FORTUNATO da Brescia (al secolo Girolamo Ferrari)
Nacque a Brescia il 1° dic. 1701, da Giovanni Ferrari e da Angela Maioni, in una famiglia originaria di Mantova e di stato "onesto". I suoi studi non si svolsero nelle scuole gesuitiche di Brescia, com'era usuale per il ceto nobiliare e altoborghese, ma con precettori privati come C. Bellavite (grammatica e retorica) e A. Capello (matematica).
Il 29 sett. 1718 entrò tra i frati minori riformati, nel convento della Ss. Annunciata (in Val Camonica), assumendo il nome di Fortunato da Brescia. Formato in un ambiente conventuale, l'attività intellettuale del F. sarà segnata a lungo dal contrasto tra i limiti dell'ambiente e un orizzonte culturale "moderno" costruito con letture aggiornate, e di questo contrasto egli mostrerà piena consapevolezza, ad esempio nelle lettere a G.G. Bottari, tentando tenacemente di ottenere una collocazione durevole a Roma.
I connotati della sua cultura si desumono con chiarezza dalla successione logica delle edizioni delle opere maggiori. In quelle del primo periodo è molto netta l'eredità scolastica, sia nel metodo sia nei contenuti, e gli elementi di modernità (non sempre recepiti) si limitano a P. Gassendi e Cartesio; nelle opere successive compaiono progressivamente N. Malebranche e l'occasionalismo, I. Newton e la fisico-teologia da lui ispirata, G.W. Leibniz e i seguaci fino a Ch. Wolff, e in minor misura J. Locke e il materialismo hobbesiano. Anche sul piano scientifico si individua un'evoluzione che, da connotati euclidei in matematica e cartesiano-galileiani in fisica, approda alla matematica di fine Seicento, a Ch. Huygens e Newton, alla fisica sperimentale anglo-olandese, all'anatomia sottile e alla iatromeccanica postmalpighiane. Questa evoluzione, che interessò insieme il suo insegnamento e le sue opere (quasi tutte destinate "ad usus academicos"), fece di lui un punto avanzato nella didattica conventuale nell'Italia di quegli anni e lo rese oggetto di opposizioni, cui fece fronte solo con l'appoggio dei vertici del suo Ordine.
Nel 1728 F. fu nominato lettore di filosofia nel convento bresciano di S. Cristoforo, dove dal 1731 tenne anche l'insegnamento di teologia. Nel 1734 gli fu affidata la lettura di matematica nell'accademia degli Erranti; a questo incarico si connette la sua prima opera, Geometriae elementa ad philosophiam comparandam accommodata (Brixiae 1734).
Si trattava di un manualetto, con una prima parte teorica relativa alla geometria, piana e solida, e alla teoria delle proporzioni (cui F. assegnerà sempre un luogo centrale nella struttura logica della matematica), e una seconda parte con 28 problemi esemplificanti le applicazioni più comuni. La collaborazione col tipografo G.M. Rizzardi si farà nel tempo solida amicizia, tanto che questi pubblicherà praticamente tutte le opere di F., con nuove edizioni e ristampe. sempre a proprio carico e anche anni dopo la morte dell'autore.
Con l'incarico nell'accademia F. uscì dalla cerchia conventuale, prendendo contatto con G.M. Mazzuchelli e il suo circolo, tra cui era G.B. Rodella, e il conte F. Roncalli Parolino, trattatista e storico della medicina. Non sono invece documentati suoi rapporti col maggior matematico bresciano di quegli anni, R. Rampinelli. Ma la figura che, in senso non solo positivo, fu più importante per le stesse vicende personali di F. fu il vescovo della città, il cardinale A.M. Querini. L'immagine ancora prevalente di quest'ultimo, "illuminata", e i toni spesso scopertamente encomiastici con i quali F. gli si rivolge negli scritti (gran parte dei quali gli sono dedicati) hanno fatto considerare il rapporto tra i due in termini di una collaborazione senza ombre e di protezione intelligente da parte del presule. Il loro rapporto conobbe invece tensioni notevoli: nelle lettere al Bottari F. si esprime riduttivamente sulla statura intellettuale e morale del Querini, fornendo elementi consonanti con certi giudizi storiografici recenti (P. Del Negro, recens. a Cultura religione e politica nell'età di A.M. Querini…, a cura di G. Benzoni - M. Pegrari, Brescia 1982, in Rivista storica italiana, XCVI [1984], pp. 253-265).
