FORNO (dal latino furnus; fr. four; sp. horno; ted. Ofen; ingl. furnace)
Si chiama forno un ambiente in cui si produce calore per lo più a scopo industriale. Il calore può essere prodotto dalla combustione (e in tal caso si hanno i forni a combustibile) o sviluppato dal passaggio della corrente elettrica; in questo secondo caso si hanno i forni elettrici.
Forni a combustibile.
Nella pratica esistono numerosissimi tipi di forni, che, in dipendenza dei diversi scopi, differiscono tra loro per la forma, le dimensioni, la disposizione interna, per il combustibile utilizzato, che può essere solido, liquido o gassoso, per le diverse temperature a cui il riscaldamento dev'essere spinto, ecc. Dei varî tipi si parla sotto le relative industrie: v. calce; cemento; ceramica; ferro; fusione; laterizî; pane (anche per la parte storico-archeologica); piombo; quarzo; rame; stagno; vapore; vetro. A parte i forni delle caldaie (v.), tutti gli altri si possono riportare a uno stesso schema generale. Un forno a combustibile infatti comprende sempre due parti essenziali: il focolare, in cui avviene la combustione, e il laboratorio, in cui i materiali subiscono il trattamento a caldo. I prodotti gassosi della combustione, dopo aver ceduto il loro calore nel laboratorio, vengono aspirati all'esterno attraverso il camino (v.); l'aspirazione può essere prodotta o con una conveniente altezza del camino, utilizzando cioè il tiraggio naturale, o con l'aiuto di un ventilatore, ricorrendo cioè al tiraggio artificiale.
Si possono seguire varî criterî per la classificazione dei forni a combustibile, ma il più conveniente è quello di separarli in tre grandi gruppi: a) forni in cui il materiale da trattare è in contatto col combustibile; b) forni in cui il materiale da trattare è separato dal combustibile, ma è a contatto dei gas della combustione; c) forni in cui il materiale da trattare è tenuto separato sia dal combustibile sia dai prodotti della combustione.
a) I forni della prima classe hanno il focolare e il laboratorio riuniti a formare un unico ambiente in cui si caricano il combustibile e il materiale che deve subire il riscaldamento. Essi sono usati solamente nei casi in cui il materiale non risente azioni dannose dal combustibile o dai gas della combustione. Fanno parte di questa classe i forni a focolare e i forni a tino.
I forni a focolare hanno una cavità interna di altezza non molto grande rispetto al diametro, in cui si caricano il combustibile e il materiale; nella parte inferiore del forno sboccano uno o più ugelli attraverso cui viene soffiata l'aria necessaria alla combustione. Questi forni non sono di uso economico perché hanno l'inconveniente d'un forte consumo di combustibile; tuttavia sono usati per operazioni di fusione e simili.
I forni a tino non sono che lo sviluppo dei precedenti: loro parte essenziale è il tino, camera interna a forma cilindrica o troncoconica ad asse verticale, di altezza piuttosto grande rispetto al diametro, in cui vengono caricati strati alterni di materiale e di combustibile. Il forno è a funzionamento continuo; man mano che l'operazione procede, la carica viene introdotta dalla bocca e il materiale che ha subito il trattamento viene estratto dal fondo: attraverso porte di lavoro i prodotti solidi e attraverso fori di colata i prodotti fusi. I forni a tino possono essere a tiraggio naturale o artificiale. Un forno a tino a tiraggio artificiale è l'alto forno (v. ferro), usato per la produzione del ferro. I forni a tino sono usati per moltissime operazioni, come la cottura di calce, quarzo, magnesite, dolomite, gesso, cemento, per l'arrostimento di minerali e per la rifondita di metalli greggi (ferro, piombo, rame), ecc. I forni a tino hanno il minimo disperdimento di calore a causa dell'intimo contatto tra il combustibile e il materiale che subisce il riscaldamento.
b) I forni della seconda classe sono i cosiddetti forni a riverbero; in questi il focolare e il laboratorio formano due ambienti distinti, separati da un muretto che costituisce l'altare; i gas caldi della combustione attraversano il laboratorio, sono riflessi dalla vòlta del forno sui materiali e cedono a questi il loro calore. I forni a riverbero hanno applicazione estesa in molte industrie, quando il materiale non risente azioni dannose dai gas di combustione. Forni a riverbero sono usati per la fusione di metalli, per l'arricchimento di composti metallici poveri con la fusione con metallo puro, per la riduzione dei minerali di piombo e di stagno; per la raffinazione del rame e dell'argento; per la produzione dell'acciaio o del ferro malleabile col processo del pudellaggio. I forni per calcinazione sono usati per la conversione di alcuni composti metallici in ossidi o per trasformazioni analoghe.
c) I forni della terza classe, che utilizzano il riscaldamento indiretto, sono i forni a muffola, a crogiolo, a storta. Essi si usano quando i materiali da trattare non debbono trovarsi a contatto né del combustibile né dei gas di combustione. Hanno disposizione tale che l'operazione di calcinazione o di fusione si svolge portando il materiale ad alta temperatura in una camera riscaldata esternamente dai prodotti della combustione. Questi forni sono adoperati quando si vogliono ottenere prodotti molto fini, come p. es. acciai speciali.
Forni elettrici.
Cenno storico. - I primi tentativi per adoperare la corrente elettrica a scopo di riscaldamento, seguono di poco le scoperte di A. Volta sulla generazione delle correnti elettriche mediante la pila. I forni elettrici industriali ebbero però sviluppo molto più tardi e fu necessaria non solo l'invenzione dei generatori meccanici della corrente, ma l'opera ideativa e sperimentale di numerosi tecnici. Nel 1810, H. Davy usò per primo un apparecchio che può essere considerato come prototipo dei forni elettrici ad arco, e nel 1815 Pepys un dispositivo che può essere considerato fondamento dei forni elettrici a resistenza. Nel 1843 Wall propose di applicare industrialmente i forni elettrici all'affinazione della ghisa. Nel 1849 C. M. Despretz condusse alcune esperienze all'arco voltaico. A loro volta nel 1853 Pichon in Francia e J. H. Johnson in Inghilterra fecero dei tentativi per la riduzione dei minerali di ferro all'arco voltaico. Ma soltanto nel 1878 W. Siemens costruì piccoli forni elettrici ad arco capaci di reali applicazioni. Nel 1880 W. Borchers e nel 1885 i fratelli E. H. e A. H. Cowles, idearono forni a resistenza di tipo industriale. Altri forni furono ideati da A. Minet, P. T. Héroult, Grabau, E. G. Acheson, ecc. Nel 1892 H. Moissan applicò il forno elettrico agli studî sulle reazioni chimiche a temperatura elevata. Da questi studî ebbero origine parecchie industrie e in particolare quella del carburo di calcio. Poco prima, nel 1891, erano stati costruiti in Inghilterra i primi forni elettrici per l'industria del fosforo e in America quelli per il carborundum. Nel 1893 Laval, Crompton e Taussig brevettarono forni elettrici per la preparazione del ferro dal minerale; Taussig anche un forno per produzione di acciaio dai rottami. Altri numerosi inventori applicarono alla siderurgia il sistema di riscaldamento con archi elettrici e quello per resistenza. Nei forni Urbanitzky e Feller (brevetti inglesi del 1893) viene utilizzato il calore svolto da archi voltaici, e viene realizzata una disposizione degli elettrodi e una fomma di crogiolo adatta per reali applicazioni industriali.
Nel 1898, E. Stassano sperimentò prima a Roma poi a Darfo, tipi di forni elettrici ad arco per la produzione di ghisa e acciaio da minerale di ferro misto a carbone e a castina. Più tardi furono adattati i medesimi forni alla produzione dell'acciaio da rottami iniziando una delle più importanti industrie elettrometallurgiche. I forni Stassano furono largamente adoperati fino a dopo la guerra mondiale e alcuni sono tuttora in funzione.
Nel 1900 Héroult brevettò in Francia i forni elettrici per acciaio con più archi in serie, scoccanti fra ogni elettrodo e la superficie del bagno, protetta dalla scoria. Questa disposizione migliorò le condizioni di funzionamento degli elettrodi nonché quelle della vòlta refrattaria, e concesse di arrivare a unità di grande potenza. Ancora oggi lo Heroult costituisce il tipo più diffuso di forni per acciaio. Quasi contemporaneamente Girod costruì forni elettrici per acciaio con un elettrodo verticale e con la suola conduttrice che pur ebbero notevole diffusione, e Keller i primi forni per ferro-leghe. A partire dal 1900 i forni ad arco diedero luogo a innumerevoli altri brevetti, molti dei quali ebbero reale applicazione industriale (forni Electrometal, Booth, Russ, ecc.).
Per la fusione dell'acciaio furono anche ideati forni a resistenza direttamente alimentati mediante conduttori esterni (forni Gin, Hering, ecc.) ma senza grande successo. Molto maggiore sviluppo ebbero invece i forni a resistenza nei quali la corrente elettrica è generata nel metallo da riscaldare mediante fenomeni d'induzione elettromagnetica. Furono ideati dall'ing. Ziani de Ferranti (inglese di nazionalità ma italiano di origine) nel 1885 e poco dopo brevettati in America da Colby. Essi però furono resi industriali soltanto nel 1900 da Kjellin e poi convenientemente modificati per opera del Rodenhauser e di altri inventori (Forni Schneider, Frick, ecc.). Questi forni a induzione utilizzano correnti alternate a bassa frequenza, e oggi sono quasi abbandonati per scopi elettrosiderurgici, mentre, dopo opportune modifiche, hanno acquistato grande diffusione per la fusione degli ottoni e dei bronzi.
