione in ritardo […]. Distinti saluti
In particolare, (7) mostra l’insicurezza pragmatica dello scrivente, oltre che nella scelta del ➔ registro più opportuno in rapporto al destinatario, anche nell’oscillazione tra modello conversazionale e modello epistolare.
Una formula di saluto in apertura è prassi comune negli sms (frequentissimo il ciao), dove inoltre, nonostante la brevità dei testi, sembra conservarsi saldamente anche l’uso di saluti di chiusura.
Berruto, Gaetano & Berretta, Monica (1977), Lezioni di sociolinguistica e linguistica applicata, Napoli, Liguori.
Canobbio, Sabina (2003), Salve prof! A proposito degli attuali riassestamenti nel sistema dei saluti, in Italiano strana lingua? Atti del Convegno (Sappada / Plodn, Belluno, 3-7 luglio 2002), a cura di C. Marcato, Padova, Unipress, pp. 147-153.
Pistolesi, Elena (2004), Il parlar spedito. L’italiano di chat, e-mail e sms, Padova, Esedra.
Renzi, Lorenzo (1995), La deissi personale e il suo uso sociale, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di Id., G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 3º (Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole), pp. 350-375.
Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Sobrero, Alberto A. (1995), Sul sistema dei saluti in Salento, in Dialetti e lingue nazionali. Atti del XXVII congresso della Società di Linguistica Italiana (Lecce, 28-30 ottobre 1993), a cura di M.T. Romanello & I. Tempesta, Roma, Bulzoni, pp. 455-468.