Forza
Si definisce forza la causa capace di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo. Ogni forza è caratterizzata da una grandezza, una direzione, un verso e un punto di applicazione, e, in base a questi fattori, determina la modificazione della posizione del corpo considerato. Lo sviluppo di forza rappresenta uno degli aspetti meccanici della contrazione muscolare (v. vol. 1°, II, cap. 2: Cellule e tessuti, Tessuto muscolare).
La forza di contrazione, che è generata dalle proteine contrattili, viene esercitata in direzione parallela a quella della fibra muscolare e viene anche detta tensione muscolare. Nei tre tipi di tessuto muscolare, scheletrico, liscio e cardiaco, benché esistano significative differenze di struttura, di proprietà contrattili e di controllo nervoso, i meccanismi fisico-chimici che sono alla base dell'erogazione della forza risultano sostanzialmente simili. Considerevoli sono le differenze che riguardano invece le modalità temporali di sviluppo della forza: questa viene sviluppata rapidamente nel muscolo scheletrico, lentamente e in modo duraturo nel muscolo liscio, con modalità intermedie rispetto ai primi due nel muscolo cardiaco. Nella maggior parte dei casi, la forza sviluppata dai muscoli scheletrici è al servizio dell'apparato locomotore e viene esercitata sui segmenti scheletrici tramite i tendini che a essi li collegano. La disposizione dei muscoli, delle ossa e delle articolazioni è tale da costituire sistemi di leve (v. vol. 1°, II, cap. 3: Apparati e sistemi, Sistema osteoarticolare e muscolare; v. movimento). A questa disposizione fanno eccezione i muscoli pellicciai, o cutanei, e altri muscoli, per es. quelli della lingua, i quali non hanno inserzione sui segmenti ossei. Quando lo sviluppo di forza contrattile si accompagna all'accorciamento dei muscoli, ne consegue il movimento dei segmenti scheletrici; se, al contrario, i muscoli si contraggono senza accorciarsi (contrazione isometrica, cioè a lunghezza costante), la forza da essi applicata può essere utilizzata per l'immobilizzazione dei segmenti ossei. La forza sviluppata dal tessuto muscolare liscio, che è localizzato principalmente nelle pareti degli organi cavi, viene impiegata sia per il restringimento oppure per l'occlusione del lume di organi cilindrici (funzione di sfintere), sia per modificare il volume degli organi stessi e, conseguentemente, per esercitare pressione sul loro contenuto. Quest'ultima funzione viene svolta anche dalla forza che trae origine dal muscolo cardiaco. La forza esercitata dai muscoli scheletrici è sotto il controllo del sistema nervoso somatico e, quindi, della coscienza, mentre quella esercitata dai muscoli lisci e dal muscolo cardiaco è controllata dal sistema nervoso autonomo e dal sistema endocrino.
I processi molecolari che determinano la produzione della forza sono stati particolarmente studiati nel muscolo scheletrico e in quello cardiaco. In questi tipi di muscolatura il congegno direttamente responsabile della produzione della forza è il sarcomero, che è costituito da una ordinata disposizione di miofilamenti secondo uno schema che si ripete regolarmente per tutta la lunghezza della miofibrilla (fig.1). Il sarcomero rappresenta l'unità funzionale del sistema contrattile della fibra muscolare scheletrica e cardiaca e gli eventi che si verificano in un sarcomero vengono replicati a tutti gli altri sarcomeri di ciascuna miofibrilla. Ogni sarcomero contiene due tipi di miofilamenti proteici: spessi e sottili. I filamenti sottili, costituiti da molecole di actina, sono fissati ai due estremi del sarcomero; i filamenti spessi, formati da molecole di miosina, sono situati nella regione centrale del sarcomero. I filamenti spessi presentano delle proiezioni che si protendono verso il filamento sottile. Queste proiezioni, dette ponti trasversali, fanno parte della struttura delle molecole di miosina. Le molecole di actina e di miosina vengono dette proteine contrattili in quanto la forza muscolare si genera a seguito della loro interazione fisico-chimica. Nel muscolo rilasciato, i ponti trasversali sono staccati dai filamenti di actina, mentre durante