Un tipo modernissimo di forni a induzione che va prendendo grande sviluppo sia per scopi industriali sia per scopi scientifici è quello ad alta e media frequenza. Il principio di questi forni fu brevettato dalla società Schneider-Creusot nel 1905, ma esso non ebbe applicazione fino a dopo la guerra mondiale. Nel 1914 l'italiano Jacoviello propose per i circuiti d'alimentazione dei forni ad alta frequenza disposizioni che in parte sono tuttora applicate. Le prime applicazioni furono però fatte solo nel 1916 dalla casa Ajax in America, in seguito agli studî del prof. E. F. Northrup; e in Francia nel 1920 in seguito alle ricerche del prof. M. G. Ribaud.
I forni elettrici, specialmente sotto la forma di forni a resistenza, sono largamente adoperati anche a scopo di riscaldamento moderato. Costituiscono, in tal caso, i cosiddetti forni di riscaldo, e hanno impiego in metallurgia (per ricotture, tempere, ecc.), o nella ricottura del vetro, nella cottura del pane, nel riscaldamento ed evaporazione dei liquidi, ecc.
Principî teorici. - I forni elettrici sono fondati sul principio della trasformazione dell'energia elettrica in energia termica (in calore). Se una corrente elettrica d'intensità costante attraversa per un tempo t un qualsiasi conduttore avente la resistenza elettrica R, la quantità di calore sviluppata in questo conduttore è data in piccole calorie da:
ove I va espresso in ampère, R in ohm e t in minuti secondi.
Se la corrente elettrica varia nel tempo e se, come talvolta avviene, anche la resistenza del conduttore varia nel tempo, allora:
ove i e r indicano i valori istantanei delle corrispondenti quantità, e vanno espressi in funzione del tempo.
Se la corrente è alternata e se si può supporre costante il valore della resistenza R (come avviene negli usuali forni a resistenza), indicando con I il valore efficace dell'intensità di corrente si ha:
Nel caso in cui si adoperi corrente alternata sinusoidale, e sia ϕ la differenza di fase tra la corrente e la tensione misurata ai morsetti del forno, indicando con I e V i corrispondenti valori efficaci si ha:
Se la corrente e la tensione non sono sinusoidali (come talvolta avviene in molti forni ad arco, fig. 1) e se Im e Vm indicano i valori efficaci corrispondenti alle singole sinusoidi elementari di corrente e di tensione (che risultano dagli sviluppi in serie di Fourier delle rispettive curve di corrente e di tensione) aventi eguale frequenza e ϕm sono le corrispondenti differenze di fase, si ha:
ove la sommatoria va estesa e tutte le coppie di sinusoidi elementari.
Il rendimento dei forni elettrici, cioè il rapporto fra la quantità di energia elettrica utilizzata nel forno e quella totale spesa per la sua alimentazione, è generalmente assai elevato anche perché è possibile costruire i forni in modo da avere piccole dispersioni di calore verso l'esterno. Riferendosi al rendimento termico (rapporto fra calore utilizzato e calore speso), si ha che mentre nei forni a combustibile producenti temperature superiori a 1000° (per es. nei forni a riverbero) e in quelli a bassa temperatura, i rendimenti sono rispettivamente del 10 o del 50% al massimo, nei buoni forni elettrici funzionanti in eguali condizioni di temperatura essi risultano rispettivamente del 50 o dell'80-90%. Ne segue che anche con costi piuttosto elevati dell'energia elettrica, può esservi maggiore convenienza, già da questo punto di vista, nell'uso dei forni elettrici. Naturalmente per decidere sui due metodi di riscaldamento non basta tener conto del costo del chilowattora o del combustibile, ma bisogna tener conto da una parte anche dei costi delle relative installazioni, degli ammortamenti, interessi, spese di manutenzione, di mano d'opera, ecc., dall'altra del fatto che con i forni elettrici è possibile ottenere prodotti più fini e di maggior valore o prodotti non altrimenti ottenibili. Soltanto i forni elettrici infatti consentono di raggiungere le elevatissime temperature necessarie per alcune reazioni chimiche. Ad esempio, mentre con i forni a combustibile è difficile sorpassare in pratica temperature di 1800° (e ciò con grave scapito del rendimento) con i forni elettrici è possibile raggiungere temperature anche superiori a 3000°.
Un altro grande vantaggio dei forni elettrici sui forni a combustibile dipende dal fatto che i materiali da trattare non vengono a contatto con i gas della combustione. Inoltre è possibile disporre le cose in modo che non vengano nemmeno in contatto con sostanze che possano alterare la bontà dei prodotti.
Grande importanza nei forni elettrici funzionanti ad alta temperatura ha la scelta dei materiali refrattarî che debbono costituire la camera del forno e la vòlta, nonché gli eventuali crogioli. Questi materiali debbono mantenere la resistenza meccanica alle altissime temperature e non sconnettersi nei raffreddamenti: quelli usati per i crogioli debbono anche resistere alle azioni chimiche dei bagni, azioni che spesso sono intensissime. È anche necessario, salvo casi speciali, che i materiali siano sufficientemente isolanti per la corrente elettrica. Fra i refrattarî più usati per i forni elettrici ad alta temperatura sono da ricordare i migliori silico-alluminosi, la silice (mattoni Dinas e analoghi), la magnesite, la cromite, la grafite, e, per scopi speciali, nei piccoli forni per laboratorio, il quarzo fuso, il carborundum e materiali analoghi (silite, ecc.), la magnesia, l'alundum, e, per le maggiori temperature, l'ossido di zirconio. Per costruire il fondo e le pareti del crogiolo, essi sono spesso impastati con poca acqua (spesso acqua di calce), modellando, comprimendo o battendo le paste in modo da rivestire internamente con strati più o meno spessi una costruzione fatta con refrattarî di minor valore. Si fanno così le pigiate di refrattario, molto usate nei forni industriali. Di speciale importanza nei forni ad arco è la costituzione degli elettrodi. Questi debbono essere buoni conduttori della corrente elettrica, e quindi vanno fatti di carbone o di grafite per resistere alle altissime temperature dell'arco voltaico. In alcuni casi (forni Pauling, Birkeland, ecc. per reazioni nei gas) si fanno di metallo; ma allora sono raffreddati con correnti d'acqua che percorrono canali praticati nel loro interno. I portaelettrodi, cioè gli apparecchi che adducono la corrente elettrica agli elettrodi (e che sono in generale costituiti da morse metalliche di bronzo, di ghisa o di acciaio), sono raffreddati in modo analogo.
I diversi tipi di forni elettrici. - I forni elettrici possono essere distinti in due categorie: forni a resistenza e forni ad arco.
I forni a resistenza alla lor volta si distinguono in forni il cui resistor è costituito da materiali diversi opportunamente conformati (spirali metalliche, bandelle piegate a zig-zag, barre, tubi o bacchette di carbone, di grafite, di composti e miscugli di carbonio e silicio, carbone granulato, ecc.), disposti nella camera del forno o nelle sue vicinanze, e in forni nei quali il resistor è costituito dal materiale che deve venir trattato. I primi si dicono forni con resistor ausiliario, e i secondi, forni con autoresistor. La corrente elettrica riscaldante può, in ambedue questi tipi di forni, essere inviata nel resistor adducendola mediante conduttori, oppure generata nel resistor usufruendo dell'induzione magneto-elettrica. In questo secondo caso si hanno i cosiddetti forni a induzione, classificabili, a seconda della frequenza della corrente elettrica induttrice, in forni a bassa frequenza (fino a 60 Hertz), a media frequenza (da 90 a 3000 Hertz) e ad alta frequenza, e, a seconda che abbiano o meno nucleo magnetico, forni a induzione con nucleo magnetico (che sono tutti a bassa frequenza) e forni a induzione senza nucleo magnetico (che possono essere ad alta, a media o anche a bassa frequenza).
I forni ad arco si distinguono a loro volta in forni ad arco diretto (quando l'arco scocca fra il bagno e gli elettrodi) e in forni ad arco irradiante; questi ultimi classificabili in forni con arco a fiamma normale oppure con arco a fiamma allungata.
Forni a resistenza con resistor ausiliario. - Questi forni possono essere a bacino o a crogiolo, e sono costruiti del tipo fisso e del tipo inclinabile.
I forni a bacino sono generalmente di grandi dimensioni e impiegati per la rifusione dell'alluminio, per la fabbricazione e rifusione di leghe con non troppo alti punti di fusione e di colata, o anche per la fusione dei catodi di zinco, di stagno e di piombo. Il riscaldamento del bagno è in essi ottenuto per irradiazione di calore dalla vòlta, che in alcuni tipi caratteristici (Baily, General Electric, ecc.) è riscaldata per irradiazione termica del resistor. Nel tipo Baily (fig. 2) il resistor, costituito da carbone granulato misto a carborundum o a materiali analoghi, è disposto entro un canale circolare di refrattario che sovrasta il bagno ed è aperto verso l'alto. Un tipo di forno adottato da alcune fonderie d'alluminio in Italia ha il resistor metallico, costituito da spirali di grosso filo di nichelcromo che sono allogate entro a canali praticati nel refrattario della vòlta e aperti verso il basso, oppure da spirali dello stesso filo, infilate in sbarre metalliche rivestite con tubi di materiale refrattario sufficientemente isolante, le quali sbarre sono disposte trasversalmente nella vicinanza della vòlta. I forni a bacino possono fondere da 6 a 8 tonn. d'alluminio nelle 24 ore; possono essere alimentati in trifase alle tensioni di 100-200 volt e dare un rendimento dal 65% al 75% secondo il tipo.
