VASSALLI, Fortanerio
VASSALLI, Fortanerio. – Nacque intorno al 1300 a Vaillac (o a Frayssinet-le-Gourdonnais) nella diocesi di Cahors, in Aquitania, figlio di Sicard II de Vassal, cavaliere, cosignore di Frayssinet, e di Hélène De Rignac di Cahors.
Il nome (Fortanier in lingua d’oc) compare nelle fonti italiane come Fortanerio, Fortunio, Fortunerio, Fortuniero e Fortanero, e il suo cognome, de Vassal, come Vassallo o Vasselli oltre che Vassalli.
Intraprese la carriera ecclesiastica entrando nell’importante convento francescano di Gourdon, della provincia di Aquitania. Studiò teologia presso lo Studium generale di Lione dove, distintosi per particolare attitudine speculativa, ottenne il baccellierato nel 1333, anno in cui fu accettato agli studi magistrali di teologia a Parigi, secondo quanto riferiscono alcune fonti (Wadding, 1635, a. 1333, n. 9), su interessamento del pontefice Giovanni XXII, al secolo Jacques Duèze, suo concittadino, che ne sollecitò l’esame magistrale presso il cancelliere del collegio della Sorbona, reputandolo idoneo. Divenne magister in teologia nel 1334.
Nel 1336 partecipò alla commissione istituita dal papa Benedetto XII per vagliare i nuovi Statuta benedictina imposti ai frati minori in trenta articoli che normavano più aspetti della vita dei religiosi e riguardavano, oltre che gli obblighi dei dignitari, anche gli studi e l’organizzazione dei conventi, ivi inclusi quelli delle clarisse (Caratelli, 1897, p. 173). Durante gli anni successivi Vassalli si dedicò allo studio e al commento delle sacre scritture e della patristica (Agostino in particolare) e compose, per ordine del suo superiore Gerardo di Oddone, un Uffizio sulle stigmate di s. Francesco.
Nel 1342, lo stesso Gerardo, promosso al patriarcato di Antiochia, dovette abbandonare la sua funzione di ministro generale dell’Ordine, e in sua vece Vassalli – allora custode del convento di Avignone (Annales de Saint-Louis des Français. Publication trimestrielle des études et travaux des Chapelains, I, 1903, p. 168) – fu nominato vicario generale (12 dicembre). L’anno successivo (24 maggio) nel Capitolo di Marsiglia Vassalli venne eletto ministro generale, raccomandato per tale incarico da papa Clemente VI che ne esaltò eminentia scientiae et virtutes multa, riscontrando il comune consenso dei confratelli francescani; ciò legittimava il Vassalli a curare anche l’amministrazione delle monache terziarie francescane. Si affermò nel nuovo ruolo per diplomazia e competenza, perseverando negli studi teologici e nella disciplina che attingeva i fondamenti dalla regola di s. Francesco, richiedendo al pontefice la protezione di un rappresentante del suo Ordine all’interno del Collegio cardinalizio, che gli fu indicato nel cardinale Elia Talleyrand de Périgord, personalità autorevole durante il periodo della cattività avignonese e presenza costante in tutti i conclavi che elessero i pontefici.
Nell’ottobre del 1343, in ragione della richiesta del patriarca latino di Costantinopoli, Enrico d’Asti, e dell’imperatrice bizantina Giovanna di Savoia (ribattezzata Anna Paleologhina quando si convertì all’ortodossia in seguito al matrimonio con Andronico III), reggente per il figlio Giovanni V, Vassalli si sarebbe dovuto recare a Costantinopoli come legato papale, allo scopo di avviare le trattative per promuovere l’unione delle Chiese latina e greca. Per ragioni di opportunità politica però la missione non ebbe luogo (De Besse, 1897, p. 540) e nello stesso 1343 Vassalli partì invece da Avignone alla volta dell’Italia per visitare le province dell’Ordine. Fu inviato a Napoli dal pontefice, per dirimere alcune controversie e mettere fine agli intrighi di palazzo relativi alla legittimità dell’insediamento al trono di Giovanna I d’Angiò, vedova del duca di Calabria, e indicata da alcuni come la mandante dell’assassinio del marito, consumato ad Aversa per mano di un gruppo di congiurati. L’intervento diplomatico di Vassalli (e del cardinale Aimeric de Châtelus, in veste di curatore del regno) confermò Sancia di Maiorca (v. la voce in questo Dizionario), vedova di Roberto d’Angiò, regina di Napoli. Il 21 gennaio 1344, Vassalli impose il velo a Sancia che, appena scontato il lutto vedovile, divenne clarissa nel convento di S. Croce di Napoli dove morì, il 28 luglio 1345, come suor Chiara. Tenne un capitolo generale del suo Ordine a Venezia nel 1346.