la contrazione si legano ai filamenti sottili esercitando su di essi una forza traente che li sposta verso il centro del sarcomero. A seguito di questa azione, i filamenti sottili scorrono sui filamenti spessi dando luogo all'accorciamento del sarcomero. Tale processo, ripetuto in tutti i sarcomeri attivi di un muscolo in contrazione, determina l'accorciamento del muscolo stesso, nonché lo sviluppo di forza ai suoi estremi tendinei. I ponti trasversali sono, di fatto, le strutture che danno luogo allo scorrimento dei miofilamenti. Questa azione è resa possibile in quanto i ponti trasversali, quando si legano all'actina, acquisiscono la proprietà di modificare la loro angolazione rispetto ai filamenti spessi. Un movimento oscillatorio del ponte trasversale dà luogo a uno slittamento molto esiguo del filamento sottile, circa 70 nm, ma esso può essere ripetuto a seguito del distacco del ponte trasversale dal filamento sottile e all'inizio di un nuovo ciclo di trazione. Ripetendo il ciclo di trazione numerose volte, i piccoli accorciamenti di ciascun sarcomero si sommano a quelli degli altri e arrivano a determinare, in tal modo, il macroscopico accorciamento dell'intero muscolo e il conseguente sviluppo di forza. L'immediata sorgente di energia necessaria per produrre forza è l'adenosintrifosfato (ATP) presente nel ponte trasversale. Durante la contrazione, questo composto chimico vettore di energia viene scisso in adenosindifosfato (ADP) e fosfato inorganico, con la liberazione di circa 7 kcal/mol di energia. Tale reazione viene catalizzata dal complesso actina-miosina, che assume proprietà enzimatiche nel momento della sua formazione (acto-miosina ATPasi). L'energia liberata viene impiegata per il movimento dei ponti trasversali. L'esaurimento delle scorte di ATP è uno dei fattori che provocano l'affaticamento del muscolo e la progressiva riduzione, fino alla scomparsa, della forza che esso può sviluppare (v. fatica). La quantità di ATP presente nel muscolo non diminuisce necessariamente durante l'erogazione della forza, perché se l'attività del muscolo non è troppo vigorosa e se c'è una adeguata fornitura di ossigeno, l'ATP, appena scisso, viene al tempo stesso risintetizzato a partire dall'ADP e mediante l'energia fornita dalla scissione di altri composti chimici che partecipano al metabolismo energetico del muscolo. Questi composti chimici sono la fosfocreatina, il glicogeno e gli acidi grassi. Come indicato precedentemente, nel muscolo liscio la forza viene erogata più lentamente che nel muscolo scheletrico o cardiaco, ma può essere mantenuta più a lungo; anche il rilasciamento avviene più lentamente. La causa principale di queste differenze di velocità deve essere ricercata nelle caratteristiche enzimatiche della miosina del muscolo liscio che ha una proprietà ATPasica assai minore in confronto a quella del muscolo scheletrico.
L'erogazione della forza da parte della fibra muscolare obbedisce alla 'legge del tutto o niente', vale a dire che la forza o viene prodotta in modo massimale per le condizioni vigenti, o non viene prodotta affatto. È tuttavia ovvio che l'intero muscolo si comporta in modo diverso dalla singola fibra, in quanto l'entità della forza che esso può esercitare varia in un ambito molto ampio. In effetti, senza variare la forza di contrazione, sarebbe impossibile, per es., compiere movimenti armonici e coordinati. La proprietà di modulare la forza muscolare, infatti, dipende non soltanto dalla possibilità del sistema nervoso di regolare, nel muscolo scheletrico e in alcuni tipi di muscolo liscio (muscolo liscio multiunitario), il numero di unità contrattili attive, ma anche dalla capacità di alcuni fattori di variare la prestazione della singola fibra muscolare. A tale riguardo, fattori importanti sono rappresentati dalla lunghezza della fibra muscolare durante la contrazione isometrica e dalla velocità di accorciamento durante la contrazione isotonica (cioè a forza costante). Con relazione forza-lunghezza (o tensione-lunghezza) si intende il rapporto che intercorre tra la lunghezza della fibra muscolare e la forza che essa può sviluppare in condizioni isometriche