I forni a crogiolo sono costruiti per potenze diversissime adattandosi agli scopi più svariati. Nei piccoli forni il resistor può essere costituito con tubi di carbone (forni Tammann, e derivati, che sono impiegati per ricerche scientifiche e per la fusione di metalli preziosi), oppure con lo stesso crogiolo, che è allora di carbone o di grafite (forni Helberger, Oerlikon, ecc.), oppure con carbone granulato, kriptolo (misto di carbone e carborundum) fili o bandelle metalliche (figura 3), bacchette di grafite, di silundum, di siloxicon, di silite, ecc., disposti attomo al crogiolo (fig. 4). Nei grandi forni il resistor è quasi sempre costituito da fili o bandelle di nichel-cromo; ma in tal caso ad evitare il surriscaldamento non va oltrepassata nel crogiolo la temperatura di 800°. Il resistor è infatti allogato nella intercapedine fra il crogiolo e il rivestimento refrattario della camera del forno, a sua volta circondato da più strati di materiale coibente. Ne segue che se si adoperano crogioli di grafite o, peggio, di altri materiali refrattarî, in causa del relativamente forte spessore delle loro pareti e del loro relativamente basso coefficiente di conduttività termica, la temperatura del resistor risulta assai superiore a quella dell'interno del crogiolo. E se la temperatura del crogiolo è superiore a 800°, è facile raggiungere il limite massimo di temperatura concesso per il funzionamento continuo delle migliori leghe oggi fabbricate per resistor con scopo industriale (leghe di nichel-cromo al 20% di cromo), limite che è di 1100°.
Usando crogioli metallici (di ghisa, di nichel, di nichel-cromo, ecc.) si possono raggiungere nel crogiolo temperature prossime a 1000°, ma quest'uso non è sempre possibile: per la fusione dell'alluminio, ad es., alcuni fonditori lo escludono. I forni a crogiolo, di tipo industriale, si costruiscono fino a 100-150 litri di capacità (per stagnatura: fino a 2500 kg. di stagno); sono alimentati in monofase, ma talvolta anche in trifase, con tensioni da 110 a 220 volt. Hanno rendimento pressoché uguale a quello dei forni a bacino. Tra i forni a bacino o a crogiolo si devono ricordare quelli specialmente usati in America, con resistor ausiliario immerso nel bagno. Questo resistor è costituito con spirali di nichel-cromo convenientemente protette, e, in causa delle onerose condizioni di lavoro, si adatta soltanto a forni fusorî per temperature inferiori a 500°.
Nei forni con resistor ausiliario, per assicurare la durata del resistor la corrente è tolta in tutto o in parte quando la temperatura sorpassa certi limiti e riammessa a tempo opportuno, e ciò mediante interruttori e inseritori automatici. Il consumo di energia è vario. Nel caso della fusione dell'alluminio (temperatura di fusione 660°, temperatura di colata circa 750°) si può porre, in funzionamento continuo, e con forni a crogiolo di media potenza, di 750 kWh per tonn. (alcuni costruttori indicano consumi assai minori); con forni a bacino di tipo Baily della potenza di 500 kW, di 600 kWh/T., della potenza di 50 kW, di 900 kWh/T. (esclusa l'energia spesa per il primo riscaldo del forno, energia che in questi tipi è necessariamente molto forte). Per la fusione delle leghe antifrizione (metallo bianco) per capacità del crogiolo di 450 kg. (potenza 20 kW) 48 kWh/T.; per capacità doppia, 46 kWh/T. Per la fusione dello stagno (capacità del crogiolo rispettivamente 380 e 750 kg.), valgono i medesimi valori. Per la fusione di leghe per caratteri da stampa in forni con resistor a immersione si hanno consumi di 35 a 40 kWh/T. Per la fusione del piombo in grandi forni con resistor a immersione, funzionamento continuo e scarico del metallo fuso mediante vapore compresso 20-22 kWh/T., e per forni con resistor esterno e crogiolo della capacità di 450 kg., circa 30 kWh/T.
Il fattore di potenza dei grandi forni con resistor ausiliario è praticamente eguale all'unità se i resistor sono disposti in modo opportuno.
Forni con autoresistor e con elettrodi. - I forni nei quali il resistor è costituito dal metallo che si deve trattare e la corrente è addotta al resistor mediante conduttori (elettrodi), non hanno avuto diffusione soprattutto a causa del loro basso rendimento in energia. Alcuni presentano anche gravi inconvenienti per le operazioni di carica solida e di scorificazione, perché il metallo è disposto entro un lungo e stretto canale ripiegato in forma di U o a zig-zag, come nei forni Rombach e Gin. Anche i forni a bacino o a crogiolo, ideati da Hering, i quali presentano il vantaggio che, in grazia del pinch-effect (effetto dello strozzamento) entro ai brevi canali di adduzione della corrente, avviene un intenso rimescolamento del bagno, non hanno avuto successo.
La causa del basso rendimento energetico di questi forni sta principalmente nella necessità di alimentarli con tensioni molto basse, e quindi con grandissime intensità di corrente; ragione per cui le perdite elettriche nel circuito d' alimentazione divengono assai elevate rispetto all'energia utilizzata. I costi delle installazioni sono inoltre molto elevati in causa della necessità di trasformatori con il secondario a bassissima tensione. Esistono poi notevoli difficoltà circa l'adduzione della corrente al bagno metallico.
Nel caso in cui il materiale da riscaldare non sia metallico alcuni di questi inconvenienti non si presentano e quindi forni di questo genere, di grandissime dimensioni, sono adoperati nell'industria del carborundum e della grafite artificiale. Sono costituiti da costruzioni parallelepipede di mattoni refrattarî, convenientemente rivestiti all'interno, entro alle quali entrano gli elettrodi dalle due estremità opposte nel senso della maggior lunghezza. Gli elettrodi sono di carbone e sono uniti ai conduttori della corrente (che raggiunge in generale molte migliaia di ampère) mediante morse metalliche raffreddate con corrente d'acqua. Nell'interno, fra gli elettrodi di carbone, sono disposti i materiali da riscaldare; ad es. il miscugliti di silice e carbone per la fabbricazione del carborundum oppure i pezzi di carbone che debbono essere grafitati, i quali sono alla loro volta immersi in polvere di carbone. Con forni di questo tipo si fabbricano i migliori elettrodi di carbone grafitato che si usano nei forni elettrici per acciaio (v. più oltre: Fabbricazione degli elettrodi).
Forni con autoresistor e con nucleo magnetico induttore (forni a induzione a bassa frequenza): a) per siderurgia. - I forni a induzione con nucleo magnetico delle più grandi dimensioni, furono e sono quasi esclusivamente adoperati in siderurgia. Il principio su cui sono fondati consiste nel generare la corrente riscaldante entro al metallo, ponendo questo dentro un crogiolo che circonda un nucleo di ferro percorso da un flusso magnetico alternativo. Tale flusso è generato per induzione da una corrente che viene inviata dall'esterno in più spire avvolte intorno al nucleo.
Nei forni Kjellin (v. illustrazione alla v. ferro) il crogiolo è costituito da un disco di materiale refrattario nel quale è praticato un canale circolare; il nucleo magnetico attraversa il disco, e le spire induttrici sono allogate nell'intercapedine fra nucleo e crogiolo. Esse sono protette con schermi metallici discontinui, e sono raffreddate mediante una violenta corrente d'aria. Il nucleo magnetico ha forma anulare rettangolare ed è costituito con lamiere di ferro similmente ai nuclei dei trasformatori. Il forno è quindi assimilabile, dal punto di vista elettrico, a un trasformatore statico monofase nel quale il circuito a bassa tensione è costituito da una sola spira chiusa in corto circuito.
Lo studio completo ed esatto del funzionamento elettrico dei forni a induzione con nucleo magnetico è molto complesso a causa della grande sezione della spira secondaria, della sua notevole distanza dal nucleo (ragione per cui assai grande e mal determinabile è il flusso disperso) e della variazione, durante il riscaldamento e la fusione, della resistività media; e, se si tratta di fusione di metalli ferrosi, della permeabilità magnetica del materiale che la costituisce. Un calcolo d'orientamento può tuttavia essere eseguito senza difficoltà, applieando i metodi per lo studio del funzionamento dei trasformatori in condizioni di corto circuito. Si può stabilire così che il fattore di potenza dei forni di questo tipo è assai basso, che cresce col diminuire della frequenza della corrente induttrice, e che, a parità di condizioni, decresce col crescere della capacità del forno, cioè del diametro e della sezione del canale, e della conduttività del metallo. Ai forni Kjellin ben costruiti, della capacità di 1 tonn. di acciaio liquido (potenza circa 180 kW), si puo assegnare un fattore di potenza dell'ordine 0,5-0,6 se il canale è pieno d'acciaio liquido. Ma per raggiungere questo fattore di potenza è necessario alimentarli con la frequenza di 18 Hertz, mentre è necessaria (per avere lo stesso fattore di potenza) la frequenza di 9 Hertz se hanno la capacità di 4 tonn. (potenza circa 440 kW) e di 5 Hertz se hanno la capacità di 8 tonn. (potenza circa 700 kW). Bisogna quindi alimentare questi forni con corrente di frequenza completamente differente da quella in uso per gli altri scopi pratici; e perciò adoperare alternatori che, per più cause, risultano molto costosi. Furono escogitati varî mezzi per aumentare il fattore di potenza dei forni Kjellin; fu allungato, ad es., il canale allo scopo di aumentarne la resistenza (forno Grönwall), furono usati avvolgimenti ausiliarî, schermi magneto-elettrici, ecc., ma con poco o nessun successo, perché a tali dispositivi corrisposero sempre maggiori perdite e quindi minori rendimenti.