Il 24 ottobre 1347 Clemente VI nominò Vassalli arcivescovo di Ravenna, in sostituzione di Nicolò Canali trasferito all’arcivescovado di Patrasso (Wadding,1653, III, p. 546; Fiandrini, 1784, p. 167), confermando al neoeletto, per un altro anno, l’esercizio dell’ufficio di ministro generale. Fece il suo ingresso ufficiale nella diocesi ravennate nel marzo del 1348 (Fabri, 1864, p. 523), mentre l’epidemia di peste imperversava in tutta Europa. Visitò personalmente i luoghi e curò l’amministrazione della sua giurisdizione, gestendo con particolare cura i rapporti con i potenti locali: fra gli altri, rinnovò per sei anni i patti stabiliti dal suo predecessore che riguardavano la locazione di Argenta a Obizzo d’Este, marchese di Ferrara, concordando un corrispettivo di 2000 fiorini per l’affitto; e per corroborare il contratto, il 4 gennaio 1351, furono confermati i patti in un breve di Clemente VI, nel quale si mantenevano i termini di una bolla (9 aprile 1344) dello stesso pontefice al vescovo di Ferrara, che ordinava di dare esecuzione a una sentenza pronunciata dalla Sede apostolica che affermava l’afferenza di Argenta alla Chiesa di Ravenna con la concessione in affitto ai marchesi d’Este (Archivio Segreto Estense. Sezione “Casa e Stato”. Inventario, 1953, p. 228).
La documentazione concernente la permanenza a Ravenna di Vassalli, conservata presso l’Archivio storico diocesano di Ravenna, deve ancora essere adeguatamente valorizzata.
Venne eletto patriarca di Grado, il 20 maggio 1351, pur mantenendo l’amministrazione della diocesi di Ravenna i cui proventi avrebbero consentito di garantire il decoro della nuova dignità. Poco dopo (24 ottobre 1351) fu nominato nunzio apostolico nell’Italia settentrionale per una missione di pace nella guerra tra Venezia (alleata con il re d’Aragona) e Genova (con Giovanni Visconti). Si trattò di un tentativo di negoziazione tra le due Repubbliche, finalizzato alla collaborazione in funzione antiturca nei territori bizantini. In quel frangente Clemente VI scrisse sia al doge di Venezia, Andrea Dandolo, sia al doge genovese, Giovanni di Valente, comunicando il ruolo politico del nuovo patriarca, definito come pacis amicus et concordiae zelator. Al tentativo di pacificazione, che comunque non riuscì nell’immediato, partecipò anche Francesco Petrarca (Fenzi, 2016, p. 71).
Il 21 novembre 1354, in vista dell’incoronazione a re d’Italia di Carlo IV di Lussemburgo, che fu poi celebrata a Milano il 6 gennaio 1355 con l’imposizione della corona ferrea, Innocenzo VI, che temeva un rifiuto dell’arcivescovo di Milano contrario alla consacrazione del nuovo re, delegò l’eventuale responsabilità della cerimonia ai patriarchi di Costantinopoli, di Grado e di Aquileia, ovvero ai maggiori rappresentati della Sede apostolica, dopo il pontefice, nel contesto geografico e politico cristiano; Vassalli fu dunque coinvolto. Successivamente fu nominato nunzio a Venezia il 10 agosto 1355 e ancora Innocenzo VI gli scrisse pregandolo di intercedere con il doge di Venezia per negoziare la pace tra Pietro d’Aragona e i «dilecti filii Venetorum et Januensium Communia» (Tarlazzi, 1876, II, pp. 268 s.). Il ruolo strategico di Vassalli – già patriarca di Grado, ma ancora amministratore della diocesi ravennate – fu particolarmente significativo quando, il 12 febbraio 1356, Egidio Albornoz vescovo di Sabina, nonché cardinale legato di Innocenzo VI, in una lunga lettera redatta ad Ancona (ibid., pp. 270-279), gli comunicò gli estremi di una bolla papale contro i ribelli Francesco Ordelaffi, che aveva occupato Forlì ed altri territori in Romagna, e Giovanni e Guglielmo Manfredi di Faenza, nemici della Sede apostolica, i quali ostinatamente avevano cacciato i ministri papali dalle loro città.
