COPPOLI, Fortunato ("frater Fortunatus Perusinus" o "de Perusio")
Nacque a Perugia intorno al 1430 dal giurista Ivo di Niccolò e da Maddalena di Paolo Montesperelli, entrambi appartenenti a famiglie di antichissima e prestigiosa nobiltà cittadina. Formatosi alla scuola giuridica dell'università di Perugia, frequentò particolarmente i corsi di due luniinari del tempo: il civilista Giovanni di Petruccio Montesperelli e il canonista Benedetto Capra, i due soli professori perugini ricordati dal C. nello scritto sul Monte di pietà. Secondo la consuetudine che si era venuta consolidando nel governo della città - dopo la morte di Braccio e il ritorno di Perugia alla Chiesa nel 1424 - e che voleva incarichi e. uffici spartiti tra nobili ed ecclesiastici, appena ventenne il C. cominciò ad essere "insaccolato", iscritto cioè nelle liste elettorali e chiamato a ricoprire impieghi pubblici, alcuni dei quali erano tenuti in vita solo allo scopo di fare "tirare" uno stipendio ai privilegiati assegnatari. Tuttavia, se taluni incarichi da lui accettati.- a cominciare, nel 1452, da quello di "consultor massariorum comunis Perusii" - possono venir considerati semplici sinecure, di tutt'altra importanza dovette essere l'ufficio di giudice del Comune "super comuni dividundo", corrispondente, per le funzioni, a quello di giudice tutelare. "Consultor massariorum comunis Perusii" e quindi "consultor capitaneoruin Partis Guelfe" nel 1452, fu rieletto a quest'ultima carica nel 1454; "consultor sindacatorum potestatis", "consultor sindacatorum capitanei Populi" e "consultor diritorum" nel 1456. In questo medesimo anno fu pure eletto "iudex Comunis", quando la sua vita aveva avuto già una svolta decisiva. Infatti, per quanto già sposato con Lucrezia di Niccolò di Mariotto Baglioni (ma non l'aveva ancora condotta a casa), il 9 giugno dell'anno precedente nel convento di Monteripido presso Perugia aveva vestito l'abito dell'Osservanza di S. Francesco, fuggendo poi alla Vema, nel Casentino.
Contrariamente a quanto hanno affermato alcuni storici dell'Ordine, secondo i quali il C. sarebbe entrato in religione nell'età matura e solamente dopo la morte di Lucrezia, è accertato che la scelta di vita da lui compiuta fu improvvisa ed avvenne qua ndo egli era ancora assai giovane, poco dopo le nozze: "era studente e avia tolto moglie, ma non l'avia menata", afferma il cronista Pietro Angelo di Giovanni, ed aggiunge che i fratelli della sposa - tra i quali c'era il futuro illustre frate Evangelista Baglioni - lo cercarono furiosamente per farlo recedere dal suo proposito, ma inutilmente (O. Scalvanti, Cronaca perugina inedita di Pietro Angelo di Giovanni, in Bollett. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, IV [1898], p. 117):A distanza di più dì vent'anni dal fatto, nel 1476, Maddalena, la madre della sposa abbandonata (poi diventata suora dei Terzo Ordine francescano nel monastero di S. Antonio in Perugia), chiamerà ancora il C., in quel momento vicario provinciale degli osservanti umbri e predicatore famoso in tutta l'Italia, "traditore".
