esclamative, formule
Le formule esclamative sono unità di varia natura ed estensione (sintagmi, frasi e frammenti di frase) accomunate dalla funzione di esprimere in modo diretto sentimenti o emozioni del parlante (gioia, dolore, rabbia, sorpresa, sdegno, ecc.) o di segnalare un atto linguistico (ordine, preghiera, augurio, minaccia, ecc.).
Dal punto di vista strutturale possono essere avvicinate alle interiezioni (o esclamazioni; ➔ interiezione), parole prive di legami sintattici con la frase in cui sono inserite, spesso concluse, nello scritto, da un ➔ punto esclamativo che ne sottolinea l’enfasi e l’immediatezza (o da un punto interrogativo, o da un punto esclamativo e uno interrogativo congiunti); nel parlato da fatti prosodici come la variazione dell’intensità e del tono della voce, e da altri mezzi di espressione non verbali, come i gesti e le smorfie. Le esclamazioni, indipendentemente dalla loro estensione e articolazione, hanno un valore generale di frase in quanto veicolano un messaggio completo: possono essere dunque considerate «olofrasi» (Poggi 1981: 22 e 64) o «frammenti di enunciato» (Simone 19956: 250).
Le esclamazioni hanno anche un ruolo come ➔ connettivi testuali: come tali contribuiscono alla coesione dei testi e acquistano senso in rapporto a un sistema di rimandi interno al testo (si veda il caso del polifunzionale magari, che può avere valore ottativo, eventuale, concessivo a seconda dei contesti; ➔ modalità). Nel parlato possono essere inoltre ➔ segnali discorsivi, marcando gli snodi dello scambio comunicativo (si pensi alle formule di saluto come buongiorno!) o dando informazioni sull’atteggiamento degli interlocutori (per es., ah si?!, ma dai!).
Nelle grammatiche le formule esclamative sono solitamente rubricate come locuzioni interiettive e distinte dalle interiezioni semplici per la loro natura complessa: si tratta cioè di combinazioni di parole in cui spesso rientra anche un’interiezione primaria, di tipo non-lessicale (oh mio Dio!), o secondaria, di tipo lessicale (per il demonio!, santo cielo!, accidenti a te!, ecc.), ma più spesso sono costituite con materiale eterogeneo: roba da matti!, altro che!, povero me!, mai e poi mai!, neanche per sogno!, hai voglia!, ecc.
La maggior parte delle formule esclamative ha statuto di sintagma, tipicamente incentrato su un nome (ottima idea!, mamma mia!, che schifo!, porca miseria!, meno male!, al ladro!, alla buon’ora!, ecc.) e più o meno cristallizzato (per es., acqua in bocca! o in bocca al lupo! sono sintagmi bloccati; altre espressioni sono invece suscettibili di modifiche: bando alle chiacchiere/ciance, per l’amor di Dio / del cielo, ecc.). Alcune formule, però, possono anche avere forma di frase: non se ne parla nemmeno!, ne ho abbastanza!, questa me la paghi!, che Dio ce la mandi buona!, ecc.
Come le interiezioni secondarie (cioè le parole lessicali occasionalmente utilizzate come interiezioni: diavolo!, cielo!, accidenti!, ma anche zitto!, silenzio!, basta!, coraggio!, finalmente!, ecc.), le cosiddette locuzioni esclamative formano una classe aperta, che attinge a repertori vasti e disparati. Non è pertanto possibile elencarle tutte, ma se ne possono indicare le principali funzioni pragmatiche: imprecazioni, auguri, incitazioni, ordini, divieti, richieste, apprezzamenti, deprecazioni, allarmi, minacce, ecc.
Si tenga presente che le cosiddette interiezioni secondarie possono essere più utilmente considerate come formule esclamative, suscettibili di eventuali estensioni sintagmatiche: accidenti! → accidenti a te!; peccato! → che peccato! o è un (vero) peccato! Del resto molto spesso tali elementi derivano proprio dalla ➔ univerbazione di espressioni esclamative (per Dio! → perdio!, con varianti eufemistiche: perdinci, perdiana, perdindirindina, ecc.) o dalla loro riduzione: questo è il caso dell’imprecazione [che possano venirti degli] accidenti!, che ha portato all’espressione di sorpresa accidenti! (coi sostituti eufemistici accidempoli!, acciderba!, accipicchia!). Anche peccato! può essere interpretata come espressione ellittica derivante dalla cancellazione del verbo copulativo.