Inizialmente, tuttavia, il cardinale sostenne F., che poté usare i libri della sua ricca biblioteca privata (distinta dal fondo donato alla Biblioteca apost. Vaticana e poi riacquistato per costituire la Biblioteca Queriniana). L'uso di quei volumi fu certo un tramite per l'accennato aggiornamento culturale di F.; su un esemplare degli Elementa euclidei (ora in Bibl. Queriniana, ai segni CC XVIII 13) egli trovò alcune annotazioni giovanili del Querini alla proposizione XXI del libro VII, relativa a un teorema sulla proporzionalità tra numeri. Anni prima il matematico dell'università di Pisa, G. Grandi, in una lettera al Querini aveva negato valore ai suoi rilievi, e ora, su richiesta dello stesso Querini, F. trattò nuovamente la questione in uno scritto che fu edito (Ad emin.mum et rev.mum principem Angelum Mariam cardin. Quirinum… Epistola… in qua nonnullae in Prep. 21 lib. VII Elementorum Euclidis animadversiones expenduntur, Brixiae 1737).
Il teorema euclideo è enunciato universalmente per i numeri, ma tale denominazione negli Elementi designa i soli interi; il Querini aveva osservato che esso non valeva per i numeri frazionari e nel suo intervento F. chiariva la natura essenzialmente definitoria del dibattito, ritenendo che l'obiezione del Querini portasse a un ampliamento del concetto di numero, in accordo con gli sviluppi della matematica recente. Uno scritto del 1738 relativo alla stessa questione (Animadversiones in propositionem 21 lib. VII Elementorum Euclidis cum nova eiusdem propositionis demonstratione…, Brixiae 1738), solitamente anch'esso attribuito a F., è invece dal Mazzuchelli attribuito al Querini, anche se il francescano fece da revisore e ne scrisse l'appendice.
In più luoghi F. indicò nella matematica il suo interesse centrale, tuttavia egli non fu un matematico puro, né si allineò ai progressi dell'età di J. Bernoulli e di L. Euler: nei suoi scritti la matematica funge da paradigma dimostrativo costante, ma questo carattere era già comune nel tardo Seicento, mentre i contenuti tecnici restano in lui in gran parte quelli della matematica anteriore all'analisi. Per questo la sua matematica, più che per un valore autonomo, va considerata come fattore epistemologico che porta F. a un mutamento incisivo nei modi di trattazione di discipline quali la filosofia e la teologia. Se gli scritti già indicati si connettono alla sua attività didattica presso gli Erranti, già nel 1735 egli pubblicò il primo volume d'un manuale destinato all'insegnamento della filosofia (Philosophia sensuum mechanica ad usus academicos accommodata…, I-II, Brixiae 1735-36; 2ª ed., ampliata e rielaborata, I-IV, ibid. 1745-47; 3ª ed., ibid. 1751-52) e in seguito la Philosophia mentis methodice tractata atque ad usus academicos accommodata (I-II, ibid. 1741-42; 2ª ed., ibid. 1749; rist., Venetiis 1769).
Più che prodotti d'un lavoro speculativo complessivamente originale queste opere vanno considerate come documenti significativi di adeguamento dell'assetto tradizionale delle discipline filosofiche, anche in centri statici quali le scuole conventuali. La stessa distinzione tra una filosofia "mentis" e "sensuum", estranea alla tradizione scolastica, gli giunse dalla Philosophia mentis et sensuum (Romae 1696) di G.B. Tolomei, punto di svolta speculativo in una cittadella della tradizione, il Collegio Romano dei gesuiti. Per essa la metafisica aristotelica, bersaglio delle nuove filosofie e della nuova scienza, tendeva a non più presentarsi come indagine su enti oggettivi (peculiarità che così veniva ad appartenere esclusivamente alle scienze naturali), ma sulla formazione e sui rapporti tra le immagini mentali di quegli enti: l'ontologia si avvicinava alla psicologia e la logica si separava dalla filosofia naturale, e ciò dava luogo a una nuova struttura in cui contenuti conoscitivi sempre più ampi trovavano collocazione più intrinseca e agevole. In F. il processo progredisce oltre Tolomei, ma mostra peculiarità, e talora limiti, rispetto a quanto si osserva in figure impegnate nello stesso senso, come O. Corsini, G.G. De Soria, G. Crivelli. Rispetto a questi autori resta più operante in lui il ruolo unificante della componente metafisica, anche se riformulata e ridimensionata: nella Philosophia mentis essa è unita alla logica, della quale F. mantiene, rispetto all'uso scolastico, solo l'esposizione delle "operationes intellectus" della sillogistica, lasciando cadere la componente eristica e ontologica e aggiungendole secondo una tendenza italiana di quegli anni (De Soria, I. Facciolati) parti di metodologia e di "critica". Della metafisica restano una ontologia essenziale, una psicologia di tendenza sensista e una teologia razionale. L'agilità della parte logica e il suo orientamento non disputativo ma operativo piacquero a L.A. Muratori; tuttavia la Philosophia sensuum è opera più importante e più espressiva degli interessi dell'autore, del quale scandisce fedelmente la maturazione.