Per il decennio successivo nulla ci riferiscono sul C. le fonti a noi note. Con ogni verosiniiglianza, tuttavia, questi anni dovettero corrispondere al periodo del noviziato. degli studi in sacra teologia e della preparazione al ministero sacerdotale. Ricevuti gli ordini sacri, il C. rientrò - impossibile per noi accertare se in modo stabile o se solo temporaneamente - nel convento di Monteripido, dove la sua presenza è attestata per il 1459 e per il 1461 e dove s. Bernardino da Siena tra il 1430 e il 1440 aveva dato inizio ad una scuola per l'istruzione dei frati dell'Osservanza destinati alla predicazione e all'apostolato. A Monteripido il C. dimorò lungamente negli anni successivi, facendo di quel luogo quasi il suo quartier generale, il centro, cioè, della sua attività pastorale che si allargava, con svariate relazioni, in tutta l'Italia. Lì insegnò e lì si riposava dalle fatiche dei viaggi e della predicazione. Ebbe anche più volte occasione di farsi partecipe della vita pubblica della stessa Perugiie di dare prova della sua nota preparazione in diritto civile e in quello canonico, intervenendo ripetutamente in questioni giuridiche che coinvolgevano abitanti di quella città, sino a quando non giunse, nel 1462, il momento solenne della fondazione - sempre in Perugia - del Monte dei poveri, il primo banco di prestiti su pegno.
Per quanto in questa occasione le fonti tacciano il nome del frate perugino e riferiscano esplicitamente solo quello di fra' Michele Carcano da Milano, non si può tuttavia escludere che il C. sia stato il principale animatore dell'iniziativa, se non proprio l'ispiratore. Infatti tutta la rimanente vita del C. è caratterizzata quasi esclusivamente dall'attività svolta in favore della diffusione dei Monti di pietà, per l'istituzione e l'organizzazione interna dei quali egli ebbe sempre un solo e invariabile modello, quello del Monte di Perugia. Le controversie connesse con la fondazione di questo pio istituto provocarono inoltre reazioni ed interventi da ogni parte d'Italia, e furono occasione per un numero quasi sterminato di consilia, o dì adesioni ad essi, da parte di teologi, di canonisti e di civilisti, il più famoso dei quali fu senza dubbio un consilium del C., di cuì si dirà più avanti.
Il nome di Monte di pietà, che si usò poi da allora comunemente per indicare un banco di prestito su pegno, era già apparso per la prima volta nel 1458ad Ascoli Piceno, ove indicava tuttavia una istituzione caritativa che curava la elargizione di elemosine - forse anche in denaro -, ma non di altro. Il documento ascolano del 1460, che si porta generalmente a conferma di un'attività di prestito svolta dal Monte di Ascoli (Fabiani), è una semplice quietanza di deposito bancario.
Gli anni successivi alla fondazione del Monte perugino, fino alla morte, sono caratterizzati nel C. da un dinamismo quasi frenetico nella predicazione, nella propaganda e nella fondazione di Monti di pietà, nell'opera di pacificazione svolta al servizio del papa o di principi, nelle responsabilità. del governo dei frati dell'Osservanza umbra, nell'attività di scrittore - connessa per lo più, quest'ultima, con la predicazione e la diffusione dei Monti stessi. Così nel 1466 predicò ad Assisi, a Spello, a Cagli, a Borgo San Sepolcro, a Foligno. A Borgo San Sepolcro fondò anche un Monte di pietà, che fu la prima istituzione del genere nel territorio della Repubblica di Firenze. A Foligno, il 15 maggio, nel corso della sua predicazione affrontò il problema dei Monti di pietà. L'accenno cadde su terreno fertile: si abbozzò uno statuto per l'erigendo pio istituto, si scrisse perfino al guardiano di S. Maria degli Angeli, perché permettesse al C. di occuparsi della cosa (A. Ghinato, p. 207). Nel 1467 il C. predicò a Montepulciano, dove fondò il Monte di Pietà, poi a Terni: qui il 10 di ottobre il Consiglio generale di quella Comunità nominava le personalità "qui debeant cuni optimo et doctissimo viro fratre Fortunato Ordinis Minorum S. Francisci, praedicatore in dicta civitate... perquirere et intelligere viam, modum et rationes augmentandi dictum montem" (L. Silvestri, Collez. di memorie storiche tratte dai protocolli delle antiche Riformanze, Rieti 1856, p. 149). Nel 1468 rispose al Comune di Spello, che il 19 maggio gli aveva richiesto un consilium riguardante difficoltà sorte con la locale colonia ebraica in seguito alla fondazione del Monte in quella città (A. Ghinato, p. 207). Poco dopo ad Assisi, il 26 maggio, fu discussa dalle autorità municipali l'istituzione di un Monte di pietà, attivamente propagandata dal C. e da un suo confratello, fra' Barnaba Manassei: il 14 giugno, sempre sotto la spinta dell'azione svolta dal C. e dal Manassei, furono elaborati gli statuti dell'erigenda opera pia (ibid.). Sul finire dell'anno il C. si trovava a Cagli, dove predicava l'Avvento e dove pure ottenne che venisse istituito un Monte, subito entrato in attività (ibid.); nel medesimo tempo promosse, probabilmente, la fondazione di un Monte a Pesaro. Nel 1469 tenne un ciclo di prediche a Spoleto: anche in quella occasione promosse la fondazione di un Monte, che venne effettivamente istituito tra il 24 febbraio ed il 24 marzo.