In questi forni, come in tutti i forni a induzione con nucleo magnetico, hanno grandissima importanza alcune azioni d'origine magneto-elettrica che hanno sede nel metallo liquido, il cui effetto è praticamente localizzato nel canale. Per le mutue attrazioni fra i filetti di corrente percorrenti il metallo si esercita un'azione che tende a diminuire la sezione del bagno nel canale; questo diviene perciò soggetto a uno strozzamento (pinch-effect), e l'intensità delle forze strozzanti cresce col crescere della intensità della corrente. Per effetto delle inevitabili (anche piccole) inomogeneità nella sezione del canale, tale azione diventa maggiore in qualche sua regione, e quindi, ove la densità media della corrente nel canale superi detemiinati limiti, può avvenire che l'azione strozzante sia talmente intensa, nelle regioni di minor sezione, da rompere ivi la continuità del metallo liquido con conseguente interruzione della corrente. Ristabilendosi la continuità del metallo, per azione della gravità, la corrente si ristabilisce, ma rinnovandosi lo strozzamento si generano pulsazioni di corrente che causano inconvenienti di varia natura, fra i quali il raffreddamento del bagno. La densità limite di corrente dipende dalla forma e dalle dimensioni della sezione del metallo nel canale e dal peso specifico del metallo allo stato liquido.
Un secondo fenomeno elettrodinamico deriva dalla repulsione fra il campo magnetico induttore e i filetti di corrente indotta nel metallo. Questa repulsione può essere individuata come una forza applicata alle particelle del metallo fluido, diretta nel senso dal nucleo magnetico al metallo nel canale. Componendosi tale forza con quella di gravità, origina una risultante indinata sulla verticale. Ne segue un'inclinazione della superficie libera del metallo liquido nel canale, con l'orlo esterno più elevato, inclinazione che cresce con il crescere della densità della corrente e diminuisce col crescere del peso specifico del metallo. Nei forni Kjellin per acciaio essa raggiunge spesso 25° sull'orizzontale. In causa di questa inclinazione, il metallo che si trova sull'orlo più elevato si raffredda notevolmente e per effetto della maggiore densità rotola verso l'interno del canale; e poiché nuovo metallo è sospinto verso l'esterno, si genera un movimento vorticoso nella massa metallica con conseguente corrosione del refrattario. Avviene anche, in causa dell'inclinazione della superficie del bagno, che la scoria scivola e si accumula verso l'orlo interno del canale. I movimenti che in causa del pinch-effect, e in causa dell'effetto repulsivo, sono generati nell'interno del metallo, sono quindi dannosi per alcuni riguardi, ma hanno effetti utili qualora siano contenuti entro giusti limiti, perché ad essi corrisponde un energico e automatico rimescolamento nel bagno.
I forni a induzione presentano gravi inconvenienti allorché debbono esser caricati con metallo solido. Avviene infatti che è difficile far cariche solide d'una certa importanza e con conveniente rapidità senza danneggiare il canale. D'altra parte, per adescare il forno, è necessario che la carica presenti fin dall'inizio una conduttività elettrica media talmente bassa da consentire (con la limitata tensione agente nella spira) la generazione di correnti indotte d'intensità sufficiente per portare il metallo alla fusione. Ne segue che a causa delle resistenze ai contatti tra i frammenti di metallo solido, per adescare i forni a induzione con nucleo magnetico, bisogna che esista fin dall'inizio del funzionamento un anello continuo di metallo. Nei forni Kjellin si costituisce questo anello mediante due semianelli di metallo solido, della stessa natura del metallo da fondere, disposti nel canale e riuniti con saldatura autogena o con bulloni; oppure, come più comunemente si fa, mediante una carica liquida dello stesso metallo, in quantità sufficiente per formare il conduttore necessario per avviare il forno. Ove non si facciano cariche liquide, bisogna quindi lasciare nel crogiolo, ad ogni colata, una data quantità di metallo liquido. Questa quantità risulta in pratica una frazione notevole della capacità totale del forno, e dovendo essere mantenuta sempre liquida anche nelle pause, poiché la sua solidificazione potrebbe causare, fra l'altro, danni al refrattario, dà luogo a una spesa supplementare d'energia.
Nei forni a induzione, la scoria viene riscaldata dal bagno, e quindi possiede una temperatura media inferiore a quella del metallo. Le correnti elettriche indotte nella scoria hanno infatti (anche se essa è liquida) un'esigua densità in causa della sua elevata resistività. Questa caratteristica costituisce, secondo alcuni metallurgici, una gravissima inferiorità dei forni a induzione. I forni a induzione consentono un'ottima regolazione della temperatura del bagno, bastando variare la tensione ai morsetti dell'avvolgimento induttore; concedono inoltre il raggiungimento di temperature molto più elevate (1800° circa) che nei forni a crogiolo con resistor ausiliario, risultando queste temperature limitate soltanto dalla natura del refrattario e da quella del metallo.
I forni Kjellin e Frick sono monofasi, ma sullo stesso principio furono proposti forni polifasi, naturalmente con più canali (fig. 5). Un progresso nei grandi forni a induzione con nucleo magnetico è stato portato dal Rodenhauser (forni Röchling-Rodenhauser) che ideò forni con bacino centrale capaci di lavorare con ottimi fattori di potenza. Specialmente interessanti sono i forni R. R. trifasi (v. illustrazione alla v. ferro). La massima capacità dei forni Kjellin e R. R. installati, è di 8 tonn. di acciaio, quella dei forni Frick di 20 tonn. I forni a induzione sono stati impiegati per la fabbricazione dell'acciaio di qualunque tipo, per ghise di qualità, per surriscaldamento della ghisa, ecc. All'inizio essi hanno avuto grande favore presso i metallurgici, soprattutto perché consentono di lavorare in crogioli completamente al riparo delle impurità apportate dagli elettrodi o dai prodotti della combustione, ad altissime temperature perfettamente regolabili e con piccolo calo del materiale. Ma le difficoltà e gl'inconvenienti prospettati hanno, in seguito, fatto diminuire gli entusiasmi.
b) Per metalli non ferrosi. - Al contrario dei forni per acciaio, grande è la diffusione raggiunta dai forni a induzione con nucleo magnetico per la fusione di alcuni metalli non ferrosi. Nel 1926 si contavano infatti 130 di questi forni per ottone e bronzo in Europa e 340 (nel 1929, 600) negli Stati Uniti e nel Canada. Se usati nella fusione degli ottoni, questi forni consentono il vantaggio di ottenere un'elevata temperatura nel bagno, e di ben regolarla, in modo da non raggiungere la temperatura di volatilizzazione dello zinco che, negli ottoni ordinarî, è di 200° a 250° superiore a quella di fusione e quindi appena di 50° a 100° superiore a quella di colata (compresa fra 1000° e 1200° a seconda della composizione). Ne segue che il calo risulta molto minore e la conservazione del titolo assai più precisa che nei forni a crogiolo scaldati con combustibile. Inoltre è dato usare crogioli di materiale refrattario capaci di grande durata, di disporre d'un energico rimescolamento automatico del metallo nel bagno, di aumentare, per la grande rapidità del riscaldamento, la potenzialità di lavoro delle singole unità, di risparmiare mano d'opera e ottenere una produzione più regolare.
Il primo e più diffuso tipo di questi forni è l'Ajax monofase. Esso ha un solo canale, disposto al disotto del crogiolo, in un piano verticale, a forma di V (fig. 6) allo scopo di ottenere intense azioni repulsive fra i filetti di corrente che ne percorrono le due gambe. Per effetto di queste, il metallo liquido è sospinto verso i lati esterni superiori del canale (ove sbocca nel crogiolo) in modo che ne risulta una fuoriuscita del metallo dai due lati del canale verso il crogiolo, mentre un'eguale quantità di metallo scende dal crogiolo nel canale. Anche i moti convettivi causati dalla diversa densità fra il metallo nel crogiolo e nel canale (ove è molto più caldo) contribuiscono al fenomeno; e pur vi contribuisce il pinch-effect nel canale (che però viene opportunamente limitato) in modo analogo a quanto avviene nei forni Hering ad autoresistor. Ne segue che se si osserva la superficie del metallo liquido nel crogiolo, si vedono come due zampilli in corrispondenza delle due regioni di sbocco del canale nel crogiolo. La forma a V del canale costituisce la più spiccata caratteristica dei forni Ajax ed è specialmente rivendicata nei brevetti. Il nucleo magnetico è a doppio T, disposto in un piano orizzontale; la colonna mediana attraversa il canale e su di essa è avvolto l'induttore che è energicamente refrigerato mediante correnti d'aria inviate da un ventilatore. I forni Ajax sono generalmente monofasi e di dimensioni molto limitate (capacità del crogiolo 250-350 kg. di ottone, potenza 6080 kW). Esistono però forni monofasi di una tonn. (potenza 150 kW) e si dice siano stati costruiti anche forni polifasi di circa due tonn. L'alimentazione è fatta con le ordinarie frequenze industriali (40-60 Hertz) a bassa tensione (110 a 550 volt). Il fattore di potenza è di 0,7-0,8. Il rendimento in energia è molto alto (è denunciato dell'ordine del 90%) in grazia dell'ottimo isolamento termico e del piccolo sviluppo del canale. La refrigerazione dell'induttore assorbe circa il 3% dell'energia impiegata nel forno. La potenza impegnata durante le pause per impedire che il metallo solidifichi nel canale è circa un decimo di quella di lavoro. I consumi d'energia sono 310 kWh/T. per la fusione del rame, 90 kWh/T. per quella dello zinco, 285 kWh/T. per quella del bronzo al 5% di stagno, 252 kWh/T. per quella dell'ottone all'85,5% di rame, 195 kWh/T. per quella dell'ottone al 66% di rame. Ma naturalmente essi variano con la natura della carica (lingotti, rottami, torniture, ecc.). Alcune grandi fonderie americane sono equipaggiate con molte decine di forni Ajax di modesta capacità (250-350 kg.), poiché si è trovato più conveniente per il lavoro normale questa disposizione piuttosto di quella con grandi unità.