La progressiva acquisizione della fisica newtoniana non fece però di F. un vero seguace epistemologico del suo modello; se venne abbandonando la fisica cartesiana (probabilmente anche per effetto di soggiorni a Venezia, e forse a Padova, nel 1738 e 1748, nel corso dei quali conobbe A. Zeno) non ne abbandonò mai gli stretti presupposti meccanicistici, cosicché rifiutò sempre di considerare l'esattezza misurativa delle formule newtoniane come prova della realtà fisica dell'attrazione. Nella Philosophia sensuum ha ampio sviluppo anche l'analisi degli organismi (nella prima edizione nel trattato III del II volume; nelle seguenti nel trattato II del volume IV). Questa tematica non compare mai nella restante opera di F., e nessun documento o fonte memorialistica informa su sue ricerche nel settore; tuttavia A. Gemelli ritenne di trovare in questa parte del libro conoscenze di fatto e impostazioni concettuali che non solo proverebbero in F. una vera consuetudine con le osservazioni microscopiche (specie su insetti), ma autorizzerebbero a ritenerlo il vero fondatore della morfologia e di un indirizzo anatomico in fisiologia. Il Gemelli ritenne di trovare nell'opera una esatta distinzione tra tessuti e organi, e un fecondo uso di queste nozioni in fisiologia; anche in genetica gli parvero originali i modi di opposizione di F. al preformismo. Queste attribuzioni di originalità e priorità si basavano su una conoscenza della letteratura medico-biologica del tempo molto inferiore all'attuale; ed è possibile che verifiche testuali condotte oggi ridurrebbero di molto l'originalità delle parti biologiche della Philosophia sensuum.
Per diversi anni la produzione di F. rientrò interamente nei due filoni filosofico e matematico. All'opera di geometria e alla lettera sulla proposizione euclidea seguì un ampio manuale (Elementa mathematica in quatuor tomosdigesta, I-II, Brixiae 1738-39; 2ª ed., ibid. 1755) e un compendio (Elementa matheseos ad mechanicam philosophiam in privatis scholis tradendam, et comparandam accommodata…, ibid. 1740 e poi 1750, 1757, 1759; Bassani 1769).
Le due opere, a prevalente intento didattico, non presentano contenuti realmente originali. Nell'opera più vasta il primo tomo tratta l'algebra (ma non sviluppa le equazioni), le proporzioni e le progressioni; il secondo e il terzo (che riprendono l'opera del 1734) la geometria piana e solida; il quarto le sezioni coniche, gli isoperimetri, i casi applicativi più comuni. Il testo fu apprezzato per la chiarezza, ma non attuava certo una compenetrazione tra matematica e fisica così fine quale si dava, in quegli anni, in un R.G. Boscovich (che dette un giudizio limitativo su F.) o in un V. Riccati. Il compendio escludeva poi l'algebra, in un momento in cui l'analisi stava permeando le stesse concezioni della ricerca scientifica e della struttura del mondo fisico: ciò mostra come F. non avesse potuto sormontare del tutto i limiti della sua formazione e le prospettive "moderne" cui aderiva restassero quelle di alcuni decenni prima.