Una distinzione sul piano sintattico è quella tra esclamazioni libere ed esclamazioni sintatticamente integrate. Tra le espressioni sintatticamente non integrate si possono includere le frasi esclamative indipendenti, coincidenti con battute di dialogo o funzionanti come incidentali o parentetiche (se si inseriscono all’interno di un periodo interrompendolo, ma senza influenzarne la struttura sintattica). Le frasi esclamative sono spesso introdotte da pronomi interrogativi o da congiunzioni come che (che mi tocca sentire!, sciocco che non sei altro!), da avverbi interrogativi come quanto e come (quanto sono contento!, come sei cresciuto!, come si permette?!), o anche dal se asseverativo (se avevo ragione!).
Alcuni elementi possono essere usati anche in modo assoluto (che?! o ma come!? o come!? per indicare stupore o sdegno) o con valore aggettivale per formare sintagmi esclamativi (che noia!, quante storie!); con valore di aggettivo nei sintagmi nominali si usa anche, nel registro formale, quale (quale onore!). Il se può introdurre anche frasi desiderative del tipo se Dio vuole!
Tra le frasi esclamative troviamo formule costruite con verbi all’imperativo: accanto a elementi lessicalizzati e registrati dai dizionari come interiezioni improprie (dai, guarda, senti, ecc.), abbiamo espressioni del tipo di stammi bene! (o sta’ bene!) come formula augurale; (ma) pensa un po’! per esprimere incredulità; (ma) fammi il piacere! per esprimere disapprovazione; andiamo! per chiudere un argomento che si rifiuta; apriti cielo! o il regionale (romanesco) ammazzalo! (o ammazza!), con varianti, per esprimere stupore, ecc. Anche l’infinito è usato con valore esclamativo: provare per credere!, pentirmi io?! Citiamo infine le frasi esclamative con verbo al congiuntivo imperfetto: (se) sapessi!, fossi matto!, volesse il cielo!
Alcune formule esclamative risultano da troncamenti e rielaborazioni di parole integre: to’ da togli (nel senso di «prendi»), be’ (scritto anche, impropriamente, beh o bè) da bene, bah, forse da basta, ecc. Ci sono anche qui varianti regionali: tiè è, per es., un’esclamazione spregiativa romanesca; ciapa su è lombarda, ecc.
In altri casi le formule esclamative sono integrate nella struttura sintattica e possono introdurre vere e proprie subordinate: è il caso di guai, utilizzata per esprimere una minaccia ipotetica, seguita dalla congiunzione se e un verbo di modo finito (guai a te se ci provi!) o da una preposizione e un verbo di modo infinito (guai a parlargli di quella faccenda!). Anche peccato o la formula e pensare ... (usata per esprimere incredulità) possono funzionare come introduttori di una completiva introdotta da che: peccato che tu non possa venire!, e pensare che è passato un anno!
Le esclamazioni sono legate a fattori culturali e come tali variano da lingua a lingua. Le equivalenze sono limitate a pochi casi, che fanno riferimento a situazioni comuni (per es., italiano silenzio! o state zitti!, francese du silence!, inglese still o keep quiet!, ecc.), e comprendono i prestiti dal latino (per es., sursum corda!, Deo gratias!) o da lingue straniere (francese laissez tomber!, inglese no comment!).
Si noti che le imprecazioni e le parolacce (➔ parole oscene) in italiano sono per lo più di significato osceno, con riferimento a organi e atti sessuali (che palle!, chi se ne frega!, vaffanculo!, che cazzo!) o alla donna come oggetto sessuale (puttana Eva!) o di tipo coprolalico (merda!). Ben rappresentata anche la componente blasfema, con una serie di bestemmie che chiamano in causa divinità e santi vari; a queste si affiancano le bestemmie alterate per evitare la censura sociale (ad es., porco Diaz!, porca madosca!).
Si noti che l’affievolirsi della censura sociale ha degradato molte espressioni da imprecazioni a intercalari volgari: si vedano il già citato accidenti o cazzo col suo sostituto eufemistico cacchio o cavolo.
Poggi, Isabella (1981), Le interiezioni. Studio del linguaggio e analisi della mente, Torino, Boringhieri.
Simone, Raffaele (19956), Fondamenti di linguistica, Roma - Bari, Laterza (1a ed. 1990).