a ogni data lunghezza. Tale relazione indica che per ogni fibra muscolare è possibile identificare una lunghezza ottimale alla quale corrisponde lo sviluppo della forza massima. Se la lunghezza alla quale la fibra muscolare si contrae è inferiore o superiore alla lunghezza ottimale, la forza erogata diminuisce. Questa relazione trova la sua spiegazione nella struttura del sarcomero e nella particolare disposizione in parallelo dei filamenti contrattili che lo costituiscono. È stato infatti dimostrato che la forza della contrazione dipende dal numero di ponti trasversali che possono agganciarsi ai siti specifici del filamento di actina e che tale numero dipende a sua volta dalla posizione relativa che i filamenti spessi e sottili assumono nel sarcomero. Variando la lunghezza della fibra muscolare, cambiano al tempo stesso il grado di giustapposizione dei filamenti del sarcomero e, di conseguenza, il numero di interazioni possibili tra actina e miosina. Rispetto a una giustapposizione ottimale, l'allungamento, come pure l'accorciamento del sarcomero, determinano una riduzione del numero delle interazioni e, quindi, una riduzione della forza contrattile. Nel corpo, la lunghezza che i muscoli scheletrici assumono in condizione di rilasciamento è assai prossima alla lunghezza ottimale e l'ambito complessivo della loro variazione è mediamente compreso in circa il 30% in più o in meno rispetto a quella ottimale. Nel muscolo cardiaco, la relazione forza-lunghezza è analoga a quella del muscolo scheletrico; vi è una lunghezza alla quale la forza sviluppata è massima. In condizioni fisiologiche la lunghezza delle fibre del miocardio ventricolare è determinata dal riempimento diastolico del cuore e la forza sviluppata durante la sistole dipende da tale lunghezza (v. vol. 1°, II, cap. 6: Torace, Cuore). Nei muscoli lisci non è possibile identificare una precisa relazione forza-lunghezza; ciò dipende dal fatto che la tensione da essi sviluppata nelle pareti degli organi cavi varia in modo assai peculiare in rapporto al volume che questi assumono. Infatti i muscoli lisci reagiscono alla distensione come una struttura viscosa; questa loro proprietà viene indicata con il termine plasticità. Con relazione forza-velocità si intende il rapporto che intercorre fra la forza sviluppata in contrazione isotonica e la velocità di accorciamento della fibra muscolare. Allorché una fibra muscolare si contrae con una delle estremità libere, la sua lunghezza si riduce e la velocità dell'accorciamento è di gran lunga maggiore rispetto a quando essa si accorcia contro una resistenza, per es. sollevando un carico. Con il crescere del carico la velocità di accorciamento si riduce finché, quando il carico non può essere più sollevato, la fibra si contrae isometricamente e la velocità di accorciamento è uguale a zero. I meccanismi di sommazione e reclutamento permettono al sistema nervoso di regolare la forza di contrazione del muscolo scheletrico. Si definisce sommazione il processo, caratteristico del muscolo scheletrico, per cui in una fibra muscolare le risposte contrattili a stimoli ripetuti si addizionano tra loro. Un singolo stimolo, o un singolo impulso nervoso, provoca come risposta una scossa muscolare, cioè una breve contrazione immediatamente seguita da rilasciamento. È questa l'unità elementare della contrazione muscolare. Se si stimola la fibra muscolare ripetutamente a una frequenza tale che l'intervallo tra uno stimolo e l'altro sia inferiore al tempo di contrazione, si ottiene la sommazione delle scosse. In questo tipo di contrazione, che si chiama tetano muscolare, la forza sviluppata è durevole e fino a quattro volte superiore a quella della singola scossa. Quanto più elevata è la frequenza di stimolazione, tanto maggiore è la forza prodotta, finché non venga raggiunta una frequenza massima superata la quale la forza non aumenta ulteriormente. In tal caso la contrazione prende il nome di tetano massimale. In generale, il motoneurone trasmette alle fibre muscolari delle brevi raffiche di potenziali di azione e, pertanto, in condizioni fisiologiche, le contrazioni delle fibre muscolari non sono