Tutte le opere fin qui menzionate comparvero in prima edizione entro il 1741: da allora le pubblicazioni di F. riguardarono sempre più la teologia. In questa materia, che rientrava dal 1731 nelle sue mansioni didattiche, i suoi interventi non si espressero in manuali, ma in monografie su punti dottrinali di grande delicatezza che destarono dibattiti accesi, nei quali F. venne a trovarsi nel punto di collisione tra schieramenti aventi motivazioni ideologiche e, in senso lato, politiche, cui egli era sostanzialmente estraneo. A ciò portarono anche le relazioni stabilite in due viaggi a Roma, nel 1744 e 1750. Nel primo stabilì un solido vincolo di stima con l'ex padre generale dell'Ordine, Raffaele da Lugagnano, facendosi anche apprezzare nel circolo del Bottari e dai cardinali S. Valenti Gonzaga e D. Passionei: le sue successive lettere a costoro, in particolare quelle al Bottari, sono un documento informativo non solo sul piano biografico, ma su quello della storia intellettuale del cattolicesimo italiano di quegli anni.
Il primo lavoro di questa fase (De qualitatibus corporum sensibilibus dissertatio physico-theologica, Brixiae 1740; una seconda edizione bresciana del 1749 apparve notevolmente ampliata, e fu ristampata ancora a Brescia nel 1756) si pone, sintomaticamente, su un delicato spartiacque tra filosofia e teologia, offrendo una reinterpretazione della formulazione tridentina del dogma eucaristico tale da consentire la convivenza con una teoria meccanicistica delle proprietà delle sostanze fisiche.
Il problema, posto dalla rinascita del corpuscolarismo e acuitosi con Cartesio, nella Dissertatio è affrontato alla radice con la dimostrazione della insussistenza delle categorie fisico-metafisiche scolastiche, che porta a distinguere, nella formulazione tridentina, un nocciolo "fattuale", il fatto eucaristico, di cui si asserisce la verità ma anche il rigoroso carattere di mistero, e un apparato concettuale-linguistico, nei cui termini era usualmente interpretato: di questo apparato F. asserisce il valore non dogmatico, l'origine puramente umana e, nel caso specifico, l'insostenibilità. Si comprende come una tale posizione trovasse ampia rispondenza tra i cattolici "illuminati": G. Lami recensì con favore l'opera, apprezzata anche nel gruppo del Bottari; mentre si ebbero reazioni ostili tra i fautori del peripatetismo fisico. A uno di costoro, il conventuale G.A. Ferrari, autore di una Philosophia peripatetica adversus veteres, et recentiores philosophos (Venetiis 1747), F. mosse critiche nella seconda edizione della Dissertatio, determinando la replica del Ferrari nella riedizione (1754) della sua opera.
Fu però meno agevole e più complessa nei suoi riflessi la polemica con autori che, senza difendere rigidamente la congruenza tra categorie aristoteliche e contenuti dogmatici, seguitavano a trattare questi ultimi con strumenti lessicali e concettuali della tradizione, estranei alle categorie scientifiche. Ancora nella seconda edizione della Dissertatio F. mosse rilievi al benedettino U. Weis, proponente una interpretazione del fatto eucaristico in cui si dava una distinzione, per F. inaccettabile, tra realtà sostanziale e collocazione spaziale. Il Weis replicò aspramente (Epistola apologetica contra p. Fortunati a Brixia calumnias, Ursinii 1750), spingendo F. a una risposta, secondo il suo solito molto analitica (Animadversiones criticae in Epistolam apologeticam r. p. Udalrici Weis benedectini Ursinensis, Brixiae 1751). In questa circostanza le reazioni alla polemica non si disposero lungo due linee facilmente riconoscibili come "antica" e "moderna"; la rigorosa applicazione di una interpretazione meccanica delle qualità al fatto di fede non sconcertò i soli scolastici, ma lo stesso Querini (le cui relazioni col F. erano peggiorate attorno al 1747), che si schierò col Weis, e F. poté far fronte al suo risentimento solo grazie al sostegno di Michele da Lugagnano e dei cardinali Valenti e Passionei.
La situazione si complicò ancora con la terza e più importante opera teologica di F.: Cornelii Iansenii Yprensis episcopi Systema de medicinali gratia Christi Redemptoris methodice expositum et theologice confutatum (Brixiae 1751; 2ª ed. ampliata, Madrid 1755).