Durante l'esperienza spoletina dovette maturare nel C. la decisione di dare la massima pubblicità a quel Consiliumde Monte Pietatis che con ogni probabilità era stato da lui redatto a Perugia negli stessi giorni nei quali il Collegio dei giuristi dell'università aveva portato a termine il suo "consilium" (2 marzo 1469). La vicinanza cronologica dei due avvenimenti non sembra del tutto casuale, considerando anche il fatto che il prologo "Punctus talis est" è quasi identico in entrambi i consilia. Intorno alla genesi dello scritto del C. si è molto discusso, ma solo recentemente si sono chiariti i dubbi e corretti gli errori. È opportuno riferire brevemente i termini della questione. Il consilium dei C. era noto sin'ora solo attraverso l'edizione veneziana di Pietro Quarenghi del 31 luglio 1498, dove appare con l'inizio "Civitas Fiorentina" e con le firme di cinquantuno sottoscrittori: venti teologi, ventotto giuristi dello Studio fiorentino, tre notai di Perugia. L'incipit "Civitas Fiorentina" ha fatto ritenere che il C. avesse scritto l'opera nel 1473, in occasione cioè della fondazione del Monte di pietà di Firenze e delle accese polemiche che l'accompagnarono. Senonché si è osservato che il manoscritto cortonese 249, l'unico che tramandi una redazione del consilium anteriore all'edizione quarenghiana - essa è infatti datata 24 ott. 1473 -, presenta sottoscrizioni di otto giuristi soltanto. Tranne un Matteo, vescovo di Telese e suffraganeo del cardinale Berardo Eroli vescovo di Spoleto, e un Mariotto "de Sancturitiis" da Terni, gli altri firmatari sono tutti cittadini di Spoleto. Con ogni probabilità le sottoscrizioni furono dunque raccolte dal C. a Spoleto durante la predicazione del 1469. Sembra, dunque, legittimo concludere che le varianti "Florentia", "Florentina" che ritornano nell'edizione quarenghiana siano semplici adattamenti redazionali dell'autore dell'edizione del 1498.