scosse singole, ma brevi sommazioni oppure, più raramente, contrazioni tetaniche più prolungate. La spiegazione della sommazione si fonda sull'intervento delle proprietà elastiche passive del muscolo e sul mantenimento di elevate concentrazioni di Ca2+ all'interno del citoplasma della fibra muscolare. Mentre la sommazione è un meccanismo di regolazione della forza che riguarda la singola fibra muscolare, il reclutamento è un processo fondato sull'attività addizionale di più fibre. Essendo un muscolo costituito da più fibre muscolari, ne consegue che la forza che esso sviluppa può essere modificata semplicemente variando il numero di fibre attive in un certo istante. Quanto maggiore è il numero delle fibre attive, tanto più elevata è la forza sviluppata. Le fibre muscolari sono messe in azione dalle terminazioni assoniche dei motoneuroni; ogni motoneurone innerva parecchie fibre muscolari (nell'uomo sono mediamente 250) e costituisce, insieme a queste, l'unità motoria. Pertanto, in un muscolo, il numero di fibre muscolari attive in un certo istante dipende dal numero di motoneuroni eccitati. Generalmente, durante la contrazione l'attività contrattile delle unità motorie è asincrona, e ciò implica che mentre alcune si attivano, altre si vanno rilasciando. Questa modalità di attivazione è uno dei fattori responsabili del mantenimento di una forza costante e della regolarità dei movimenti, e tende, inoltre, a prevenire la fatica nelle contrazioni prolungate. Uso ed esercizio della forza muscolare I. Forza dinamica e forza statica Qualsiasi tipo di produzione di una forza nel corpo umano dipende dalla funzione dei muscoli, la cui contrazione sviluppa tensione. I principali tipi di forza nell'uomo sono la forza statica e quella dinamica. Se durante la contrazione la tensione muscolare in una data posizione viene sviluppata contro una resistenza senza produrre movimento, si parla di forza statica; la forza dinamica invece implica il movimento di una massa nell'ambito di una sequenza motoria. La forza dinamica risulta composta di due elementi differenti: la forza dinamico-positiva (detta anche forza concentrica) e quella dinamico-negativa (detta anche forza eccentrica). Per meglio comprendere le diverse modalità proprie dei due tipi di forza si può fare riferimento ad attività sportive caratterizzate dalla preponderanza dell'una o dell'altra. La prima è richiesta, per es., nel lancio, nel salto, nello scatto, nella voga, nel sollevamento pesi quando il bilanciere viene sollevato verso l'alto, mentre la seconda interviene nel sollevamento pesi nel momento della ricaduta del peso sollevato, nella fase di raggiungimento della posizione di croce agli anelli, nell'atterraggio dopo un salto. Oltre che dal tipo di lavoro compiuto dal muscolo, la forza utilizzabile dipende anche dalle caratteristiche fisiche dell'oggetto da muovere: la forza necessaria per lanciare un giavellotto, per es., risulta inferiore a quella richiesta per il sollevamento di un peso. Inoltre, quanto più elevata è la massa del corpo da accelerare tanto più il risultato dipende dalla forza statica dell'esecutore. La massima forza raggiungibile rappresenta solo il 10% circa di quella che si potrebbe ottenere se si eseguisse il movimento alla massima velocità e con la massima forza teoricamente possibili. Questo spiega perché, per es., l'impulso nel lancio di un peso a 18-19 m si aggira intorno a 5150 W (= 7 HP), mentre nella fase di strappo del sollevamento di un peso di 150 kg si raggiungono soltanto circa 2950 W (4 HP). Come conseguenza della maggiore velocità di movimento, nel lancio del peso viene sviluppata una potenza più elevata nonostante il peso dell'oggetto sia di gran lunga minore. 