Le lettere al Bottari chiariscono l'origine dell'opera: già nel 1746 F. accenna a un corso completo di teologia che intende scrivere, ma presto abbandona questo progetto per esordire con l'analisi d'un tema atto a focalizzare tutti i problemi essenziali; individua questo tema nella grazia, e lo affronta tramite una discussione della soluzione gianseniana, origine di gran parte dei dibattiti teologici nell'ultimo secolo. Nel marzo del 1750 il testo era quasi completo, e nell'estate di quell'anno F. lo portò con sé, nel secondo viaggio a Roma, sottoponendolo al Bottari. Tornato a Brescia nel settembre egli ne attese a lungo il giudizio; questo fu infine circospetto, ma sostanzialmente negativo (F. sembra aver ignorato il filogiansenismo del Bottari), ed emerse così la distanza tra una "modernità" tutta risolta nel rigore intellettuale e metodico, quale quella di F., e una consistente in contenuti, religiosi e latamente ideologici, antitradizionali. L'analisi del giansenismo nel Systema, molto interessante proceduralmente, mirava a isolare la struttura argomentativa delle dottrine, a partire da alcune proposizioni di base, sfrondandola da aspetti storico-filologici. Così ricostruita, la teologia dell'Augustinus appariva a F. in precisa contraddizione con alcune proposizioni fondamentali del dogma cattolico, ciò che giustificava la condanna della Chiesa. Il Bottari, attento a non apparire difensore delle tesi in esame, identificò le posizioni di F. con quelle moliniste collocandole, dunque, in una opposta unilateralità. Nonostante le repliche di F. (egli precisò che il suo scopo era mostrare che ogni particolare interpretazione del dogma non può qualificarsi come certa, non essendo scientifica), il Bottari tentò di evitare la pubblicazione dell'opera presentandone il testo al S. Uffizio; questo provocò il risentimento di F., stupito dall'iniziativa, dato che le sue critiche riguardavano una dottrina già formalmente condannata. L'episodio danneggiò i rapporti tra i due e confermò uno dei tratti più notevoli di F., la sua fiducia nella forza risolutiva del discorso razionale, anche di fronte a opposizioni temibili. Infine la stampa del libro dette luogo a reazioni pubbliche, la più nota delle quali fu una recensione critica apparsa nelle Novelle letterarie (1752, coll. 421-428, 434-438). F. replicò nel consueto modo sistematico, deplorando gli eccessi del recensore e moltiplicando le argomentazioni (Osservazioni critiche… sopra certo articolo delle Novelle letterarie di Firenze al num. 27 e 28 di quest'anno 1752, Roveredo 1752), con il risultato di provocare un ulteriore intervento della rivista (1753, coll. 406-414, 419-425, 433-440, 562 s.). F. riteneva che i due articoli non fossero stati scritti dal Lami, ma da un esponente del giansenismo bresciano, il cappuccino Viatore da Coccaglio; è certo che fu quest'ultimo l'autore di un anonimo Esame sulle Osservazioni critiche… sopra certo articolo delle Novelle letterarie di Firenze al n. 27 e 28 dell'anno 1752 (Lucca 1753) e, quando F. rispose anche al secondo articolo delle Novelle (Risposta del p. Fortunato da Brescia min. riformato all'autore di certo articolo stampato ne' fogli 26, 27, e 28 delle Novelle letterarie di Firenze dell'anno 1753, Madrid 1754), di un'ulteriore replica, edita ben tre anni dopo la morte dell'avversario (Storia e difesa delle due censure del novellista fiorentino contro il nostro p. F. da B. intorno al principio delle due dilettazioni, Lucca 1757).
Contro F. si mossero, dunque, i tre nuclei centrali del giansenismo italiano romano, toscano, bresciano; e il sottofondo ideologico della polemica (sostanzialmente estraneo all'approccio risolutamente teoretico del suo libro) produsse schieramenti ancora diversi. F. fu incoraggiato non solo dal suo Ordine, ma anche dal Querini, con il quale i rapporti si erano pacificati e che colse forse anche l'opportunità di contrastare il gruppo romano di cardinali a lui contrario. Frutto del ravvicinamento (oltre alla ricordata lettera del 1753) fu un parere di F. al cardinale sull'esistenza di locali destinati al culto in abitazioni private, una questione già trattata in lettere al Bottari (lo scritto comparirà postumo come De oratoriis domesticis dissertatio, Brixiae 1757).
Dopo anni di tentativi infruttuosi di lasciare l'ambiente bresciano per uno più vasto e stimolante, nel 1753 si offrì a F. una possibilità, forse ormai insperata: fu chiamato a Roma come segretario personale dal generale del suo Ordine, P. de Molina, che quasi immediatamente seguì in un viaggio a Madrid. Qui fu conosciuto e apprezzato dal primo ministro, marchese dell'Ensenada, che sostenne finanziariamente la stampa (o ristampa) di suoi scritti, forse per fini politici. Da Madrid F. corrispose con il Bottari e altri, informando di attraversare un momento di piena attività. Ai primi del maggio 1754 fu però colpito improvvisamente da una affezione respiratoria con forte febbre, che lo condusse a morte a Madrid l'11 maggio.