Il successo che la predicazione del C. aveva incontrato a Temi e a Spoleto, indusse i cittadini di Amelia a richiedere il frate perugino per l'Avvento del 1470. Nel corso delle prediche, traendo spunto dallo scandalo provocato dalle convenzioni finanziarie dagli abitanti di Amelia stipulate dieci anni prima con gli ebrei del posto, il C. propose ancora una volta la creazione di un Monte di pietà per i ceti più poveri. Chiese anche l'aiuto di alcune persone di buona volontà, che lo aiutassero nella redazione degli statuti, per la fondazione e l'avvio del pio istituto. Il 17 dicembre ottenne dal vescovo di Amelia il decreto di approvazione, ed il 26 spiegò al popolo gli statuti del Monte, che iniziò la sua attività il 10 gennaio successivo (A. Ghinato, p. 208). Tra la fine di maggio e la metà di aprile del 1471 predicò la Quaresima a Foligno, ed anche in questa occasione non mancò di prestare attivamente la sua opera per la fondazione del Monte, da lui già avviata nel 1466: grazie al suo impegno l'istituzione cominciò a funzionare nella tarda primavera, dopo che il vescovo Antonio Bettini ebbe rilasciato la necessaria lettera di conferma (ibid., pp. 204, 207 s.). Il 14 ottobre il papa Sisto IV ordinò al C., sotto minaccia di scomunica, di accettare l'ufficio di arbitro tra Firenze e Siena in una vertenza sui confini tra i territori di Montepulciano e di Chianciano, ufficio che era stato affidato al frate perugino dai commissari delle due parti. La laboriosità del negoziato, che il C. seppe trattare e risolvere con perizia - anche se il pontefice aveva dovuto sollecitarlo ad emettere il lodo ancora il 3 dicembre - gli procurò la gratitudine e la simpatia di mezza Toscana: già sul finire dell'anno Siena chiedeva al papa di affidare al frate perugino l'incarico di tenere il quaresimale nella città nell'anno successivo, cosa che Sisto IV fece col breve Non exigui del 10 genn. 1472. A Siena, dove predicò pertanto nei mesi di febbraio e di marzo, il C. non mancò di contribuire con la sua opera anche alla fondazione dei locale Monte de' Paschi. Già con il breve Desiderium dilectorum dell'11 aprile il papa gli affidava la predicazione quaresimale a Firenze per l'anno successivo.
La straordinaria energia, la consumata esperienza, la profonda conoscenza degli uomini e del loro carattere da lui dimostrate sin'allora fecero ritenere ai suoi confratelli che egli fosse particolarmente adatto al governo dell'Osservanza umbra, in quel momento in fase di straordinaria vitalità ed incremento. Eletto guardiano del grande convento della Porziuncola a Santa Maria degli Angeli per il biennio 1472-474, il C. estrinsecò - a qaanto ci è dato sapere - grandi doti di prudenza, realismo e intelligenza, mettendo a profitto la sua amicizia con la casa Medici e tutte le altre sue conoscenze per sviluppare le attrezzature del santuario del Perdono in vista dell'assistenza ai pellegrini. Non tralasciò, tuttavia, i suoi impegni di predicatore e di propugnatore dei Monti di pietà: tra il marzo e l'aprile del 1473 tenne il quaresimale a Firenze, in S. Croce, non mancando - quando gliene si offriva il destro - di insistere sui benefici dell'istituzione di un Monte. Le sue esortazioni, riprese da fra' lacopo da Cagli, un altro francescano che in quello stesso periodo predicava nella cattedrale, indussero le autorità della Repubblica a varare il 24 marzo le leggi sull'istituzione del Monte.
L'interesse che, secondo la legge istitutiva, i pignoranti avrebbero dovuto pagare per il salario degli impiegati e degli ufficiali addetti al Monte provocò l'accusa di usura ed un'aspra condanna da parte dei domenicani fiorentini nei confronti del pio istituto. Per risolvere la controversia si tenne il 23 aprile una pubblica disputa, nel corso della quale il C. riuscì a controbattere - tutti gli argomenti addotti dagli avversari suoi e del Monte, riuscendo vincitore indiscusso (A. Ghinato, pp. 210 s.).