Analoghi ai forni Aiax, dai quali però si diversificano essenzialmente per la mancanza della forma a V del canale e per la posizione di questo rispetto alla verticale, sono i forni Siemens, Russ, ecc. Nei forni Siemens il canale è disposto in un piano leggermente inclinato sull'orizzonte, e sbocca lateralmente al crogiolo pressoché all'altezza della suola. Nei forni Russ ha una gamba pressoché orizzontale e l'altra leggermente inclinata sull'orizzonte, in modo che i due sbocchi sono praticati a diverse altezze nel crogiolo. Si genera così per le differenze di densità una circolazione del metallo dal canale nel crogiolo e dal fondo del crogiolo nel canale. Il nucleo magnetico dei forni Siemens e Russ è disposto lateralmente al crogiolo in un piano verticale, cosicché l'avvolgimento induttore è assai facilmente accessibile e facilmente refrigerabile con le correnti d'aria inviate dal ventilatore.
I forni a induzione servono assai bene anche per le leghe rame-nichel, ma non sono adoperati e non sono consigliabili per le leghe ad alto punto di fusione (leghe nichel-cromo, leghe del ferro, ecc.) perché sarebbe con essi difficile arrivare nel crogiolo alle temperature necessarie per la colata senza danneggiare il refrattario nei canali (e ciò in causa della grande capacità del crogiolo rispetto a quella dei canali, ove avviene in realtà quasi tutto lo sviluppo di calore necessario alle fusioni). Prove dei forni sopraindicati per la fusione dell'alluminio e delle leghe leggiere furono fatte anche in Italia, ma non pare abbiano dato buoni risultati. La piccola densità di questi metalli rende infatti troppo energici i movimenti impressi dalle azioni elettrodinamiche. Si hanno in conseguenza forti movimenti vorticosi del metallo liquido e quindi grande corrosione dei refrattarî, nonché inconvenienti d'altra natura.
Forni a induzione senza nucleo magnetico (forni a induzione ad alta e a media frequenza). - Questo tipo di forni tende a conquistare un primario posto nella metallurgia. Si è ormai passati dalle piccole unità per ricerche scientifiche a forni di capacità industriale per acciai e leghe ad alto e medio punto di fusione; né è dato assegnare dei limiti alle possibilità avvenire, poiché una maggior economia e un migliore sfruttamento dei macchinarî che questi forni richiedono sono tuttora allo studio e dànno ampie speranze. Le maggiori unità finora installate hanno soltanto la capacità di 1000-1200 kg. di acciaio (v. fig. 7), ma sembra che nessuna difficoltà tecnica si opponga alla costruzione di unità da 5 tonn., e che sia anehe possibile arrivare a unità di 25 tonnellate. Il principio scientifico su cui sono fondati questi forni consiste nell'ottenere il riscaldamento mediante correnti elettriche generate per induzione, senza uso dei nuclei magnetici, da correnti d'intensità rapidamente variabili nel tempo. Le correnti primarie sono generate o mediante impulsi elettrici in circuiti possedenti opportuna capacità e selfinduzione, oppure mediante alternatori. Per realizzare i forni si adoperano crogioli refrattarî delle ordinarie forme (cilindrici, tronco-conici od ovoidali) attorno ai quali sono avvolte le spire induttrici costruite con tubi di rame energicamente raffreddati con acqua o con correnti d'aria, e separate dal crogiolo da una stretta intercapedine piena di sostanze coibenti. Il tutto disposto in casse di materiali non magnetici (legno, lamiere di metalli non magnetici, ecc.) sostenute in modo da costituire forni di tipo fisso o di tipo inclinabile (v. illustrazione alla v. ferro).
Le correnti induttrici adoperate nei primi forni erano ad altissima frequenza (100.000 Hertz secondo il brevetto Schneider, 30.000-50.000 Hertz nei primi forni Northrup e Ribaud) ed erano generate mediante oscillatori elettrici agenti su circuiti provveduti di capacità, nei quali la spirale induttrice costituiva, pressoché totalmente, la selfinduzione. Come generatori degl'impulsi elettrici si usarono archi elettrici soffiati (Jacoviello) o altrimenti allungati (Dufour), oppure scintille scoccanti fra elettrodi di carbone e una superficie di mercurio entro a gas inerti (Northrup), oppure scoccanti nell'aria fra interruttori a ruota dentata (Ribaud), alimentate con correnti continue o alternate. Si usarono anche correnti ad alta frequenza, generate da alternatori del tipo per esperienze radiotelegrafiche, ma in causa dell'alto costo di queste macchine e del bassissimo fattore di potenza con cui funzionavano, pochi e di piccolissima potenza furono gl'impianti così equipaggiati. Furono anche proposte le valvole termoioniche, ma a causa dell'elevato prezzo e della relativamente breve durata, furono abbandonate.
Gli studî teorici dimostrarono però che per la fusione dei metalli non erano indispensabili le altissime frequenze alle quali si ricorse in questi primi esperimenti, ma che era più conveniente scendere in molti casi a frequenze di poche migliaia di Hertz, in altri a frequenze di 500 Hertz, e in casi speciali persino alle usuali frequenze industriali (40-60 Hertz). Il minor costo del macchinario e le sue migliori condizioni di lavoro hanno perciò reso possibile la realizzazione di forni industriali alimentati direttamente da altematori o da trasformatori, lavoranti con fattori di potenza pressoché eguali all'unità in grazia di batterie di condensatori rifasatori. Solo per scopi speciali sono talvolta usati nell'industria forni ad impulso.
La teoria sulla quale si fonda il calcolo dei forni a induzione senza nucleo magnetico, può essere facilmente sviluppata supponendo la corrente induttrice d'intensità efficace costante nel tempo, e di forma sinusoidale, e considerando il circuito indotto come costituito da una sola spira cilindrica (detta spira equivalente) percorsa dalla corrente indotta con densità uniforme, il cui spessore (d) sia calcolabile mediante la formula di lord Rayleigh. Da questa trattazione, che generalmente ha soltanto valore d'orientamento a causa delle ipotesi semplificative, risulta che la quantità di calore sviluppata nel tempo t per unità di volume del materiale è proporzionale al quadrato dell'intensità efficace della corrente primaria, al quadrato del numero delle spire contenute nell'unità d'altezza dell'induttore, alla radice quadrata della frequenza della corrente induttrice, alla radice quadrata del prodotto della resistività elettrica per la permeabilità magnetica del materiale, e inversamente proporzionale al diametro interno del crogiolo.
Un caso interessantissimo che si può presentare anche in alcune applicazioni metallurgiche (p. es.: riscaldamento di tubi, ecc., oppure riscaldamento o fusione di sostanze non conduttrici entro crogioli di grafite) è quello in cui il corpo nel quale debbono aver sede le correnti indotte, ha forma di cilindri cavi; p. es. è costituito da crogioli conduttori della corrente. La trattazione teorica di questo caso conduce a stabilire che per ogni materiale, ogni frequenza e ogni diametro del cilindro conduttore (o del crogiolo) esiste un suo spessore al quale, a parità delle altre condizioni, corrisponde uno sviluppo di calore che è massimo, e superiore a quello che si avrebbe con corpi massicci di eguali dimensioni esterne.
Particolare importanza per le applicazioni ha il calcolo dei rendimenti elettrici (rapporto fra l'energia elettrica sviluppata nell'indotto e l'energia elettrica spesa per alimentare l'induttore) e lo studio dei cambiamenti che avvengono nei rendimenti in dipendenza delle caratteristiche elettriche e delle dimensioni dell'indotto e dell'induttore. Le trattazioni teoriche conducono a stabilire, d'accordo con i risultati sperimentali, che i rendimenti elettrici crescono col crescere della frequenza, e tendono a un valore massimo, che rimane praticamente costante al di là di una certa frequenza e dipende dalla resistività e dalle proprietà magnetiche del materiale. Per cariche massicce risulta ad es.: un rendimento massimo del 0,50 per il rame, del 0,70 per il bronzo, del 0,88 per l'acciaio in condizioni di bassa temperatura; a 1000° del 0,70 per il rame e bronzo, del 0,87 per l'acciaio; alla temperatura di fusione, del o,75 per il rame, del o,83 per il bronzo, del 0,92 per l'acciaio. Durante il periodo di riscaldamento e durante la fusione del materiale, i rendimenti cambiano, e cambia anche l'energia assorbita dal forno perché variano le caratteristiche elettriche ed eventualmente magnetiche (punto di Curie negli acciai, ecc.) del materiale; e generalmente varia il modo e il grado di riempimento del crogiolo. È quindi necessario, per avere un buon funzionamento tecnico ed economico, provvedere a opportune regolazioni della tensione applicata, del valore della capacità, ecc., per mantenere, durante tutto il riscaldamento e la fusione, pressoché costante la potenza assorbita, ed elevati il rendimento e il fattore di potenza.