Il letale decorso della malattia fu così rapido che in Italia la notizia produsse la diceria che fosse stato avvelenato dai giansenisti (un necrologio anonimo in Mem. per servire all'istoria letteraria, IV [1754], 2, pp. 41-46, attribuito a G.B. Rodella, divulgò tale voce, pur dicendola inattendibile). La conferma definitiva delle cause naturali del decesso si ebbe con una lettera del novembre 1754 da Madrid, scritta dal medico curante A. Piguerio al conte F. Roncalli e da questo pubblicata (Pontificis maximi, regum, principum, academiarum, sapientium diplomata et epistulae…, Brixiae 1755, p. 296).
Fonti e Bibl.: La Biblioteca apost. Vaticana conserva 23 lettere di F. al Mazzuchelli (Vat. Lat. 10004, ff. 349-372), una al Rodella (Vat. Lat. 10021, f. 110), quattro al card. Passionei e al suo segretario (Vat. Lat. 12564, ff. 399-403). La Biblioteca Corsiniana di Roma conserva 108 sue lettere al Bottari nel cod. Corsiniano 2040 (32.G.27) e due allo stesso nei codd. 569 (f. 409) e 1635 (f. 161); inoltre le lettere del Mazzuchelli al Bottari e altri, nel cod. Corsiniano 2051, contengono diversi riferimenti a Fortunato da Brescia. L'originale della risposta di F. al Querini sulla proposizione euclidea è nella Biblioteca Queriniana di Brescia, ms. E.IV.3, ff. 221-238; ivi (ms. E.IV.7) una lettera di G. Fagnani al Querini conferma l'attribuzione al cardinale delle Animadversiones del 1738 e (ms. B.V.3) un'operetta epistolare di F., diretta al Querini, concerne le Opposizioni alla sua critica al giansenismo.
Si vedano inoltre: L.A. Muratori, Opere, a cura di G. Falco - F. Forti, Milano-Napoli 1964, pp. 1577, 1998 s.; G.M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2056-2059; A. Brognoli, Elogi di bresciani per dottrina eccellenti del sec. XVIII, Brescia 1785, pp. 47-62; V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1818, pp. 133-135; II, ibid. 1823, pp. 54-57; Sigismondo da Venezia, Biogr. serafica degli uomini illustri che fiorirono nel francescano istituto, Venezia 1846, p. 782; R. Bobba, Saggio intorno ad alcuni filosofi italiani meno noti prima e dopo la pretesa riforma cartesiana, Benevento 1868, pp. 189-208; Costantino della Val Camonica, Scriptores Ordinis minorum strictioris observantiae reformatorum provinciae Brixiensis, Brixiae 1884, pp. 75-84; A. Gemelli, Un precursore della moderna morfologia comparata, in Riv. di fisica, matematica e scienze naturali, VII (1906), pp. 355-360 (poi in Brixia sacra, V [1914], pp. 25-32); A.C. Jemolo, Il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari 1928, p. 125; R. Mazzetti, Il card. A.M. Querini. Uomini e idee del Settecento e la nascita del giansenismo bresciano, Brescia 1933, pp. 109 s.; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium Ordinum S. Francisci…, III, Romae 1936, p. 223; G. Mantese, P. Tamburini e il giansenismo bresciano, Brescia 1942, pp. 219 s.; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 85-90; M. Rosa, Atteggiamenti culturali e religiosi di G. Lami attraverso le "Novelle letterarie", in Annali della Scuola norm. sup. di Pisa, s. 2, XXV (1956), pp. 307 s.; L.A. Biglione di Viarigi, La cultura del Settecento, in Storia di Brescia, III, La dominazione veneta (1576-1797), Brescia 1964, pp. 213 s. (vedi anche pp. 189 s., 278); F. Venturi, Settecento riformatore…, I, Torino 1969, pp. 533 ss.; A. Fappani, Encicl. bresciana, Brescia 1981, IV, pp. 262 s.; B. Hughes, Franciscans and mathematics, in Arch. franciscanum historicum, LXXVII (1984), 1-3, pp. 1-66 (in part. pp. 20-24).