Nella primavera inoltrata tenne una serie di prediche a Pistoia, dove ancora una volta per sua iniziativa venne fondato un Monte. E da Pistoia il 10 giugno scriveva a Lorenzo il Magnifico lodandolo e ringraziandolo per il decisivo contributo dato in pro' del Monte di recente istituito a Firenze, e per quanto ci si attendeva che egli facesse in favore di quello di Pistoia. Il favore che il C. si era saputo conquistare in questa città (come pure in Arezzo, dove si recò a fondare il Monte nell'agosto dello stesso anno) è testimoniato dal breve Significaverunt nobis del 12 novembre, con cui il papa, su richiesta dei vescovo, dei canonici e dell'intera Comunità di Pistoia, dava al frate perugino l'incarico di tornare a tenervi il quaresimale nel 1474. Ciononostante, nella quaresima del 1474, il C. fu impegnato in un ciclo di prediche a Perugia, ciclo che tuttavia non poté portare a termine, perché fu richiamato a Roma dal papa con il breve Non libenter del 5 marzo. Quali fossero le questioni che Sisto IV intendeva sottoporgli, non ci è dato sapere. Negli anni 1474-1475 fu quindi guardiano di Monteripido a Perugia. Oltre ai problemi di responsabilità morale che poneva una casa sede di studio e centro di raccolta di tanti giovani che chiedevano di entrare in religione, il C. dovette allora affrontare liti per eredità con istituti religiosi e collegi cittadini, conflitti con le famiglie, gravi dissidi con monasteri di suore renitenti alla disciplina della clausura: tutte difficoltà, queste, proprie della vita quotidiana conventuale, che lo impegnarono a fondo.
Nonostante i suoi impegni, il C. curò sempre le questioni connesse con le pie istituzioni da lui fondate che, molto spesso, dopo un primo periodo di buona salute e prosperità precipitavano in profonde crisi economiche. Quando risiedeva a Perugia come guardiano di Monteripido, ad esempio, si interessò attivamente alla vita del Monte locale, partecipando, secondo le norme statutarie, alle riunioni del Consiglio di amministrazione. Allo stesso modo seguiva da vicino le vicende degli altri Monti umbri, specialmente di quelli di Assisi, di Spello e di Foligno. Il Monte di Assisi sembrava inguaribilmente malato, tanto che quel Comune nel 1471aveva spedito quattro rappresentanti al C., perché egli stesso decidesse sull'opportunità di lasciare in vita un'opera così male in arnese dal punto di vista finanziario. Anche in questo caso l'intervento del C. era stato decisivo, ed il Monte riprese un certo vigore. Le fonti coeve riferiscono che da molte città italiane giungevano al C. continue richieste, spesso accompagnate dalla raccomandazione papale, per corsi di predicazione o per interventi in favore di Monti di pietà. Così il 5 ag. 1474il papa gli indirizzava il breve Spirituali consolatione inviandolo a Perugia per predicarvi negli ultimi mesi dell'anno, forse in occasione dell'Avvento; e nel 1475 gli affidava il compito di tenere il quaresimale a Pistoia.
Nella storia della vicaria degli osservanti dell'Umbria il guardianato di Monteripido, dal punto di vista della carriera nell'Ordine, era come il passaggio obbligato per l'ufficio di vicario provinciale, al quale il C. fu effettivamente eletto nella prima metà del 1475: in tale veste si recò infatti nel mese di maggio a Napoli per il capitolo generale, nel corso del quale fu eletto commissario e giudice nella grave discordia degli osservanti delle città di Brescia, Bergamo e Crema, e sottoscrisse, allora, l'atto di istituzione della vicaria dell'Osservanza di Brescia.
Secondo il p. Agostino da Stroncone, il C. sarebbe stato eletto già una volta a vicario dell'Osservanza in Umbria, nella prima metà del 1471, e come tale avrebbe chiesto al pontefice Paolo II (morto il 26 luglio 1471) il permesso di poter abbandonare il fatiscente convento di S. Maria dell'Oro presso Terni e di poterne far costruire un altro più vicino alla città. Avrebbe rassegnato le sue dimissioni due anni dopo, nel corso del capitolo provinciale del 1473, adducendo come pretesto gli incarichi di rilievo affidatigli dal papa (Agostino da Stroncone, Umbria serafica, in Miscell. francescana, V [1890], pp. 139, 163). Di certo ci resta la bolla Digna exauditione del 4 febbr. 1472, con la quale il papa Sisto IV concedeva, ad istanza del vicario provinciale e dei frati dell'Osservanza umbra, il permesso di demolire il convento di Monte dell'Oro e di edifi carne un altro nei pressi di Terni (4. Ghinato, pp. 199 s.).