Il rendimento complessivo in energia (tenendo anche conto delle perdite nei generatori a impulso o nei gruppi motore-alternatore) risulta complessivamente del 40-50% negl'impianti a impulso e del 50-75% negl'impianti ad alternatore. La frequenza più conveniente è compresa fra 1000 e 3000 Hertz per il riscaldamento e la fusione di metalli con alta resistività elettrica (ferro, acciaio, nichel, leghe di ferro-cromo, leghe di nichel-cromo, ecc.); è di 500 Hertz per i metalli più conduttori (rame, bronzo, argento, leghe di rame-argento, di rame-alluminio, di argentonichel, ecc.); è l'ordinaria industriale (intorno a 50 Hertz) per i metalli molto conduttori. Per le sostanze meno conduttrici (grafite, carbone, ecc.) si debbono usare frequenze più elevate (20.000-40.000 Hertz) le quali sono più economicamente ottenute (per potenze non troppo elevate) mediante i generatori a impulso.
È da tener presente che nei forni alimentati con alternatori, se non si adoperassero batterie di condensatori, il fattore di potenza scenderebbe a 0,1-0,2, mentre disponendo batterie di condensatori di sufficiente capacità, il fattore di potenza può essere portato all'unità.
Nei forni di maggior potenza il crogiolo è fabbricato in posto colando o pigiando in forme metalliche opportuni cementi refrattarî, i quali vengono cotti mediante il calore che è possibile sviluppare nelle forme medesime usufruendo dell'induttore del forno.
Se la presenza di carbonio nel crogiolo può essere tollerata, si possono vantaggiosamente usare crogioli di grafite perché migliorano i rendimenti elettrici per effetto delle correnti indotte nelle loro pareti. Per scopi speciali si cerca di adoperare economicamente le sostanze ultrarefrattarie (ossido di zirconio, ecc.) che permettono di lavorare in crogioli, non contenenti carbonio, a temperature superiori a 2000°. È così resa facile la fusione dei metalli più refrattarî. Infatti anche in questi forni il solo limite della temperatura raggiungibile è determinato dalla natura del refrattario e dalla volatilità del metallo.
Nei forni a induzione senza nucleo magnetico, avviene, per effetto delle reazioni elettrodinamiche fra le correnti indotte e le induttrici, un energico rimescolamento del bagno, molto più intenso e regolare che nei forni a induzione con nucleo magnetico. Con crogioli delle usuali forme, il metallo liquido è soggetto a forze che lo sollecitano dal centro del crogiolo verso l'alto e verso il basso (per ragioni di simmetria rispetto all'induttore): si generano così moti vorticosi ai quali corrisponde un continuo flusso del metallo dall'asse alle pareti del crogiolo (cioè nella regione ove hanno specialmente sede le correnti indotte) e un corrispondente riflusso dalle pareti all'asse in corrispondenza del piano mediano. Il metallo liquido, che è violentemente sospinto verso la superficie nella regione assiale, genera un'onda per effetto della quale la superficie del metallo assume una forma a campana, con la regione centrale sollevata in alcuni casi di molti centimetri (10 e più) rispetto agli orli. Ne segue che, pur essendo la scoria riscaldata dal bagno (come nei forni a induzione con nucleo magnetico), essa può essere fluida perché mantenuta caldissima dal metallo che continuamente la investe, mentre le reazioni fra bagno e scoria risultano grandemente accelerate per il fatto del sempre rinnovato contatto fra scoria e metallo che arriva alla superficie dalle regioni interne del bagno. Un grande vantaggio portato dall'intenso e profondo rimescolamento nel bagno sta anche nella possibilità di ottenere leghe perfettamente omogenee. Esempio notevole si ha nella fabbricazione delle leghe nichel-cromo per resistor.
Circa i consumi d'energia, per quanto riguarda la fusione di acciaio un'acciaieria alimentata da un forno Ajax-Northrup con crogioli per 250 kg. (durata media delle fusioni: un'ora) dà le seguenti medie d'un anno di lavoro industriale. Acciaio extradolce (1,0% di C) 825 kWh/T.; inossidabile (13% Cr, 0,35% C) 730 kWh/T.; (18% Cr, 8% Ni, 0,4% C), 680 kWh/T.; rapido (14% Tu) 650 kWh,T.; id. (22% Tu) 610 kWh/T.; id. (22% Tu più Co e Va), 580 kWh/T. Per quanto riguarda la fusione dei metalli non ferrosi si citano ad esempio i seguenti dati ricavati con forni da 300 kg. circa (tipo Metropolitan-Vickers), i quali lavorano a 50 Hertz, 600 volt (potenza 150 kW) e sono alimentati da trasformatori direttamente inseriti sulla linea di distribuzione dell'energia elettrica (durata delle fusioni circa 1 ora con carica in pezzi di circa 6 cm. di spessore): rame (da crogiolo freddo) 500 kWh/T., (da crogiolo caldo) 425 kWh/T.; rame-nichel (80 Cu, 20 Ni), rispettivamente 570 e 485 kWh/T:; rame-zinco (95 Cu, 5 Zn), rispettivamente 480 e 408 kWh/T.
Le perdite per volatilizzazione appaiono minime e sempre assai inferiori che nei forni a crogiolo riscaldati a combustibile. Le durate dei crogioli di grafite sono anche ottime.
La fusione dell'alluminio e delle leghe leggiere ha dato luogo ad alcuni inconvenienti dovuti ai troppo energici moti vorticosi impressi al metallo liquido dalle azioni elettrodinamiche, a causa della sua piccola densità. È però possibile eliminarli con opportuni accorgimenti. I costi delle installazioni dei forni a induzione senza nucleo magnetico sono piuttosto elevati. Malgrado ciò, la convenienza economica della sostituzione di questi forni a quelli a crogiolo alimentati con combustibile può essere molto grande, poiché assai grandi risultano le economie per minor calo dei metalli, per minor consumo dei crogioli e per minor mano d'opera. Uno dei grandi vantaggi tecnici ed economici dei forni a induzione senza nucleo magnetico rispetto a quelli con nucleo magnetico, è la possibilità di vuotare completamente il crogiolo ad ogni colata. Manca infatti la necessità di lasciare nel crogiolo il residuo di metallo liquido necessario per l'adescamento successivo del forno. Non sono inoltre da temere i gravi inconvenienti (danni al refrattario e spese di rifacimento) nel caso di prolungata interruzione della corrente con conseguente solidificazione del metallo nel crogiolo, poiché anche con forni carichi con 1 tonn. di acciaio è possibile riportare senza danni e abbastanza rapidamente il metallo allo stato liquido usufruendo del riscaldamento mediante le correnti indotte.
Un'applicazione assai importante dei forni a induzione ad alta frequenza riguarda la fabbricazione d'oggetti di quarzo fuso.
Forni ad arco. - I forni elettrici ad arco, siano ad arco irradiante siano ad arco diretto, possono utilizzare corrente continua o corrente alternata; in pratica, sono tutti a corrente alternata. Nei forni ad arco irradiante monofase, la fiamma elettrica scocca fra due elettrodi disposti nella camera del forno con le estremità affacciate alla superficie del bagno. Nei polifasi si hanno tanti archi quante sono le fasi che scoccano fra le estremità degli elettrodi pure affacciate al bagno entro la camera del forno. In questi forni gli elettrodi sono generalmente disposti in un piano orizzontale o sono leggemiente inclinati sull'orizzonte, e allora la fiamma elettrica si può dire di forma normale. Quando gli elettrodi sono fortemente inclinati sull'orizzonte, e perciò convergono con le estremità verso il bagno, la fiamma elettrica è molto deformata dalle azioni elettrodinamiche e si allunga nella direzione della bisettrice dell'angolo fra gli elettrodi in modo da venire sospinta verso il bagno. Di questo fenomeno usufruiscono parecchi forni derivati dal forno Stassano. Nei forni a fiamma allungata, il numero, la disposizione e l'alimentazione degli elettrodi viene fatta in modo da esagerare l'azione elettromagnetica deformante, e da ottenere una fiamma elettrica molto lunga (forno Rennefelt bifase, forno Russ trifase) e di grande sezione (forno Scarpa monofase e trifase). Il bagno viene perciò investito dagli archi senza essere in contatto con gli elettrodi e può essere portato alle più alte temperature.
Nei forni ad arco diretto, monofasi o polifasi, l'arco o gli archi si fanno scoccare fra uno o più elettrodi disposti verticalmente, o in direzione poco inclinata sulla verticale, e il materiale da riscaldare. Tali sono i forni per carburo di calcio, per fosforo, per alundum, per ferro-leghe, ecc., nonché la maggioranza dei forni per acciaio. Nel caso del carburo di calcio, dell'alundum, ecc., gli archi scoccano in uno spazio che generalmente è più o meno ricoperto dal materiale da trattare. Avviene allora che anche questo materiale, essendo attraversato dalla corrente elettrica e possedendo elevata resistività, diventa sede d'un notevole sviluppo di calore per effetto Joule. Questi forni funzionano allora contemporaneamente come forni ad arco e a resistenza, e il rapporto fra le quantità di calore sviluppato in essi per effetto degli archi e delle resistenze elettriche dei materiali trattati è diverso da caso a caso, e secondo i periodi di funzionamento del forno. Nei forni per acciaio la quantità di calore sviluppata per effetto Joule nel bagno è invece trascurabile rispetto al calore sviluppato dagli archi voltaici. Esistono però forni per acciaio nei quali la corrente elettrica è obbligata ad attraversare la suola del forno (il fondo del crogiolo) che all'uopo vien fabbricata con opportuni materiali, in modo che in essa si sviluppa una notevole quantità di calore per effetto Joule, il quale calore contribuisce a riscaldare il bagno (es.: forni Electrometal). Nei forni ad arco le tensioni d'alimentazione degli elettrodi sono diverse secondo la natura delle fabbricazioni e le caratteristiche dei forni. Le più basse si hanno nei forni per carburo di calcio (di solito 40 a 60 volt). Nel caso di ferro-leghe si va talvolta a circa 80 volt. Nei forni per acciaio ad arco diretto, 100-150 volt; in quelli ad arco irradiante, 80-200 volt. Nei forni ad arco per reazioni nei gas si applicano invece tensioni molto più alte: da 3000 a 5000 volt.