2. Fibre lente e fibre veloci La quantità e il tipo di forza che devono essere sviluppati dipendono per lo più dalla composizione delle fibre muscolari, che possono essere distinte in fibre muscolari lente e veloci. Un terzo tipo di fibra presenta caratteristiche tali da essere descritto come intermedio. Le fibre muscolari veloci (fast-twitch) sono contrassegnate da un'elevata velocità di contrazione e di rilassamento, quelle lente (slow-twitch), invece, da un'alta capacità di resistenza. Questi due tipi di fibre muscolari vengono poi suddivisi in diversi sottogruppi. Le fibre lente contengono mitocondri e grassi in quantità significativamente maggiori e utilizzano soprattutto la via metabolica ossidativa. Nell'ambito delle fibre veloci possono essere distinte quelle di tipo a e quelle di tipo b; le prime, sebbene caratterizzate da un metabolismo principalmente anaerobico (glicolisi) e da una considerevole attività ATPasica della miosina, sono allo stesso tempo resistenti alla fatica grazie a un elevato volume mitocondriale. Al contrario, le fibre veloci di tipo b sono di natura decisamente anaerobica e possiedono buone capacità di contrazione e di rilassamento ma bassa resistenza alla fatica. Ciascun muscolo umano è composto, in uno stesso individuo, di una percentuale variabile di fibre lente e veloci. Attualmente si ritiene che almeno il 70% delle fibre lente e veloci sia determinato geneticamente e soltanto il restante 30% possa essere convertito da un tipo all'altro mediante uno specifico programma di allenamento. È invece sicuramente possibile modificare l'ordine di grandezza della superficie delle fibre muscolari, sia lente sia veloci, attraverso un programma di allenamento adeguato. Non sono state riscontrate differenze legate al sesso nella composizione delle fibre muscolari, così come non ci sono prove per affermare la presenza di caratteristiche specifiche connesse alla razza; i risultati superiori dei velocisti di colore non sono dunque spiegabili in base a questa ipotesi. I velocisti di livello mondiale mostrano nella muscolatura delle gambe una forte dominanza di fibre veloci, mentre nei fondisti è rilevabile un'accentuata presenza di fibre lente. Una distribuzione equilibrata dei due tipi di fibre si riscontra nella muscolatura delle gambe e delle braccia di coloro che praticano il sollevamento pesi, il salto in alto e il lancio del peso. Queste caratteristiche si ritrovano uguali nelle donne e negli uomini (fig. 2). Nel sollevamento pesi e nella pallamano, sia nelle donne sia negli uomini, la sezione trasversale delle fibre veloci di tipo b può essere fino al doppio della dimensione normale. Gli individui allenati alla resistenza, i quali presentano anche spiccate abilità di sprint, possiedono in massima parte fibre veloci di tipo a e soltanto poche fibre veloci di tipo b. Tra i corridori della corsa campestre, allenati specificamente alla resistenza, si osserva invece una capacità ossidativa ugualmente elevata nelle fibre veloci e lente delle gambe, fibre che sono entrambe in grado di aumentare la loro efficienza ossidativa. Le fibre muscolari lente, caratterizzate da una soglia di attivazione più bassa, sono le prime a essere mobilitate nel caso di sforzi che richiedono poca energia e, in virtù anche del loro maggiore potenziale aerobico, possono resistere per un tempo più lungo. Superato il 50% della massima forza statica però, i processi metabolici aerobici diventano praticamente inutili. Al di là di questo limite infatti l'aumento della pressione interna dei muscoli comporta una forte diminuzione dell'afflusso di sangue ai muscoli stessi e, dunque, la forza richiesta può essere fornita soltanto per via anaerobica. Tra la produzione di energia per via aerobica e quella per via anaerobica vi sono differenze sostanziali (fig. 3). Nell'acquisizione di energia per via anaerobica l'accumulo di acido lattico nelle cellule muscolari, insieme alla correlata caduta dei valori di pH, può portare a una limitazione del rendimento muscolare. La diminuzione del valore di pH provoca infatti una perdita della funzionalità muscolare. Il metabolismo aerobico invece non è influenzato da questi aspetti negativi, poiché i suoi prodotti finali sono costituiti da anidride carbonica (CO₂) e acqua. L'acqua viene eliminata attraverso i reni, mentre l'anidride carbonica, che diffonde con facilità, a differenza del lattato, attraverso le membrane delle cellule muscolari, viene trasportata dal sangue fino ai polmoni e da lì eliminata. 