I problemi affrontati dal C., durante il suo vicariato provinciale non furono pochi e nemmeno irrilevanti, almeno a giudicare dagli indizi che affiorano dalle fonti. Risiedendo a Santa Maria degli Angeli veniva sottoposto a pressanti richieste da parte dei dirigenti del Monte di pietà di Assisi sia per le oggettive difficoltà di bilancio che travagliavano quel banco, sia per l'inettitudine dei suoi amministratori. Soltanto la sua autorità e il suo prestigio riuscirono a sedare una rissa sanguinosa scoppiata nel secondo giorno dell'indulgenza del 1475 (2 agosto) tra gli Assisani e una compagnia di venturieri di Braccio Baglioni, il signore di Perugia. Prese a cuore l'annosa questione della sistemazione della strada fra Assisi e Santa Maria degli Angeli, e l'altra - ben piú importante e difficile - della costruzione ex novo di un acquedotto che ovviasse una volta per tutte alla grave penuria di acqua in Santa Maria degli Angeli, causa di profondi disagi per i pellegrini.
Poiché in anni lontani membri della famiglia Medici, e particolarmente Cosimo il Vecchio, già avevano curato la costruzione di una fontana per le necessità del santuario, il C. riprese la corrispondenza con Lorenzo il Magnifico allo scopo di sollecitarlo a portare sino a Santa Maria degli Angeli un nuovo acquedotto, impresa per la quale occorrevano più di 500 fiorini. Tre lettere soltanto ci sono pervenute dell'intero carteggio intercorso tra i frati della Porziuncola e il Magnifico negli anni 1475-1477: vive testimonianze circa la difficoltà e l'urgenza dell'opera progettata, e circa la generosità dei Medici, il cui stemma è dato ancora di osservare sulla fonte, lungo il fianco della basilica cinquecentesca.
Tra le prove più convincenti del buon governo del C. non vanno trascurate le cure e le preoccupazioni per i monasteri femminili dell'Ordine, in modo particolare per le clarisse del monastero di S. Lucia in Foligno che, sotto la guida della badessa Cecilia Coppoli da Perugia (una cugina in quinto grado del C.), aspiravano ad una radicale riforma della loro vita religiosa.
Sottoposte alla seconda regola di s. Chiara (quella approvata da Urbano IV con la bolla Beata Clara del 18 ott. 1263), esse tendevano ad una più rigorosa osservanza e desideravano passare anche giuridicamente alla prima regola col ritorno al "privilegium paupertatis" concesso da Gregorio IX a s. Chiara per il monastero di S. Damiano in Assisi. Il "privilegio" comportava la rinunzia giuridica a tutte le possessioni e la cessazione della proprietà monastica in comune costituita, tra l'altro, dal fondo delle doti portate dalle singole suore. La sua adozione avrebbe avuto come immediata conseguenza l'aprirsi del problema della sussistenza materiale delle monache. Il C., formato come era alla scuola "pratica" dei giuristi perugini, sia personalmente, sia come vicario provinciale, percepì la gravità dell'iniziativa e quanto ne fosse investita la sua responsabilità di superiore; giudicò la volontà delle suore un troppo facile entusiasmo religioso, più frutto di superficialità femminile che di maturità spirituale; lo ritenne dunque un esperimento, tutto sommato, da evitare. Di fronte all'ostinazione delle monache, convinto che la responsabile ne fosse la badessa col suo forte ascendente personale, il C. prese la decisione di allontanare suor Cecilia dal monastero, incoraggiato in tale azione anche dal breve Nuper ad itistantiam, del 7 ott. 1475, con cui Sisto IV gli aveva ordinato di recarsi a Foligno per sollecitare suor Cecilia ad obbedire al suo ordine di andare con due consorelle ad "instituere et dirigere" il monastero di S. Chiara in Urbino, giusta il desiderio espresso dal duca Federico di Montefeltro. Anche se la vicenda si doveva concludere in modo diverso dalla volontà del vicario provinciale, le suore stesse finirono con l'ammettere che tanto il C. quanto i suoi stretti collaboratori avevano agito con retta coscienza, guidati principalmente da una visione realistica delle cose.