Forni ad arco per acciaio. - Di forni ad arco per acciaio si hanno tipi diversissimi: Stassano, Héroult, Fiat, quest'ultimo diverso dall'Héroult solo per alcuni particolari costruttivi, Electrometal, ecc. (per le illustrazioni v. ferro). Questi forni hanno potenze variabili da poche centinaia ad alcune migliaia di kW, alle quali corrispondono capacità da poche centinaia di kg. a parecchie tonn. Un tipo normale è quello da 1000 kW per 3 tonn. di capacità, ma esistono anche forni da 5000 kW, ai quali corrisponde la capacità di 30 tonn. Sono forni chiusi, muniti di vòlta refrattaria, inclinabili. I consumi variano con i tipi e con la potenza dei forni. Partendo da buoni rottami d'acciaio occorrono all'incirca per la fusione 400 kWh/T., per il successivo affinaggio altri 300 kWh; partendo da ghisa solida sono invece necessarî in totale più di 1000 kWh/T., mentre l'affinaggio d'acciaio liquido proveniente dai convertitori richiede circa 100 kWh/T. I rendimenti sono molto elevati; in forni da 1000 kW dell'85% per la parte forno, del 75% se l'energia viene misurata ai morsetti dell'alta tensione del trasformatore. Il fattore di potenza è generalmente di 0,80-0,90.
Speciale importanza nei forni per acciaio ha la costituzione degli elettrodi che debbono essere fatti con materiali molto puri (elettrodi di carbone grafitato o di grafite naturale). Talvolta si usano elettrodi tipo Söderberg. Il consumo dei buoni elettrodi di grafite si può porre, per la fabbricazione dell'acciaio da rottami, di circa 7 kg. per 1000 kWh. Impiegando elettrodi non grafitati si possono aver consumi fino a 5 volte maggiori. Gli elettrodi dei moderni forni per acciaio sono azionati da regolatori automatici, fra i quali è da ricordare il regolatore Tagliaferri assai diffuso in Italia.
Forni ad arco per metalli non ferrosi e per piccole fusioni di leghe ferrose. - L'uso industriale dei forni elettrici ad arco per i metalli non ferrosi ha preceduto di poco quello dei forni a induzione con nucleo magnetico. I primi tentativi non avevano avuto successo a causa dei forti cali; fu quindi necessario lo studio di forni speciali di adatte dimensioni con tipi appropriati ai diversi casi. Oggi alcuni di questi forni sono anche usati per la fusione di leghe ferrose (ghisa, acciaio) in quantità non troppo elevata.
Rispetto ai forni a induzione di qualsiasi tipo hanno il vantaggio del minor costo e quindi di minori spese per ammortamenti e interessi, ma presentano una maggiore spesa per consumo degli elettrodi (che nei piccoli forni sono sottili e quindi debbono essere di grafite d'ottima qualità, anche per renderne più difficili le rotture). Inoltre quelli ad arco irradiante, salvo nei tipi con fiamma allungata nella direzione opposta alla vòlta, dànno un notevole consumo dei refrattarî della vòlta che spesso è troppo soggetta all'irradiazione dell'arco.
La fig. 8 dà un esempio di forno ad arco diretto per metalli non ferrosi. Un caratteristico forno bifase ad arco irradiante e con fiamma fortemente allungata verso il bagno è il forno Rennefelt, il cui crogiolo è di forma pressoché cilindrica con asse orizzontale. Possiede tre elettrodi: uno verticale e due orizzontali o leggermente inclinati che entrano nella parte centrale del crogiolo normalmente al suo asse (fig. 9). Ha avuto larga diffusione in America specialmente per la fusione del bronzo. A Dives (Francia) è adoperato per la fusione dei catodi di rame colà ottenuti per elettrolisi, con produzioni di wire-bars, billette, placche, ecc. Inoltre è usato per rifusioni di acciai, per il surriscaldamento della ghisa, ecc.
Altri tipi di forno a fiamma allungata sono il forno Scarpa, specialmente adatto per esperienze di laboratorio (fig. 10) e il forno trifase Russ (fig. 11). Un tipo ad arco irradiante, particolarmente adatto per la fusione degli ottoni, è quello con crogiolo a botte rotante (fig. 12) od oscillante (fig. 13); è largamente usato negli Stati Uniti e nel Canada.
Un tipo di forno completamente diverso dai precedenti, e che funziona ad arco e a resistenza in quanto piccoli archi scoccano fra gli elettrodi e il resistor in cui sono immersi, e tra i frammenti di carbone che costituiscono il resistor, è il forno della General Electric C. (14). Come il forno Baily esso possiede un bacino circondato, sopra il suo orlo, dal resistor contenuto in un canale, o altrimenti disposto. In questo resistor sono immersi gli elettrodi di carbone (di forma cilindrica) che attraversano verticalmente la vòlta del forno. Il calore sviluppato nel resistor è quindi irradiato nel metallo dalla vòlta refrattaria. È indicato per gli ottoni e per l'alluminio, e può essere alimentato in monofase, in bifase o in trifase alla tensione di 60 a 70 volt.
Il consumo degli elettrodi dei forni ad arco per metalli non ferrosi varia secondo che i forni sono ad arco diretto o ad arco indiretto; varia inoltre a seconda del metallo da fondere e cambia molto con la qualità degli elettrodi.
I consumi d'energia si possono ammettere in media (trattandosi di piccoli forni): nella fusione di ottone di 300-400 kWh/T.; in quella del bronzo di 400-450 kWh/T., in quella del rame di 450-500 kWh/T., in quella delle leghe rame-nichel di 750-1000 kWh/T., in quelle della ghisa di 700-800 kWh/T.
Forni elettrici per ferro-leghe, per carburo di calcio, per alundum, ecc. - Alcuni dei forni per acciaio oggi più diffusi (forni Héroult) furono inizialmente ideati per la fabbricazione delle ferro-leghe. A questo scopo essi sono oggi usati soltanto nel caso in cui si vogliano ottenere ferro-leghe con basso tenore di carbonio, o si voglia procedere ad operazioni di affinaggio. Per la fabbricazione corrente delle ferro-leghe si adoperano invece forni più semplici, spesso di maggiore capacità, i quali funzionano contemporaneamente ad arco e a resistenza. Il passaggio della corrente attraverso alla carica contribuisce infatti notevolmente al riscaldamento, e talvolta vi contribuisce anche la suola, che, all'uopo, è costruita in modo speciale (forni Girod, Keller, ecc.: fig. 15). Molti forni per carburo e per ferro-leghe sono aperti superiormente e l'elettrodo o gli elettrodi mobili, spesso continui (v. fig. alla v. calcio, carburo di), entrano liberamente dall'alto nella vasca del forno, generalmente quadra o rettangolare. Altri invece (forni Helfenstein: figura 16) sono chiusi superiormente e posseggono allora opportuni canali per l'entrata degli elettrodi, per lo scarico dei gas e per la carica dei materiali. Tutti questi forni sono generalmente fissi ed hanno il becco di colata all'altezza della suola.
Per la fabbricazione delle ghise dal minerale è molto usato il tipo di forno a tino con crogiolo inferiore (nel quale entrano gli elettrodi) che fu studiato specialmente in Svezia (v. ferro). In Italia (Aosta) sono installati due di questi forni, in Svezia ne sono installati 14 per potenza totale di 50.000 kW. Altri sono installati nel Canada, nel Giappone, ecc. Tipi differenti di forni per ghisa e per carburo di calcio, con canali e camino per la carica e lo scarico dei gas, furono proposti, ma non risulta che abbiano avuto grande diffusione. I forni per carburo e ferro-leghe, essendo molte volte scoperti, hanno rendimenti in energia appena dell'ordine del 50%. Il fattore di potenza nei forni moderni è invece sufficientemente alto: 0,85-0,95.
I forni per ferro-leghe e per carburo sono monofasi, bifasi o trifasi. I più grandi forni per ghisa del tipo svedese sono tetrafasi o esafasi allo scopo di meglio distribuire le correnti nel crogiolo uniformandone la temperatura. Si migliorano così anche le condizioni di adduzione della corrente dai trasformatori agli elettrodi.
Un interessantissimo forno per carburo, adoperato anche per le ferroleghe è il forno Miguet. Questo forno è monofase con suola conduttrice e usa correnti dell'ordine di 100.000 a 200.000 ampère. L'elettrodo mobile è costituito da una ventina di settori di grafite disposti verticalmente (alti circa un metro e mezzo) i quali sono tenuti in sesto mediante incastri a coda di rondine. Sulla loro superficie esterna sono applicate le placche metalliche che adducono la corrente. I settori di grafite poggiano internamente su una carcassa di ferro formata mediante anelli e travi a doppio T; e tutto lo spazio libero internamente vien riempito con una pigiata di coke. Nel forno di Saint-Julien-de-Maurienne, l'elettrodo verticale ha il diametro di due metri e mezzo ed è percorso da 120.000 ampère. La tensione è di 45 a 65 volt. L'elettrodo mobile è sostenuto da una speciale armatura e il suo peso (36 tonn.) è equilibrato mediante contrappesi. La sua posizione viene regolata a intensità costante mediante un regolatore Thury. Il caricamento del forno viene fatto mediante tramogge, esso fu studiato in modo da dar luogo a una speciale distribuzione della corrente fra l'elettrodo e le pareti conduttrici del crogiolo, che risultò assai vantaggiosa. Il raffreddamento delle placche di contatto, dei conduttori, ecc., è fatto con acqua. Il fattore di potenza di questo forno, grazie alla suddivisione dei conduttori d'alimentazione, è particolarmente alto (da 0,94 a 0,97) quando funziona per carburo di calcio.