3. Fattori limitanti nello sviluppo della forza muscolare I fattori che determinano il livello massimo della forza statica che un muscolo può sviluppare sono: la sezione trasversale della fibra muscolare; il numero delle fibre muscolari; la struttura della fibra muscolare; la lunghezza e l'angolazione delle fibre muscolari; la qualità della coordinazione; la sollecitazione. I fattori limitanti per la forza dinamica sono, invece: la forza statica; la forma e le dimensioni dell'oggetto che deve essere spostato; la velocità di contrazione della muscolatura; la coordinazione, le caratteristiche antropometriche; la condizione di preallungamento dei muscoli. L'elemento fondamentale nella forza statica è la sezione trasversale delle fibre muscolari: è stata evidenziata una relazione lineare tra la massima forza statica e la sezione trasversale di un muscolo (fig. 4). Questa relazione risulta valida senza eccezione alcuna per donne e per uomini, indipendentemente dall'età e dal livello di allenamento. La forza statica media per unità di sezione trasversale del muscolo è di 6,7 ± 1,0 kg peso/cm2 per gli uomini e di 6,3 ± 0,9 kg peso/cm2 per le donne. In queste ultime, il valore della sezione trasversale ammonta in media al 76% di quello degli uomini, mentre la proporzione di grasso è di circa il doppio. Tra i 12 e i 20 anni la sezione trasversale delle fibre muscolari aumenta in media di 8 cm2 negli uomini e di solo 4,5 cm2 nelle donne. I muscoli rappresentano in media il 40-45%, in casi estremi il 50%, del peso totale maschile, mentre nelle donne la muscolatura costituisce soltanto il 25-35% del peso corporeo, mostrando in tal modo un rapporto sfavorevole tra peso e forza (fig. 5). La fig. 6 mostra come la forza di determinati gruppi muscolari presenti considerevoli differenze tra i sessi. La differenza maggiore si riscontra nel movimento di piegamento e di estensione dell'avambraccio: nelle donne questa forza è inferiore di circa il 46% a quella degli uomini. La variazione minima invece si osserva per la forza dei muscoli masticatori (22%). Globalmente la forza sviluppata dalle donne corrisponde in media al 70% di quella degli uomini, ma se si tiene in considerazione il peso corporeo la differenza relativa si riduce in media del 20%. Nell'infanzia si riscontrano solo differenze minime tra maschi e femmine, ma a partire dal decimo anno di età nei maschi si assiste a un più rapido aumento della forza muscolare, con un tasso di incremento annuo del 5-6%. Il massimo della forza viene raggiunto negli uomini tra i 20 e i 22 anni, nelle donne tra i 15 e i 17 anni, mentre un graduale deterioramento ha inizio dopo i 40 anni negli uomini e i 50 nelle donne. Il declino della forza muscolare statica dovuta al progressivo invecchiamento può essere efficacemente contrastato fino a tarda età con un adeguato esercizio fisico. È quindi comprensibile come la riduzione della forza statica in diversi distretti muscolari sia molto variabile nel corso della vita e in ciò ha probabilmente una incidenza decisiva il diverso lavoro cui sono sottoposti quotidianamente. Poiché i principali fattori che influiscono sullo sviluppo della forza massimale di un muscolo sono la sezione trasversale e la lunghezza del muscolo che, moltiplicati tra loro, ne determinano il volume, tra individui di media corporatura la forza muscolare massima aumenta proporzionalmente al peso corporeo. Il vantaggio di avere una leva muscolare più lunga è però annullato dal fatto che il peso che deve essere sollevato è decisamente superiore. La relazione tra la massa corporea e la forza muscolare è facilmente osservabile se si confrontano gli atleti del sollevamento pesi appartenenti alle diverse categorie della specialità e dotati, verosimilmente, di una condizione fisica paragonabile per quanto riguarda l'allenamento: con l'aumentare della massa corporea aumenta anche la massima forza disponibile. Bisogna però considerare che la crescita della massa corporea avviene nelle tre dimensioni, mentre la forza statica è proporzionale alla sezione trasversale fisiologica della muscolatura, cioè cresce con il quadrato della misura lineare. Quindi, la massa corporea aumenta con la dimensione lineare in misura maggiore rispetto alla forza muscolare.