Il C. morì improvvisamente, quand'era nel pieno delle forze, alla Porziuncola, nel mese di agosto del 1477, dopo la festa del perdono.
Come si è accennato, l'attività di scrittore del C. è strettamente connessa conquelladi predicatore, propagatore e organizzatore dei Monti di pietà. Il Consilium per il Monte di Perugia dimostra nel C. una sicura scienza giuridica e teologica unita a una grande familiarità con le fonti e le "auctoritates", nonché una certa facilità dialettica e forza argomentativa che scaturiscono dalla profonda convinzione nell'autore della bontà dell'assunto: la difesa dei poveri. Lo stesso giudizio si vorrebbe dare delle opere "predicabili" lasciate dal C.; purtroppo di quella sua lunghissima attività di predicatore ben poco ci è pervenuto, e quel poco ip brevi riassunti come qui di seguito si può vedere.
Un "sermo" che non mancava mai nei cicli di predicazione era quello sul giuoco; del C. si conosce un riassunto del trattato Circa materiam ludi, in cui si nota anche un giudizio sul giqco degli scacchi, per il quale, impiegandosi l'intelligenza personale, non esiste l'obbligo della restituzione; la predica De decimis, anch'essa riassunta, e le altre due De usuris e De emptione in poche righe; annotazioni a pareri e casi giuridico-canonici; aggiunte e note alla Summa Pisanella;commenti al "sermo" Dedilectione proximi di s. Bernardino da Siena; Exdictis fratris Fortunati, riassunto in volgare di un trattato sulle soccide di animali.
Opere e manoscritti: Consilium de Monte Pietatis (Civitas Perusina), Cortona, Bibl. comunale, ms. 249. cc. 39r-45v; Consilium Montis Pietatis editum a doctissimo et venerando patre F[ratre] Fortunato Perusino ordinis Minorum Observantie (Civitas Florentina), Venetiis, P. Quarenghi, 1498; Circa materiam ludi, Assisi, Bibl. comunale., ms. 629, cc. 335v-339v; Assisi, Bibl. francescana di Chiesa Nuova, ms. 13, cc. 234v-237r; ms. 30, cc. 260r-261r; Foligno, Bibl. comunale, ms. A.10.1.16, cc. 125v-127v; Modena, Bibl. Estense, ms. Lat. α.V.9.8 (577), c. 363r; De decimis, De usuris, De emptione, Assisi, Bibl. comunale, ms. 629, cc. 339v-340v; annotazioni a casi giuridico-canonici, aggiunte e commenti alla Summa Pisanella e al "sermo" De dilectione proximi di s. Bernardino da Siena, Napoli, Bibl. nazionale, ms. V.H.33, cc. 7r-9v, 16v-17r, 45r, 48v, 49rv, 52v, 53rv, 56r, 276r-278r; Ex dictis fratris Fortunati, Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 1494, c. 122r; Lettere a Lorenzo il Magnifico, Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, filza 21, n. 399; filza 24, n. 454; filza 33, n. 578; filza 35, n. 359.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Perugia, Consigli e riformanze, 67, c. 20r; 69, c. 232v; 92, cc. 14v, 46v, 80r; Ibid., Offici, 9, cc. 84r, 85v, 101v; 10, cc. 5r, 8r; Ibid., Catasti, I, 23, cc. 327r-330v, 345r-346r; Ibid., Miscellanea, 65, c. 16v; Perugia, Archivio di S. Pietro, ms. 221: E. Agostini, Dizionario Perugino istorico, p. 267, Archivio di Stato di Arezzo, Deliberazioni del Consiglio dei Priori, 12, c. 197rv (segnalazione privata di V. Meneghin); L. Wadding, Scriptores trium Ordinum Fratrum Minorum, Romae 1908, p. 254; L. Iacobilli, Bibliotheca Umbriae, Fulginiae 1658, p. 107; A. Oldoini, Athenaeum Augustum, Perusiae 1678, pp. 105 S.; G. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores..., I, Romae 1908, p. 254; G. B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini, I, Perugia 1828, pp. 346 s.; A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al XVII, II, Foligno 1884, pp. 63 s.; Marcellino da Civezza, Una lettera difrate Pietro da Modena ad Alessandro Sforza signore di Pesaro, in Miscell. franc., IV (1889), pp. 3-8; M. Ciardini, Un "consilium" per il Monte di pietà di Firenze (1473), Firenze 1905, pp. 20 s.; A. Fantozzi, Documenti intorno alla beata Cecilia Coppoli clarissa (1426-1500), in Archivuni franc. histor., XIX (1938), pp. 338-41; B. Bughetti, Assisi e casa Medici, in Studi francescani, s. 3, X (1938), pp. 49-60; A. Ghinato, Un Propagatore dei Monti di Pietà del '400: P. F. C. da Perugia, O.F.M. († 1477), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, X (1956), pp. 1913-211; G. Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, I, Ascoli Piceno 1959, pp. 243 s.; S. Maiarelli-U. Nicolini, Il Monte dei Poveri di Perugia. Periodo delle origini (1462-1474), Perugia 1962, pp. 15 n. 2, 21, 25, 29, 33, 44 ss., 59 n. 2, 94, 102 n. 2, 133, 136, 140, 142 n. 2, 179 n. 2, 189, 192, 195 s. n. 2, 197, 200, 202, 205, 207 s. n. 1, 210 ss., 388, 410, 418, 424, 431, 434; G. Pagnani, Monti di pietà, in Dizionario degli istituti di perfezione, VI, Roma 1973. coll. 119-22; F. Frascarelli, Nobiltà minore e borghesia a Perugia nel sec. XV, Perugia 1974, pp. 129-148; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, II, p. 258, n. 4049 (dove si legge un "Franciscus", forse erronea lettura di F. [Frater] del titolo dell'edizione veneziana); C. Cenci, Manoscritti francescani della Biblioteca nazionale di Napoli, I, Quaracchi-Florentiae 1971, pp. 222 s.; Id., Documentazione di vita assisana 1300-1530, II, 1449-1530, Grottaferrata 1975, pp. 700, 707, 720, 728, 730, 740, 749, 756; Id., Bibliotheca manuscripta ad sacrum conventum Assisiensem, I, Assisi 1981, p. 47; V. Meneghin, Bernardino da Feltre e i Monti di Pietà, Vicenza 1974, ad Indicem;C. Tabarelli, Documentazione notarile Perugina sul convento di Monteripido nei secoli XIV e XV, Perugia 1977, pp. 71, 74 s., 94, 167, 170, 172; U. Nicolini, Serie dei vicari provinciali dell'Umbria, dei guardiani di Monteripido e dei confessori del monastero di Monteluce nel secolo XV, pp. 192, 194; M. Bigaroni, Catalogo dei manoscritti della biblioteca storico-francescana di Chiesa Nuova di Assisi, in Atti dell'Accademia Properziana del Subasio, s. 6, I (1978), pp. 20, 30; A. Bartoli Langeli, La famiglia Coppoli nella società perugina del Duecento, in Francescanesimo e società cittadina: l'esempio di Perugia, Perugia 1979, p. 89; U. Nicolini, Motivi per una cronaca di sette secoli, ibid., p. XLVI; M. G. Muzzarelli, Un bilancio storico-grafico sui Monti di Pietà, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXXIII (1979), p. 179 n. 75; Dict. de théol. cathol., XII, col. 1251.