In quel frangente Vassalli, molto lodato e definito vir specialis scientie et virtutis, ricevette istruzioni per scomunicare i colpevoli con l’esplicita richiesta di invitare le popolazioni delle terre romagnole a levare una crociata contro gli eretici locali. A tutti coloro che, rei confessi e pentiti, avessero militato portando il simbolo della croce sarebbe stata concessa ogni remissione delle pene. Vassalli, pur impegnato presso la sede gradese, nel mese di marzo, si presentò a Rimini e parlando dal pulpito della cattedrale di S. Colomba, di fronte ai maggiori esponenti del casato dei Malatesta, reclutò circa seicento cittadini che ricevevano il segno della croce direttamente dalla sue mani (Chronicon Ariminense, in RIS, XV, Milano 1729, col. 904 AB). Durante gli anni seguenti continuò a curare l’ordinaria amministrazione (contratti d’affitto, enfiteusi, concessioni beneficiarie) dei territori di pertinenza della diocesi di Ravenna (Amadesi, 1783, III, pp. 79-81) e in più di una circostanza fu delegato dal cardinale Albornoz a disporre di questioni politiche condivise con i vescovi suffraganei della Chiesa ravennate. Per il patriarcato di Grado fu chiamato più volte in causa come intermediario fra il pontefice, la Repubblica di Venezia, il patriarca di Aquileia, e Pietro IV re d’Aragona.
Durante il concistoro del 17 settembre 1361, Vassalli fu creato cardinale prete, e una lettera papale lo invitò a presentarsi ad Avignone per ricevere il cappello rosso e il titolo. Ma il 16 ottobre dello stesso anno, mentre transitava da Padova per recarsi presso la sede papale francese, si ammalò di peste e morì, presso il convento di S. Antonio. Fu sepolto con molti onori nella basilica francescana, dove fino al 1789 era possibile leggere il suo epitaffio (Michaud, 1827, p. 552).
Il suo testamento, che disponeva un lascito di 12.000 fiorini ai parenti, redatto in assenza della necessaria autorizzazione della Sede pontificia fu considerato nullo da papa Urbano V e i beni furono attribuiti alla Camera apostolica il 2 marzo 1366. A tale testamento si riferiscono due inventari della biblioteca privata di Vassalli, redatti nel 1365 (probabilmente in Italia, da mano esperta) e di recente rinvenuti e analizzati (Rabotti, 2015, pp. 670-672 e 679-684). Vassalli avrebbe destinato i suoi libri in parte al convento di Cahors e in parte a quello di Gourdon, i luoghi in cui era nato ed era cominciata la sua formazione. Sono indicati centotrentotto libri fra i quali testi di teologia, filosofia, trascrizioni del Vecchio e Nuovo Testamento, ma anche copie del Corpus iuris canonici e del Corpus iuris civilis e opere dei Commentatori (tra i quali Cino da Pistoia, Giovanni d’Andrea, Bartolomeo da Brescia), scritti di Padri della Chiesa, raccolte di sermoni, opere di Cicerone, di grammatica, retorica, di cronisti ed anche di medicina. Fra tutti meritano di essere ricordati gli scritti del suo confratello del convento di Gourdon, Pierre Auriole (morto nel 1322), teologo molto apprezzato dai suoi contemporanei, noto come doctor facundus.
Vassalli si era distinto, ancora giovane chierico, come commentatore del De civitate Dei di Agostino, oggetto di molti riferimenti nella cultura scolastica medievale del XIV secolo, che nella patristica ricercava il modello organizzativo delle autorità intellettuali e religiose. Nell’elenco delle opere inedite di Vassalli (Wadding, 1635, I, p. 75; Ginanni, 1769, p. 464) compaiono, oltre a Plures libros S. Augustini de civitate Dei commentatus est, anche Omnes fere sacrorum Bibliorum libros Officiun de SS stigmatibus S. Francisci, Sermonum ad utrumque statum ecclesiasticum lib. I, Lectionum Theologicarum lib. I, Quodlibeta disputata. La figura di Vassalli si inserisce in una tipologia non comune nel Trecento, ma assimilabile, per le caratteristiche delineate, ad altri prelati nati in Francia durante il periodo avignonese del papato. Formatosi nel rigore di uno Studium teologico, incline alla speculazione filosofica, si radicò nella penisola come arcivescovo nel solco della riforma francescana, che consentiva anche agli umili frati di intraprendere la carriera ecclesiastica. In questo contesto Vassalli si affermò come funzionario diplomatico e amministrativo, rappresentante politico della Sede apostolica in un territorio dal quale i pontefici erano stati esiliati.
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