Per ottenere un aumento della forza muscolare deve essere superata la cosiddetta soglia critica di attivazione per quanto riguarda sia la durata sia l'intensità del carico di lavoro. Un carico di lavoro al di sotto del 20% della forza massima disponibile è causa di atrofia muscolare, mentre i valori compresi tra il 20 e il 30% sono quelli richiesti nella vita di ogni giorno e lasciano inalterate le dimensioni della sezione trasversale dei muscoli. Gli stimoli al di sopra del 40% della forza massima, la cui durata sia almeno di 3-5 s, sono invece sopraliminali. Praticare esercizi che richiedono il 70% della forza statica massima di un individuo per 5-10 volte al giorno e una durata di 5 s può essere sufficiente per contrastare quasi completamente la perdita di forza legata all'età. Per atleti ai massimi livelli, in sport come il sollevamento pesi, sono invece necessarie sedute di allenamento di 4-6 ore al giorno impostate secondo vari metodi; tra quelli maggiormente impiegati: il sollevamento per numerose volte di un peso massimale; il sollevamento di un peso submassimale ripetuto fino all'insorgere della fatica muscolare; il sollevamento di pesi leggeri o medi alla massima velocità possibile finché non interviene la fatica muscolare. Il metodo utilizzato più frequentemente dagli atleti per raggiugere i massimi livelli è quello dell'applicazione massimale della forza. Per massimale si intende quel peso che può essere sollevato da 1 a 3 volte senza particolare sollecitazione. Superare questo peso può comportare una sollecitazione eccessiva, che provoca l'attivazione da parte del sistema nervoso centrale di un processo protettivo di inibizione che in seguito può precludere l'espressione del potenziale massimo di un individuo. Nelle 24 ore successive a un allenamento intenso si registra, come risultato di una migliore coordinazione, un incremento della forza, il quale dipende dall'aumentata attivazione delle unità motorie. Già dopo un periodo di allenamento di 20 giorni si osserva una crescita dei muscoli dovuta alla sintesi di nuove proteine. La crescita dello spessore di un muscolo avviene principalmente grazie all'aumento della sezione trasversale delle singole fibre muscolari (ipertrofia). Nel caso estremamente raro di anomalia genetica si può osservare anche l'aumento del numero delle fibre muscolari (iperplasia). Soltanto un individuo molto allenato è in grado durante uno sforzo di mobilitare simultaneamente quasi tutte le unità motorie, mentre uno meno allenato impiega soltanto il 70% della forza muscolare potenzialmente disponibile. Questo spiega perché un individuo non allenato sotto ipnosi può aumentare la quantità di forza che è in grado di sviluppare, mentre uno ben allenato non è capace di fare altrettanto. Si ritiene che la causa dell'ipertrofia dipendente dall'allenamento consiste in una richiesta di ATP maggiore di quanto possa essere fornito dai mitocondri. Questo provoca un aumento nell'attività genica, con conseguente aumento della sintesi di acido ribonucleico (RNA), e quindi della sintesi proteica nei ribosomi. Questo processo può essere intensificato con la somministrazione dell'ormone sessuale maschile (testosterone) e dei suoi derivati chimici (anabolizzanti), quando lo sforzo richiesto durante l'allenamento raggiunge il suo massimo. Considerando i pericolosi effetti collaterali, l'impiego di questi metodi di doping (v.) va rifiutato sia per motivi di salute, sia per correttezza sportiva. Gli atleti dispongono ormai di numerosi metodi per sostenere programmi di allenamento intenso, tra i quali vanno menzionati l'esercizio isocinetico e la stimolazione elettrica. Il metodo isocinetico consiste nell'esecuzione dell'esercizio a velocità costante e controllata per tutta la sua durata contro una resistenza massima. Nell'allenamento 'eccentrico' invece si ottiene l'allungamento di un muscolo flessorio vincendo la resistenza da esso stesso esercitata. Dispositivi appositamente costruiti consentono inoltre di mantenere un controllo puntuale sull'intensità dell'allenamento. Un aumento della potenza muscolare si può ottenere anche mediante la stimolazione con elettrodi. Il metodo è impiegato dagli atleti per migliorare le prestazioni, in particolare di quei muscoli che sono solo scarsamente attivati nelle sequenze motorie tipiche di una data disciplina sportiva. Lo svantaggio di questa stimolazione consiste nella totale assenza di qualsiasi pratica che favorisca un aumento della coordinazione. Per questo motivo subito dopo essersi sottoposti a sedute di elettrostimolazione gli atleti devono eseguire le specifiche sequenze motorie dello sport che praticano.
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