Un recentissimo tipo (forni Miguet-Perron) è chiuso, con recupero dell'ossido di carbonio. L'elettrodo d'uno di questi forni (potenza 15.000 kW) ha il diametro di circa quattro metri e mezzo. Tre forni di questo tipo sono installati in Italia. Un'applicazione dei forni ad arco diretto è stata fatta anche ai mescolatori per ghisa. Esistono forni per questo scopo, con quattro o più elettrodi verticali, e con capacità di parecchie centinaia di tonnellate di ghisa. Uno di questi forni fu installato ad Aosta.
Analoghi ai forni per ferro-leghe sono quelli per l'alundum. I forni per il fosforo sono invece chiusi e sono muniti di tubi per lo scarico del prodotto. I forni per solfuro di carbonio hanno grandi analogie con i forni per il fosforo. Anche i forni per lo zinco sono chiusi e sono muniti di canali per lo scarico e la condensazione del metallo.
Forni per reazioni nei gas. - Per portare i gas ad altissima temperatura, quale è necessaria per alcune reazioni fortemente endotermiche (formazione di NO da ossigeno e azoto, di HCN da azoto e idrocarburi, ecc.), si obbligano ad attraversare fiamme elettriche prodotte in forni speciali. Sono caratteristici i forni Pauling che generano fiamme aventi la superficie di circa un metro quadrato, le quali scoccano fra due elettrodi metallici in forma di corna, raffreddati internamente da correnti d'acqua. Analoghi ai Pauling sono i forni Guye che tutt'ora funzionano in una fabbrica d'acido nitrico vicino a Briançon. In Norvegia sono in funzione più centinaia di forni Birkeland (a Riuckan sono tuttora usati per questi forni più di 100.000 kW per la fabbricazione d'acido nitrico sintetico). Nei forni Birkeland la fiamma elettrica è ottenuta dilatando mediante azioni elettromagnetiche gli archi ad alta tensione (5000 volt) che scoccano fra elettrodi di rame raffreddati con correnti d'acqua.
Un altro tipo di questi forni nei quali la fiamma elettrica è fatta rotare in uno spazio anulare mediante azioni elettrodinamiche non è più in uso, come non sono più adoperati i forni Schönherr nei quali si lavorava con archi ad alta tensione della lunghezza di molti metri, prodotti entro a camere tubolari.
I forni per reazioni nei gas (fabbricazione di ossido d'azoto, d'acido cianidrico, ecc.) dànno bassi rendimenti e quindi hanno limitata applicazione salvo nel caso di energia elettrica a basso prezzo e in quantità ingenti (come ad es. in Norvegia e in alcune regioni alpine) o nel caso di speciali bisogni (p. es.: necessità di fabbricazione di alcuni prodotti in caso di guerra).
Elettrodi e loro fabbricazione. - Tutti i forni elettrici, ad eccezione di quelli a resistenza e a induzione, utilizzano per il collegamento del circuito elettrico esterno con i materiali che debbono essere fusi nell'interno del forno, dei conduttori speciali che hanno il nome di elettrodi. La loro natura fisica, chimica, la loro posizione nell'interno del forno, le loro proprietà elettriche e meccaniche esercitano una notevole influenza sul metallo prodotto e sul prezzo di costo. Le caratteristiche principali d'un buon elettrodo debbono essere refrattarietà e buona conduttività elettrica. Inoltre dovrebbero essere chimicamente inattivi rispetto alle reazioni che avvengono nel forno. Tra tutte le sostanze conosciute quella che più risponde a queste condizioni è il carbone. Nella pratica si usano elettrodi di carbone amorfo ed elettrodi di carbone grafitato, più raramente elettrodi di grafite naturale.
Elettrodi di carbone amorfo. - Il procedimento di fabbricazione di questi elettrodi comprende i seguenti stadî (fig. 17): scelta delle materie prime, calcinazione e purificazione, polverizzazione e mescolanza con agglomeranti, formatura e cottura ad alta temperatura. Come materie prime vengono adoperati, in proporzioni diverse, carbone di storta, antracite, coke di catrame o di petrolio, tutte sostanze che contengono poche ceneri, poche materie volatili e molto carbonio. Allo scopo di ridurre il tenore di ceneri a meno di 0,5%, tutte queste sostanze, e in modo speciale l'antracite, vengono sottoposte a calcinazioni e a lavaggi. Dopo calcinazione questi materiali sono macinati a grani di diverse grossezze mescolati in proporzioni adatte e agglomerati con circa il 10% di catrame o pece. È di grande importanza che la miscela sia molto omogenea e, per ottenere questo, la mescolanza di polveri e di agglomerante viene agitata per lungo tempo in speciali impastatrici riscaldate a vapore. La pasta così ottenuta passa in seguito alle presse idrauliche, e da queste mediante pressatura a 300÷500 kg/cmq. e trafilatura si ottengono prismi o cilindri dai quali, mediante tagli, si ricavano gli elettrodi della lunghezza voluta.
Gli elettrodi, dopo stagionatura, vengono portati ad alta temperatura (1300°) in forni speciali fuori del contatto dell'aria per togliere loro le materie volatili, renderli più duri e resistenti e per aumentare la loro conduttività elettrica. La durata del periodo di cottura e del successivo lento raffreddamento varia per ognuno da 12 a 20 giorni a seconda delle dimensioni. Infine, dopo cottura, gli elettrodi passano alla lavorazione meccanica ove sono torniti a diametro esatto, intestati e filettati alle estremità. Gli elettrodi di carbone sono in genere assai fragili e, in conseguenza della poca densità di corrente che sopportano, molto grossi e perciò pesanti. Nel caso dell'acciaio, il loro consumo in kg. per tonn. prodotto varia, secondo il tipo di forno, la qvalità dell'acciaio prodotto e la sezione dell'elettrodo da kg. 15 a kg. 25.
Elettrodi di grafite Acheson. - Questa fabbricazione è basata sulla trasformazione, a temperatura molto alta, del carbonio amorfo in grafite, in presenza di ossidi (allumina, silice e ossidi di ferro). Quando una miscela di carbone amorfo e ossidi è portata ad alta temperatura (2000°) si forma un carburo capace di essere a sua volta dissociato in grafite e nell'elemento che viene reso libero. La fabbricazione degli elettrodi di grafite è analoga a quella degli elettrodi di carbone amorfo (fig. 17). La materia prima, costituita quasi totalmente da coke di petrolio, è calcinata per toglierle tutte le materie volatili, e quindi macinata, agglomerata, impastata, pressata e trafilata. La cottura avviene in formi speciali brevetto Acheson (fig. 18), costituiti da una vasca in muratura refrattaria lunga metri 4-6, larga m. 1,50 e alta m. 1,20. Sui due lati corti vi sono due placche di ferro attraverso alle quali passano le sbarre di rame destinate a portare la corrente. Gli elettrodi vengono disposti nel forno in senso orizzontale, e ricoperti di sabbia mentre lo spazio libero tra la placca porta corrente e gli elettrodi è riempito di grafite compressa: la corrente è di 30÷40 ampère per cmq. ed il voltaggio di circa 30 volt. La durata della cottura varia da 4 a 6 giorni, quella del raffreddamento da 20 a 30 giomi. Segue la lavorazione meccanica.
Gli elettrodi di grafite sono molto resistenti agli urti, sopportano una densità di corrente di 15÷25 ampère cmq. e perciò, rispetto a quelli di carbone, richiedono per un dato amperaggio una sezione minore; questo vantaggio è però molto diminuito dal loro elevato prezzo di costo. Per acciaio, il consumo varia, secondo il tipo dei forni, la qualità di acciaio prodotto, ecc., tra 4,5 e 10 kg. per tonn.
Elettrodi continui. - Sono stati studiati e usati anche tipi di elettrodi di carbone detti continui perché vengono fabbricati sul posto stesso del loro uso. Il tipo più diffuso è l'elettrodo Söderberg, il quale consta d'una camicia di lamierino avente la forma per solito circolare dell'elettrodo, e nella quale viene stampata la pasta di carbone già preparata; l'elettrodo così formato viene posto in opera sul forno. La cottura avviene nel tratto sotto alla briglia, porta elettrodi per resistenza e per effetto del calore del forno. Quando l'elettrodo diventa corto, alla parte superiore, precedentemente scaldata per renderla tenera, s'aggiunge altra pasta.
Bibl.: H. Le Chatelier, Le chauffage industriel, 3ª ediz., Parigi 1926; M. Dolch, Der Drehrohrofen, Halle 1926; W. Trinks, Industrieöfen, Halle 1928; E. Damour, Les sources de l'énergie calorifique et le chauffage industriel, I, Parigi 1930; W. Borchers, Die elektrischen Öfen, Halle 1907; W. Rodenhauser e I. Schönawa, Elektrische Öfen in der Eisenindustrie, Lipsia 1911; J. Billiter, Technische Elektrochemie, IV: Elektrische Öfen, Halle 1928.